Coronavirus KR: Il funerale silenzioso

E. Manet . Le esequie di Baudelaire

21 marzo 2020. Un giorno grigio di una primavera che oggi non vuole arrivare. Primo pomeriggio del tredicesimo giorno di quarantena imposto dallo Stato per prevenire l’emergenza del Coronavirus.

   Giornate di odio si susseguono sui social. In fondo, a Crotone, non sono tutti lettori di libri o fumetti o patiti di cinema. Oltre al pallone, gli argomenti su cui confrontarsi diventano scarsi. Non offendetevi, amici e concittadini. Purtroppo nel DNA abbiamo abitudini contraddittorie. Un puro fatto culturale e antropologico. E con ciò non vuol dire che non ci siano bravi crotonesi.

   Tutt’altro. Collaborazione, cortesia, solidarietà. Questi sono elementi giganteschi che sono protagonisti giorno dopo giorno in un ruolo d’incertezza.

   Purtroppo sono i social che sono diventati un luogo di scambio di paure, insicurezze, psicosi. Perché la quarantena non rientra nelle abitudini di nessuno, e ognuno fa quello che può, in attesa che la catena si allenti.

   Stare a casa. Già. Come se fosse facile. Eppure uno va a comprarsi da mangiare, e se bada a qualcuno deve fare la spesa ogni giorno. Senza contare le medicine che possono servire. E vogliamo parlare dell’acqua, dei detersivi, di tutto ciò che serve per disinfettare il proprio ambiente. E poi c’è la decisione di non approfittarsi di un servizio come quello delle consegne. Perché sai che c’è qualcuno che realmente non può muoversi. E ha bisogno. E allora la fai l’uscita, ma sai di essere legato ad un guinzaglio.

   Non sono giorni belli. Neanche per i cani, che anche loro sono nervosi perché vivono la nostra libertà. E c’è l’uscita quotidiana.

   Ho imparato a osservare le piccole cose nell’isolato in cui mi posso muovere senza incappare in qualche sanzione. Bisogna essere forti mentalmente, come quel tipo del film “Le Ali della Libertà” che con una sola forchetta per venti anni ha scavato un buco per uscire da quel carcere dov’era stato ingabbiato ingiustamente. Certo, mi dirà qualcuno. Si tratta di un film. Ma la realtà è più di un film, soprattutto quando l’incertezza è dietro l’angolo da molti giorni.

   Scendo, scelgo l’incrocio e incappo in un funerale.

   Oggi si parla di tante vittime del Covid-19, ma nessuno parla dei funerali.

   Perché si continua a morire di altro. Non esiste solo il coronavirus.

   Il funerale di una signora.

   La macchina presente in attesa della salma.

   Poca gente, tutta distanziata, per un saluto silenzioso.

   In questo periodo a nessuno è permesso di avere un funerale religioso.

   Si viene caricati in macchina, e basta. Subito al cimitero.

   Un funerale silenzioso.

   Questa è una delle tante storie che non vi racconteranno. Perché è facile raccontare del bollettino dei morti. Ma nessuno vi racconta che l’ultimo addio è devastante. Perché magari si tratta di un tuo caro che non può nemmeno essere salutato come si fa abitualmente. Una carezza sulla bara. Un abbraccio. Un saluto da vicino. La messa di un sacerdote. L’odore di una chiesa, che è la casa che accoglie i fedeli. Questo oggi non c’è.

   E allora, nonostante cerchi di andare avanti, ti accorgi dello strano silenzio, dell’addio più silenzioso. Il sangue può solo raggelarsi, perché il funerale dovrebbe essere il più dolce degli arrivederci per poi portare dentro di sé il ricordo del proprio caro.

   Oggi è solo un freddo silenzio.

   Un freddo silenzio di un primo giorno di primavera abbastanza grigio.

Aurélien Facente, 21 marzo 2020

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Aurelien Facente

writer, artist photographer, videomaker

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