Jorit a Crotone: operazione culturale o specchietto per le allodole?

Didascalia comunale per l’annuncio di Jorit a Crotone

Io non conosco personalmente l’artista dei murales conosciuto come Jorit. Conosco alcuni suoi lavori, visti per lo più attraverso le foto di alcuni miei amici campani, che ne hanno potuto ammirare il lavoro dal vivo.

Artista notevole, bisogna ammetterlo. Sui soggetti possiamo anche discuterne per ore, ma alla fine un artista produce quello che ritiene opportuno, e se può lo vende anche al miglior offerente.

C’è anche un altro aspetto, molto sociale. L’Arte, quella con la A maiuscola, non conosce le barriere. Riunisce le persone inevitabilmente. Crea anche dibattito e dissenso, e ciò dimostra quanto un contatto con l’Arte sia quantomeno necessario nell’animo di ognuno di noi, anche di quelli che credono di non vederla.

Ebbene, notizia del 29 aprile 2022, un artista conosciuto con il nome d’arte Jorit realizzerà un murales dedicato a Rino Gaetano in uno dei quartieri popolari (i 300 Alloggi) e problematici nella città di Crotone.

C’è ovviamente un costo che sembra alto, perché a Crotone ci sarebbero altre urgenze più impellenti. Il che è vero. E già qualcuno dei consiglieri di maggioranza ci fa propaganda, parlandone come di un segno di cambiamento.

Inevitabilmente Jorit diventa oggetto di dibattito e di critica.

Opera di Jorit

Ognuno può dire la sua.

Anche sul costo dell’operazione.

Ma sarebbe inutile. Io non credo che il lavoro di Jorit, quando sarà realizzato, potrà cambiare il volto della città di Crotone per darle la rinascita che merita. Ci vuole anche altro, soprattutto altro. E non dovrebbe essere un lavoro isolato tra l’altro.

Perché nell’immediato, Jorit realizzerà la sua opera in maniera professionale. Solo il fatto di vederlo all’opera permetterà di sicuro la visione di un’esperienza artistica di cui il quartiere un po’ ne guadagnerà a livello d’immagine. Ma poi ci sarà il resto da fare. Già, il resto.

Altrimenti si avrà l’impressione di avere un gioiello in mezzo al deserto.

Io considero, per quel che concerne l’operazione, l’arrivo di Jorit a Crotone un esame importante, che però va visto in un’ottica non immediata. Bisogna spingere lo sguardo ben oltre. Il che, conoscendo l’antropologia crotonese, pone ovviamente qualche dubbio (non sulla capacità dell’artista che resta sempre di alto livello) sull’operazione.

La polemica che si è innescata su Jorit riguarda il costo dell’operazione. Questa deformità del costo è la trappola mentale alla quale i partiti italiani ci hanno abituato con la classica (loro) idea del risparmio a discapito dell’investimento.

Perché un’opera d’arte, qualunque essa sia, è un investimento che frutta nel tempo, soprattutto se parliamo di turismo o di antropologia di quartiere, e nel caso specifico parliamo di murales.

Prima o poi Crotone dovrà iniziare a vendere la sua immagine, incoraggiando proprio il confronto e avvalendosi del servizio della visione esterna. Purtroppo è abbastanza risaputo che alcuni nostri artisti locali da soli non bastano (questa è una storia lunga e complessa), e già mi aspetto che anche i locali diranno la loro sulla sempreverde domandina: perché lui e io no?

Il che potrebbe esserci anche una buona ragione dietro, proprio per la facilità in cui è stata trasmessa la notizia. Jorit sarà un caso isolato, oppure si proseguirà con altre opere di riqualificazione urbana artistica magari coinvolgendo anche artisti nostrani? Domanda lecita, ma potrebbe esserci la trappolina economica dietro. Una cosa che verrà chiarita, spero. Perché molti artisti locali hanno speso energia a Crotone senza ricavarci il giusto. E questo è uno dei problemi mai risolti a Crotone perché i patti chiari non sempre sono amicizie lunghe…

Opera di Jorit

Io sono convinto dell’idea che Jorit sia un’opzione necessaria. Non posso dire se sarà vincente o no, ma necessaria. Perché la città di Crotone deve essere raccontata non attraverso i crotonesi, ma tramite le esperienze di chi viene a operare.

Un artista le racconta meglio certe cose. Fidatevi. Ed è questo che serve. Altrimenti continueremo a vivere in un’isoletta sempre da soli per la gioia di chi la realtà non la vuole nemmeno guardare in faccia.

E infine una prospettiva nel mondo bisogna pur darsela. Crotone fa parte del mondo oppure no?

Ecco perché non starei a guardare il costo dell’operazione, ma piuttosto la qualità di ciò che sarò realizzato.

A patto che non sia oggetto della classica propaganda politica che ha inquinato gli ultimi anni di Crotone.

Vorrei concludere con una foto provocatoria. Che è la seguente:

Opera anonima

Ecco, la mia domanda è questa: volete un po’ di buona e sana bellezza a Crotone, anche se ha un costo, oppure volete continuare ad assistere a situazioni degradanti come questa che vedete? Volete un po’ di sano colore nelle zone grigie della città o volete che la stessa rappresentazione imbratti il muro sotto casa vostra? Volete combattere il degrado con qualche esempio di bellezza o volete che qualche artistoide nostrano continui nella sua opera di “cattiva immagine” ai danni di una città che deve provare a ripartire?

Per finire: il capitolo “cultura ed estetica cittadina” fanno parte della spesa di una città. C’è anche un obbligo legislativo su questo, per chi non lo sapesse. Il problema è da dove provengono i soldi? Io sostengo che bisogna spendere quando si può, perché il trucco del risparmio politico è sempre lo stesso: risparmiare per non investire.

E questo ovviamente non ce lo possiamo più permettere eticamente.

Un in bocca al lupo a Jorit ovviamente.

Aurélien Facente, 30 aprile 2022

La Madonna, i fuochi e la guerra

Il decennio tra il 2020 e il 2030 sarà ricordato nella storia come il decennio dell’ipocrisia travestita da perbenismo. Non credo che ci possano essere altre conclusioni per quello che si sta vivendo. Inutile nascondersi dietro facciate immaginarie, usando tra l’altro la scusa di una guerra, tragica, che non è l’oggetto del contendere.

Il dibattito sarebbe stupido, direbbe qualcuno con superficialità.

Tutto si basa dalla notizia che a Crotone, per il ritorno di una festa sentita come quella della Madonna di Capo Colonna, non ci sarà il rito dei fuochi d’artificio che erano il simbolo dell’arrivo di Maria dal mare (o dalla terra trainata dai buoi, che avviene ogni sette anni).

La scusa ufficiale: la guerra in Ucraina perché a Crotone ci sono profughi che non vorrebbero ascoltare il suono dei fuochi.

Sui fuochi d’artificio si sono fatti dibattiti anche in nome della difesa degli animali, ma non è questo il succo dell’argomento.

C’è un discorso d’insieme. La domenica della Madonna di Capo Colonna è la sera dove tutta la città si sente tutt’una. Il lungomare strapieno è un’occasione per stare insieme. I fuochi d’artificio sono la scusa per rivedersi. Al di là del materialismo, è un momento dove nessuno è nemico e tutti aspettano con gioia l’arrivo della Madonna.

C’è il discorso economico pure. Certo, perché negli anni pandemici l’economia è stata parecchio frenata. La vita stessa è stata frenata.

La Madonna è la figura cristiana che celebra la nascita, la vita.

Festeggiarla nel migliore dei modi possibile avrebbe di sicuro guarito una comunità che in questi due anni si è tremendamente ferita. Quanto odio è passato per i social nei due anni pandemici, dove conterranei si accusavano l’uno contro l’altro, anche con epiteti violenti, solo perché dovevano fare la spesa? E chi ha pensato a tutte quelle attività che sono rimaste aperte al minimo, perché lo Stato Italiano s’era inventato con il CTS una serie di norme limitative che andavano anche contro la logica del virus stesso? E chi ha pensato a tutte quelle persone che sono state buttate dentro casa con un’estrema violenza ad aspettare nell’angoscia che quell’incubo in qualche modo finisse?

Ed ecco che quando la normalità di una festa sentita diventa il desiderio di una speranza cercata, arriva un qualcosa che ovviamente fa rizzare le antenne.

A Crotone non ci sarà il festeggiamento previsto con i fuochi. Meglio una festa più spirituale all’insegna del pensiero per quei poveri ucraini che combattono la guerra contro i russi, e per quei profughi che sono qui che potrebbero risentirne.

Niente di più falso e ipocrita.

Chi fugge dalla guerra, lo fa per vivere. Chi fugge dalla guerra ha piacere a vivere qualche sprazzo di normalità. Figuriamoci se poi si trova dentro una città che si riaccende tra i colori. Magari potrà provare un po’ di risentimento per via della lontananza. Ma chi fugge dalla guerra ha bisogno di speranza, non di essere la scusa che la vita non deve continuare, soprattutto per i padroni di casa che lo ospitano.

La pace è simboleggiata dal colore.

La morte dal silenzio.

E la festa della Madonna di Capo Colonna è una festa che celebra la vita, ovvero il miglior messaggio della Pace.

Puoi accettare il discorso spirituale, ma non la menzogna. Anche se sembra una scusa apparentemente plausibile.

Perché poi qualcuno si pone delle domande. E magari scopre che nei paesi vicini i festeggiamenti ci stanno eccome. I paesi limitrofi a Crotone sì e la città capoluogo no? Che contraddizione!

La verità dove sta?

Non parliamo di verità, ma di oggettività.

La Chiesa, si sa, non si è opposta alla politica italiana durante la fase pandemica. Ma anche la stessa ha dovuto fare i conti con i budget. Perché anche per loro non è circolato il denaro abituale. Meno messe, meno matrimoni, meno funerali, meno momenti di carità, meno momenti di donazione. Anche la Chiesa ha subìto gli effetti del governo italiano. Quindi si trova in ristrettezze economiche, e allora deve fare delle scelte obbligate. Tutto qui.

Un problema di budget annuale.

Non la guerra in Ucraina.

Una bugia di comodo usata pensando che questo non alimentasse un dibattito. Niente di più sbagliato.

Sì, perché la gente ha preso più consapevolezza dopo il trauma delle chiusure. Forse non arriverà ad ammettere a se stessa alcune cose, ma alla speranza non può rinunciare. La fede senza la speranza non è fede. E la speranza è rappresentata anche da simboli rumorosi come i fuochi d’artificio, ma oggi esistono anche le alternativi, come i droni o anche i palloncini da lanciare in aria. E poiché esistono alternative che non vengono considerate, allora ecco la verità logica: non c’è il budget e si devono fare delle scelte che chiameranno sacrifici.

Però dietro il sacrificio ci deve essere la speranza, altrimenti il sacrificio non vale la pena.

Vale per tutto.

Io sono d’accordo se per una volta si deve accettare la scelta di un’organizzazione. Sono d’accordo nel provarla a viverla più spiritualmente. Sono d’accordo a vedere ristretta ulteriormente una festa.

Ma di sicuro non sono d’accordo di vivere una festa annunciata con l’ipocrisia di una menzogna.

La Festa della Madonna di Capo Colonna è una festa di pace e di vita. E solo per questo sarebbe bene essere sinceri una buona per tutte. Perché la sincerità è la vera chiave della fede. Quella vera, s’intende.

Aurélien Facente, 27 aprile 2022

La vittoria di Macron è la vittoria di Pirro del centrosinistra italiano

Sono stato in pausa nella scrittura. Una pausa nervi da gestire. Nulla che meritasse il mio ritorno a scrivere di attualità. La pausa in realtà è servita. Esistono momenti dove forse la pausa è meglio dell’atto dello scrivere. Oggi raccontare la realtà, fare informazione/controinformazione, o scrivere è diventato un esercizio nevrotico, soprattutto negli ultimi anni, tra Covid e guerre.

In Italia la politica non mi appassiona. La racconto a livello locale in video perché non merita per me la narrazione richiesta per esprimerla attraverso una penna o una tastiera. Poi accade che è meglio riprendere a scrivere. Sì, scrivere. Perché rimanga.

Ho seguito in gran segreto le elezioni del Presidente della Repubblica di Francia. Ha vinto Emmanuel Macron per la seconda volta, passando attraverso il ballottaggio, sempre per la seconda volta contro Marine Le Pen.

Un duello che si è ripetuto.

Qualcuno mi dice che conta vincere.

Certo, in politica è così. Ma per la narrazione conta il come si è vinto.

Le elezioni rappresentano l’occasione storica di raccontare un Paese. Sono il ritratto del Paese, inevitabilmente.

Puoi vedere il vincitore, ma vedere il vincitore non racconta il Paese.

E Macron questo lo sa. Ha tenuto un discorso ai suoi elettori dopo aver “vinto”. Un discorso tutto da ascoltare, sebbene avesse dentro molto linguaggio politico.

Nei media italiani non troverete nessuno che vi dica cos’è stato quel discoro, al di là della scenografia parigina con lo sfondo della Torre Eiffel.

Ebbene, vi propongo una piccola sintesi. Oltre i ringraziamenti di rito e la conferma dei programmi, Macron ha riconosciuto l’esistenza di un avversario che è cresciuto. Quella Marine Le Pen che aveva in dote un piccolo partito di destra e che è riuscita negli anni a portarlo in percentuali mai avute prima. Di fatto ha un partito, le Rassemblement National, che potrebbe diventare ben presto il Partito di Francia. Non la robetta che raccontiamo in Italia.

Nel suo discorso, Macron ha riconosciuto che il Paese Francia è tremendamente diviso. Infatti, il Sud e il Nord non lo hanno votato. Hanno preferito l’astensionismo da una parte, e paradossalmente alcuni elettori della sinistra classica hanno votato proprio per la Le Pen.

In Italia non vi diranno mai questo. Non vi diranno mai che ci sono stati telespettatori che hanno telefonato in diretta televisiva nei tg o talk show, dichiarando che avrebbero votato la Le Pen pur di non vedere la sinistra di Macron.

Non era mai accaduto un fenomeno del genere.

E lo dico da mezzo francese quale sono, conoscendo bene la lingua, parlandola e pensandola.

Marine Le Pen in fondo merita il suo consenso. Parte da lontano e con eredità pesanti. Ma lo costruisce ed è riuscita a trasformarlo in voto. Questo è anche il gioco della democrazia. E le va dato atto.

Cosa che ovviamente Macron ha ammesso, soprattutto quando si rivolge all’elettorato che non lo ha votato. E che rispetta nonostante non lo abbia scelto o perché astensionista. Sì, perché l’astensionismo ha raggiunto vette mai viste in storia recente. La Francia è un Paese che vota, ma stavolta qualcosa si è incrinato. Eccome se si è incrinato.

La Francia non è il Paese migliore del mondo. Ma è un Paese dove la politica fa la politica. In Francia si ascoltano politici parlare di carovita, occupazione, disoccupazione, di ciò che sarebbe bene per il Paese, di giustizia, di immigrazione.

I dibattiti, seppur propagandistici, sono stati dibattiti. Senza se e senza ma.

Ma è il popolo che vota.

In Francia lo sanno, in Italia lo dimenticano.

Io ho la fortuna di essere mezzo francese e mezzo italiano. Vivo una perenne contraddizione culturale che però mi permette di vedere il meglio delle due culture, così vicine, ma anche lontane.

Ascolto volentieri la politica francese perché si parla di cose concrete, nonostante l’involuzione degli ultimi anni. Una involuzione che in Italia invece è stata lasciata andare, fino ad arrivare ad una degenerazione sociale e politica.

Ma ovviamente qui in Italia i giornali e le tv vi raccontano un’altra storia.

Meglio far vedere il Macron trionfante in un ballottaggio con il nemico fascista come la Marine Le Pen. Ma non vi raccontano il Paese, che negli ultimi anni ha subìto più dell’Italia uno degli incrementi maggiori del carovita rispetto alla questione salariale. Non vi raccontano che ci sono sacche di popolazione che sono arrivate a vedere lo zero nelle proprie tasche, pur lavorando. Non vi dicono che il dibattito politico è molto sociale da quelle parti. I cosiddetti “Gilets Jaunes” sono solo un aspetto del racconto complesso.

In Francia si parla di uguaglianza, non di parità.

Marine Le Pen, alla fine, ha compiuto il suo. Ne esce sconfitta con un partito che si rafforza sempre di più. E che potrebbe alle prossime elezioni legislative (il Parlamento) pretendere il primato, oppure di affermare un’opposizione che distrugge le altre destre.

Non fidatevi del racconto italiano. Perché storicamente il voto francese poi diventa una conseguenza per il resto d’Europa.

Il centrosinistra italiano farebbe bene a vedere le cose in faccia, invece di andare a propagandare per le televisioni. La stessa cosa vale per gli altri. Perché se andiamo a vedere l’Italia, non è che ne usciamo meglio.

Anche da noi il Paese è diviso, solo che si continua a voler propagandare la realtà.

La crescita dei partiti come il Rassemblement National è una conseguenza della cattiva gestione politica europea che ha dimenticato di dialogare le comunità in nome di un’utopia fragile che si tiene in piedi soltanto con racconti sdolcinati, e dimenticando che le pagine della storia europea sono piene di sangue versato da tutte le parti, per non dire altro.

Macron ha vinto sì. Ma è una vittoria sua. Non la vittoria di Pirro della politica italiana.

Io sono pronto a scommettere che nessuno dei protagonisti italiani (non parlo dei miei politici locali crotonesi) sia capace di descrivere il momento storico che vive la Francia.

Un momento storico simile che la stessa Italia vive, ma con altre ragioni sociali ed economiche molto più pesanti e culturalmente più basse.

Comunque resto convinto di un fatto: seguire oggi la politica francese è più appassionante del seguire quella italiana.

Almeno c’è un Presidente della Francia che riconosce che esiste un popolo diviso e che va rispettato nonostante tutto.

Aurelien Facente, 26 aprile 2022

E così accadde che i crotonesi si svegliarono in una città buia e malandata…

Ho preferito prendere una lunga pausa dal blog. Per due anni ho provato a dare una continuità, ma l’italiano medio non legge. Poi in epoca Covid questa caratteristica è aumentata. Per un biennio bello e buono non sono riuscito, proprio per motivi di scarsa attenzione, di raccontare bene quello che andava raccontato.

Vivo e abito a Crotone, una piccola città sul Mar Ionio, e come ogni luogo ci sono pregi e difetti. Uno dei maggiori difetti del crotonese è la profonda fede in mamma televisione. Quindi quando la tragedia Covid è cominciata, immaginate l’attaccamento alla televisione, con il suo nutrito esercito di narratori dell’apocalisse.

Ho passato due anni nella città più ipocondriaca del mondo. Raccontarne l’esperienza è come vivere un film di fantascienza vero e proprio. Immaginate un posto dove gli abitanti si credono di vivere per forza in un’isola felice lontano dagli eventi del mondo, e immaginate quando gli eventi del mondo bussano alla porta.

Uno degli effetti più balordi di questa situazione è l’effetto psicosi, tra l’altro realizzato ad arte proprio dall’infodemia nazionale.

Qualsiasi autore/blogger/scrittore avrebbe delle serie difficoltà a raccontare anche una bella favola.

E così il sottoscritto ha rinunciato fino ad un certo punto, mantenendo giusto qualche finestra narrativa, ma non continuativa come un blogger dovrebbe fare.

Crotone è la città ultima d’Italia in tutto. Lo dice la classifica economica del Sole 24Ore, che tiene conto di tutti gli aspetti. Ma non importa. Stiamo chiusi e lontani da tutti. C’è il contagio e condanniamo gli altri.

Sulla paura non discuto, ma sono abituato a leggere la Storia e a fare indagini. Esperienza vuole che quando vedi una massa che punta lo sguardo verso una direzione, ogni tanto è meglio guardare altrove. Chissà che non ci trovi qualche sciacallo che ti ruba dentro casa e tu non te ne accorgi. L’eccessiva convinzione della prudenza è credere di essere prudenti. Ed è su questo che giocano gli sciacalli.

La paura paralizza. Non hai tempo per pensare. Anzi, ti è proibito pure pensare. E ovviamente la mascherina anticontagio ti permette di mascherare bene questa situazione.

E intanto tutti a guardare la tv, da Sanremo al talk show dove al posto di esseri umani trovi un pollaio dove non si capisce niente e non si conclude niente.

E nel frattempo, tutti convinti che questi grandi eroi che si vedono in tivù saranno capaci di salvare la situazione. Tanto stiamo chiusi in casa. Meglio. E se qualcuno parla del contrario, allora è un coglione sovversivo.

Peccato che il coglione sovversivo, conoscendo la razza umana, è abituato a prendere appunti e a tenere la barca sempre direzionata nonostante le tempeste della cattiveria. Il che non vuol dire vincere, ma tenersi pronto alle brutte evenienze che possono presentarsi. Il che vuol dire già godere di un vantaggio.

Quando conosci gli sciacalli e gli avvoltoi, sai benissimo che se ci hai a che fare rischi seriamente di non avere più nulla il giorno successivo. E quando accade, ti dannerai solo per te stesso. Perché tu li hai lasciati entrare e hai guardato dall’altra parte.

La paura è normale. Ma non affrontarla no.

E poi un giorno ti svegli. E scopri che la tua città non è il paradiso fiorente di due anni fa. Povertà aumentata, disoccupazione aumentata a dismisura, incertezza e sapere che il governo se ne fotte tranquillamente della città di Crotone, tra l’altro amministrata da una compagine politica che non si rende conto nemmeno di come ha vinto e perché ha vinto, frutto di una convinzione che è più un’illusione mitologica del proprio essere o non essere politico. Ma qui il discorso merita un racconto a parte. Un brusco risveglio dove ti accorgi che Crotone (come altre città italiane) non è più il paradiso raccontato.

Lo dico subito. Non adoro questa situazione. Crotone non merita tutto questo male. Ma un pochino se l’è cercata, tra l’altro in anni pre pandemia. Il Covid ha solo scoperchiato la fragilità del sistema Crotone. E lo ha scoperchiato con estrema violenza tra l’altro. Direi anche in maniera raffinata, visto che la distrazione di massa basata sulla paura ha permesso agli sciacalli di nascondersi per bene sotto la maschera di un certo perbenismo.

Lo so che ho scritto un articolo cattivo.

Ma i fatti parlano abbastanza chiaramente nel tempo.

La situazione era precaria già prima. Se a questa ci aggiungiamo la cappa della supponenza, quella della presunzione, e infine quella della paura, allora il mix è micidiale. E la ragione si perde in questo mix salvo poi svegliarsi e accorgersi che forse il cervello andava usato ben prima.

Non offendetevi, cari cittadini. Io, nel mio piccolo, l’avevo detto che bisognava stare molto attenti. Molto, ma molto attenti. Perché uno sguardo intorno andava sempre fatto. Fermarsi a riflettere sarebbe stata una cosa già di per sé obbligata.

Ora vi ritrovate in questa piccola città buia, silenziosa, dove la gente non vivepiù con il sorriso, dove la parola futuro ormai è diventata un delitto solo pensarla, e dove nessuno ha il coraggio di prendere per mano i giovani che saranno gli adulti di domani. Già, perché ormai è meglio star fermi piuttosto che ammettere che la deriva è conclamata sotto ogni punto di vista.

In fondo al tunnel c’è sempre una luce che si avvicina man mano che si cammina.

Bisogna solo camminare.

Altrimenti dentro il tunnel ci si rimane eccome.

Io ve l’avevo detto. Ora si può solo camminare, sempre che non si voglia stare fermi per paura del contagio.

Di Covid si muore mi dirà qualcuno.

Si muore anche di fame, di mancanza di lavoro, di mancanza di prospettiva.

Alla fine, si è svegli e ci si accorge di essere in un tunnel dove la luce da raggiungere è lontana. Ma non irragiungibile.

Aurélien Facente, 8 febbraio 2022

Sul perché il sindaco di Crotone si chiama Vincenzo Voce

Se l’articolo precedente parlava dell’ossessione social e mediatica intorno al sindaco di Crotone Vincenzo Voce, qui ci concentreremo sui perché questa persona è riuscita tramite elezioni a occupare il posto di sindaco dopo un anno di commissariamento.

   Si sono fatte le analisi elettorali in tutte le maniere, ma non si sono fatte  le analisi storiche e sociali, che hanno influito maggiormente rispetto a quelle elettorali, che sembrano contassero di più.

   Analizziamo lo scenario in cui si svolsero le elezioni comunali nel 2020. Città, Crotone. Stato attuale: città maglia nera in termini di qualità della vita, ovvero un posto che nel tempo ha perso tante prospettive di vita vera e propria. Nella Crotone maglia nera bisogna tenere conto che gli indicatori sociali e redditizi sono bassi, e ogni attività, soprattutto politica, ne viene pienamente coinvolta. La città di Crotone ha perso negli ultimi anni almeno qualche migliaio di abitanti, e alcuni di essi mantengono residenza per motivi fiscali e/o lavorativi. Non è un caso che le case in vendita superino la disponibilità di case in fitto. Più di diecimila abitanti in meno vuol dire ovviamente meno economia e molto meno lavoro. Per affermarsi, il dato di fatto è andare via, e difficilmente si torna a Crotone.

   Questo stato di cose è figlio di politiche scellerate che non hanno tenuto conto del cambiamento della città che doveva fare alla chiusura delle fabbriche che erano l’indotto principale della città stessa.

   L’elenco delle problematiche è lungo inoltre.

   Principale problema oltre alla disoccupazione e alla dismissione dei servizi resta la cattiva cultura.

   Questo è lo scenario. Aggiungeteci il resto voi.

   Nel 2020 inizia l’era Covid-19, qualche settimana dopo le dimissioni del sindaco precedente e della venuta di un commissario cittadino. Si era appena votato alla Regione.

   Le dimissioni di Ugo Pugliese, sindaco precedente, sono state causate da un provvedimento giudiziario che è stato oggetto di discussione molto mediatica. Prima di Ugo Pugliese ci sono stati i dieci anni di Peppino Vallone, sindaco portato dal PD e dal centrosinistra, che per dieci lunghi anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo.

   Nei dieci anni del PD crotonese sono state chiuse o tenute chiuse strutture che potevano in qualche modo rianimare la città nel post industriale. Al quale si deve aggiungere una mancata seconda rivoluzione industriale, che non è avvenuta e che si preferisce non parlarne, tranne quando si tocca il problema inquinamento.

   In questa premessa, nelle regionali calabresi di inizio 2020, il candidato al consiglio regionale Vincenzo Voce risulta essere il più votato in città (non in provincia, badate bene) e per un soffio (causa legge elettorale regionale molto stronza) non viene eletto in consiglio. Resta il candidato più votato in città, e su questa premessa annuncia la sua candidatura a sindaco in largo anticipo sui tempi.

   Anticipo che gli andrà comodo perché arriva il Covid-19 e praticamente il lockdown chiude tutte le persone in casa.

   In una situazione inedita, il candidato Voce si fa sentire. Spesso in video ospite di un organo d’informazione locale, Voce conversa con altri ospiti. E nel frattempo fa restare costante la sua popolarità. In fondo, non ha nulla da perdere e solo da guadagnare. Di fatto è il solo politico che si esprime in video, e questo diventa fondamentale. Perché quelli di centrosinistra e di centrodestra e 5stelle stanno solo a guardare.

   Ma c’è un pubblico che guarda questo dettaglio. In un clima di paura e di incertezza si forma una sorta di sindrome di Stoccolma (ovvero un innamoramento del proprio carceriere in quanto le speranza di vita si aggrappano proprio a chi ci tiene chiusi), che vive anche il Presidente Giuseppe Conte. Tutti a casa ad aspettare, e ci rendiamo conto che sono quelle persone che coinvolgono la nostra vita. Solo che Giuseppe Conte era il premier, mentre Vincenzo Voce è il solo candidato a sindaco che parla della città chiusa dal lockdown. Questo influisce e di parecchio.

   In estate ci si libera un po’ e le campagne elettorali iniziano. All’inizio si prospettavano almeno 7 candidati a sindaco. Ne resteranno soltanto 4, perché uno di questi confluisce subito nel centrodestra, mentre gli altri due si ritirano.

   In questo scenario, si assiste alla tragedia del PD commissariato, che ovviamente influenzerà a suo modo le elezioni.

   Vincenzo Voce si presenta con tutto il cosiddetto mondo civico. Con quattro liste e tutti candidati quasi alle prime armi.

   Gli specialisti delle tendenze politiche non vedono in lui il vincitore, ma una corsa a tre.

   Tra un centrosinistra molto misto con il candidato Arcuri, un centrodestra corazzata (10 liste per 30000 elettori circa) con candidato Manica, e infine Voce con le sue liste. Molto staccato il Movimento Cinquestelle, che nella sua tragedia assomiglia molto al PD (e non credo che sia un caso che poi erano insieme allo stesso governo nazionale).

   La campagna elettorale è combattuta. Ha i suoi toni accesi. Ma lo stato psicologico della collettività votate, aspetto non volutamente tenuto in conto, decreta una gran voglia di sbattere la porta e cambiare.

   Voce è sulla bocca di tutti. Non si voterà Voce perché è un grande politico con un programma dettagliato e fattibile. Si voterà Voce perché è Voce e basta. Non appartiene a quella politica là, e tanto basta,

   Arrivano le votazioni al primo round. La corsa considerata a tre diventa in verità una corsa a due. Sia Voce che Manica superano i 10000 voti, mentre Arcuri è più staccato. Movimento 5stelle non pervenuto.

   Ballottaggio stravinto da Voce, che in questa occasione risveglia un bel po’ di sinistra. Non sia mai che quei fascistoni della Lega vadano al potere del Comune della città di Crotone. E ci fermiamo qui per quanto riguarda la storia in breve.

   Che cos’è accaduto in sostanza?

   Tutto normale all’apparenza. Solo che lo scenario psicologico è totalmente cambiato.

   Per la prima volta a Crotone non si votava il sindaco secondo tradizione, come nel caso di Vallone, e non si votava per programma elettorale, come avvenne per Pasquale Senatore, sindaco di destra tra i più ricordati d’Italia.

   Si è votato Voce senza chiedersi troppo il perché, e senza neanche guardare con chiarezza chi lo accompagnava in questo progetto. Non è un caso che, sempre in termini di popolarità, Voce supera tutta la giunta e gran parte del consiglio comunale.

   Se la campagna elettorale fosse durata di più, molto probabilmente il risultato sarebbe stato diverso.

   Se non ci fosse stato il lockdown e l’assenza di politici che avrebbero quantomeno dovuto rincuorare i cittadini in una situazione odiosa per tutti.

 

  Voce ha vinto con un risultato gigante proprio per demerito (e assenza) degli altri. Non è un caso che lui ha preso tanti voti, addirittura di quasi tre volte sopra rispetto alle liste che lo accompagnavano. Tanto che se Voce stesso non fosse stato votato nel disgiunto, il centrodestra con quel 49.9% avrebbe potuto vincere. Ma, ahimé, tra fan della sinistra, una coalizione da corazzata Potemkin (quella fantozziana per intenderci) e la sottovalutazione della questione psicologica non si poteva vincere. Tanto che la gente ha visto i cocci e ha preferito un vaso intero. Non bello, ma intero. Quindi si può dire che il demerito degli altri è stato l’ultimo alleato di Voce.

   E grazie a questa storia, si può spiegare perché Voce è diventato sindaco per democrazia di voto sì, ma con una responsabilità di cancellare la “vecchia politica”. Solo che per farlo occorre possedere un’educazione culturale molto grossa. Fattore purtroppo non presente nella compagine politica del sindaco. Una rivoluzione che ha avuto il sapore di una meteora.

   Oggi ci stanno molti pentiti tra quelli che hanno sostenuto Voce. Tra questi anche ex alleati (ma qui merita un discorso tutto a parte) e gente che lo ha votato, salvo poi pentirsene. Ma se questi elettori lo hanno votato, evidentemente gli altri non sono stati capaci di farlo.

   Alle elezioni alla fine ne resta solo uno. E ogni volta dobbiamo dirci: “Che Dio ce la mandi buona!”

   Già, ma mi sa che Dio ha più di qualche conto aperto alla fine dei conti.

   Alla fine ogni popolo ha il governo che si merita, proprio perché lo ha votato.

   Ora sapete in breve la storia.

Aurélien Facente, 17 novembre 2021

L’insostenibile pesantezza del sindaco Voce mediatico

C’è un curioso fenomeno mediatico nella città di Crotone. Si chiama Vincenzo Voce, e di professione fa il sindaco da almeno un anno buono. Questo simpatico signore ha deciso di avventurarsi in un’avventura scapestrata e complicata, e non c’è giorno che non se ne parli. Mi trovo costretto il più delle volte a parlarne anche io nei miei “live” perché almeno non mi annoia.

   Ma a volte bisogna fermarsi. La tua vita non può sempre passare dal parlare giorno e notte del sindaco della città maglia nera d’Italia. Mi piacerebbe parlare di altro a volte. Ci provo. Ma in una cittadina come Crotone dove la pandemia ha chiuso teatri, cinema e qualche museo (ma qui non è stata la pandemia) e dove la disoccupazione dilaga che è una bellezza, si è portati a concentrare il discorso sull’unico argomento che tiene viva la comunità: il sindaco Voce.

   Ci sarebbe il calcio, ma attualmente il Crotone Calcio non sembra di poter ammazzare il campionato. E siccome una squadra che non va bene non è argomento di entusiasmo, ecco che il principale argomento resta il sindaco con tutta la sua ciurma tra giunta e consiglio comunale.

   In questo articolo non darò un giudizio politico su Voce (anche se in un anno non è che mi sono tanto annoiato), ma proverò a capire lo strano fenomeno mediatico che si chiama Voce.

   Finisce sui giornali (è il sindaco) un giorno sì e un giorno no. Poi diventa oggetto di opinioni anche piuttosto accese. Se togliamo gli oppositori diretti (politici e mediatici), quello che lo fa diventare popolare è ovviamente la gente di tutti i giorni. Quella stessa gente che lo votò un anno senza neanche capire tanto il perché, poiché adesso ci pensa.

   Devo ammettere che a me questo tipo di fenomeno mediatico non piace assai. Perché da fenomeno mediatico diventa poi fenomeno sui social, al quale i suoi stessi alleati di governo non si sottraggono. E allora, come il 13 novembre 2021, rischi di passare un pomeriggio e una serata a trovarti immerso in una storia senza né capo e né coda, senza nessun nesso logico, e dove francamente è difficile prendere una posizione perché l’argomento è talmente basso culturalmente che fai fatica solo a dargli un senso.

   L’oggetto del contendere è una candidatura di Vincenzo Voce alla presidenza della Provincia di Crotone, un ente che serve giusto per servire. Un ente al quale è stato tolto qualsiasi coinvolgimento di voto popolare, e questo ha portato l’ente a essere uno scaricabarile. Può essere eletto anche un consigliere di misera opposizione come Presidente della Provincia. E da quando quel fenomeno politico dell’ex ministro Del Rio ci ha lasciato questo ente ridotto a colabrodo a causa di una schiforma azzardata, al suddetto ente hanno eletto (consiglieri e sindaci) sempre il sindaco della città capoluogo, così come è stato testimoniato dalle elezioni degli ex sindaci Peppino e Ugo.

   Ora toccherà a Vincenzo Voce confrontarsi, e sembra che ad accompagnarlo ci sarà il PD, un partito molto schizofrenico in questo momento storico, tanto schizofrenico che alle scorse comunali non era nemmeno presente. E il sindaco fu eletto proprio perché era distaccato, quasi, da questo partito in crisi d’identità.

   Esce la notizia di questa, quasi, improbabile alleanza. E si scatena il finimondo.

   Ieri, 13 novembre, si è raggiunta l’apoteosi dell’aspetto più trash della vicenda.

   E già la settimana era stata trash.

   Commenti su commenti, colpi di scena, comunicati stampa che arrivavano uno dietro l’altro, prese di posizione non richieste, minacce di denunce in tribunale.

   Non c’era motivo proprio di annoiarsi.

   Ma d’infastidirsi parecchio sì.

   Non prendo le difese di nessuno, tranne che del singolo utente.

   Va bene la satira, va bene approfondire la notizia, va bene la discussione da calciomercato. Ma l’ossessionarsi no. O almeno immergersi in questo mare acido su un’elezione che non coinvolge nemmeno la gente di tutti i giorni non è meritevole di dibattito pubblico.

   Vincenzo Voce, come tutti i politici al centro dell’attenzione, suscita dissenso. Ovvio. Ma mai avrei immaginato che diventasse un soggetto mediatico di immani proporzioni. Un’insostenibile pesantezza mediatica molto irritante.

   Io non me la prendo con Vincenzo Voce per questo. Ha tutta la mia comprensione umana (non politica, badate bene). Ho la seria impressione che a Crotone, dal punto di vista storico, stiamo vivendo qualcosa di inedito e che va osservato con una certa attenzione, senza farsi coinvolgere troppo dal lato emotivo.

   In una città piccola come Crotone ormai il sindaco è diventato il VIP d’eccezione. Non abbiamo altro VIP all’infuori di lui. Questo va al di là di qualsiasi discorso politico elettorale. Vincenzo Voce è riuscito in un’impresa mediatica, senza volerlo tra l’altro, che forse è riuscita solo a Silvio Berlusconi. Essere sempre sulla bocca di tanti.

   Di sicuro c’è una cosa: è grazie a questo genere di fenomeno mediatico che capisci perché Crotone è in fondo alla classifica delle città vivibili.

   Con tutto il rispetto che si può avere delle opinioni più contrastanti. Ovviamente.

Aurélien Facente, 14 novembre 2021

Vignette realizzate da Indifferente, che potete trovare al seguente link: https://www.facebook.com/InDifferente-100702875603017

14 ottobre 1996, Crotone: una storia da ricordare, non solo per l’alluvione.

Sono passati 25 anni ormai da quel lontano 1996.

   Era il 14 ottobre 1996.

   Avevo appena compiuto diciotto anni. Frequentavo il Liceo Classico Pitagora. Ultimo anno. A scuola non ero un granché. Lo ammetto. Non volevo essere un granché. Volevo che l’ultimo anno passasse soltanto liscio. Non avevo passato un bel periodo nei mesi precedenti (questioni personali), e volevo soltanto staccarmi psicologicamente dal brutto periodo.

   Però era l’ultimo anno di scuola per me. Come me, tanti altri ragazzi.

   Poi quel giorno del 14 ottobre si mise a piovere.

   Ad un certo punto la corrente elettrica s’interruppe, e restammo al buio. Il cielo s’era fatto cupo, e la lezione scolastica si chiuse così, senza motivo apparente. Ci fu un silenzio strano. Cioè, la scuola era piena di ragazzi. Gli insegnanti c’erano. Un giorno normale, ma quella sensazione di silenzio… Una cosa strana… La verità? Era la pioggia. Un po’ più forte del solito. La nostra preoccupazione fu di tornare a casa e basta, senza neanche bagnarsi troppo.

   Il turno di scuola finì un po’ prima, perché la corrente elettrica non tornava.

   Fu la sola buona notizia per i ragazzi. Terminare un po’ prima le lezioni.

   Ma quel cielo grigio… Ancora lo ricordo bene… Ci penso ogni volta che passo dal Liceo Classico. Uscii da scuola in un momento che non pioveva. Mi preoccupavo soltanto di tornare a casa, e di terminare la mia giornata tra vari fumetti.

   Invece…

   Durante l’ora di pranzo si ebbero notizie sconfortanti. La città si era bloccata.

   Papà tornò più tardi dal lavoro (era insegnante a Isola di Capo Rizzuto), e disse che l’avevano obbligato a fare un altro giro, che di fatto gli allungò il percorso.

   Che cos’era successo? Era la domanda che mi frullava nella testa, e nel 1996 non c’era internet. Dovevi aspettare il tg per le notizie immediate.

   Poi le prime immagini dell’alluvione.

   Un’onda di distruzione dentro la città.

   Passa il tempo, e poi i nomi dei dispersi, poi morti.

   La città divenne in pochi attimi una terra di nessuno.

   Tutto si fermò.

   Ed io, come altri ragazzi, ci trovammo a vivere una delle settimane più strane della nostra vita. Non riuscivamo a comprendere quello che era appena capitato. Cioè, io ero fortunato perché abitavo in una zona lontana dal fatto, ma tremendamente vicina. L’ondata non m’aveva colpito. Anzi, abitavo in uno dei pochi palazzi che l’acqua corrente se la poteva permettere. Ma a due passi da casa, tutto si trasformò in un gigantesco campo di soccorso.

   La mattina scendevo sul Comune (Piazza della Resistenza, davanti al palazzo comunale) e vedevo le autobotti piene d’acqua e interminabili file di persone con varie borracce e bidoni per prendere razioni.

   E poi i racconti che sopraggiungevano.

   Una settimana lunga dove non potevi riposarti mentalmente, dove non sapevi che fare se non prestare un minimo d’aiuto se avevi una coscienza. Una settimana snervante prima di ricominciare la scuola (il Liceo Classico non era stato colpito). E poi si fecero i nomi delle vittime (pochissime rispetto ad altre realtà alluvionali, e fu molto duro immaginarsi che fu tutto frutto di un mostro dovuto ad un temporale eccezionale. Vittime di una tristissima casualità.

   L’alluvione non fu causata dal maltempo che fece ingrossare già di per sé il fiume Esaro (che colpì in modo violento tutti quartieri limitrofi), ma perché cedette un pezzo di cavalcavia nord sul fiume, e questo fece da diga e impedimento, causando tutto il disastro. Un evento casuale e sfortunatissimo.

   La città di Crotone era inevitabilmente costretta a cambiare, se non altro perché già da qualche anno stava cercando una sua identità dopo la chiusura industriale.

   Passai quella settimana a pensare parecchio, a fare volontariato silenzioso, a cercare di essere utile in un altro modo. Non mi sporcai le mani di fango a dire il vero. Per fortuna c’erano altre persone a farlo.

   Mi occupai di fare il facchino per quelle persone che non potevano muoversi (e ne conoscevo un po’), soprattutto portando acqua a chi ne aveva bisogno.

   Poi passavo dei momenti ad avventurarmi in zone silenziose. Avventure solitarie.

   E la sera t’incontravi con gli amici, e ascoltavi i loro racconti, in parte molto agghiaccianti e terribili. Si avventuravano nel quartiere Gesù, e raccontavano storie di abitazioni improvvisate, ed era solo l’inizio della storia. Ascoltavo quelle storie con attenzione, e andavo oltre. Guardavo da lontano quello scenario apocalittico, pensando che l’alluvione stava portando fuori il marcio della città, che s’era accontentata di vivere all’interno di un “sistema” stantio, e quelle erano effettivamente le tremende conseguenze.

    Si stava prendendo coscienza che Crotone non poteva restare ancora in quel modo, perciò speravamo che da lì in poi si poteva pensare a costruire una città migliore, un posto migliore, diventare persone migliori…

   Sono passati 25 anni da allora.

   Le promesse di 25 anni fa… qualcuno le ha mantenute forse, ma molto a livello personale e intimo direi. La città, dopo un’iniziale ripresa (i primi anni dell’era Senatore sindaco), ha poi continuato ad affondare in uno stagno, dove adesso si trova in una fase di stallo enorme e scoraggiante (Crotone è stata maltrattata in tutti i sensi, sia a livello politico che criminale), e oggi si trova ad essere un enorme boh, e questo lo pagano tutti (me compreso).

   È inutile nascondere l’evidente. Giusto ricordare la tragedia, le vittime, ma c’è da scrivere anche il resto, da riconoscere lo sbagliato…

   Sono passati 25 anni da allora…

    Ricordo ancora quel cielo grigio e quel rumore di pioggia che sapeva d’inquietante, e m’immagino quelle poche persone che non trovarono scampo, persone che potevano ancora vivere una vita e costruire qualcosa, vittime sulle quali si poteva e doveva costruire un posto migliore per tutti.

   Ora restano dei fiori e dei silenzi, promesse mancate, situazioni precarie, continue situazioni precarie.

   Ricordiamo il 14 ottobre, per carità…

   Ricordiamo le vittime.

   Ma poi ricordate di guardare Crotone per bene. Non guardatela come città. Guardatela come individui all’interno di una città. Guardatela bene. Ascoltatela, soprattutto di notte, nel silenzio.

    Abbiate il coraggio di farlo.

    Lo dico soprattutto a coloro che si sono succeduti nei posti di potere nella città, ad ognuno di loro. Non so se avete la capacità o la sensibilità di poterlo fare, perché alla fine si tratta di fare i conti con la propria coscienza, e ci vuole molto coraggio.

   Ma, detto con franchezza, credo che la risposta sarà sempre la stessa….

   Una risposta di silenzio che spiega molto più di migliaia di parole dette e sprecate in due decenni.

Aurélien Facente, 14 ottobre 2021

Quando parlare di ambiente a Crotone è sinonimo di propaganda

Mi sono permesso di prendere in prestito alcune foto di utenti crotonesi. Sono foto prese a caso, tra l’altro in anni diversi e in posti vari. Ma voi non saprete a quale anno si riferiscono perché la spazzatura è l’argomento più scottante nella città di Crotone (ma il problema si vive anche da altre parti).

Ogni anno, a più riprese e dovremmo parlare di mesi, si ripresenta sempre lo stesso problema. Eppure Crotone è la città che ha perso più abitanti negli ultimi anni, ma le montagne di spazzatura crescono eccome.

Ora possiamo parlare di impianti guasti (e quando ne hai solo uno sono cavoli amari se si guasta) e di varie responsabilità politiche e gestionali. Un groviglio di responsabilità nella quale la Calabria tutta si è impigliata, arroccandosi in posizioni politiche più ipocrite che di dovere.

Abbiamo un serio problema a monte. A produrre i rifiuti sono gli esseri umani. Non è che i cumuli di spazzatura li creino gli elefanti o le rondini. Le persone creano spazzatura.

Quando eravamo in pochi ci si poteva permettere erroneamente di seppellire e bruciare, ma poi la scienza ha scoperto che è dannoso e quindi abbiamo dato spazio al progresso tecnologico.

In Italia di progressi tecnologici ce ne sono stati, ma impari se andiamo a vedere in giro per il mondo. Gli stessi “privati” della spazzatura, quelli seri, parlano della possibilità di migliorare il progresso tecnologico. Ma vanno fatte anche nuove discariche, perché le vecchie dovrebbero essere dismesse e bonificate.

A quel punto, mentre sale il sospetto dell’inquinamento, si comincia il valzer della demagogia elettorale. Tutto dovrebbe partire dal pubblico, che è meglio del privato. Perché il privato segue i suoi interessi, e non quelli della collettività. Ma chi le dice queste cose spesso è seduto dietro una bella scrivania, eletto e sistemato per qualche anno a livello economico perché percepisce buono stipendio pagato dalla collettività.

Giusto difendere il territorio. Ma difendere il territorio vuol dire anche curarlo con i migliori mezzi. E se non li hai che fai? Ti viene facile demonizzare il privato, ma tu non hai i mezzi che il privato si è dotato. E allora racconti la supercazzola dell’inquinamento che provoca il privato. Ma la tua discarica è esaurita. Negli anni, assieme ad altri geni, vi siete impantanati in un sistema che si aggroviglia da solo.

Una sorta di gioco del cucuzzaro abbastanza perversa.

Sì, perché il cittadino, quello onesto s’intende, paga. Si lamenta, ma paga. Ma ricopre il ruolo del cucuzzaro, e perciò la prende nel didietro.

E intanto la spazzatura cresce, si accumula, non viene trattata. Cresce, cresce, cresce. Con tutto quello che ne consegue. E la storiellina si ripete da anni, e così le cucuzze giocano con il cucuzzaro, e chi se la prende nel culo? Ovviamente il cittadino che fa il cucuzzaro.

E così poi partono i provvedimenti più fantascientifici che ci possano essere. A raccontarli in un episodio dei Simpson sarebbe divertente, ma qui si abbonda di realtà demenzialmente tragica.

Facciamo l’inceneritore. No, l’inceneritore inquina. Ma poi in altri posti costruiscono inceneritori all’avanguardia e scientificamente testati, ma loro inquinano. Mentre è preferibile tenersi la spazzatura che s’imputridisce sotto casa tua, a discapito dell’igiene e ovviamente della salute.

Realizziamo una discarica fatta a norma allora. Un bel progetto. Sacrifichiamo un terreno e bonifichiamo le vecchie. No, inquinano. E intanto con questa bella scusa ce ne stiamo fermi e assaporiamo l’odore della merda.

Chiediamo aiuto a un privato allora. C’è. Lo autorizziamo con i controlli dovuti e per il momento ci accontentiamo. No, lui è un delinquente e fa gli interessi propri. Anzi, è probabile pure che sia un mafioso. Ma tu che stai dietro la scrivania non dici che fai parte dell’ostruzionismo e che giochi con il tuo comportamento proprio con la salute collettiva. Quindi dovremmo credere a un “onesto” che si comporta di fatto come un criminale, visto che il suo temporeggiare con la salute cittadina è un atto da criminali?

Ma tanto è il gioco del cucuzzaro. Tutt’in culu aru cucuzzaru, dicono a Crotone. E ù culu du cucuzzaru appartiene a quello che paga la bolletta.

La verità è che bisogna difendere l’ambiente e la città. Ma difendere l’ambiente vuol dire anche non perdersi in chiacchiere e comunicati stampa a supercazzola. Difendere l’ambiente vuol dire anche non fare propaganda se le soluzioni non sono a portata di mano. Difendere l’ambiente non vuol dire fare la protesta e basta o il ricorso qua e là, quando tu stesso sei sprovvisto della conoscenza. Difendere l’ambiente vuol dire anche affrontare il groviglio di norme che lo Stato Italiano e le Regioni si sono create per fare dispetto ai comuni. Già, loro sono le eccellenti cucuzze e devono andare intu ù culu du cucuzzaru.

Ma poi un giorno il cucuzzaro dirà basta.

Bene, signori. Ovviamente il racconto è una piccola sintesi della storia della propaganda ambientalistica crotonese, soprattutto in determinati ambienti istituzionali. Non vado nei particolari e nei nomi perché beccherei querele o sarei tacciato per pazzo.

Ma il fatto è che la spazzatura per strada continua ad esserci. Non la spazzatura del cafone di turno. ma quella che si accumula nei cassonetti provocando le cosiddette montagnuole maleodoranti. Vi raccomando l’estate poi. Beh, adesso ci sono le mascherine. Quelle in qualche modo proteggono dal cattivo odore.

Però intu ù culu del cucuzzaro continua a mietere vittime tra i cittadini.

E nel frattempo si parla, si parla, si parla.

Ma di soluzioni sempre intorno al racconto che vi ho appena narrato.

Aurélien Facente, 13 giugno 2021

Cambia partito che l’erbaccia resta, ovvero l’epidemia del candidarsi…

La democrazia è un termine abusato in questo periodo. Nei tempi nobili, la democrazia era fondata sul rispetto del voto che si scambiava perfettamente con la ricerca dell’eccellenza della rappresentazione elevata all’interno di una enorme stanza del potere che doveva amministrare lo Stato.

In Italia per un pezzo questo andamento c’è stato. Me lo ricordo. Attenzione, la politica ricercava l’eccellenza e la formazione. Non andava per gradimento, ma andava nelle piazze a cercare di parlare con la gente. E il gradimento (così come i fischi) erano immediati. Ma significava soprattutto guardare le persone in faccia. Essere consapevoli che tante promesse non si potevano tradurre in realtà, ma costruire qualcosa di forte sì.

Ora, all’alba delle elezioni regionali calabresi, il quadro è molto complesso. Parliamo del primo male: l’astensionismo.

Da qualche anno (troppi anni, a dire il vero), il calabrese ha ormai preso la cattiva abitudine di disertare le urne, salvo quando ha la possibilità di trovare uno spazio di protesta dove sa che il suo voto sarà palese. Vedi il caso dei 5stelle alle elezioni nazionali, dove qui hanno fatto il pieno in tutto e per tutto. Salvo poi, alle regionali, arrivare a sacche di astensione che superano largamente il 50%, il che pone a sfavore della politica calabrese che negli anni ha perso grande credibilità tra cialtronerie, inefficienze, degrado politico e culturale.

Che il politico medio calabrese non sia amato tanto dai calabresi è già un dato di fatto, ma che la politica locale non si sia fatta un esame di coscienza e un bagno nella realtà è anche un altro dato di fatto. La percezione della realtà da parte della politica calabrese non è prettamente quella che servirebbe a dire il vero.

C’è però un altro dato preoccupante e ridicolo allo stesso tempo.

C’è un’epidemia di candidatura che preoccupa. Sembra che non ci sia, ma in realtà c’è eccome. Ecco perché ho voluto fare l’introduzione.

La candidatura al ruolo politico non proviene da una richiesta precisa della popolazione stessa, che con il desiderio di votare vedrebbe volentieri più rappresentanti. No, in Calabria, e in particolar modo a Crotone, sta dilagando una moda a candidarsi perché si è carini, simpatici, strafighi, e del progetto politico ben poco si sa tranne che si candidano perché… alla fine più che la politica appaga il loro desiderio di protagonismo. Attenzione, tengo conto che ci sono persone che ci credono all’idea politica in sé, ma se dovessimo scavare con attenzione ci renderemmo conto che sono troppo pochi.

Ormai è cronaca che una signora senatrice crotonese eletta in Calabria si candida a sindaco di Roma per conto di una compagine di liste civiche. Diritto suo candidarsi nell’arena romana, ma leggendo le sue motivazioni ispiratorie, per quanto desiderose di giustificazione, si può notare che sono più un atteggiamento da protagonismo piuttosto che spinto da un vero progetto politico, tra l’altro condiviso. Basta leggere le sue stesse parole con attenzione, e non c’è mai il pronome noi, bensì l’io predomina, con il marcato desiderio di confrontarsi con gli altri candidati romani, come se Roma non avesse già i suoi problemi. Al di là degli auguri, la realtà sarà molto severa. Però la signora ci crede… Vedremo in autunno se le rose cresceranno o meno.

Caso curioso è De Magistris. Non la persona, ma il progetto politico che sta formando. Un progetto con marcata identità di sinistra, ma che poi non è così di sinistra. Sembra una copia malfatta dell’Ulivo, quell’agglomerato di partiti di centrosinistra che riuscirono ad arrivare al governo della nazione, ma con risultati politici molto discutibili.

Anche nelle sue fila, c’è qualcuno che ha questa malattia del candidarsi. Non credo che il sindaco De Magistris sia fesso, ma un po’ ingenuo è. Per i nomi che sta raccogliendo da una parte e nel voler far credere a forza che lui è il nuovo che avanza, ma con conoscenze che fanno parte del vecchio.

Certo, mi dirà il buon sindaco di Napoli, però che è difficile raccogliere candidature da parte di gente nuova, visto che i nuovi se ne vanno via dalla terra di Calabria.

Lo stesso problema lo vivono pure gli altri candidati alla presidenza nel trovare gente nuova, ma poiché il De Magistris è quello che viene da fuori il problema si fa più evidente. In attesa di un programma reale da comprendere, sto notando i mercenari che sta assoldando di volta in volta. Se avere Mimmo Lucano ha un suo perché (De Magistris ha adottato politiche molto simili a Napoli), per il resto c’è da mettersi un po’ le mani nei capelli. Perché il rischio di vedere un’accozzaglia è lampante. Tra i volti nuovi, si nota quello di una noto consigliere comunale di Crotone, tra l’altro eletto con una coalizione che correrà avversaria a De Magistris stesso. E quale sarebbe la ragione di tale scelta, se non una voglia matta di candidarsi in modo figo e simpatico. Qualcuno mi farà notare che è un diritto candidarsi. Ma è doveroso rimarcare che ci vorrebbe più coerenza e meno figheria. Ma tant’è che sarà il popolo calabrese a decidere (e sarà bravo a non decidere vista la massiccia confluenza nel partito dell’astensione).

Ovviamente avverrà qualcosa di simile anche nel centrodestra calabrese, sempre a Crotone. Ora i nomi non son ancora ufficiali, ma tra i tanti c’è quello di qualche buontempone non tagliato per la politica che crederà di essere eletto a prescindere dai voti che riuscirà a racimolare. Si presenterà perché è figo, bello, intelligente, ma del programma elettorale non ci capiremo nulla perché l’ingresso al consiglio che rappresenta una bella indennità mensile sarà talmente lampante che probabilmente vedremo al posto dei suoi occhi le cosiddette $$$, che da sole vogliono dire tanto. Ma anche qui, ci tengo a ripeterlo, ci saranno persone che credono nel progetto politico e che meritano rispetto. Perciò è doveroso chiedere uno straccio di programma chiaro.

PD e Cinquestelle non sono pervenuti ancora perché protagonisti di uno psicodramma che li perseguiterà per tutta la campagna elettorale, e la probabilità di essere i più evitati è altissima.

Infine ci sarebbe Tansi, l’indipendente. Per la seconda volta corre da solo contro tutti i pronostici, proponendo il suo progetto personale. Al momento la sua è più una scommessa che un progetto consolidato, ma ha già un suo appeal per piacere. Potrebbe pagare lui più di altri l’astensionismo calabrese, ma se dimostrerà coerenza potrebbe essere la vera novità, ma tutto dipende ovviamente da come farà percepire il suo progetto agli elettori, soprattutto dopo l’incidente separatorio con De Magistris. Prima erano amici, ora avversari. E quest’ultimo aspetto potrebbe incidere moltissimo, per l’uno e per l’altro.

Insomma, questo è l’attuale quadro che si presenta. Ma se sui candidati alla Presidenza della Regione Calabria si scriverà molto e troppo, la stessa cosa non succederà per i candidati al Consiglio Regionale.

Un vecchio detto dice: “Campa cavallo che l’erba cresce.”

In Calabria potrebbe diventare “Cambia partito che l’erbaccia resta.”

Sì, perché di candidati ce ne son tanti e troppi, ma l’erbaccia resta. Eccome se resta…

Aurélien Facente, 12 luglio 2021