Hammamet, un film di Gianni Amelio (visto da me)

L’ho visto sabato sera. E ho atteso qualche giorno prima di scriverci qualcosa. Forse non ne valeva la pena scriverci. Si è letto di tutto su questo film. Però mi ha incuriosito il contrasto tra pareri positivi e negativi.

   Accade sempre quando esce un film controverso, figuriamoci poi se questo film parla di Craxi, dei suoi ultimi giorni da latitante in esilio in Tunisia, in una villa a pochi passi da Hammamet.

   Craxi resterà sempre un politico controverso e fastidioso per taluni, geniale e patriottico per altri. In fondo, si tratta di un personaggio che è stato protagonista, nel bene e nel male, di un importante periodo italiano.

   Ma fermiamoci qui.

   La storia di Craxi la conosciamo, o almeno crediamo di conoscerla. E forse è meglio restarne un po’ a distanza, se non altro per rispetto di un uomo politico che ha amato a modo suo l’Italia, essendone stato un rappresentante politico.

   Sono stato combattuto nel vedere il film.

   Alcuni lo vedono come un tentativo revisionista con spunti commerciali. Altri lo vedono come un film non coraggioso.

   Per vedere un film del genere è meglio non farsi influenzare. Resta da ammettere che resta un film controverso.

   Fosse stato una graphic novel, forse avrebbe reso meglio. Un fumetto rende meglio una visione revisionista, e forse avrebbe reso meglio la storia. Anzi, l’avrebbe anche giustificata in alcune visioni.

   Però il film di Gianni Amelio trova il suo perché.

   Lo trova nel suo attore, un favoloso e perfetto Pierfrancesco Favino, che riesce a essere Craxi, a essere l’Attore con la A maiuscola. In queste due ore troverete quello che è la maestria di un attore vero. Certo, il merito va forse condiviso con il regista, perché alla fine è la camera diretta da Gianni Amelio che riesce a ridare in qualche modo vita a Craxi, o almeno all’idea che ci facciamo di lui.

   Due ore e passa volutamente lente, forse perché era meglio così.

   L’idea di un esilio lontano da tutto e da tutti.

   Una mossa che non è piaciuta a tutti.

   Ma forse la sola che ci ha permesso di godere al meglio dell’’interpretazione di Favino.

   Hammamet è un film controverso. Eccede nel voler essere estremamente rispettoso e riverente nei confronti del Craxi uomo, e si ferma alla superficie del politico.

  Quasi due ore e mezzo non sarebbero mai bastate per raccontare di Bettino Craxi, e non sarebbero nemmeno bastate per raccontare la sua visione politica.

   E allora meglio provare a raccontare quella che è la sua fine. La fine di un uomo che ha amato tanto la politica come mezzo nobile per contribuire a costruire una civiltà.

   Gianni Amelio fa di tutto per non canonizzare Craxi, per non renderlo il personaggio di una fiction dimenticabile. Usa la camera in modo molto delicato per provare a raccontare con semplicità l’essere umano e basta.

   Perciò il risultato finale del film ci lascia con l’amaro in bocca.

   Perché ci troviamo davanti ad un semplice racconto di un uomo.

   Sarebbe servito un film più vicino alla verità, quando in realtà tante verità non sono mai state raccontate fino in fondo? Sarebbe servito un film crudele, che maltrattava la figura di Craxi, il fuggiasco che si è rifugiato a Hammamet?

   Un film non è il racconto del reale a tutti i costi. Un film racconta e basta.

   E il film racconta di un uomo e dei suoi ultimi giorni a Hammamet.

   Lo fa in maniera molto romanzata, certo. Usa anche qualche escamotage per rendere digeribile una storia che già parte con una sua complessità. Usa delle ingenuità narrative (che in un fumetto sarebbero più giustificabili) per rendere il film più godibile.

   Ma sono difetti che scompaiono man mano che seguiamo il percorso attoriale che si è dato Favino per interpretare Bettino Craxi.

   Hammamet mi è piaciuto perché è un racconto e basta, è la sintesi perfetta di regia e attore. E da qui trae la sua forza migliore.

   Ci sono anche le musiche del maestro Piovani. C’è un’ottima fotografia. C’è una visione di un qualcosa che ci spinge a riflettere prima di condannare.

   Un film, appunto, controverso.

   Consigliato a chi ama scoprire e godere della recitazione di un attore che si lascia guidare dalla mano narrativa di un regista che può ancora dire la sua.

   Sconsigliato di sicuro a chi ha dentro di sé profondi sentimenti politici. Lo vedreste come un film che giustifica Bettino Craxi, e vi guastereste lo stomaco.

   Hammamet è un film controverso. Piace e non piace. Ma resta comunque un lume importante sulla capacità del cinema italiano che, a volte, è capace di produrre un film che spinge sempre alla riflessione.

Aurélien Facente, gennaio 2019

Vince la magica Jole, con l’aiuto dell’astensionismo

È da stanotte che seguo con una certa attenzione quello che succede nella mia Calabria. Ieri 26 gennaio si è votato. Come piccolo blogger, ho fatto appelli di ogni genere perché la gente andasse ad esprimere il proprio voto, a prescindere dal vincitore.

   Da stanotte c’è stata la vincitrice, quella signora di nome Jole Santelli che non è, a dire il vero, straconosciuta in Calabria. Io stesso, devo ammettere, che nutrivo qualche dubbio su di lei. Li nutro ancora, politicamente parlando.

   Però il voto si è espresso, e nell’effettivo c’è stato il trionfo della magica Jole, che sbaraglia tutti con un esercito di sei liste almeno e prende una Regione Calabria molto lontana dalla visione di un comune cittadino, il che spiega il largo astensionismo.

   Già, l’astensionismo è il fenomeno che fa vincere la magica Jole, che si accomoda in Regione aiutata anche dal vento in poppa del centrodestra.

   Ha fallito il buon Callipo, che ha contato forse troppo sulla sua stessa storia imprenditoriale, pagando anche l’alleanza con il PD che sembra essere il primo partito con il 14% (attenzione, che se contate l’astensionismo va giù più della metà).

   Hanno fallito i 5stelle, che pur trovando un candidato alla presidenza interessante, e hanno sbagliato tutta la loro campagna elettorale. Una volta c’erano i banchetti in mezzo alla strada. I bei vecchi tempi. Oggi hanno contato su Facebook e social un pochino troppo. Siamo tutti belli e simpatici. Senza contare il fuoco amico del loro senatore Nicola, che con i suoi speciali interventi ha causato una serie di autogol clamorosi.

   Non ha fallito il buon Carlo Tansi tutto sommato. A Crotone almeno no. Forse entrerà, forse no. In cuor suo sapeva che sarebbe stato molto difficile. Il merito suo è di aver trovato sostegno in tante brave persone. Per lui e i suoi è arrivato il momento di costruire, ma questo soltanto il tempo lo dirà.

   Ha stravinto il partito dell’astensionismo.

   Le ragioni sono molteplici.

   Alta emigrazione giovanile (ma non solo), presunzione di determinati politici, partiti che non sanno che cosa vogliono fare (fatevi raccontare la barzelletta del PD crotonese che voleva sostenere ancora l’uscente Mario Oliverio, silurato dalla base nazionale), il disgusto delle persone verso un certo modo di fare politica. Insomma una serie di problemi che hanno portato alla disaffezione più completa. E non è una giustificazione, badate bene.

   Poi c’è un dato. I calabresi, come popolo, esistono solo sulla carta.

   Non prendetevela, cari amici.

   Ma la Calabria è una regione troppo divisa.

   CZ e CS si detestano. KR odia CZ. RC odia CZ. VV un po’ troppo sola. Una regione bellissima, ma divisa da troppe chiusure mentali. Diventa difficile uscirne.

   Certo è che il prezzo dell’astensionismo non piace.

   Potete parlare di fascisti, di comunisti, di leghisti…. Tutto quello che volete in questo delirio psicotico post elettorale.

   Ma la vera vincitrice è lei, la magica Jole.

   Perché è stata largamente sottovalutata e criticata. Perché tutti guardavano ad una certa disinformazione di cui la stessa fu protagonista (un servizio delle Iene fu rimesso in rete per schernirla), ma nessuno guardava il suo effettivo curriculum (deputata più volte e sottosegretario pure più d una volta). Tutti gli avversari a fare i moralisti contro di lei, ma eppure lei li ha affrontati, democraticamente parlando. E poi per lei sono scesi i pezzi grossi. Anche il buon Silvio è tornato a parlare in piazza per lei.

   Già, non piace ammettere che la magica Jole è stata brava in fin dei conti, nonostante il male che si porta dietro, senza nasconderlo tra l’altro.

   Jole ha vinto. Bisogna riconoscerglielo almeno.

   Ora non si può sapere che cosa farà e se sarà capace di farlo.

   A ogni vincitore bisogna pur sempre fare gli auguri, e in questo caso gli auguri sono più che dovuti. Perché la Calabria sarà gestita da una donna finalmente, ed è un fatto storico di notevole rilevanza.

   Perciò auguri.

   In quanto ai leoncini della tastiera. Scervellatevi quanto volete, sfogatevi, lamentatevi, classificatevi ancora tra fascisti e comunisti, tra delinquenti e incompetenti. Scannatevi fino all’esaurimento nervoso. Fatevi prendere dalle più basse ipocrisie. Ma prima di farlo domandatevi perché in Calabria non si vota in massa quando ci sono le regionali. Chiedetevelo e datevi una risposta, guardandovi allo specchio. Siate oggettivi e non soggettivi. Ragionate con la testa e non con lo stomaco. Di sicuro non è scrivendolo su Facebook che cambierà il mondo, soprattutto quando c’è un problema che si chiama astensionismo.

   Alla fine la democrazia si è espressa, e anche se non piace il verdetto si è espresso in tal modo.

   Che Dio ce la mandi buona.

Aurélien Facente, 27 gennaio 2020

La grande buffonata

Ultimi giorni di campagna elettorale. E il protagonista è sempre lui, quell’odiato Salvini, che usa la tragicommedia per far parlare di lui. La citofonata in un quartiere popolare emiliano per scovare qualche presunto spacciatore.

   La formula del format non è nuova. Da mesi, il Brumotti di Striscia La Notizia gira tra i quartieri italiani a fare la sua lotta/inchiesta contro lo spaccio, mostrando il degrado di alcuni pezzi della società italiana, quella di cui non si osa parlare. Perché la vergogna è meglio metterla sotto un tappeto.

   E due giorni fa, ecco che l’odiato Salvini si fa filmare e pubblicare per aver citofonato e fatto le sue domandine: “Scusi, lei è uno spacciatore?”

   Fatto da un altro, sembrerebbe un omaggio all’irriverenza e provocazione comica di quel programma “South Park” che tanti anni fa trasmettevano in seconda serata. In una cittadina, le vicissitudini di quattro bimbi che non avevano paura di dire le parolacce e ne combinavano di tutti i colori in una cittadina di nome South Park, che era il ritratto contemporaneo di un’America che si stava affacciando nella sua epoca “politically correct”. Una serie geniale realizzata da due americani, Trey Stone e Matt Parker, che non aveva paura di andare contro il pensiero ipocrita del politicaly correct.

   E l’odiato Salvini, se fosse protagonista di quella serie inserito in quell’universo narrativo molto grottesco, ci starebbe benissimo.

   Una grande buffonata che ha servito ad accendere il solito fiume di polemiche che non cambieranno nulla.

   Matteo osa, e voi parlate, anzi sparlate e continuate ad alimentare la sua esistenza.

   Fatevene una ragione. Voi che lo criticate aspramente, voi che lo accusate, voi che lo temete, e forse qualcuno tra voi lo invidia pure tutto sommato, perché alla fine lui addirittura ha toccato il citofono e ha proferito la sua ennesima provocazione.

   Sporca provocazione o un lampo di genio tremendo da sembrare proprio una gag di South Park.

   Siamo in campagna elettorale, a sua volta all’interno di uno spietato circo mediatico.

   Voi avete visto soltanto lui e basta.

   Ed era quello che voleva.

   E voi, come tanti pesci, avete abboccato alla grande.

   Eppure non vi siete domandati dove si trovava, che ci faceva lì. Non avete visto il contorno. Non avete visto lo stato del quartiere popolare. Non ve l’hanno fatto vedere. Certo, sarebbe stato più utile vederlo forse, e domandarsi dove si trovavano i suoi fieri oppositori che hanno dimenticato di parlare delle persone, ovvero della dignità delle persone. Certo, meglio prendersela con lui, il capitano che con il suo nutrito gruppo di tifosi va a fare la citofonata più stupida della storia.

   Uno scherzo di cattivo gusto.

   Una buffonata da South Park.

   E non avrei voluto scriverlo.

   Ma intanto lui è il personaggio del momento. Lo avete reso voi il personaggio del momento. E qualsiasi cosa fa voi ne parlate.

   Se dovesse trionfare alle prossime elezioni, fareste bene a prendervela con voi stessi e basta. Perché, in fondo, molti di voi hanno voluto cadere nella trappola del pescatore.

   Buona votazione, sempre che ci andiate a votare.

Aurélien Facente, gennaio 2019

Politica social e le psicosi dell’elettore su Facebook

Politica strana quella di oggi. Oggettivamente non è la politica degli anni 80’, dove comunque c’era una politica che si occupava che l’Italia facesse la sua figura agli occhi del mondo. Al tempo delle elezioni, i politici ci mettevano la faccia e chiedevano personalmente il voto.

   Poi nel 1992 Tangentopoli.

   Arrivò il Berlusconismo che segnò la politica fino al 2010 più o meno. Silvio c’è ancora, ma ora è la zampa azzoppata del centrodestra. La sua storia caratterizzò molto l’Italia. Nello stesso tempo, i suoi avversari di sinistra furono tanti, ma mai così consistenti da farsi amare oggi.

   E nel frattempo i mezzi di comunicazione sono cambiati.

   Ma anche la politica è cambiata.

   E ciò ha influenzato la gente, e di parecchio.

   Un tempo, le elezioni erano un appuntamento atteso. C’era il dibattito tra le persone anche dentro un bar. C’era il culto della libera opinione. Ci si avversava, ma alla fine si sapeva che era il voto a fare la differenza. Nel bene e nel male.

   Oggi il voto passa attraverso i social. Ognuno si fa la sua paginetta Facebook, il suo profilo Facebook, su Twitter (per chi lo sa usare), e su Instagram (per chi lo sa usare). C’è anche chi si fa il canale YouTube personalizzato (molto utile a dire il vero). Tutti hanno il sito internet personalizzato.

   Ma tutti, più o meno, ti chiedono l’amicizia su Facebook o di mettere Mi Piace alle loro paginette elettorali.

   I candidati passano al virtuale e alla stupida legge del gradimento.

   Metti mi piace così sei figo anche tu.

   Ma se provi a criticare, allora non va bene.

   Certo, la critica va saputa scrivere. Non tutti possono criticare. Ma nella democrazia, quella che tutti predicano, è ipocrita chiudere la bocca.

   Siamo in una società strana.

   Oggi viviamo un eccesso di democrazia come non era mai avvenuto negli anni precedenti. Usiamo la parola con il commento. Scriviamo come parliamo. E veniamo fraintesi. E invece di essere noi stessi, facciamo in modo di piacerci. Oppure ci offendiamo, perché ognuno di noi pensa, sbagliando, di dover piacere per forza a tutti. E censuriamo se c’è qualcosa che non ci piace.

   Siamo dentro il mondo virtuale, dimenticandoci che il vero dialogo si fa fuori il PC.

   Non ci rendiamo conto, ma nel calderone Facebook ci mostriamo come tifosi e basta. Un eterno sfottò contro l’avversario. E ci scandalizziamo quando determinati comportamenti escono. Nei social diamo peso all’istinto, e non alla ragione. Anzi, se c’è qualcuno di più intelligente (e ragionevole) lo allontaniamo. Lo definiamo pesante. Non mette in foto le vrasciole (carne macinata fritta e impanata, secondo la classica ricetta crotonese, che in ogni famiglia è cucinata con i propri usi e tradizioni), perciò non è uno di noi. Salvo poi, magari, fare un passo indietro e fermarsi un po’ a osservarne i contenuti.

   Già, i contenuti. Quelli che fanno la differenza. Contenuto. Una parola troppo pesantuccia da capire oggi. Meglio la leggerezza. Tutto deve essere leggero. Guai a parlare di profondità. Guai a parlare di differenza. Qui devi essere figo e positivo. Sei su Facebook.

   E anche la politica, così, preferisce avere i like. E così tutto naviga nel leggero, nel superficiale, nel tragicomico.

   Un tragicomico che ha fatto molto male agli italiani.

   Non c’è nulla di male se andiamo dietro a una moda.

   Ma andando dietro la moda dell’uniformarsi all’interno dei social abbiamo scoperto che non ci amiamo proprio in realtà. Facciamo uno sforzo enorme a capire l’altro oggi, e allora preferiamo allontanarci.

   Quando arriva il periodo elettorale però, ecco che esce il tifoso cattivo dentro di noi. I politici sono tutti uguali. Ladri e delinquenti. Egoisti e ignoranti. In questo aggiungeteci lo scontro tra fascisti e comunisti, con l’inadeguatezza dei cinquestelle. Poi magari ti accorgi che c’è qualche persona molto brava, ma non sai se votarla. Non sai nemmeno se ci vai a votare, perché poi hai degli amici che non votano, perché votare non serve a niente. Già, non esprimersi non serve più a niente. Meglio la leggerezza, meglio continuare a essere fighi e simpatici su Facebook. Meglio questo. Almeno qui non ti attacca nessuno. Però poi scopri che vivi male, che non stai bene, e non sai nemmeno come dirlo.

   Oddio, sono diventato negativo. Come oso riflettere in questo panorama digitale? Beh, lo faccio e basta. Anzi, lo scrivo pure e non me ne pento. Proprio perché esprimo il mio pensiero, voglio farti capire che puoi farlo anche tu. E se non piaci, pazienza. Ma meglio essere se stessi e non piacere. Perché dall’altra parte sapranno che c’è una persona e non un misero like.

   La politica è social ormai. Fa tutto per piacersi.

   Ma l’elettorato si esprime in maniera psicotico. Ci odiamo perché vorremmo un mondo migliore, ma non lo abbiamo perché ci preoccupiamo dell’essere positivi su Facebook. Quello conta.

   Già. Ma poi?

   Lo sapete che un giorno avrete bisogno di altro, e che per averlo bisognerà saper andare ben oltre le superfici?

Aurélien Facente, 2019

Il dolce scherzo di Frog

C’è un artista che si firma Frog, Sta lasciando in giro per la città di Crotone una serie di opere disegnate e attaccate come poster nei muri degradati della città. Di notte Frog installa e come per magia il mattino dopo il muro degradato s’incanta di bellezza e contenuti.

   Un gesto puramente artistico e semplice.

   Almeno per chi è abituato a vivere con concetti d’arte.

   Sono tanti gli artisti che hanno usato i muri per esprimere la propria arte.

   Pittori che hanno dipinti affreschi, i writers dei muri in giro per il mondo, e adesso la cosiddetta poster art.

   In Calabria abbiamo un nobile predecessore di Frog. Un certo signor Mimmo Rotella di Catanzaro. Anche lui si è occupato di abbellire i muri della sua Catanzaro tantissimi anni fa.

   Erano anni dove la strada era il principale mezzo di comunicazione dell’arte. Un concetto che oggi Frog ripresenta a modo suo.

   A Crotone impazza la Frog mania.

   Tutti a chiedersi chi è, perché lo fa, perché proprio a Crotone. La notizia rimbalza tra i social attraverso le varie testate, tanto che ti fa capire che forse il giornalismo crotonese in primis ha bisogno proprio di contenuti.

   Poi ci sono le persone. Certo, qualcuno s’è trovato l’opera sotto casa. L’ha fotografata e postata su Facebook. Tutti a ringraziarlo.

   C’è un estremo bisogno di bellezza a Crotone, così come c’è un estremo bisogno di ascoltare una favola, di viverla.

   Crotone, la città che si fa tanto vanto del suo lontano e glorioso passato, eppure ha bisogno di vivere il presente con colori vivaci, visto che oggi è una cittadina molto grigia, rassegnata, lasciata all’abbandono dalle stesse anime che la popolano.

   Non offendetevi, cari crotonesi.

   Perché in fondo sapete che questa città vive un degrado continuo con colpe molto condivise. Una città dove è più facile chiudere un posto piuttosto che aprirlo.

   Frog è un artista contemporaneo, testimone del suo tempo.

   Ovviamente che vive a Crotone e in Calabria.

   Lascia le sue opere in giro, attaccate a muri ben scelti.

   Pezzi di carta attaccati come manifesti, e disegni molto comics.

   Il bisogno di bellezza nelle strade rifiorisce nei cuori dei cittadini.

   Me ne sono occupato in video un po’ di tempo fa.

   Ho studiato il suo profilo artistico, tenendo conto che alla fine Frog ha iniziato un giorno artistico.

   Non c’è da seguire la sua vera identità. Non al momento. Perché è lui/lei che troverà il momento di farsi vedere, sempre che voglia farlo. Non è uscito allo scoperto quando quel genio dell’ex vicesindaco di Crotone addirittura voleva affidargli tutto un muro, come se Frog si manifestasse per assecondare un gioco abbastanza volgare da parte della politica, che poteva e doveva tener conto già di altri artisti esistenti.

   Frog non imbratta i muri.

   Attacca le sue opere, raccontando i suoi stati d’animo del momento. Ogni lavoro è un indizio sulla sua anima, sensibile e attenta.

   Opere semplici e mirate.

   Opere di carta che affrontano gli imprevisti del quotidiano. Un disgraziato che strappa un pezzo di disegno per portarselo a casa, un giorno di pioggia che inumidisce il muro che non può tenere il disegno (già, l’umidità dà molto fastidio alla colla), poi magari scopri che è un bambino a strappare e non te la puoi prendere, oppure scopri che su quel muro dovevano farci una nuova colorazione, e allora si sbarazzano dell’opera, che è già concepita per essere sbarazzata.

   E la gente parla.

   Il deturpamento fa parte del giorno, anche se voi non lo volete.

   Frog è quel tipo di artista che gioca con il dissenso, e di certo non piange se qualcuno o qualcosa deturpa l’opera. Per lui è più importante il messaggio piuttosto che l’opera in sé. Perché Frog concepisce un concetto di arte che ha più bisogno del contenuto piuttosto che della forma. L’arte è rivolta a tutti e deve essere in qualche modo fruibile a tutti. Un concetto simile pensato da Keith Haring, l’artista concettuale che aveva capito il bisogno di arte nelle persone più semplici. Perché tutti hanno bisogno della bellezza. Almeno sotto casa, perché oggi la gente difficilmente compra un dipinto, o una fotografia, o un disegno.

   L’arte in strada stimola la persona normale. L’arte crea dissenso. Guai se non fosse così. Frog funziona perché crea dissenso. Il dissenso è importante perché è alla base della libertà del pensiero che si muove.

   E il pensiero che si muove è il primo atto per il miglioramento di tutto ciò che è intorno a noi.

   Frog ha di recente realizzato un ritratto del procuratore Gratteri.

   Un lavoro abbastanza semplice.

   Notizia sui giornali.

   L’opera viene deturpata.

   Notizia sui giornali.

   Dissenso generale.

   Frog si nasconde tra le ombre di una città grigia, e tutti s’indignano per un deturpare che già faceva parte del gioco.

   L’importante è il dissenso, il sapere di avere una coscienza pensante.

   Lo seguo nei suoi percorsi. Ma non mi ossessiono a capire chi è. Capisco il suo progetto. Lo rispetto. Ne parlo come se fosse un ragazzo.

   Frog è un’idea, e tale resterà per il momento.

   Sarà lui/lei a rivelarsi un giorno.

   Però, intanto, aspettate con pazienza.

   E giocate anche voi a questo dolce scherzo.

Aurélien Facente, gennaio 2019

L’ipocrisia dello schierarsi nella massa che segue o si scontra con il politico di turno (e l’importanza del voto)

   Conoscete Scott McCloud? Non lo conoscete? Pazienza. Questo signore, tra l’altro un artista, si occupa di fumetti. Nel mondo del fumetto è molto conosciuto, soprattutto per i saggi che provano a spiegare l’importanza del linguaggio del fumetto in una società come la nostra. Leggere i suoi saggi, tra l’altro realizzati con il linguaggio del fumetto, sono, anche per chi non legge vignette abitualmente, un ottimo modo per capire l’evoluzione del linguaggio nella nostra società, che oggi usa molto della cultura del fumetto. Ora, nel primo saggio di Scott McCloud intitolato Understanding comics ovvero Capire il fumetto, c’è una tavola che spiega il ruolo dell’artista all’interno della società odierna. È una sequenza molto importante, la vera chiave che vi fa capire senza giri di parole come funziona una mente più sensibile in confronto alla massa. L’artista si muove con la massa, poi a un certo punto si ferma e osserva la massa prendere una direzione che, molto probabilmente, lo stesso artista non seguirà, proprio perché si è fermato. Quella scelta lo porterà a realizzare un pensiero che sarà tramutato in un’opera d’arte, presumibilmente.

   Oppure una semplice opinione di dissenso verso la massa.

   In ogni caso questo è anche il principio della libertà di pensiero, e il pensiero differente è un pensiero libero, e finché il pensiero è libero ci sarà sempre un contrasto di opinioni, ed è in base a questo contrasto che la società prova a evolversi, tra tanti bui e tante luci.

   Avendo velleità prettamente artistiche, quella tavola stessa mi fece capire che non dovevo rinunciare alla mia natura. Per nessun motivo. Il mio essere “diverso” dagli altri era un’opportunità che io dovevo cogliere.

   Ho fatto esperienza giornalistica in passato. Mi è servito “essere giornalista”. Non rinnego ciò che ho fatto, e fa parte del mio percorso di conoscenza. Però, poi ho lasciato il giornalismo. Io non ero adatto per il giornalismo di oggi. Io sono cresciuto nella libertà di espressione, nel rispetto dell’altro, nel cercare di vedere le cose in maniera oggettiva per offrire la migliore testimonianza al lettore (o all’utente visto che ci troviamo oggi in pieno linguaggio Facebook).

   Alcuni di voi mi conoscono, altri no. Ci sono anche alcuni di voi, nella vita, che mi contrastano perché non mi schiero.

   Schierarsi in Italia, oggi, equivale a fare un patto con il diavolo.

   Tesserarsi in un partito o in un movimento diverrebbe parte integrante del mio curriculum lavorativo, e di fatto limiterebbe la mia libertà di potermi creare delle opportunità.

   Qui, nel meridione, non è facile essere “indipendenti”, o almeno avvicinarsi a qualcosa di simile.

   Perché esiste un insieme di persone che non lo concepiscono, e perciò non lo tollerano.

   Conosco i partiti, e sono abituato a fare la distinzione tra ideali e persone, e distinguo tra persona e persona.

   Ci sono persone che usano davvero gli ideali perché credono in una società migliore.

   Ma poi ci sono anche persone che usano gli ideali come maschera, e nascondendosi dietro quella stessa maschera si permettono di compiere qualsiasi cosa che non abbia un interesse pubblico. E quando vengono beccati, loro usano la scusa dell’ideale, della bandiera del partito.

   Oggi non viviamo in una società di coerenza. Viviamo in una società fatta di contrasti e di ipocrisie. E si usa la maschera politica per nascondere la propria ipocrisia, vero male di questa società che gioca a fare la “perbenista”, quando poi la stessa politica non ascolta più i suoi cittadini.

   Ci dicono che loro sanno quello che è meglio per noi, ma negli ultimi 20 anni la macelleria sociale ha fatto molti danni. Ora la classe media in Italia non è classe media.

   Certo, nel frattempo qualche piccolo traguardo è stato tagliato. Ma a quale prezzo?

   Dopo la crisi economica, è arrivata la crisi culturale.

   Guardate gli indici culturali in Italia, ma soprattutto guardate al Meridione.

   Forse la cosa non vi interessa, perché preferite sapere se stasera avrete il vostro pezzo di pizza oppure la vostra puntata del Grande Fratello. Magari non v’interessa quello che io scrivo perché voi non volete togliervi il velo che vi siete fatti mettere. È vostro diritto non leggere. Ma poi non prendetevela se poi un giorno vi scrivo: “Io ve l’avevo detto.”

   Ho ricominciato a scrivere di attualità, dopo una lunga pausa, e già qualcuno prova fastidio. Perché il mio misero punto di vista è una piccola opinione di dissenso, quanto basta per aiutare il lettore a riflettere.

   Ma non basta per rispondere alla domanda.

   Perché non mi schiero?

   Perché se voi vedete che ciò che è intorno a voi, a livello politico, è formato da una serie di soggetti che in realtà sono e fanno tutt’altro che la vera politica per il cittadino, come avreste il coraggio di schierarvi apertamente?

   Io ho un difetto che è pure un pregio: la diffidenza.

   La diffidenza ti permette di mantenere un equilibrio, di non farti cadere dal baratro se stai attento.

   La diffidenza è un difetto per chi ti chiede il voto.

   Perché chi ti chiede il voto, deve sapere di aprire tutte quelle porte per convincerti che loro sono il meglio, che loro cureranno il tuo futuro, che loro ti troveranno il lavoro, che loro sono migliori e che gli altri sono peggio. Perché l’avversario è cattivo, brutto, razzista, pazzo. Già, loro sono meglio. Ma in passato magari ti hanno scippato qualcosa alla quale tenevi tantissimo.

   Ma è qui che sta il loro punto debole.

   Perché un vero politico, spinto anche da un ideale diverso dal tuo, s’interessa della tua opinione, si chiede perché hai un pensiero diverso, vuole parlare con te perché sa che il tuo punto di vista può essere prezioso.

  Questo tipo di politico, però, è molto raro. Tremendamente raro.

  Oggi ti trovi davanti alla scelta di scegliere tra tanti soggetti, e ti viene anche la voglia di non andare a votare.

   Ecco perché trovo preziosa la mia diffidenza. Perché poi osservo meglio il mio candidato, e ciò mi convince a fare la mia scelta di dissenso.

   La esprimo attraverso il voto.

   Può anche non cambiare nulla intorno a me, dopo. Ma ho espresso la mia libertà di pensiero, ho espresso il mio dissenso, e così acquisisco anche un altro diritto, ovvero quello di esprimermi liberamente.

   Tra poco ci saranno le elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale della Calabria.

   Ho già verificato la presenza di tanti voltagabbana. Ho già scelto il mio candidato a dire il vero. Seguirò la ragione e il cuore. Contribuirò nel bene e nel male all’elezione di qualcuno. Ma voglio dare il mio segnale.

   Nello stesso tempo non chiedetemi di schierarmi. Non ve lo dirò mai da che parte sto.

   Ma soprattutto non seguo la massa.

   La massa si schiera e s’incatena.

   Io preferisco restare a osservare, oltre che a esprimermi ovviamente.

Aurélien Facente, gennaio 2019

Quel signor Craxi che mi metteva soggezione

Una premessa. Questo è un articolo già scritto in precedenza per un altro blog (oggi non più in attivo), ma lo riscrivo perché è uscito il film “Hammamet” di Gianni Amelio, incentrato sugli ultimi giorni di Bettino Craxi.

Quello che segue è un ricordo del tutto personale.

  Il primo politico che mi ricordo? A dire il vero quand’ero piccolo vivevo Crotone come un piccolo paese delle meraviglie. Lo è ancora oggi, ma oggi è una cittadina di meravigliose cazzate oltre che di meraviglie vere e proprie. Meno male che la penso così almeno non mi deprimo. La devo per forza pensare un po’ come nel Piccolo Principe. Non dimenticarsi mai di essere stati bambini. E vi assicuro che dinanzi a certe situazione è meglio avere con sé la visione del bambino.

   Il primo politico che mi ricordo non è papà, ma quello che vedevo al tg della Rai a casa del nonno. Mi metteva soggezione con quella sua altezza che non apparteneva ai politici italiani che a volte potevano essere grossi oppure bassi come i sette nani (o quasi).  È sempre stata la sua altezza, e poi aveva quel cognome strano, non propriamente italiano. In fondo Bettino mi stava simpatico, pur mettendomi soggezione. Perché anche lui aveva un nome strano per le orecchie di altri. Non conoscevo gente che si chiamava Bettino, ma non conoscevo nemmeno gente che si chiamava Aurélien. Ascoltare il suo nome spesso e volentieri mi dava un senso di sicurezza.

   Sono troppo piccolo per ricordare certi dettagli degli anni 80’. La tv era fatta per vedere il grande Mazinga e Jeeg Robot. Il tg lo schifavo. A me piacevano i supereroi. Ma Bettino mi stava simpatico. In fondo non era noioso, e sentire il suo nome m’instillava sicurezza.

Poi un giorno ci fu la sua visita a Crotone. Vidi l’evento in tv per qualche minuto. Bettino era a Piazza Pitagora. Lui parlava, e sotto di lui un sacco di gente.

   Man mano che sono cresciuto, poi ho capito chi era Bettino Craxi nella sua storia politica e italiana. Ogni tanto ne sento parlare, e le discussioni sono molto accese. Non so se definirlo eroe, ma di sicuro voglio spezzare una lancia a suo favore. Non è stato un ipocrita nel vero senso della parola. Nello scandalo Tangentopoli avrà avuto il suo ruolo di rilievo, ma è stato chiaro nell’ammettere che questo sistema è stato condiviso da tutti. Ha scelto l’esilio, e in fondo lo capisco. A nessuno gli va di giocare il ruolo del capro espiatorio principale, poiché il sistema era, di fatto accettato, da tutti.

   Ora non c’è più. Ma continuo a ricordarlo perché fantasticavo su di lui, perché con il suo nome, Bettino mi aveva aiutato ad accettare a essere Aurélien nel bene e nel male.

In realtà Bettino mi è tornato in mente per via di un sogno. Mi trovavo all’interno di un ateneo universitario dove dovevo svolgere un esame di politica. Ma dovevo seguire un corso prima di sostenere quell’esame, Insieme con me a fare il corso c’erano Silvio Berlusconi e Romano Prodi. E indovinate chi era il prof? Proprio lui. Il signor Bettino. Ma nel sogno era chiamato il professor Craxi.

   Nel sogno Silvio e Romano si facevano i dispetti l’un l’altro, ed io mi ci trovavo in mezzo quando volevo seguire la lezione di politica del professor Bettino, perché senza quella lezione non potevo studiare.

   A un certo punto il professor Bettino si accorse di Silvio e Romano. Senza neanche dire una parola, li tirò per le orecchie, e li buttò fuori dalla classe. Poi si rivolse verso di me, e mi disse con quel suo vocione: “Facente, non farti calpestare. Quando qualcuno fa il bulletto bisogna farlo smettere. E poi francamente quei due mi stavano sulle scatole da un po’. Bene, adesso torniamo alla lezione.”

   Mi svegliai. Era solo un sogno. Uno stupido sogno. Mi misi a sorridere a denti stretti. Non perché avevo sognato Bettino Craxi che tirava le orecchie di Romano Prodi e di Silvio Berlusconi, ma perché tutto il sogno era assurdo. Talmente assurdo che forse più di qualcuno avrebbe voluto che il sogno fosse realtà.

   La Storia la sappiamo un po’ tutti com’è andata, e purtroppo non possiamo cambiarla.

Tornai a dormire, sapendo che Bettino sarebbe inevitabilmente apparso in qualche mio blog. È pur sempre venuto a Crotone, e ha parlato a Piazza Pitagora, e c’era un sacco di gente, ma proprio un sacco…

   E questo un bambino non se lo dimentica.

   Non ho visto il film di Gianni Amelio. Non ancora. Ho ascoltato di tutto su Craxi negli anni che seguirono dopo il suo esilio e dopo la sua morte. Anche sul film se ne sono dette parecchie. Oggi non oso raccontare Craxi oltre il mio ricordo e questo sogno che feci anni fa. Ero bambino quando Craxi era al centro della politica italiana. Era il primo politico che ho visto in televisione. Lo riconoscevo facilmente. Mi colpì più degli altri perché era profondamente diverso. E molto probabilmente ha pagato questo “suo essere diverso”. Di sicuro, nascondere la storia di Craxi, nel bene e nel male, fa male al Paese. Perché per un periodo lui era il Paese…

Aurélien Facente, gennaio 2019 

Quel fenomeno di Matteo Salvini che molti si ostinano a non capire e a non vedere…

Da oltre un anno, chiuso nel mio antro, mi capita di vedere e ascoltare spesso Matteo Salvini, soprattutto nei video che fa e nelle interviste che rilascia. Osservo i suoi movimenti, ascolto il suo modo di parlare, sono un mezzo meridionale (la mia altra metà è francese) e non mi lascio trascinare dalle offese del passato.

   Conosco le provocazioni leghiste da quando andavo alle elementari. Pensate un po’. La maestra ne parlò apertamente una volta, definendo la Lega (che allora si chiamava Lega Lombarda) come pericolosamente razzista. Ne parlammo in quinta elementare, e correva l’anno 1989. Ma a dieci anni non ne capisci di politica.

   Poi negli anni 90’ fu Umberto Bossi il nemico da abbattere. Divenne protagonista antipatico del primo governo Berlusconi, e poi negli anni ne abbiamo viste di tutte, tra cui la celebrazione secessionista con tanto di bandiere nel Nord Italia.

   Poi, in pieni anni duemila, il terremoto giudiziario che di fatto distrusse il partito, riducendolo ai minimi termini. E infine iniziò l’era di Matteo Salvini.

   Un breve sunto di un soggetto che oggi fa pianta stabile in maniera preponderante del panorama politico italiano.

   Chi mi ha fatto guardare con occhi diversi Matteo Salvini è lo scrittore Mauro Corona, che occupa ogni martedì uno spazio televisivo nel salotto del programma “Carta Bianca” condotto da Bianca Berlinguer. Il buon Corona, noto per essere un uomo di montagna e un artista abbastanza poliedrico (non scrive solo libri, ha il suo pensiero da intellettuale tendente a sinistra, ma molto più indipendente. Ascoltare Mauro Corona è indicativo, anche perché è l’unico scrittore che dialoga con Salvini. E quando si accende il dialogo tra i due, ecco che la strategia del politico Salvini lascia spazio all’uomo.

   Sostanzialmente, in questa fase, è più utile ascoltare questo dialogo piuttosto che andare ad ascoltare o leggere uno come Saviano, che con Salvini vive una guerra mediatica che sa più di altro, ottenendo l’effetto che Salvini si è prefissato, ovvero maggior consenso.

   Ascolto Salvini, così come ascolto tanti altri figuri della politica contemporanea. Ascolto, osservo, imparo, e soprattutto non mi lascio condizionare dal pettegolezzo del web. Io ho amici che odiano Salvini. Lo scrivono su Facebook ogni santissimo giorno (neanche a Natale prendono una pausa). Al Sud Salvini è diventato un’ossessione.

   Ed è qui che Salvini gioca la sua partita.

   Se fosse un allenatore di calcio, Salvini entrerebbe di diritto nella storia dello sport.

   Il paragone sembra azzardato, ma l’esempio è chiaro.

   Ha preso un partito ridotto allo zero, spaccato, maltrattato. In pochissimi anni è diventato il primo partito del cosiddetto centrodestra. Anche Berlusconi ha dovuto mollare la presa (stiamo parlando di quel Silvio che in politica amava primeggiare a costo di far fuori i suoi migliori alleati).

   Se al posto della parola “partito” mettete l’espressione “squadra di calcio”, si capirebbe che sarebbe un allenatore di ottimo livello.

   Quindi, attenzione a definirlo “ignorante” o altro. È la tipica persona che sa incassare ogni genere d’insulto. Non si lascia impressionare. Anzi, addirittura risponde a tono. Nelle interviste, soprattutto quando l’avversario lo provoca, lui risponde a tono e nella maniera più democratica possibile. Anzi, a volte è pure fastidiosamente ironico. Però, centra il bersaglio. Lui forse non offre idee, ma gli altri nemmeno ne offrono di migliori. I suoi avversari più accesi usano lo scontro verbale con parole come “fascista”, “razzista”, “ladro” e altri epiteti, cadendo nella trappola. Sì, perché Salvini (con tutta la sua squadra) usa il web come non mai. Parla alla gente usando un linguaggio rassicurante. Usa spesso la parola “lavoro”. E soprattutto mantiene davanti al video sempre il controllo.

   Gli avversari lo denigrano, ma alla fine sono loro che devono rincorrere il primo in classifica.

   Ma nessuno risponde alla domanda? Come ha fatto la Lega a essere il primo partito del centrodestra in così poco tempo?

   La Lega nasce con un intento di realizzare un sistema federale all’interno dell’Italia, e nel passato non ha avuto paura di parlare di secessionismo federale. Ma questo poteva funzionare all’interno dell’Italia stessa.

   Quando l’Italia entra a far parte dell’Europa, lo scenario cambia totalmente.

   L’Europa è un insieme di Stati, ma non è una federazione. Questa caratterista è il vero limite dell’Europa. I primi a capirlo sono i leghisti, seguiti anche dai 5stelle (in Italia) quando erano all’opposizione del governo italiano. Tutto questo antieuropeismo nasce da come viene trattata la Grecia (altra situazione complicata), e da un blocco inglese che non le manda a dire (tanto che adesso c’è la Brexit).

   Quindi la Lega Nord diventa Lega perché per staccarsi da questa Europa e riportare l’indipendenza all’Italia, l’unica strada è proporre proprio il federalismo europeo (proposta interessante, a dire il vero) e per farlo bisogna prendere i voti dal nord al sud, e andare di persona a prendersi questi tanti voti.

   E cosa fa Matteo, eletto segretario generale della Lega?

   Inizia a viaggiare, e prende nota. Trasmette tutto sulla sua pagina Facebook e sugli altri canali social.

   All’inizio lo sottovalutavano, ma lui predica e ostenta pazienza (quella che non hanno i suoi avversari, e forse nemmeno i suoi alleati). Lui insegue la strada del consenso, e usa internet per farlo, tenendo conto che anche la televisione gioca un ruolo importante. Va in tutti i programmi televisivi e immaginabili, anche quelli dove Berlusconi (che un tempo era il primo riferimento del centrodestra) non andrebbe.

   Incassa, incassa, incassa. Ma non si abbatte. Anzi, addirittura la sfida è stimolante. E soprattutto dialoga. Eccome se dialoga. Non perde mai il controllo, anche quando lo scontro si accende.

   È come colpire un campione di boxe. Per essere campioni di boxe, non bisogna saper soltanto colpire, ma bisogna anche saper incassare. E il buon Matteo sa incassare. Anzi, lui si fa vedere mentre incassa gli insulti, e così facendo inizia la sua scalata verso il consenso, giocando proprio sul bisogno di semplicità che oggi l’italiano medio ha tanto bisogno.

   Gli altri si agitano. Lui non si scompone.

   Voi lo condannate? A lui non gliene frega niente, perché il dissenso fa parte del gioco.

   Lo chiamate fascista? Eppure lui usa i mezzi e non rifiuta le interviste scomode (oddio, rifiuta quelle che sono fattivamente inutili e ripetitive, e qui posso umanamente comprenderlo). Anzi, addirittura vuole che si parli di lui, perché aumenta il consenso.

   Lo chiamate pazzo? In politica come in guerra non esistono regole di fair play. O sai incassare e colpire, oppure è meglio stare zitti. Oggi la politica si semplifica così, e la vera politica non trova più spazi televisivi perché l’editoria varia non la concede.

   Quella la trovate in libreria, alla radio, forse in qualche programma notturno, e in qualche filmato via internet. Per il resto tutta la politica parla ormai un  linguaggio internet, e qui Matteo eccelle in materia. Lui, come la sua squadra, perché il Capitano è sorretto da una squadra che voi non vedete, ma c’è. Una squadra di comunicazione fatta apposta per lavorare per lui e con lui. Quindi non credete che sia solo. Lui è il segretario, ma non è solo.

   Dietro di lui, i sostenitori, i membri, gli attivisti… Tutta gente che sa come organizzarsi, e che può vantarsi di aver amministrato bene in alcune realtà (sempre a discapito del Sud, si sa). Quindi sa come andare a conquistarsi un Comune o una Regione. Ma il Capitano ha preso di balzo la volontà di conquistare la nazione, e per farlo ha capito (o gli hanno fatto capire) come immettersi nei posti non più frequentati dalla Sinistra perché preferisce sentirsi eletta oppure al sicuro di un caldo salottino da VIP.

   Guardate dov’è andato in Calabria.

   A Crotone venne quasi da solo. Non si mostrò in pubblico come altri leader, ma si fece intervistare. Con lui c’era la squadra che non vedevate. Andarono alla stazione dei treni di Crotone, e denunciarono il degrado della bidon ville che si era creata in quella zona perché le persone “extracomunitarie” erano in attesa di un documento, e non potevano muoversi. E aspettavano giorni e giorni alla stazione, abbandonati da un sistema che si definiva “accogliente”, ma che nelle vicinanze di un ufficio dei documenti non aveva previsto la costruzione di un dormitorio.

   Ecco, Matteo sarà pazzo e folle. Qualcuno lo vede come il diavolo, ma è innegabile il suo talento per guardare in faccia i problemi e portarli sul piatto del dibattito. Lui non avrà la soluzione (tranne quella drastica e forte), ma neanche gli altri hanno la soluzione pronta a dire il vero.

   Matteo è il Capitano della sua squadra. Ha fatto quello che qualsiasi segretario deve fare. Metterci la faccia e andare nei posti, e saggiare la realtà.

   Ma oggi Matteo è senza dubbio diverso. Ha fatto il ministro dell’interno in un governo ibrido con i 5stelle. È andato volutamente all’opposizione, scatenando una crisi politica pesante. Ha incassato il colpo, ma poi ha ripreso a fare quello che gli riesce meglio, ovvero parlare alle masse.

   In fondo lui è stato scelto dalla Lega per essere il segretario vincente.

   Punti deboli?

   Pochissimi, addirittura comici.

   Ma uno forte c’è. Un punto debole pesante.

   Un punto debole artistico, a dire il vero.

   Una scultura provocatrice, qualche tempo fa, che lo ritraeva come un assassino che sparava con i migranti lo ha fatto vacillare. C’è il video su YouTube. Quindi lui ha una sensibilità evidente per il dissenso che l’arte provoca. Una cosa che lui stesso non si aspettava. Provate a guardare e ascoltare i suoi dialoghi con Mauro Corona, uno scrittore con idee lontane dalle sue. Aprite le orecchie, e lì vedrete i limiti reali del Capitano. Ma solo se siete bravi e pazienti ad ascoltarlo.

   Ma ora il Capitano sta giocando la sua partita più grossa. Sta provando a prendersi l’Emilia Romagna per scardinare quel centrosinistra che, paradossalmente per tradizione, offriva una società funzionante. L’unica sacca di centrosinistra che funziona, ma che ha perso il consenso. Perché la sinistra si è mutata nel tempo, e lui, Matteo, lo sa bene.

   Dieci anni fa, nessuno avrebbe mai pensato che la Lega potesse candidarsi in Calabria. Oggi succede, e sta accadendo. La Lega ha preso voti importanti alle scorse europee, nella regione che si sente “più orgogliosamente terrona”.

   Conquistare la Calabria è importante per la Lega. Perché da qui parte la conquista per l’Italia. Conquistare l’Emilia sarebbe storico, ma conquistare la Calabria è strategicamente importante. Per una questione d’immagine, ma soprattutto per una questione di potere.

   Il popolo calabrese è chiamato a votare adesso.

   Su Facebook mi rendo conto delle spaccature anche tra persone che si conoscono. Addirittura un professore ha scritto una lettera personale perché le persone vadano a votare PD perché la Lega ha sempre insultato il Sud. Ma è anche vero che il Sud è stato maltrattato da politiche insane, approssimative, superficiali e clientelari. La gente, quella che va a votare, ha voglia di assaggiare il veleno che non ha assaggiato. È un fenomeno democratico del voto, e quando si tratta di mettere una ics la gente non esita a farlo.

   Però quanta gente andrà a votare? Cinque anni fa il 45% degli aventi diritto ha votato. Una minoranza ha votato. E sappiamo com’è andata a finire…

   Il Capitano ha letto questo dato, e da qui è partita la costruzione del partito in Calabria. Tutti a sfotterlo, ma intanto ha costruito e adesso si presenta all’esame del voto. Il primo vero voto importante a livello nazionale. Ha preso qualche Comune nel frattempo, ma sulle regionali sono caduti i migliori segretari di partito. E il Capitano non vuole cadere. Potrà anche perdere, ma a lui interessa impensierire, giocarsela, perché tanto il trofeo è vicino. E sa che a deciderlo saranno ovviamente gli elettori che andranno a votare.

   Perciò, caro professore, forse sarebbe meglio invitare le persone a esercitare la libertà del voto, senza indicare il PD. Lasciare che si esprima, perché il primo nemico della Calabria non si chiama Matteo Salvini, che è una conseguenza delle pessime politiche del passato. Perché queste politiche pessime hanno snervato l’elettore, portandolo a restarsene a casa e ad accettare passivamente.

   Il Capitano lo sa questo, e guarda caso si è fatto vedere in posti, compresa Crotone, fino a poco tempo fa impensabili.

   La partita è iniziata.

   Il Capitano ha portato la sua squadra dove voleva, ovvero a giocare una finale.

   Allora la domanda è: l’elettorato saprà parare il rigore del novantesimo minuto?

Aurélien Facente, gennaio 2019

Crotone, la mia amata e la mia odiata

Il rumore delle onde del mare, mischiato ai miei passi sulla sabbia. Ogni tanto vado in spiaggia, e mi allontano fino a dopo il cimitero, per poi voltarmi e guardare Crotone in lontananza. Sto fermo un po’, mentre ascolto le onde del mare che battono sulla spiaggia.

   A volte ho bisogno di star da solo, di camminare senza una direzione precisa. A volte porto la mia macchina fotografica, a volte solo un taccuino dove poter scrivere qualcosina o poter portare dietro di me un momento.

   Guardo la mia Crotone, la mia amata e la mia odiata.

   Non offendetevi. Ognuno di noi ha un rapporto schietto con la propria città, fatto di tanto amore, ma anche di profondo odio, tra l’altro dettato da una rabbia che ognuno di noi tiene dentro.

   C’è il bel clima, c’è il sole, c’è il mare, c’è la storia.

   Questa filastrocca la sento da 40 anni almeno.

   Certo, c’è il Crotone Calcio che ti fa sognare la serie A. Puoi parlare di Pitagora e Milone senza sapere in che epoca sono vissuti. Ci sentiamo antichi Greci quando ci conviene, o diventiamo calabresi quando il leghista del nord offende il calabrese, o diventiamo all’improvviso comunisti quando il vecchio Partito Comunista è stato messo da parte. C’è qualche sacca, ma quando non hai un mondo operaio accanto, non puoi dar valore al comunismo.

   Odio Crotone a volte.

   La odio perché negli anni ho visto tanti, troppi, opportunisti e pochissimi costruttori di idee.

   La odio perché ho fatto il Don Chisciotte contro i mulini a vento, e adesso tutti son circondati da pale eoliche che non ti hanno migliorato il paesaggio circostante.

   La odio perché il popolo che è restato e non è partito si è rassegnato a convivere con una normalità che non è una normalità.

   Manca il lavoro. L’economia si è ormai decostruita. Andarsene sembra essere la soluzione migliore. Perché il poco lavoro che c’è è statale, oppure d’attività, oppure ti butti sull’alimentare e ti apri un ristorante, un pub, una pizzeria. Ti fanno credere che il vero lavoro è solo quello che ti si propone a Crotone, e io rispetto tutti questi lavori. Ma poi c’è il resto.

   Puoi provare a diventare un calciatore, ma qui la concorrenza è spietata. Puoi provare nella pubblica amministrazione, ma i posti sono limitati. Puoi provare in un qualche centro commerciale, ma il tuo contratto è di breve durata. Così come puoi provare al call center, ma la situazione non migliora.

   Ci sarebbe il lavoro nero, ma poi se hai qualche invalidità non ti conviene e poi non ti prendono. Perché se ti scoprono, poi il tuo capoccia passa i guai, e alla fine si sa che quando l’economia si riduce diventi avverso allo Stato e alle sue regole rigide.

   Si dice che nell’ultimo anno, l’attività di vendita sia diminuita del 60%. Meno acquisti vuol dire meno economia mobile, il che si tradurrà in meno tasse. E a Roma vogliono darci la colpa di questa contrazione economica.

   Si vuole colpire gli evasori, che ci stanno e sono un danno, ma non si vuole parlare di sviluppo. Si potrebbe fare, ma quando hai a che fare con un certo modo di pensare. Non è una questione politica, ma antropologica. Perché qui il politico si sente superiore a te. Magari gli parli delle tue idee, ma poi te le fotte abilmente. Se ne impossesserà, ma poi non le potrà realizzare a dovere. Perché in fondo non ha studiato come te, e allora preferisce dirti che sei intelligente, ma solo se lo voti o voti qualche suo amico. E poi vieni dimenticato o messo da parte, a patto però che tu non abbia da parte una sessantina di voti. Perché se non hai una famiglia numerosa, è difficile che tu abbia un futuro.

   A Crotone c’è un mondo giovane. C’è sempre stato. Ma oggi è un mondo giovane impaziente di andarsene. Sì, perché i più grandi hanno raccontato che è meglio andarsene da Crotone, che fuori ci sono ben altre possibilità. Quindi meglio andarsene, ma una vita migliore davvero c’è?

   Già, meglio soffrire fuori che qui.

   È il terribile presente che i giovani vivono. Un presente condiviso con chi ci vive da sempre qua.

   Ma tra questi giovani c’è una paura camuffata. Giocano a fare i forti, ma i loro sogni sono di fatto uccisi se restano qua. C’è chi tra loro sceglie di restare, con grossi prezzi da pagare tra l’altro. Giovani senza un’idea di orizzonte.

   Ma tanto c’è il bel clima, c’è la Magna Grecia, le imprese del Crotone FC. Bastano queste tre cose per costruirti il futuro…

   Però poi vivi in una terra dov’è stato sepolto di tutto. Già, parlo di quelle sacche di rifiuti industriali che hanno bisogno di essere bonificate e che, di fatto, impedisce una pronta rinascita.

   Ma non tutto è da buttare.

   C’è un mondo nascosto che cresce. C’è una coscienza che cresce. C’è una consapevolezza di non arrendersi. Poche cose, ma buone. In questo mondo nascosto c’è forse la soluzione.

   Guardo Crotone da lontano.

   La amo e la odio.

   Ritorno verso di te, mia Crotone, mentre il mare continua il suo lungo canto. Do uno sguardo verso l’orizzonte, mentre il sole scende.

   Un giorno finisce. La notte arriva.

   E domattina il sole sorgerà dal mare, per illuminare una città che deve liberarsi della sua oscurità.

Aurélien Facente, gennaio 2019

Campagne elettorali strapiene di paginette e profili Facebook

Che Facebook abbia cambiato il modo di comunicare tra noi ominidi umani è ormai un dato di fatto. Ma che Facebook sia il problema è la più classica delle masturbazioni mentali, perché di fatto sono le persone a usarlo e sono responsabili del come lo usano. Ogni giorno vedo tanti di quei post copia/incolla che mi stupisce che in questa umanità nessuno ha capito che Facebook funziona come un’azienda telefonica. Il mezzo cambia, ma il principio è lo stesso.

   Al di là di questa introduzione, c’è da dire è che da un pezzo la politica usa qualsiasi mezzo a disposizione per fare la propria propaganda, soprattutto quando inizia la campagna elettorale che ci porterà a votare e a scegliere quegli eroi che si troveranno per tot tempo ad amministrare la cosa pubblica.

   Quindi prima vi invadevano di fogliettini anche messi sotto la porta d’ingresso. Oggi vi invadono con i profili fake (non personalmente gestiti dai candidati stessi in buona parte) e con tante paginette pubbliche, dove v’inviteranno a mettere il like, detto volgarmente oggi “mi piace”, giusto per intenderci.

   E così prende vita il grande catalogo delle regionali (visto che tra poco si vota in Calabria, terra dove risiedo), poi toccherà alle comunali, poi magari toccherà alle nazionali, e così via. Peccato, perché la raccolta delle figurine era sempre preziosa, se non altro perché avevo un’idea con chi avevo a che fare.

   Quindi quando prendo lo smartphone e vedo su Facebook le tante pagine sponsorizzate, mi viene il sorriso. Un sorriso abbastanza amaro.

   Non sono ipocrita. Qualche paginetta la seguo, ma seguo solo quelle di soggetti con i quali magari ho collaborato o di quelli che qualcosa da dire ce l’hanno davvero (adoro soprattutto le pagine di chi è definito “coglione” da altri, quando sarebbe meglio analizzare i contenuti). Adoro le pagine di chi parla al proprio elettorato, anche mostrandosi in video. Adoro chi magari ha un blog e condivide i suoi punti di vista.

   Ma poi la cosa finisce lì. Non metto like alle pagine durante le campagne elettorali e nemmeno ai candidati. Magari accetto qualche amicizia fake, ma solo per il gusto di togliermi giusto la curiosità. E già so che chi c’è dietro se ne fotte completamente di me, visto che cerca consenso e voto.

   Funziona uguale per tutti.

   E tutti che si fanno la foto simpatica e che vogliono apparire angelici, come eroi invincibili contro un sistema al quale molti di loro hanno contribuito alla sua costruzione. Mi piacciono soprattutto i cambia casacca che si riciclano puntualmente, perché più che la politica gli interessa molto probabilmente il portafogli più gonfio.

   Certo, c’è chi fa politica in modo serio. Mica condanno tutti. Sono quelli che puntualmente aggiornano le loro pagine, e che non le abbandonano al caso. Sono quelli che ci credono in qualcosa di più trasparente. Ci sono anche quelli (ahimé troppo pochi) che vi rispondono direttamente e senza fronzoli.

   Ecco. Questi li rispetto.

   Ma gli altri possono anche andare a farsi un giro. Perché tanto tra qualche settimana le loro paginette ricadranno nel silenzio. Non hanno contenuti da offrire, ma forse solo qualche selfie fatto in giro. Adoro le foto dei vostri banchetti sulla strada. A un certo punto non manca la foto di tutta l’armata Brancaleone in piedi e tutti a sorridere come se voi foste la risposta ai problemi, quando magari voi siete parte del problema.

   Non dirò chi voterò o per chi farò campagna elettorale. Purtroppo lor signori devono capire che per uno come me prendere una posizione in una lunga serie di candidati del non senso diventa difficile. Ci tengo alla mia sanità mentale e alla mia salute.

   Quindi vi auguro un “in bocca al lupo” perché più di questo non posso fare.

   Se poi accettate di avere un incontro più o meno privato con me, magari avrete la mia considerazione (che è già qualcosa in questa società votata all’indifferenza).

   Ho un solo consiglio per voi, però. Un piccolo consiglio. Quando chiedete l’amicizia su Facebook, guardate un po’ l’attività dell’altro. Una semplice e piccola questione di rispetto. Non esistono solo i vostri bei selfie e le vostre belle paginette.

   Esiste anche altro nella vita, e sarebbe bene che lo consideraste.

   Quindi, non rompetemi ulteriormente con la propaganda, e mostratevi a me se avete coraggio, che credo sia più importante dell’apparire “fighi” agli altri.

   Lo so che sembro severo, ma in realtà voglio vivere con serenità la mia vita e tenere lontani da me alcuni problemi di stitichezza.

Aurélien Facente, gennaio 2020