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Una mattina anonima, ma serena. Esco di casa com’è mia abitudine dopo aver fatto qualche operazione di pulizia. Sono un animale abitudinario. Mi cerco un bar per prendere un cappuccino. Non è un’abitudine. È un rito vero e proprio. Un quarto d’ora seduto al bar solo a osservare la gente, il traffico, la vita cittadina, e a godermi un po’ di sole. Nella sala esterna c’è un tizio che legge un giornale. Non ne vedo la faccia. A Crotone è raro vedere qualcuno al bar che legge apertamente un quotidiano. Il rito di leggere il giornale è un modo di estraniarsi un po’ dalla realtà e godersi con calma il caffè. Ognuno, quando è in solitudine, sceglie un’abitudine per ammazzare il tempo.
Ordino il cappuccino. E mentre aspetto, ecco che arriva un amico di vecchia data. Un amico, Michele, che non vedevo da anni.
“Aurelien, da quant’è che non ci vediamo?”
“E tu che ci fai qua?”
“Niente di che. Sono qui per una breve vacanza. Lo sai che ti vedo nelle tue dirette su Facebook. Oddio, ti vedo in differita.”
“Non sei il solo.”
“Posso chiederti qualcosa d’indiscreto?”
“Spero che non sia vita privata.”
“Perché critichi Giuseppe Conte?”
“Io non critico Giuseppe Conte, tanto che gli riconosco che parla bene. Ma sono molto critico sulla faccenda del Covid-19. Non nego che esiste una pandemia. Solo che mi piacerebbe che si ammettesse che il nostro problema, almeno in Italia, è molto logistico. A Crotone ci siamo dovuti accontentare di una tenda di Emergency dove accogliere qualche malato. Ma non credo che possa saperlo…”
A quel punto, l’uomo con il giornale si alza di scatto e si avvicina. Non riesco a crederci. Mai avrei immaginato di trovarmi seduto al bar a due passi dal signor Giuseppe Conte.
L’ex premier italiano mi guarda con fare ironico.
Mi faccio guidare dal mio senso diplomatico: “Questa sì che è una sorpresa. Non le chiedo che ci fa qui, ma francamente mai avrei pensato di trovarla con un giornale a bere il caffè con me. Mi scuso se magari ho detto qualcosa di cattivo.”
“Sono abituato alla cattiveria, signor Aurelien? Lei ha un nome francese, vero?”
“Touché. La vedo di buon umore.”
“Bene, Aurelien. Senta. M’interessa molto il parere di un cosiddetto esperto. Sa, in Parlamento a Roma non hai a che fare con gente normale e comune.”
“Professor Conte, lei mi onora. Ma rischio di essere cattivo. Poi magari la offendo e lei mi querela.”
“Non importa. Ogni tanto anche un ex premier come me ha bisogno di parlare con qualcuno di diverso.”
“Le proporrei una passeggiata per Crotone. Vorrei farle vedere qualcosina, ma magari non ha tempo. Mi viene facile così fare il discorso.”
“La voglio sorprendere. La faccio volentieri.”
“Faccio fatica a crederci, ma credo che ci sia un prezzo da pagare.”
“Certo, lei come si sarebbe comportato?”
“Ammetto che davanti ad un fenomeno di una portata distruttiva come l’epidemia di Covid-19 mi sarei trovato molto combattuto, soprattutto con la generazione politica che aveva a che fare lei. Le parlo da essere umano. Al posto suo, al di là del lavoro degli scienziati e dei medici, mi sarei preso un paio di giorni solo per studiare qualche libro che parli di virus, giusto per capirci qualcosa.”
“E che libri avrei dovuto leggere?”
“Professor Conte, un bel po’ di libri e meno parole di altri, che magari non hanno letto. Non dico che avrebbe trovato una soluzione, ma imparare a conoscere il mostro è un modo per affrontarlo. A me il virus in sé non spaventa. Magari è un virus che ha dormito per un miliardo di anni e che oggi si risveglia. Si affronta e basta. Non voglio parlare dei morti, ma un terremoto violento in una città ha sempre fatto vittime. Il problema è venuto dopo.”
“Di che parla?”
“Un virus, nella storia, ha sempre prodotto cambiamenti nella società. Io ho molto detestato il comportamento dei media ad esempio. Giusto parlare di prevenzione e di progressi, com’è giusto dire che il virus uccide. Ma non si può continuare ad affrontare in questo modo. Perché poi ci dimentichiamo di una cosa importante nelle persone: l’umano deve vivere ed è lì che deve trovare la sua forza. Voltaire scrisse una cosa che mi resta ancora oggi impressa: ai vivi si deve rispetto, ai morti solo verità.”
“Signor Aurelien, che cosa vuole farmi vedere?”
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Ci alziamo dai rispettivi tavolini, e ognuno paga il suo al gestore del bar. Anche il professore si era preso un cappuccino.
Passeggiamo e parliamo. Gli faccio vedere com’è fatta Crotone. La nostra è una lunga passeggiata. Gli argomenti spaziano in cultura generale. Politica zero. Solo cultura con la C maiuscola. Parliamo di turismo. Parliamo di prospettive. E ci scambiamo pure qualche risata.
Cavolo! Il Presidente Giuseppe Conte scherza con me.
“Ti vedo disturbato, Aurelien.”
“Faccio fatica a credere di parlare con te.”
“Può accedere di tutto nella vita.”
“Già. Permettimi di farti conoscere una persona.”
Ci troviamo in periferia a Crotone. Suono al portone di un palazzo popolare di Crotone.
Ci apre Giuseppe, un mio conoscente. Un uomo sulla quarantina con moglie e due figli.
“Giuseppe, per favore, racconta al Presidente Conte la tua storia.”
Giuseppe, che è omonimo solo per nome dell’ex premier, racconta la sua storia. Lavorava. Portava il pane a casa. Poi è giunto il lockdown. La moglie mangiata dalla paura decide di andare via e porta con sé i figli. Giuseppe resta da solo, e perde pure il lavoro. La separazione ha dei costi aggiuntivi e non riesce a coprirli. E da allora è solo, e non riesce a trovare lavoro. Ha fatto richiesta del reddito, ma deve aspettare. E l’attesa lo uccide. Giuseppe si arrabbia, ma non è offensivo.
Poi ci dice educatamente di andare via. Ha bisogno di calmarsi. Lo accontentiamo.
“Aurelien, devo farti una confessione. Tu credi che il buon Giuseppe Conte non sia insensibile?”
“No, professore. Ma ogni tanto è bene vedere la verità in faccia senza farsi prendere dal proprio ruolo nella società.”
Il professor Conte ed io ci ritroviamo in un altro appartamento. Un’altra famiglia, stavolta più gioiosa. Un altro nucleo di 4 persone. Mamma, papà e due figli. Maria e Giovanni sono sposati da dieci anni, e lei esce pazza per Conte.
Stavolta l’incontro è meno problematico. Più educato. La coppia ha due figlie di 8 e 6 anni. La più grande si dimostra vispa e interviene nei discorsi. Giuseppe Conte sorride, ma nei suo sguardo noto la malinconia. Sì, perché Giovanni è disoccupato. Ha perso anche lui il lavoro, mentre Maria è costretta a lavorare di notte per condomini a pulire. Giovanni ha purtroppo anche un male, e non può curarsi bene perché un intervento è rinviato.
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Dopo una buona mezz’ora, usciamo.
“Aurelien, voglio ringraziarti.”
“Di che cosa? Sono io che ti ringrazio. Queste persone, nel loro modo di essere, sono persone che vogliono vivere e che sono state lasciate da sole. Hanno bisogno di maggiore positività. Hanno un forte bisogno di essere rincuorate. Ed è questo che critico fortemente nella gestione della pandemia. Si parla di morte, ma non si parla di vita. E questo è purtroppo un aspetto che la tua generazione politica ha dimenticato. E lasciar spazio alla cronaca spicciola non ha dato i suoi frutti. C’è un momento dove bisogna prendere decisioni, ma c’è anche un momento in cui bisogna avere il coraggio di parlare alle persone mostrandosi per quello che si è.”
“Mi piacerebbe approfondire ancora. Ho molto di cui riflettere. Dentro un palazzo non sempre vedi le cose con chiarezza. A volte non le vedi proprio.”
Un’auto si ferma non lontano da noi. Giuseppe Conte non era solo. In effetti, mi sembrava strano che non ci fosse qualche guardia del corpo che si seguiva.
Giuseppe Conte sale in macchina, e mi lascia un saluto con la mano. Contraccambio. Non ho voluto chiedergli un passaggio, anche perché avrò i suoi impegni. Mi sono dimenticato di chiedergli che cavolo ci faceva realmente a Crotone.
Chiudo gli occhi.
Stacco.
Apro gli occhi. Nella mia stanza.
Era tutto un sogno. Un maledetto sogno.
Sarebbe stato troppo bello se fosse stato reale.
Aurélien Facente, 9 novembre 2021
Grande la tua vena che definirei iperreale ‼️‼️💙
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