Coronavirus KR: Respirare un pochino di libertà vuol dire vivere

Il 4 maggio c’è stato un allentamento deciso nella quarantena imposta dallo Stato e dalla Regione per quanto riguarda l’emergenza Coronavirus. Il 4 maggio 2020 è stata una data liberatoria sotto certi aspetti. In fondo, la gente era confinata in casa, limitando la propria autonomia al minimo.

   Tutti pensano che la gente abiti in un appartamento uguale al proprio. È il classico errore di chi punta il dito. Il leggero “Rompete le righe” è diventato l’argomento dei social. Tutti a puntare il dito contro. Gente che s’improvvisa fotografa e pensa di far vedere quanto è stata brava nell’osservare le regole, salvo poi andare sul lungomare e fotografare gli altri, senza capire che la foto da sola può giocare effetti illusori. Chi usa lo smartphone non sempre capisce di prospettiva.

   E allora ecco l’esagerazione. Tanta gente. Sembrava la festa della Madonna.

   Beh, di gente ce n’era.

   Ma quando vedi che la stragrande maggioranza era con la mascherina, con i guanti, e tutti più o meno rispettosi della distanza di sicurezza. Sì, c’è stato qualche ingorgo. Piccoli errori non decisivi, però. Tutto frutto di uno sfogo dovuto alla clausura. Uno sfogo che andava liberato in qualche modo.

   Ed è importante psicologicamente se si vuole ristabilire un equilibrio con sé e con l’altro.

   Assembramenti? Non puoi evitare che le persone che si conoscono si salutino e si scambiano qualche parola. Ci sono state famiglie in giro? Sì, verissimo. Ma mica clan numerosi. Il fatto è che forse ci si è trovati ad impattarsi con una norma che impone l’uso della mascherina e della distanza per potersi rivedere dopo un po’ di tempo.

   E allora il lungomare è stato il luogo del ricominciare a vedersi.

   Ma c’erano anche i fidanzati. Verissimo. Ma con enorme discrezione.

   Uno sfogo di respiro dunque.

   Quand’è iniziata l’emergenza, c’è voluta una settimana buona per la gente ad abituarsi.

   Per capire le regole, bisogna esplorarne in qualche modo i confini. Altrimenti non ci si abitua.

   Si chiama umanità.

   Poi ci sono quelli che puntano il dito. Umani anche loro, ma che dimenticano che c’è gente che magari per 60 giorni circa ha visto solo l’androne di un cortile stretto, o peggio ancora un garage, o quattro mura di un appartamento da 60 metri quadri. Facile puntare il dito e lo smartphone per giudicare la coscienza altrui, quando in verità bisogna guardare la propria.

   I dati ufficiali parlano chiaro.

   Il territorio provinciale di Crotone, capoluogo compreso, ha avuto un numero basso di contagiati da Coronavirus. Certo, le vittime ci sono state. Ma la mortalità è stata nella norma. Per Coronavirus sono state sei. Però l’umanità deve guardare avanti.

   L’umanità vive. Non si ferma. È capace di sacrificarsi per il bene comune. E i crotonesi lo hanno fatto. Perché a livello di sanzioni, i numeri sono stati bassi. Il che vuol dire che la maggior parte ha fatto di tutto per osservare le regole.

   Però poi c’è il desiderio del sole, del colore, del mare, dell’aria, del sapore del mare. Per una città che si affaccia sul mar Ionio, è un elemento vitale almeno respirare quell’odor di mare, anche se si tratta di pochi minuti al giorno.

   Solo e semplice umanità.

   Una piccola esplosione di sentimento del tutto naturale.

   Le persone hanno semplicemente preso dimestichezza con i nuovi confini.

   Tant’è che oggi la circolazione a piedi è diminuita, quindi è ritornato tranquillamente il buonsenso.

   Il Commissario Prefettizio, con tutto il rispetto per la sua figura di responsabilità, avrebbe il dovere di mostrare un po’ più di umanità perché in fondo si è trattato solo di un piccolo respiro.

   Per quelli che puntano il dito. Beh, prima o poi qualcuno vi punterà il dito addosso. E alla fine resterete zitti, perché a quel punto non avrete argomentazioni. Invece del dito, usate il cervello e un po’ di cuore anche.

Aurélien Facente, maggio 2020

Ciao, Joe (in ricordo di Joe Amoruso)

Non si è mai scritto tanto sui pianisti. Sulle vite dei pianisti. Certo, conosciamo la vita di talenti come Mozart, oppure come quel talento di David Helfgot, che conosciamo grazie al film Shine del 1996. Ma ogni pianista riesce a scrivere una storia, una vera storia.

   Io ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e fotografare Joe Amoruso, quel pianista che si fece notare per aver contribuito al successo del ben più famoso Pino Daniele.

   Però non era solo il pianista di Pino Daniele.

   Joe era un artista di straordinario talento, e di sensibilità.

   Tanta sensibilità.

   Lo fotografai nel 2009 e nel 2010, e in quest’occasione era in compagnia di un altro musicista, Antonio Onorato, che gli riconosceva il grande talento e l’enorme preparazione musicale.

   Poi all’improvviso un male, e un percorso di lunga sofferenza.

   E oggi la triste notizia.

   Gli altri articoli che usciranno vi parleranno della carriera di Joe Amoruso. Ve ne parleranno, e qualcuno vi ricorderà la sua grandezza nella scena musicale di Napoli.

   Ma io ho conosciuto l’uomo, la persona.

   Ho visto una persona che, quando era venuta a Crotone, già usciva da un suo periodo buio. Ma le sue mani sui tasti del pianoforte elettrico vibravano di grande energia, di vivacità. Non si lasciava sconfiggere, tanto che poi non si fermava.

   Joe e il suo pianoforte.

   Anche in duetto con Antonio Onorato, gli veniva concesso uno spazio dove si esprimeva solo lui con la sua sensibilità.

   Poi magari il concerto finiva. E, ospitato da un amico a Capo Colonna, aveva fretta di andare a letto. Mi colpì molto questo suo particolare. Già, perché Joe non era uno che aveva voglia di dormire perché stanco. Aveva voglia di svegliarsi molto presto perché voleva vedere l’alba di Capo Colonna.

   Joe, continuerai a vedere l’alba adesso.

   Ciao, ci vediamo presto.

Aurélien Facente, 24 marzo 2020

Coronavirus KR: Il testo della mia amica Mariapia Giulivo

Foto di Aurélien Facente, tratta dalla serie “Mare Cromatico”

Avevo chiesto in qualche diretta Facebook e Instagram di poter pubblicare sul suddetto sito alcune storie di questo periodo di quarantena forzata. A dire il vero, pochi hanno raccolto il mio appello, perché narrare la propria esperienza, il proprio pensiero, e quello che vi passa per il cuore di sicuro può aiutare gli altri. Capisco perfettamente che non è facile, ma psicologicamente aiuta sapere che siamo nella stessa barca.

   Chi è Mariapia Giulivo?

   È un’amica, per quanto mi riguarda, ma è soprattutto una poetessa che ha pubblicato libri, ed è una delle personalità culturali che in questo momento stanno combattendo, come noi tra l’altro, la voglia di uscire e prendere una boccata d’aria.

   Lei viene spesso a Crotone, e adora Capo Colonna. Cerca di non mancare mai alla festa della Madonna di Capo Colonna che si tiene a maggio. Sotto certi aspetti, è molto più crotonese lei di me. Però, siccome mi ha mandato un testo molto particolare, lo condivido con voi. Lo battezzerò semplicemente: Coronavirus.

   Tira una brutta aria. Di umanità tradita, di panico di paura. Un ‘aria che desertifica luoghi, allontana gli esseri umani, non entra più nei polmoni, non trapassa neppure la luce delle chiese.  Tira un’aria che soffoca la vita, che disidrata le mani, che fa contare i nostri passi per calcolare un metro, che non tollera un innocente colpo di tosse, un lieve starnuto, che è malsana soprattutto nei cuori. Ce ne ricorderemo, quando, vedendo una mano tesa la allontaneremo, perché ci crederemo noi quelli puliti, noi quelli giusti, noi i giudici, noi che ora siamo in ginocchio e sperimentiamo quanto costa la diversità, che prezzo ha la paura, che colore ha un cielo in cui non sai se verrà mai la primavera? Siamo noi, ora, i fragili, noi quelli che stanno vivendo l ‘incubo. Noi che abbiamo ignorato altri dati che uccidono il mondo solo perché lontani, noi, piegati nelle nostre piccole effimere certezze, ora di colpo crollate… Tira aria di apocalittico timore, di contagio, e noi che non sapevamo più contagiare un sorriso, veicolare un perdono, noi che abbiamo fatto del denaro un dio, della materia la sostanza della vita, ora brancoliamo in una specie di anticamera, quella di una attesa che non sappiamo se avrà fine, quando, come… Io non consegnerò la mia umanità a questa paura, non regalerò la mia vita a un virus, io lo guardo vicino o lontano che sia, quasi con pietà. Non dimenticando che sapore ha la pietà che spesso ho sentito sulla pelle, quella che allontana davvero. In modo definitivo… Non dimenticando una frase di una meravigliosa canzone di Fabrizio De André…”il vomito dei respinti” ora siamo tutti. E chi già conosce questa sensazione, no, non può avere paura…Ha preso già coscienza…

Testo di Mariapia Giulivo, 2020

Ringraziando Mariapia per il suo contributo letterario, invito altri a fare la stessa cosa. Raccontare la vostra esperienza personale. Non disperderla su Facebook o altri social. Potete scrivermi sulla pagina pubblica di Facebook al seguente link, tranquillamente in messaggeria privata e con la massima discrezione: https://www.facebook.com/aurelienfacenteblogger

E se lo ritenete opportuno pubblicherò la vostra testimonianza anche con un semplice nickname. Credo che sia giunta l’ora di raccontare per raccontarci e per aiutarci.

Aurélien Facente, marzo 2020

Coronavirus KR: Qui Londra

Quando è iniziata l’emergenza, in una diretta Facebook, ho pregato di mandarmi delle testimonianze, racconti, materiale fotografico con i quali condividere e classificare una serie di resoconti sull’impatto sociale che l’emergenza Coronavirus sta avendo in Italia e non solo. Le foto che seguiranno vi faranno capire in sequenza quello che sta avvenendo a Londra, da dove sta operando un mio “inviato” che qui si firmerà come Sirdomek, che per questioni di privacy preferisce firmarsi con un nickname. Le foto che seguiranno sono dunque di Sirdomek.

In questa prima foto potete vedere un attimo di vita di Londra, una foto comune fatta da cellulare, ed è uno scatto abbastanza comune. Siamo nel mese di febbraio. La foto è datata appena dopo le regionali avvenute in Calabria. Fin qui nulla di strano.

Poi da noi inizia l’emergenza Coronavirus. Noi italiani ci ritroviamo prigionieri delle restrizioni per causa maggione, ma nel frattempo a Londra (e in Inghilterra), senza passare dalle restrizioni nostre, si adegua subito alla sua emergenza.

La serie di foto che vedrete adesso sono state scattate in posti abitualmente frequentati di Londra. Sirdomek abita in centro a Londra, perciò lui stesso, italiano, si è stupito della prontezza del popolo inglese a prepararsi al piano d’emergenza.

Notato nulla? Se ci fate caso, manca la gente. Le foto sono state prese in diversi momenti della giornata, in vie sostanzialmente frequentate da tanta gente. Ricordatevi che Londra è una delle città capitali che si possono definire metropoli, essendo che ci abitano quasi nove milioni di persone (un’enormità quindi).

Tutte queste foto vi fanno notare che subito il popolo londinese si è adattato. Di solito sono affollatissime di gente, ma stavolta si esce solo il necessario, senza aspettare gli ordini del Primo Ministro inglese, Boris Johnson, che ha fatto capire direttamente di voler agire anche in termini “estremi” in rapporto alla pandemia del Coronavirus. Ma prima che si pronunciasse, già gli inglesi si sono adeguati volontariamente, aspettando in qualche modo il nemico invisibile.

Perché vi mostro questo primo reportage fotografico?

Sirdomek è un italiano del Sud che vive a Londra, e mi ha rilasciato altro materiale che pubblicherò sotto un’altra forma, appena le acque, diciamo, si calmeranno un po’. E naturalmente gli auguro ovviamente tutto il meglio e lo ringrazio per l’apporto che sta dando.

Rispondiamo però alla domanda.

In Inghilterra sono abituati a fare simulazioni di catastrofi sin dall’età scolastica, perciò in età adulta si comportano di conseguenza, preparandosi al peggio e senza aspettare gli ordini della politica. La consapevolezza rende migliore l’organizzazione, e stiamo parlando di un popolo che è abituato, nonostante i difetti, ad affrontare le emergenze a viso aperto, e senza discutere più di tanto.

Il traffico a Londra in questi giorni è molto meno caotico, e la gente circola solo il giusto, ossia per acquistare provviste principalmente, forse cinque minuti d’aria, e ovviamente per sbrigare faccende burocratiche che toccano anche a noi.

Qui in Italia non siamo abituati all’emergenza, perché sin dalle scuole non impariamo che cos’è una situazione d’emergenza. La Calabria è una terra sismica, e nelle scuole sarebbe doveroso impartire lezioni di comportamento in caso di catastrofe. Perché questo tipo di lezione impara a organizzarsi nei momenti in cui è necessario, e salverebbe tante vite.

Gli italiani, per quanto possa essere storicamente un vero popolo quando serve, devono ripensare la prevenzione, partendo proprio dalle scuole. Perché, mai come adesso, bisogna ripensare culturalmente il nostro sistema, prima di darci delle istruzioni politiche ed economiche.

Testo di Aurélien Facente, marzo 2020

Foto di Sirdomek, 2020