La vittoria di Pirro degli amanti del PD

Io credo fermamente che sia ora di chiudere questo film tristissimo e che il PD faccia una grossa operazione chiarezza con i suoi iscritti e con i suoi amanti sparsi per i media perché questa storia deve essere portata a termine.

Siamo nel 2022 e nei ballottaggi di tutta Italia (a chi toccava) non ha vinto il PD, non hanno vinto i 5stelle, non ha vinto la Lega, non ha vinto Forza Italia, non ha vinto nessuno. La maggioranza degli elettori se n’è fregata altamente di considerare il ballottaggio. Se più del 60% degli elettori preferisce fregarsene, vuol dire che c’è qualcosa che non va. E non è una questione di sinistra o di destra o di centro, ma di democrazia e di rapporto della politica con la cittadinanza di tutti i giorni.

Ormai l’astensionismo è il simbolo del dissenso dilagante verso una cultura politica italiana che non guarda più al presente, e per continuare a sopravvivere continua imperterrita la sua metodologia del divide et impera.

Bene, c’è un limite a tutto ciò.

E in questi ultimi anni, dove elezione ci sia stata, ha vinto l’astensionismo, perché supera di fatto il 50%, e l’elezione avviene lo stesso perché la legge lo permette. A prezzo però della credibilità e dell’autorevolezza, elemento quest’ultimo che si è andato a fare benedire perché bisogna raccontare le belle favole piuttosto che migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini.

Il distacco è netto.

Certo, il PD centrosinistra vince a Catanzaro ad esempio, ma con un avversario di centrodestra che prima stava nel PD. Ed è stato facile vincere poiché il nemico era un voltagabbana bollato come tale. Anche io non lo avrei votato.

In realtà, oltre alla mancanza di elettori, questi ballottaggi (che per loro stessa natura riducono il numero degli elettori) raccontano altre verità più dure.

Il primo è il netto distacco tra politica e cittadinanza. La politica è percepita come un volgare reality show molto trash, perciò non attrae più come prima. Anzi, proprio non attrae.

Iniziano a sparire dei partiti come Forza Italia. Il caso Verona è stato lampante, ma Forza Italia non è più un partito di riferimento come qualche decennio fa. Sparirà perché la gente non ama i Brunetta e le Ronzulli, politicanti superficiali e presuntuosi che adorano apparire detestabili, ma non costruttivi. Il Silvio fa quello che può, ma forse è meglio che si occupi del Monza Calcio, La sua stella ormai è un meteorite che si sta sgretolando nell’atmosfera. La Lega è in forte crisi identitaria, e sarebbe meglio stendere un velo pietoso.

Il caso di Fratelli d’Italia merita un ragionamento a parte. A livello nazionale potrebbe prendere il posto delle Cinquestelle cadenti, che ormai vincono, per modo di dire, dove hanno stretto qualche alleanza.

Ma allearsi con il PD non paga. Assolutamente no. La prova sta proprio nell’affluenza bassissima.

Ma i giornaloni dichiarano che sia il PD ad avere stravinto. Certo, perché i giornaloni stanno tutti a sinistra idealmente (in realtà sarebbe bello parlare degli azionisti di maggioranza) e perdono di vista l’equilibrio dell’obiettività. Meglio propaganda a prezzo della credibilità. Non stupisce che i giornali non vendano più come prima.

Fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti, piddini e forzisti, Cinquestelle contro il sistema. Scontri che hanno francamente stancato, quando ormai il tema principale sta nel trovare un lavoro che permetta quantomeno di vivere con dignità.

Negli anni passati si è chiaramente voluto mantenere lo status quo portandolo alla cancrena. Gli effetti delle politiche passate hanno portato alla luce mostruosità democratiche, sancendo di fatto il fallimento della democrazia rappresentativa.

Più del 50% non vota e non vuole votare. Lo ritiene una perdita di tempo.

Un dato di fatto triste, ma figlio di quella politica che ha volutamente tagliato le rappresentanze locali a discapito di una generazione di Yes Man e Yes Woman che vivono un film immaginario mentre la gente di tutti i giorni soffre.

Conoscendo le dinamiche, il trend si ripeterà alle prossime nazionali.

L’Italia politica farebbe bene a cambiare registro. L’impressione è quella di vivere l’apertura di un vaso di Pandora. La misura è ormai colma.

Ovviamente auguri ai sindaci eletti. Non sarà una passeggiata di salute per loro.

Decisamente no.

Aurelien Facente, 27 giugno 2022

Oggi viviamo in Italia le conseguenze del Porcellum, il vero assassino della democrazia

Ogni storia ha un inizio. Inizia con l’attuale Presidente della Repubblica, l’On. Sergio Mattarella. Fu artefice di una legge elettorale nazionale definita “Mattarellum”, nella quale era possibile scrivere nome e cognome del candidato alla Camera o al Senato da parte dell’elettore, il che implicava un voto riflessivo e convinto. Non perfetta come legge (non esiste la legge perfetta), ma almeno uno votava qualcuno che conosceva. C’era un fondo di merito, il che la rendeva abbastanza democratica.

Poi arrivò il signor Silvio Berlusconi negli anni 90′ che sconvolse la vita parlamentare italiana, e dopo un primo tentativo di governo nel 1994, qualche anno dopo riuscì a governare per cinque anni consecutivi insieme ai soci di Alleanza Nazionale, la Lega Nord, e l’UDC con il suo partito Forza Italia. E una delle cose che gli riuscì fu di cambiare la legge elettorale.

L’ideatore di questa legge elettorale, definita “porcata” proprio dal suo stesso ideatore, ha un nome e cognome: Roberto Calderoli, un navigato della Lega Nord. La legge prevedeva la non possibilità di conoscere i candidati a favore del simbolo. Cioé una ics sul simbolo mentre si vota, e nessun contatto con la rappresentanza locale.

Si può dire una bella legge a favore dell’oligarchia, nel senso che tanto ci siamo noi e noi ci voterete senza discutere.

Questo bel giochino è andato avanti per almeno 15 anni e passa, senza calcolarne le conseguenze nel periodo lungo a venire.

Il signor Mario Monti fu una brutta conseguenza di questa legge. Perché dentro il Parlamento, grazie alla cosiddetta garanzia dell’anonimato sulla scheda elettorale, ci siamo trovati tanti soggetti passare da destra a sinistra e vice versa senza il benché minimo senso del pudore, portando alla sopravvivenza di parlamenti ma con il prezzo di non incidere sulla scelta politica del primo ministro, poiché uno come Mario Monti fu scelto proprio dall’allora Presidente della Repubblica Napolitano, con il chiaro scopo di non andare ad elezioni, nonostante il Paese ne avesse bisogno.

Un’altra conseguenza della legge fu la scelta dei candidati. Non più persone che potevano prestarsi alla politica per costruire la società, ma una lunga serie di Yes Man e Yes Woman messi lì solo ad eseguire la linea del partito o del capobanda. Garantendosi così il posto per le successive elezioni. A Crotone ne abbiamo un esempio chiaro con la Maga Dorina, che passò da destra a sinistra, con la scusa di essere moderata, e vice versa con la sola motivazione che i moderati (termine politico molto idiota) si spostavano così.

Con una legge come il Porcellum questa fu la più grave delle conseguenze. Perché la politica non era più un’opportunità per la società, bensì un’occasione di mantenere quei privilegi, anche economici, che piacevano e piacciono a tutti.

Ovviamente con la complicità di un popolino italiano che man mano che il tempo passava si trovava sempre più povero.

Poi arrivò il Grillo urlante. Con i Cinquestelle. Fu un momento storico il suo arrivo in politica, perché trovò la falla nel porcellum. Il simbolo dei Cinquestelle divenne il dissenso democratico contro i nuovi signorotti del Parlamento Italiano. Arrivando ad entrare di prepotenza nel Parlamento Italiano, con un’energia necessaria.

Attenzione, però, perché il Cinquestelle è la testimonianza diretta di come l’Italia politica era sprofondata in un sistema oligarchico mascherato da democrazia. Perché il Porcellum fu dichiarato poi dalla Corte Costituzionale come una legge illegittima che non garantiva la conoscenza diretta del candidato.

L’ultima legge elettorale nazionale, definita Italicum (che è una versione riveduta e corretta della precedente), la si deve al governo Matteo Renzi, oggi il politico più detestato d’Italia. Ma anche lui aveva visto chiaramente che il Porcellum non era buona come legge, tanto che il suo ingresso dentro le sacre stanze del Parlamento fu non dovuto ad una crisi politica (che c’era già prima), ma da un’occasione causata ed avvallata dalle conseguenze del Porcellum.

Curioso il fatto che per una quindicina d’anni sono stati eletti parlamenti con una legge poi dichiarata non valevole, ma è proprio grazie a questa stortura che ci ritroviamo nella peggiore Italia.

Sì, perché, di fatto, l’Italicum non ha riparato un bel niente.

Oggi ci ritroviamo questo signore, Mario Draghi, con la complicità di una politica quasi tutta accondiscendente. Certo, perché i candidati al Parlamento non li hanno scelti i cittadini, ma i capobanda dei vari partiti. Yes Man e Yes Woman pronti a cambiare casacca qualora la situazione lo richieda. Il caso recente del giovine ministro Luigi Di Maio, addirittura eletto Cinquestelle, sta a dimostrare come le stanze parlamentari siano oligarchiche a danno proprio della cittadinanza.

Ad oggi, nonostante il Parlamento avrà meno deputati e senatori per via di una riforma proprio voluta dai Cinquestelle, non si sa con che razza di legge elettorale si voterà. Certo è che ormai è chiaro che il Parlamento è pieno di attori buoni per un reality show, ma non adatti (ma molto indifferenti) sul vero vissuto del Paese, che con grossa probabilità non voterà in massa. Questo andrà a vantaggio di una politica sempre più oligarchica e non democratica.

Il caso di Luigi Di Maio è lampante. Rivoluzionario con i Cinquestelle, omologato non appena ha avuto un ruolo in governi di maggioranza. Seguendo il costume già presente durante il Porcellum, ha cambiato strategia per assicurarsi la sua posizioncina politica, dichiarando tutto il contrario di tutto. Non una questione di crescita personale, ma di sporca opportunità. I Cinquestelle si trovano in momento di basso gradimento, quando è in realtà tutta la politica nazionale a essere corrotta nell’anima. E questo la gente lo sa. Tranne gli innamorati. Ma la gente di tutti i giorni lo sa, e questo creerà un altro distacco tra la politica e l’elettorato.

Il voto è una questione di fiducia. Se tradisci la mia fiducia, io non ti considero nemmeno per un voto, che oggi più di ieri, in regime di grosso astensionismo, risulterà essere determinante.

Sta di fatto che l’Italia è sempre più povera. Proprio per colpa di tutti questi Yes Man e Yes Woman figli della politica del Porcellum.

Una brutta pagina di storia dell’Italia.

Aurelien Facente, 26 giugno 2022

Ritratto di Gigino ovvero l’impotenza al potere giustificata dalla menzogna

Giggino Di Maio. Un uomo comune che è riuscito a essere scaltro nella sua roccaforte politica. Questo va detto. Ma non è stato sincero. Forse all’inizio, ma dal primo incarico di ministro qualcosa è cambiato.

Giggino Di Maio è l’essenza del potere che corrompe il brav’uomo. Tutti quelli che si autodefiniscono rivoluzionari prima o poi cadono nella corruzione del potere. Perché per cambiare le cose ci vuole volontà, intelligenza, anche un certo credo religioso. E soprattutto devi avere contenuti. Perché se non hai quelli, sei demagogo. E i demagoghi al potere non si prendono nessuna responsabilità, se non la volontà ferrea di non cambiare il beneficio del proprio portafogli.

Giggino si è rivelato, cadendo nella trappola costruita dallo stesso Movimento che lo ha reso politico prima e politicante dopo. Non offenderti, Giggino. Per me non sei un buon ministro degli esteri. Non hai la cultura e soprattutto non hai la testa adatta per farlo.

Giggino abbandona il Movimento. Già, perché ormai il Movimento affonda come il Titanic e ovviamente prende la migliore scialuppa per salvaguarsi le chiappe, ma non l’onore. Quella è un’altra cosa. Giggino ha l’onore corrotto dal potere, e ha preferito salvaguardarsi le chiappe.

Un anno di tempo, caro Giggino. Poi anche tu dovrai andare a raccattare voti per ritornare al dolce scranno del Parlamento. Sempre che la tua generazione politica non decida di mandare a puttane la Costituzione Italiana, e a quel punto si completa la verità della corruzione in nome della bugia del potere.

Già, caro Giggino. Lo so di essere duro con queste parole. Ma è una lettera aperta di chi ha osservato la crescita del Movimento. Pensa, l’ho pure votato perché credevo che ci fosse un reale bisogno di scuotere un bel po’ di politica italiana. Era necessario scuoterla perché il periodo lo richiedeva.

E alla fine?

A pochi mesi del compiere il fatto rivoluzionario, ovvero mettersi da parte dopo il secondo mandato, il potere che corrompe ti ha posseduto e con un discorso imbarazzante hai rivelato la tua reale natura.

I governi (sei al terzo) di cui hai fatto parte hanno gravi responsabilità storiche, e non mi va di elencarle tutte. Tanto sarà il popolo a giudicarti quando ci saranno le elezioni, ma di sicuro compi la più stupida delle mosse nel momento in cui la stessa politica dovrebbe preoccuparsi di ricucire il rapporto con la gente, perché se governi un Paese dove la metà della gente non ti considera nemmeno allora l’autorevolezza della politica perde. E si continua a raccontare la menzogna. Cosa che ovviamente hai ben fatto in tutti questi anni.

Certo, c’erano le regole della politica. Ma di quale politica, Giggino? La tua? Quella che offre la rivoluzione e poi la fa diventare l’ennesima illusione. Hai scelto tu, caro Giggino, di farti sedurre dal potere. Non è stata la gente a chiedertelo.

Peppino Conte se ne farà una ragione. Ma lui almeno in questi mesi un giro per l’Italia se lo sta facendo, cercando di promuovere una rivoluzione che è diventata un’illusione.

Ma era inevitabile che finisse così. Perché è il destino dei demagoghi al potere. Sguazzano come sanguisughe sulle spalle dei cittadini e amano restarci. Ma quando si tratta di cambiare, mostrano tutta la debolezza della loro corruzione.

Non parlo di corruzione in danaro, caro Giggino. Ma della corruzione che è dentro la tua anima adesso. Hai fatto una scelta rischiosa e azzardata. Ti sei dato troppa importanza. E quell’uno che valeva uno è diventato io esisto sopra di voi.

Che illusione! Eppure quasi ci credevo in un meridionale che potesse cambiare qualcosina. Sottolineo il quasi. Perché i “rivoluzionari” li conosco in Italia. Pronti a raccontare di tutto e di più, salvo poi gettare la maschera quando il gioco gli torna contro. Avrai anche ridotto i parlamentari, ma sei diventato il più obsoleto dei parlamentari. Alla fine ti sei rivelato per quello che sei. Libero di farlo, ma a discapito della tua credibilità elettorale.

Capisco l’ambizione e forse anche la passione per la politica. Ma la tua non è più politica. Si chiama opportunismo. E si tratta della peggiore malattia degli ultimi anni in politica. Quello stesso opportunismo che tu denunciasti e condannasti. Alla fine, hai parlato talmente male di loro che sei come loro.

Avevi un’altra chance, caro Giggino. Una chance azzardata, ma che ti avrebbe reso protagonista di una storia ancora migliore. Le tue dimissioni da ministro e da parlamentare. Un atto forte che avrebbe spaccato il Movimento comunque, ma che ti avrebbe dato quella credibilità che cercano i cittadini. Una scommessa azzardata dunque. Ma coraggiosa e non vile.

Ti ho seguito, Giggino, in tutto questo tempo pensando che un meridionale mi avrebbe reso orgoglioso di essere tale. Invece hai gettato la maschera mostrando quella che è una triste verità: quella di essere un bluff.

Buon proseguimento, Giggino. Prima o dopo anche tu farai i conti con la realtà, quella vera però. Quella di cui anche tu un tempo facevi parte. E non credo che sarà tenera con te. Il destino dei falsi rivoluzionari non è mai tenero. Staremo a vedere, ma di sicuro il tuo gesto contribuirà ancora di più al grande astensionismo che macchierà di disonore la storia della Repubblica Italiana.

Aurélien Facente, 22 giugno 2022

Comincia la caduta del mito politico europeo attraverso le elezioni francesi.

Bisogna guardare al proprio vicino con curiosità. I cugini francesi sono diventati pestiferi. Elezioni legislative, che tradotto in Italia sarebbero le elezioni per il rinnovo della Camera e del Senato. Guai a non guardare quello che succede lì, perché succederà anche in Italia.

C’era una volta un presidente di nome Emmanuel Macron.

Governava la Francia con un nuovo partito politico (che ha cambiato già nome) per dimostrare che la politica europea fosse la migliore. Apprezzamenti da vari media italiani, a cominciare dal PD.

Macron, in realtà, era l’ultima possibilità per credere alla grandeur dell’Europa unita.

Arriva la pandemia, e tutta la politica europea mostra il peggio di sé. Altro che destra e sinistra, o fascismo e comunismo. Il festival della follia tra gli scranni del potere.

Poi è arrivata la misteriosa guerra tra ucraini e russi.

E allora l’occasione diventa ghiotta. Tutto il mondo pseudomoderato di sinistra e simili alzano la cresta. Tutti a fare gli eroi e a combattere contro il cattivo russo.

Macron, intelligentemente, prende una posizione leggermente più moderata. Ma dimentica qualcosa. Che la sua politica comincia a non essere più creduta. Senza contare che il partito dell’astensionismo cresce. Ma se vuoi restare in piedi, allora meglio ridicolizzare gli altri.

Il nemico numero 1 da abbattere è la signora Marine Le Pen, la fascistona del Front National. La signora è di destra, per alcuni fascista. Non prova vergogna a candidarsi alla presidenza dell’Eliseo, ma nonostante sia la cattiva il suo elettorato cresce. Ma nessuno si chiede perché.

E già. Perché quelli che appoggiano Macron sono i migliori, sanno tutto, risolveranno tutto. A patto che i cittadini stiano zitti e digeriscano gli orrori economici e sociali che li faranno stare bene.

La Francia assomiglia molto all’Italia in questo momento storico.

Economia al ribasso, povertà in vistoso aumento, carovita eccessivo, tassazione alta e non giustificata da fatti (anche il ministero della salute francese doveva rendere eccellenti gli ospedali), degrado a più non posso. Questo è quello che la gente vive, ma viene smentito anche da molti media (quelli allineati al pensiero governativo),

Beh, l’Italia somiglia molto alla Francia. La differenza a questo punto sta nella razza, aggiungerei.

Alle presidenziali Macron vince con affanno. Ma con un astensionismo monstre.

Ma in Italia è preferibile non vedere queste cose. Anzi, qui in tv tutti eroi di guerra, ma non di economia giornaliera.

La fortuna vuole che subito dopo le presidenziali, arrivano le nazionali in Francia.

E qui c’è il signor Melenchon, noto agitatore comunista. In Italia se ne parla poco, ma è adesso il primo partito di opposizione. Anche lui è brutto e cattivo perché non vuole essere schiavo delle scelte dell’Europa. In Italia non si deve parlare di lui, ma stranamente questo gentile signore ha il merito di riprendere un po’ di quella sinistra che tutti amano, e non a caso il risultato gli da ragione.

Ieri, 19 giugno 2022, si sono svolte le elezioni francesi. E il signor Macron perde la cosiddetta maggioranza assoluta. Per la prima volta nella storia della République Française un Presidente perde la maggioranza in Parlamento.

E ovviamente adesso capiremo dove si andrà a svoltare.

Ma c’è un dato che nessuno considera, e in questo ci arriverà pure l’Italia (nella mia Crotone lo conosciamo già).

Oltre il 54% di astensionismo, ovvero oltre un elettore su due ha preferito non votare. Decretando la fine della propria democrazia, ma decretando anche la mancanza di credibilità dell’europeismo estremo e convinto che, di fatto, ha aumentato a dismisura gli orrori sociali.

Un brutto problema che si dovrebbe considerare eccome.

Perché se un elettore su due non vota e non mostra sensibilità nei confronti della democrazia, vuol dire che qualcosa non va.

In Francia la signora Le Pen e il signor Melenchon vincono relativamente, ma perché conquistano quel poco di voto che resta, andando in netta crescita. A discapito del Macron che perde miserabilmente, anche perché il Presidente sarò anche una persona capace, ma attorno a lui non è che ci siano persone simpatiche ed amabili. Tutt’altro. Mezzo governo è stato bocciato già al primo turno (in Francia si vota in due turni per le nazionali), il che vuol dire che i migliori magari saranno migliori solo a blaterare e fare chiacchiere.

Comunque qualcosa di simile avverrà anche in Italia nel 2023.

Ormai l’insieme della politica italiana (e già nelle comunali recenti si è visto) racchiude un elettorato super diviso e molto incline a fregarsene di avere una rappresentanza. E se la premessa è questa, sarà una tragedia enorme. Non per chi non ha votato. Non a questo giro almeno. Perché il non voto è diventata la sola arma di dissenso al degrado e alla menzogna politica degli ultimi anni. A Crotone, giusto per fare un esempio pratico, l’astensionismo ha raggiunto quota 70% alle regionali calabresi, un dato che dovrebbe far riflettere.

In Francia quelli che votano la Le Pen lo hanno fatto per disperazione.

E succederà anche qui.

Non si è migliori nei confronti dell’avversario deridendolo e schifandolo.

Si è migliori quando la tua gente vive.

Quando dentro l’Italia politica si arriverà a capire questa regola semplice, forse riuscirà a riprendere un po’ di credibilità. Sì, perché se non credo nella politica non credo nella repubblica, e se non credo nella repubblica non credo nemmeno nella legge. E questo dovrà per forza di cosa essere uno degli argomenti che dovrebbero alimentare il dibattito.

Ma in Italia sbatteremo contro un muro, fidatevi. Ma tanto dobbiamo ascoltare solo gli specialisti, come disse qualcuno che conosco.

Aurélien Facente, 20 giugno 2022

L’omicidio del voto rappresentato dai referendum sulla giustizia

Che cos’è il voto oggi? Si tratta realmente di un simbolo di libertà di pensiero oppure è un atto di sottomissione? E se è un atto di sottomissione, chi ci sta?

L’ultimo referendum sulla giustizia con 5 domande (di cui almeno due importanti) meritava la riflessione, la discussione, la promozione. Tranne qualche faccia nota, la indifferenza istituzionale prima e quella mediatica dopo hanno influito molto sull’andamento della indifferenza al voto, sancendo ancora di più la separazione tra la politica e il pubblico, inteso come gente.

Non arrivare al 20% solo nella storia elettorale della città di Crotone, posto dove vivo, è sintomo ormai di una frattura multi scomposta che ormai sarà difficile risanare, se non tramite una lunga terapia di franchezza e chiarezza, cosa difficilissima per la generazione politica che ama il sotterfugio e la codardia, usando anche maschere di destra e di sinistra che non appartengono loro minimamente. E quelli che dovevano rompere il sistema, come Lega e Cinquestelle, danno il colpo del KO definitivo proprio con l’anomalia del governo Draghi che tutto è tranne il governo che serviva all’Italia, con buona pace del Presidente Mattarella cui forse (anzi è probabile) il bis non giova per nulla.

Non prendiamoci in giro. Ormai, vista anche l’affluenza alle comunali, la gente non crede più a questa generazione politica. Vota chi ci crede e chi s’illude di crederci. Il resto no. Un dato di fatto ormai incontestabile.

Si tira troppo la corda? Inevitabile che si spezzi se la corda è mal curata. Sembra un esempio banale, ma in Italia e a Crotone è accaduto proprio questo. Si pensa che la leggerezza e la propaganda tenessero lontana la pesantezza dell’esistenza. Non è così.

Ora capire le ragioni di questo massacro elettorale è lungo e complicato perché le origini partono da lontano, e la malattia è conclamata su tutti i livelli.

Una malattia di marcio che viene percepita proprio attraverso i media, che preferiscono raccontare verità assurde pur di non andare al centro del problema. Ci sono sacche numerose di persone che non credono più alla politica. Li hanno chiamati in tutti i modi: populisti, fascisti, no vax, putiniani.

Hanno puntato il dito contro senza mezza misura e senza mezzo ascolto.

Le élite politiche hanno preferito questo gioco di elevazione sulla testa delle persone, condannandole anche nel non aver avuto l’opportunità di avere un percorso di studi sufficiente.

Un comportamento disgustoso. E ovviamente recepito in silenzio dal pubblico, che poco alla volta si allontana. Un pubblico che non recuperi più. Perché semplicemente non ti crede, e non trova l’utilità nel voto. Perché il voto è un credo, e il credere si basa sulla fiducia. Se tradisci la mia fiducia, io non ti voto.

E il referendum, seppur tecnico e complesso, è stata la prova del fuoco.

Ci troviamo inevitabilmente in una deriva senza precedenti. I giornaloni possono prendere in giro chi vogliono, ma le redazioni farebbero bene a farsi un’altra domanda: perché la gente non vota?

Sempre colpa dei fascisti, populisti, no vax, putiniani e quanto altro ancora?

O mera incapacità di una politica generale che non guarda più ai cittadini, ma solo a propri interessi di chissà quale natura?

La pandemia e la guerra in Ucraina, con le loro narrazioni esageratissime, sono state usate chiaramente da una politica non coraggiosa e non sincera per mantenersi alto, e i media hanno appoggiato l’idea di un governo eroico, che in realtà sulle scelte non fatte c’è da scriverci un libro.

Il tempo, poi, fa il resto.

Viviamo un’epoca che Andy Warhol sarebbe felice di vivere, perché è l’apparenza dell’immagine a dominare, e non la sostanza dell’individuo.

Questa generazione politica (e il fenomeno è molto più europeo di quel che si pensi) ha preferito l’immagine alla sostanza. Anzi, al fermoimmagine. Allo screenshot.

Quello deve essere e basta. Chi contesta è solo da mettere in pubblica piazza in pubblica esecuzione e pubblica umiliazione. Un comportamento da bullo sostanzialmente.

E nel frattempo lasciamo perdere i referendum, e stiamo nella macchina della giustizia sempre più burocratica che costa e produce pochi effetti giusti.

Questo ormai la popolazione lo recepisce. Perché è dalla giustizia che passa il senso dell’uguaglianza sociale, cosa che ovviamente è stata calpestata negli anni. Con buona complicità di un sistema che secondo Costituzione prevedrebbe la separazione dei poteri, ma in realtà sappiamo che non è così al 100%.

E poi c’è la mia Crotone. Affluenza bassissima. Ma in un posto dove non sono stati nemmeno affissi i manifesti del referendum, cosa si poteva credere?

Diciamoci la verità. Il referendum è stata la vittoria a supercazzola di un certo potere e ne gioisce.

Peccato che non si rendano conto che un piede nella fossa ce lo stanno mettendo proprio loro. E lo scopriranno nel 2023, sempre che si vada a votare. Perché qui, mi dispiace dirlo, sono abbastanza scettico.

Anche io non credo a questa generazione politica.

Aurelien Facente, 13 giugno 2022

Anche i partiti invecchiano (e male pure)

Comunque vada oggi nelle spiegazioni di qualche politicante molto rampante alla conferenza stampa dentro le stanze del Comune di Crotone, ormai Forza Italia è un partito vecchio e decrepito. I partiti invecchiano come le persone, e possono invecchiare male. Altroché.

Negli anni 90′ e nei primi 2000 Forza Italia era un partito rampante, forte di un leader che, purtroppo per lui, ha preferito circondarsi di tanti Yes Men e di tante belle Ochette Giulive. Non ha voluto eredi ideali, e dopo la batosta giudiziaria è iniziato il declino.

Sì, perché lui, forte comunque di un cervello intelligente, non ha pensato a qualcuno che potesse prenderne il posto. Tra Yes Men e Ochette Giulive non trovi il fenomeno capace di mantenere alto il ritmo. Lo Yes Man per natura è il personaggetto che dice sempre sì, e mai no.

E qui iniziano gli acciacchi dell’anzianità.

Qualcuno potrebbe invecchiare bene grazie al dono della saggezza. Ma poi ascolti qualche Oca Giuliva che raglia come un ciuccio in televisione, e ti rendi conto che ormai la pensione è più d’invalidità mentale che di vecchiaia. Il brutto è c’è chi appoggia questo tremendo gioco, a discapito della bellezza della democrazia e del buon senso.

Forza Italia negli anni 90′ aveva un suo fascino indiscusso. Rappresentava un punto di rottura con la vecchia politica. Aveva un’ambizione mondiale. Berlusconi è stato storicamente un politico abile, con tante ombre però. Ma era un capo, e voleva attorno a sé impiegati e basta, molto simili a Fantozzi ma vestiti bene.

C’è voluta una strana legge per non permettergli di tornare a fare il capetto nel parlamento italiano. Ma al suo posto c’erano i Fantozzi che si era scelto. E come buon capo anziano, nel momento dell’allontanamento, ha preferito conservare lo spirito, ma non di migliorare la sua squadra di impiegati. Un caso anomalo, si direbbe, se raffrontato ai suoi tanti successi sportivi con il Milan prima e il Monza adesso.

Oggi Forza Italia è un partito superato e vecchio. Non propone contenuti, ma sopravvivenza tra gli scranni del potere. Prima osavano dare bastonate un po’ a tutti con quell’energia televisiva che ce li faceva vedere olimpionici, con vette di voto che superavano il 40% da soli. Oggi fanno da stampella. Con un misero 6% stando i sondaggi (ma la realtà è ben più drammatica).

La storia di Forza Italia a Crotone segue lo stesso percorso italiano. Non si smentisce. Negli anni 90′ ebbe una sua forza propulsiva che poi nel tempo si è dispersa. Grazie ad un onorevole entrato nel secondo tempo della legislatura, ha riacceso una fiammella. Ma ahimé, come il buon Silvio, anche lui ha plasmato secondo la concezione di Yes Men la sede crotonese. Eppure ‘è stato un momento dove io stesso stavo vedendo che c’era la voglia di farlo frequentare di nuovo, ma quelli che avevano una personalità dignitosa… beh, non sono dei Fantozzi. E così successe che l’onorevole si adagiò sulle macchine da voto che si era portato nel partito. Macchine da voto che erano in dote ad altri. Prendono voti e basta. Poi, scusatemi, il nulla cosmico. Tranne qualche sede qua e là, e qualche letterina molto carina pubblicata sui giornali. Senza dimenticare le apparizioni televisive dei più noti.

Lo so. Sono cattivo, cari signori. Ma Forza Italia era molto forte negli anni 90′ perché era giovane. Poi è invecchiata, come io sto invecchiando. Ma mentre accetto con serenità la vecchiaia che arriverà con alti e bassi, e questo mi permette di stare in piedi pure bene a dir il vero, io assisto alla vostra vecchiaia. Una cattiva vecchiaia. Dal bastone verso l’alto alla stampella verso il basso.

Questo la gente lo ha visto e oggi se ne rende conto. Non è un caso che Forza Italia non guadagna iscritti, ma li perde. Non è il solo partito che li perde. Ma mentre gli altri si sforzano, Forza Italia vive di ricordi nostalgici restando ferma in un passato che non c’è più, e un futuro buio visto che ormai il malato è in stato di coma.

A me dispiace, sia chiaro. Non è bello parlare in questi termini.

Ma per quello che ho visto, ho l’impressione che il trapasso sia inevitabile. Perché nella sabbia del tempo c’è un vortice forte e violento, e quando si è risucchiati nel vortice gli appigli sono casuali e rari. E molti non riescono ad afferrarli. Così il vortice risucchia, e poi silenzio.

Era un bel partito Forza Italia. Lo era una volta.

Oggi aspettiamo solo che la spina si stacchi.

Aurelien Facente, 9 giugno 2022

PS: Ai vivi si deve rispetto, ai morti solo verità. Lo scrisse Voltaire. Passo e chiudo.

La brutta stagione degli incendi a Crotone

Io ormai non riesco più a scandalizzarmi di quello che succede nella mia città, soprattutto in materia di incendi. Capitano in ogni città, vuoi per mano criminale, vuoi per casualità, vuoi per guasto a qualche impianto, vuoi per degrado.

L’ultimo weekend è stato pirotecnico.

Due incendi diversi e accomunati dal degrado istituzionale.

Il primo a Parco Pignera al confine stadio.

Un piccolo incendio che per professionalità dei pompieri è stato domato in fretta e con ottima organizzazione. Già, perché a Crotone c’è un’ottima squadra di pompieri. Non lo dice mai nessuno. Però hanno saputo affrontare al confine del parco qualcosa che poteva allargarsi, diciamolo chiaramente.

Poi c’è stato il giorno dopo un altro incendio, in una vecchia struttura dell’Asp quando era Asl a Corso Messina. Sopra vedete la foto. Una struttura volutamente abbandonata tra vari duelli istituzionali e che era ormai ridotta ad un vecchio rudere nel centro crotonese. Prima o poi qualcosa capita sempre.

Essendoci indagini in corso, attendendone l’esito, la sola cosa che mi scandalizza è il dito puntato contro.

Come se la stagione degli incendi a Crotone non ci fosse mai stata.

Ora si usano le seguenti parole: criminali, vigliacchi, seminatori d’odio.

Senza aspettare l’esisto delle indagini. Che sarebbe saggio, dopo aver smaltito una giusta prima rabbia. Siamo umani. Sacrosanto indignarsi. Ma poi lasciare che la giustizia lavori,, e sarà un lavoro difficile.

Perché a Crotone, si sa, l’omertà è una seconda religione.

Ora si urla un po’ di più, ma poi ci sarà il silenzio. E resterà un brutto ricordo da dimenticare.

Ma non spegnerà la stagione degli incendi che non hanno limiti nello spazio e nel tempo.

Crotone è abituata agli incendi.

Mi limito a ricordare i primi anni 2000. C’è stato un anno dove piromani professionisti muniti di veicolo appiccavano incendi, usando come bersaglio automobili di privati cittadini. Questa storia è andata avanti per un anno almeno. Non c’era notte che il bollettino delle auto bruciate non fosse aggiornato. Nel quartiere Tufolo, in una piazzetta adibita a parcheggio, andarono a fuoco ben otto veicoli con fiamme che arrivavano molto alto.

A Crotone le macchine bruciavano.

Ma anche qualche attività è finita in fiamme.

E non sembra che la politica fosse presente a commentare e a condannare e a prendere le distanze. E neanche a discuterne all’interno di qualche consiglio comunale e o provinciale. Meglio stare zitti sul mostro. Lasciamo la cronaca lavorare e la giustizia pure, nel più completo silenzio.

Ma la vicinanza a quei cittadini che hanno perso la loro macchina o la loro attività non era mai stata espressa.

Io ricordo. Magari ci sarà stata della solidarietà nel silenzio, il che sarebbe anche un bene. Ma il silenzio nell’omertà suona spesso come una beffa. Anzi, è una beffa.

Potrei raccontarvi di centinaia di attentati dolosi (e incidenti) accaduti negli anni.

Quello che non va alimentato è l’accanimento moralistico su episodi, indubbiamente gravi, che però vanno contestualizzati e ragionati. Non puoi parlare di attentato se non hai le prove materiali, non puoi parlare di odio se non sai che cosa è pur esprimendolo, e non puoi parlare di innocenza a priori quando magari i potrebbe essere più colpevoli di quel che si pensa.

Io ero presente quando è divampato l’incendio a Parco Pignera. Ero andato a vedere il concerto della Rino Gaetano Band al quartiere dei 300 alloggi. Ho visto partire i pompieri, confidando nella loro professionalità. Ho visto anche le fiamme, ma ho visto anche il più basso istinto moralistico in diretta.

Sono uscite delle storie. Sono usciti anche degli attacchi verso determinate persone. Il processo non si è fatto attendere.

E nel frattempo il vero mostro si è dileguato, perché magari ha ottenuto quello che voleva.

Crotone ha prodotto dei mostri. Certo. Non è complottismo. Si tratta del malessere che si crea all’interno di una società che non vuole armonizzarsi, e che passa da un estremo all’altro. Quando si stava bene, era comodo il silenzio. Ma quando si comincia a star male, il silenzio non va più bene. E in questo frangente nascono nuove forme di mostruosità invisibili. E nel medesimo lasso temporale non si accorge di essere ancora ciechi.

Non ho scritto questo articolo per condannare a priori. Scrivo per comprendere. Perché se voglio trovare il mostro, devo provare a comprenderlo. Non giustificarlo, ma comprenderlo.

In tutto questo urlare al colpevole, è sfuggito un elemento al quale dovremmo un po’ tutti guardare al meglio. Non ci sono stati feriti, e nemmeno vittime. Soprattutto all’incendio di Corso Messina, visto che il palazzo in questione è ubicato vicino ad altre abitazioni.

I pompieri hanno spento le fiamme.

Da altre parti qualcuno dovrebbe spegnere il nero della propria anima.

E ammettere che la stagione degli incendi non ha una sua stagionalità.

Il mondo è cattivo finché voi lo vorrete. In fondo Crotone ha una sua anima cattiva, e questo perché ha voluto tralasciare quella piccola fiamma di bene che andava alimentata. Crotone è piena di problemi. Ma è anche piena di difetti. Il più delle volte non si guarda oltre al proprio orticello. Non si accende la mente e non si accende il cuore.

In un contesto come questo si accende qualche altro tipo di fiamma. Inevitabilmente, soprattutto se in questo posto si sopravvive più che vivere. E in tal contesto l’odio si alimenta facilmente come una fiamma che brucia un foglio di carta che poi diventerà cenere.

Forse è per questo che sarebbe meglio provare a comprendere piuttosto che puntare il dito. Perché Crotone ha una malattia che dura da troppo tempo. E si fa poco per curarla con dovizia. E di certo non la curi con il dito accusatorio assommato alla demagogia.

Aurélien Facente, 30 maggio 2022

Top Gun: il sogno segreto di mio papà

Papà adorava gli aerei. Papà era un patito. Quando ero piccolo, il professor Alfredo Facente mi portava nelle manifestazioni aeree che si tenevano in Francia, tra l’aeroporto di Roanne e di Lapalisse. Papà mi portò a vedere la pattuglia acrobatica italiana all’aeroporto Sant’Anna, e quando vedeva i jet volare e fare le coreografie ritornava bambino. Papà, in cuor suo, voleva volare.

Ma, ahimé, la vista non glielo permetteva. Ha dovuto “accontentarsi” di restare un uomo d’acqua, vista la sua grande passione per il nuoto.

Nel 1986 sbarcò nei cinema il film “Top Gun” diretto da Tony Scott, con un Tom Cruise proiettato verso il successo.

Papà andò a vederlo al cinema Ariston nell’ottobre 1986. Ci andò da solo. Voleva portarmici, ma purtroppo mi prese la rosolia, una malattia dell’infanzia. E se ne fece una colpa. Perché vedere Top Gun al cinema gli permise di entrare nell’abitacolo dell’F-14 americano.

Al ritorno dal cinema, era mosso dalla meraviglia di un bambino. Spoilerava il film, adorava Tom Cruise, e soprattutto descriveva il valore di amicizia tra Maverick e Goose. Ma per lui era il volo che contava.

“Top Gun” fu trasmesso in tv per la prima volta da Canale 5. Ho dovuto accontentarmi dello schermo televisivo di un vecchio Grundig nel tardo 1988 per vedere le prodezze di Maverick.

Papà era sempre il bambino che amava volare. Io, a dire il vero, ero più affascinato dalla colonna sonora più che dagli aerei.

Però guardavamo le repliche, almeno una l’anno.

Passarono gli anni, e papà mi disse: “Guarda che vogliono fare il seguito. Dobbiamo vederlo quando uscirà. Dobbiamo vederlo al cinema perché voglio che tu abbia la stesa voglia di volare che ho io.”

E rimase in attesa di questo Top Gun che non arrivava, nonostante cercasse notizie sull’inizio della produzione. Si era pure messo in testa di scrivere una lettera diretta a Tom Cruise, dicendogli di sbrigarsi. Perché voleva semplicemente vederlo con me.

Gli anni sono passati.

Papà morì nel 2019. Una malattia tremenda. Però Top Gun lo teneva legato a me. Nei giorni lunghi del suo letto, mi chiedeva se avevano iniziato le riprese. Gli avevo dato la notizia che il film era entrato in produzione nel 2018 e che Tom Cruise sarebbe tornato a recitare nel ruolo di Maverick.

Papà, prima della sua dipartita, mi fece promettere che sarei andato al cinema con lui appena si fosse ripreso. Perché voleva volare con me.

Purtroppo per il prof. Alfredo Facente la chiamata in cielo fu anticipata.

Ieri 26 maggio sono andato a vedere il secondo Top Gun con Tom Cruise.

Ore 21.27 pago il biglietto del cinema Apollo.

Ore 21.30 inizia il film.

Mi siedo da solo, nel posto che papà ed io sceglievamo quando andammo a guardare altri film in passato. Mi sono messo nella posizione abituale, lasciandogli la poltrona alla mia sinistra. E ho guardato il film. L’ho guardato come lo avrebbe voluto vedere papà. Gli avevo promesso che avrei pagato il biglietto per vederlo.

E in qualche modo, mia impressione, era come se fosse stato accanto a me. Nelle scene di volo avrei visto i suoi occhi brillare, e poi magari si sarebbe voltato verso di me per assicurarsi che lo spettacolo mi piacesse.

Il film termina.

Le luci in sala si accendono.

E papà se n’è andato.

Esco con una piccola lacrima.

Arrivederci, papà. In qualche modo lo abbiamo visto insieme.

Grazie, Tom Cruise. Alfredo Facente in qualche modo è riuscito a volare di nuovo, con me nella cabina di pilotaggio.

Aurélien Facente, 27 maggio 2022

Rino Gaetano è un patrimonio di tutti, non un’esclusiva di sinistra.

Ho studiato e vissuto il mito di Rino Gaetano negli anni della mia gioventù crotonese. In merito ad un celebre concerto tenutosi a Crotone nel 1978 fu costruita una polemica feroce che ne offuscò il mito e la grandezza fino agli anni 90′. Rino Gaetano fu un artista geniale e scomodo. La riscoperta non fu mai stata merito della politica. Chi ha alimentato la giusta valorizzazione passa da un’altra strada.

Rino Gaetano ebbe un destino tragico, ma era riuscito a conquistare il cuore di parecchi. Innanzi tutto i suoi fan che ne hanno tenuto vivo sempre il ricordo. Poi i tifosi di calcio. Già, perché le sue canzoni sono cantate spesso in alcuni stadi di calcio (vedi Crotone e Sampdoria). Negli anni 90′ è avvenuta la riscoperta intellettuale che è avvenuta non solo per merito dei famigliari, ma di un mondo intellettuale che si è espresso anche in televisione, e tramite la televisione Rino Gaetano fu riportato a Crotone.

Poi c’è stata la questione politica. Non parlo di quello che è stato fatto e di quello che non è stato fatto. Dal 1997 in poi si può dire che la popolazione crotonese adesso è fiera di Rino Gaetano, perché il processo di pacificazione è stato portato avanti da soggetti in primis che ci credevano in lui.

La politica semmai se n’è impossessata per fini elettorali. Vogliamo ricordare che a Crotone, durante le campagne elettorali, tanti candidati di sinistra e di destra hanno usato le automobili elettorali con in sottofondo tutto quello che si poteva usare come canzoni dello stesso Rino? Non hanno usato le canzoni di Rino per “apparire simpatici” e votabili? Vogliamo negare questa verità elettorale?

Possiamo anche ricordare la paradossale e controversa storia dell’ukulele durata un ventennio almeno prima di essere messo a visione del pubblico, della quale non voglio nemmeno ricordarne i dettagli.

Purtroppo in tutto questo c’è chi crede che Rino Gaetano fosse comunista o quasi.

Vi piacerebbe, eh?

Peccato che sia una storia tutta crotonese e non dimostrabile, perché frutto di una fantasia politicamente “scorretta”.

Qualche giorno fa, Jorit, un noto artista dei murales, ha realizzato nel quartiere dei 300 alloggi a Crotone un ritratto dedicato al mito di Rino Gaetano. Devo ammettere che il lavoro è notevole e meritorio, ma è stato accompagnato da una campagna Facebook senza precedenti, a tratti anche fastidiosamente retorica.

Tralasciando la fotografia dei curiosi e dei passanti, è venuta fuori immancabilmente la retorica “sinistra” del fatto che Rino Gaetano fosse per forza di sinistra. E sapete perché? Guardate la foto in basso.

Basta una scritta di troppo e già si autoalimenta la leggenda immaginaria dell’artista comunista.

Rino Gaetano è stato scomodo un po’ a tutti negli anni della sua vita perché è sì un eterno ribelle, ma non attaccato al guinzaglio di qualcuno. Parlava di vita nelle sue canzoni e non aveva obiettivamente paura di chicchessia. E la sua musica fu talmente rivolta verso tanto pubblico che non ha avuto bisogno del partito di sinistra per essere l’icona culturale che è oggi. Tanto che la riscoperta appartiene a chi lo ha amato, non a chi lo ha usato. E a Crotone c’è chi lo ha amato e difeso a spada tratta, andando anche contro quella politica che lo ha usato per secondi fini.

E, come era prevedibile, il dibattito sui simboli (davvero ridicolo) è un festival del trash (ed è un complimento).

Quando un artista muore, la sua arte sopravvive a lui. E quando viene cantata da molti (come nel caso di Rino) non abbraccia nessuna bandiera politica perché mette insieme la gente. Quindi è giusto dire che Rino Gaetano appartiene a tutti, ma non è di tutti. Appartiene a chi lo ama, e non ad una bandiera rossa. Perché così deve essere e perché la storia, che molti sanno ma fanno finta che, è molto diversa dalla manipolazione politica che qualcuno continua a tentare di fare, senza sapere che la cosa gli si rivolta contro.

E, in effetti, succede che… guardate la foto in basso.

Cancellati i simboli da parte di qualche buontempone che viene spacciato per un atto di censura fascista dai comunisti, che però dimenticano e/o ignorano che Rino Gaetano non cantava per compiacere un’idea di partito ma per raccontare alla gente la vita.

Ovviamente la masturbazione politica che si fa di questa storia, a volte, assume dei toni che rasentano la follia più pura.

Invece di farvi le masturbazioni mentali sulla questione politica, godetevi l’opera di Jorit e se proprio volete fare un favore a Rino Gaetano prendete un suo cd e cantate con lui le sue canzoni.

Rino Gaetano è qualcosa che va oltre la politica della demagogia di sinistra.

Rino Gaetano appartiene a tutti, ma non è di tutti.

Aurélien Facente, 12 maggio 2022

Quando la street art a Crotone non era ancora street art (ovvero un ricordo di Pino Attivissimo)

Ha fatto parlare i social crotonesi l’opera di Jorit dedicata a Rino Gaetano, ormai consegnata alla città di Crotone. Non si discute la qualità di Jorit, che ha fatto obiettivamente un’opera meritoria.

Ma la propaganda culturale che qualche “nano pseudoculturale” ha scritto e fatto, come se la street art proposta in questi giorni dalla attuale giunta comunale fosse “La Novità” a Crotone.

Oggi racconterò di un signore che, ahimé, non ho conosciuto di persona. Ma sono cresciuto con i racconti delle sue imprese e mi ritengo fortunato di aver potuto vedere alcune opere sue, di cui una molto particolare che si troverebbe nella pinacoteca comunale di Bastione Toledo, però ormai custodita chissà dove visto che la struttura è chiusa da anni ormai.

Per alcuni è una leggenda, per altri è un personaggio controverso, e per tutti è deceduto troppo presto. Il suo talento era profondo, geniale, anticipatore. Sì, perché Attivissimo si potrebbe definire come il “primo artista mediatico” della storia di Crotone, soprattutto nei concetti visivi che riuscì a esprimere in gran parte della sua produzione.

Pino Attivissimo fu un artista molto attivo a Crotone (ma non solo). Un punto di rottura con un certo classico che albergava nell’arte crotonese, fatta di ritratti e paesaggi e miti. In realtà, Attivissimo fu un esponente culturale che abbracciò vari tipi di arte visiva, dalla pop art alla street art, ma sempre avendo uno stile tutto suo, molto innovativo per i standard dell’epoca.

Fu addirittura capace, una volta, di realizzare una mostra di dipinti in mezzo al mercato ortofrutticolo di Crotone, portando le sue opere in uno dei posti più frequentati dalla gente in mezzo alla strada, usando come cornice dei suoi dipinti pezzi di cartone. Una forma di “arte popolare” per stare in mezzo alla gente. Un concetto che lo avvicinò in quel frangente proprio alla concezione del più celebre Keith Haring, che concepì a sua volta il concetto di avvicinamento dell’Arte verso la sensibilità della gente più comune. E la strada era proprio il mezzo da usare. Strada intesa come piazza, quartiere, mercato o anche luoghi come i bar o i ristoranti. L’artista doveva avvicinarsi alla gente più comune perché anche le persone di tutti i giorni avevano il sacrosanto diritto di godersi l’arte da vicino senza passare da una galleria o da un museo. Un modo per far sentire le persone parte di qualcosa che potrebbe rendere la visione della vita in modo più positivo.

Attivissimo all’opera con un esperimento artistico in mezzo alla strada, il cosiddetto Manifesto

Pino Attivissimo ha prodotto tanti contenuti nella sua breve vita. Ma quello che ha prodotto è un’evoluzione del linguaggio dell’arte. Più che l’estetica, era un esploratore del contenuto.

Il suo street art più celebre fu proprio il Manifesto. Un giorno attaccò al muro della carta da manifesto bianca e coinvolse la gente di tutti i giorni a scrivere e disegnare nella massima libertà.

Erano gli anni 80′ a Crotone. Era una Crotone operaia del profondo meridione calabro. Era una Crotone ibrida, fatta di abitanti figli di tradizione e figli pronti a sfidare il passato. Dentro il Manifesto c’era la scrittura, ma c’era il pensiero comune di voler raccontare il presente. Un racconto visivo scritto con la testa delle persone in mezzo ad una strada.

Un gesto artistico che pochi ricordano, ma che poi sarà ripreso sotto altre forme.

La voglia di provocare come concetto artistico e oggi mediatico.

Non ho avuto la fortuna di conoscere Pino Attivissimo di persona. Ho potuto conoscerlo solo cercando le sue opere e le poche testimonianze. Ho conosciuto alcuni suoi amici, e ho conosciuto chi lo ha ospitato. Ho avuto modo quindi di conoscerne il concetto artistico, all’epoca molto anticipatore e forse per questo oggi un po’ dimenticato.

Di certo, Pino Attivissimo ruppe le regole del gioco.

Oggi sarebbe da ricordare.

Anni fa, al castello Carlo V, ci fu una mostra dedicata alla sua memoria.

Ma Pino Attivissimo, perdonatemi, non è un artista che si vede in una sala mostra. Attivissimo fu un artista che usava gli ambienti per raccontare una storia. Il concetto del Manifesto è solo un esempio. Così come la mostra al mercato ortofrutticolo. Così come altre piccole grandi imprese, molte sul fare arte in mezzo alla gente. Che è poi lo stesso concetto che Jorit ha espresso attraverso il ritratto di Rino Gaetano.

All’epoca di Attivissimo non c’erano le telecamere compatte degli smartphone, così come non c’erano Facebook e Instagram, e molto probabilmente sarebbero stati strumenti funzionali per quello che lo stesso Attivissimo concepiva.

Io sono un blogger che ha il dovere di ricordare quello che altri ignorano o peggio hanno voluto dimenticare. E qui a Crotone, città dove vivo, spesso dimenticano.

Quindi ecco qui la conclusione della mia storia.

A Crotone c’era una volta un artista che si firmava Pino Attivissimo. Un giorno scese tra le strade di Crotone, e fece l’attacchino. Sui muri apparvero dei manifesti bianchi, e diede modo ad altri di esprimere quello che volevano, senza nessuna censura.

Erano gli anni 80′ di una Crotone industriale e operaia, di una Crotone con abitanti molto inclini alla tradizione che si trovarono con la possibilità di esprimere con la scrittura un pensiero, e per la prima volta potevano esprimerlo senza reprimersi. Bastava usare una penna e scriverlo su un manifesto attaccato al muro.

Anche questa è street art.

Aurelien Facente, 11 maggio 2022