LA BARCA DELLA DISCORDIA E DEL DISSENSO

Vi confesso che non avrei voluto scriverne a proposito di questo atto di vandalismo nei confronti di un’opera che è, di fatto, un lavoro che crea discordia e dissenso. Non avrei voluto scriverne perché sarei tacciato di essere chissà che cosa quando in realtà una formazione artistica la posseggo, e avendo contribuito a mostre e opere d’arte in passato… Beh, una parola ce la potrei mettere.

Facciamo così. Vi propongo una scelta: una pillola rossa e una pillola blu. Se scegliete la pillola rossa, cambiate canale e non andate oltre. Credete che Crotone sia l’unica città al mondo meritevole di considerazione e avete una dimensione favolistica che purtroppo vi rende sensibili. Se è così, prendete la pillola rossa e non andate oltre.

Se invece scegliete la pillola blu, avrete a che fare con la lettura di un pezzo scritto da un blogger spietato, additato come fascista, razzista e quant’altro ancora. Questo è il prezzo che pago volentieri per mantenere lo sguardo dell’oltre, ovvero non fermarmi alla solita apparenza per esprimere chissà quale solidarietà, se prima non si prova a conoscere il male. Non quello che viene raccontato su qualche giornaletto. Si tratta di quel male o malessere tangibile che il più delle volte non viene visto e nemmeno ascoltato. Ora, se scegliete la pillola blu lo fate a vostro rischio e pericolo, ma almeno avrete la possibilità di non sentirvi ipocriti, L’ipocrisia rende ciechi. Invece qui bisogna guardare le cose con chiarezza.

Fermo restando che non ho nulla contro l’attività civica di IO RESTO, associazione che fa del civismo la sua attività principale. Potrei semmai discutere delle scelte artistiche, alquanto kitsch, che puntualmente hanno anche suscitato delle critiche, alcune anche molto ingenerose. Ma se l’arte non suscita dissenso, non suscita emozione. Lo scrisse la scrittrice inglese Jeannette Winterton nel suo bellissimo saggio “L’arte dissente”, oggi introvabile.

Dato che ho citato la Winterton, quindi già questo mi permette di poter dire la umilissima mia opinione, la domanda che mi sorge spontanea è dura ma obbligata: ma che vi credevate?

Partiamo da un presupposto. Qualche notte prima, nello stesso parco Pignera, sono state vandalizzate delle panchine. Gesto compiuto da sconosciuti che prima o poi puntualmente lo avrebbero ripetuto. Cosa avvenuta tra l’altro. Quindi, esiste un problema. E non si risolve con la solidarietà conveniente che si esprime su Facebook il più delle volte,

Partiamo da un altro presupposto storico. La barca in questione non è stata l’unica opera vandalizzata nel tempo. Ce ne sono state altre. Ne cito due: il monumento dedicato alla tragedia delle Foibe, qualche anno fa, ed era stato appena inaugurato. E il monumento dedicato ai caduti italiani in Russia nella Seconda Guerra Mondiale, dopo qualche giorno vandalizzato con scritte oscene.

Gesti compiuti con ovvietà da bulli in una città che in realtà non gli offre grandi aspettative, anche perché ferma mentalmente negli stessi cliché da almeno un buon biennio in maniera ferrea,

Dico bugie? Mi sapete dire quale opera d’arte è stata prodotta in maniera imponente da lasciare un segno nell’immaginazione mondiale? Se escludiamo il Rino Gaetano di Jorit, il resto è zero. Proprio perché si tratta di opere kitsch o di monumenti celebrativi di caduti in guerra che, però, hanno il compito di mettere in risalto i nomi di chi non è potuto tornare a casa, e perciò sono assolti dal dover essere belli per forza.

Ma che Crotone artisticamente parlando esprima del kitsch è fuor di dubbio. Non la prendete come una critica distruttiva. Il kitsch ha anche il suo perché, ma se saputo fare però. Penso al mitico Anton Furst che con un buon uso del kitsch riuscì a rendere uniche le atmosfere del film Batman di Tim Burton nel 1989, tra l’altro campione d’incassi. Ma Furst era Furst. E qui non esiste Furst,

Ora analizziamo l’opera danneggiata dal fuoco.

Un utente straniero si domanderebbe il perché della realizzazione di un’opera del genere. Fermo restando che non discuto l’idea artistica, ma il messaggio che vorrebbe dare.

IN qualche bella giornata un gruppo di persone si è messo all’opera di un lavoro che doveva indurre alla riflessione sui tanti esuli in mare che vogliono arrivare in Europa e che bisogna accoglierli perché qui si vive bene. Io sono d’accordo nel salvare vite umane, ma sarei ancora più felice se nella mia città non ci fosse nemmeno quella bidonville di stranieri che si era rifugiata sotto il cavalcavia Nord (quello che si affaccia ai resti della gloriosa industria di Crotone), oppure mi piacerebbe non trovare gente di notte che non ha un letto dove poter dormire.

Quindi quest’opera nell’immaginario collettivo nasce in un ambiente che è già un controsenso se ci riflettete un po’.

Ma non fermiamoci qui. Andiamo ancora oltre.

Crotone ha un alto tasso di disoccupazione e di precariato lavorativo. Siamo un’isola felice, davvero? La disoccupazione e il precariato eccessivo generano già di per sè una forma di degrado sociale che si chiama povertà, e se imponi un altro tipo di povertà come quella degli esuli, ti raccomando la bomba sociale. La povertà si tollera, scrisse Dominique La Pierre nel suo capolavoro “La Città della Gioia! ambientato in India.

La città si è impoverita, di fatto, e per di più bisogna sopportare un principio di propaganda pseudoeuropeista che incoccia con la realtà di Crotone che è un controsenso continuo.

Quando da appassionato di arte, ho visto l’opera, mi è salito un rigurgito. Non che la disprezzi, ma è il sapore kitsch che non andava. Anche perché, purtroppo per gli altri, avendo studiato all’università i testi di André Gide sul Congo, i testi di Ryzsard Kapuscinski che l’Africa l’ha vista davvero e i testi storici delle colonizzazioni in Africa… Beh, vi lascio immaginare quando ho capito che si trattava del solito film a senso unico su un fenomeno di enorme portata che si riduce al solito chiché per non dirsi di essere… ecco,.. razzisti.

In ultimo c’è un qualcosa che mi disturba artisticamente parlando, ovvero la canonizzazione della disgrazia. In Italia abbiamo la triste mania di canonizzare la disgrazia per autoassolverci di eventi che sono purtroppo capitati. A Crotone si è voluto vivere per forza intensamente un evento tragico come il naufragio di Cutro non affrontando il trauma, ma cercando di autoassolverci come se quel delitto marittimo fosse colpa nostra. E mentre piangevamo, non ci siamo accorti che la città di Crotone ha bisogno di guardare oltre perché troppo prigioniera degli stessi argomenti da un buon quarantennio.

E certo. Perché conviene far vivere un pensiero retrò e restare fermi nel tempo. Come se questo lavasse le coscienze. Nella realtà non è così, altrimenti non si esprimerebbe il dissenso in tal modo. Anche se dà enormemente fastidio.

Ora, rivedendo, l’atto vandalico, non giustificabile, si è venuto a creare un paradosso. Ora l’opera in questione ha il suo sapore di verità. Perché il viaggio nel Mediterraneo, ma anche in altri mari, per la migliore vita non è un viaggio colorato, ma un percorso pieno di insidie e di incognite, e queste persone non arrivano con un transatlantico super attrezzato. Ora l’opera vandalizzata assume la sua reale funzione, e permette di vedere chiaramente il racconto che essa vuole trasmettere.

La tragedia.

Si dice che non tutto il male viene per nuocere.

Ma, qualche volta, capita che un male faccia vedere con chiarezza un altro male.

Anche questa è una verità-

Mi auguro che dopo attenta riflessione si tenga in considerazione di tenere il monumento in questo modo. Ovvero quello di un viaggio difficile e pieno di insidie. Solo così si può far passare il messaggio nella sua verità.

Altrimenti possiamo sempre raccontarci lo stesso film. Un film irritante tra l’altro.

Vi esprimo la mia comprensione perché doverosa. Mi auguro che i colpevoli siano trovati (nutro i miei dubbi qua), e che prima di condannarli a priori si abbia la decenza quantomeno di ascoltarli. Perché a Crotone esiste un folto gruppo di cittadini che non ha ascolto e, cosa più grave, viene denigrato quando solo osa fare una riflessione.

Ma si sa. Capire il dissenso è un argomento troppo difficile qui a Crotone.

Aurelien Facente, 21 maggio 2024

Fuori i veleni di Crotone? Un remake tutto buzz e poco Arisa…

IERI SERA, 17 MAGGIO 2024

10 ANNI FA

Ora chi ha memoria un pochino ci pensa. Ieri 17 maggio si è tenuto un concertone di quelli memorabili con la splendida voce della protagonista dei reality show Arisa, portata in pompa magna dall’agenzia spettacolo capitanata dalla giunta Voce.

Fin qui nulla di male. Siamo alla festa della Madonna di Capo Colonna, ed è giusto puntare sempre più in alto. Al di là dell’ambizione, il risultato finale è demenziale. Non il concerto, ma quella che voleva essere una provocazione, un sussulto di coscienza, uno sforzo combinato perché la gente stia da chi di bonifica ne ha fatto una battaglia vitale, talmente vitale che sarà il principale argomento elettorale nei prossimi due anni, ovvero la bonifica dei siti industriali dismessi di Crotone. Un argomento ormai trentennale che oggi ha il sapore di un remake fatto male, tra l’altro con l’inserimento della Madonna di Capo Colonna che di sicuro attirerà le ire di San Giuseppe.

Guardate la foto seguente:

Uno striscione vistoso che fa effetto solo sulle testate online e sul profilo Facebook di qualche prode condottiero che sembra si sia risvegliato.

M a passiamo alla foto successiva, di almeno dieci anni prima.

Qua siamo in una bella mattinata di dieci o undici anni fa, davanti al Comune di Crotone. Un numero di persone ben più sincero di quello che offre l’illusione ottica di un concertone di piazza. Anche qui si combatteva contro Eni, ma i personaggi di adesso non sono quelli di allora. Oddio, c’erano, ma siccome a capo c’era l’attivista famoso di nome Pietro Infusino (in compagnia di altri prodi guerrieri), quelli di oggi non sembra che amassero farsi vedere in compagnia del soggetto appena nominato. E certo, perché Pierino è scomodo, se ne approfitta, passa da un partito all’altro. Però dalle foto di un decennio fa, la lotta non era la stessa di quella che viene proposta oggi?

Beh, ieri si è invocata la Madonna. Come se la Madonna avesse tempo di guardare lo striscione per lanciare chissà quale benedizione. In altri tempi, un gesto come questo sarebbe stato considerato blasfemo. Non la preghiera per Maria, ma il fatto che in questo remake pasticciato ci siano persone che anni prima denigravano gli Attivisti No Eni, che al primo punto mettevano sempre l’argomento della bonifica come obiettivo principale.

Certo era che dieci anni prima, almeno per decenza e per rispetto, Pietro e gli altri non invocavano il potere della Madonna, ma l’azione di tutte quelle istituzioni che potevano e dovevano fare qualcosa.

Ho preso come esempio Pietro Infusino e gli altri per dimostrare che l’attività di protesta odierna suona come un remake girato male, portato avanti da soggetti che subodorando una campagna elettorale e lunga hanno bisogno di farsi vedere ovunque, senza capire e far capire che razza di proposta, anzi controproposta, porterebbero avanti nei riguardi della multinazionale che, a detta loro, dovrebbe fare la bonifica usando qualche nave interstellare, portando i rifiuti in un’altra dimensione spaziale.

Il problema della bonifica dei siti industriali crotonesi è prima di tutto logistico, parola questa che ovviamente non viene proferita da questi magici combattenti che pregano la Madonna affinché possa intervenire, senza chiedersi se la Madonna stessa abbia il tempo reale di ascoltarli nella loro esibizione molto grottesca.

Anche perché verrebbe da pensare come mai questa azione non fu fatta durante il Capodanno Rai a Piazza Pitagora, quello che con Amadeus per intenderci. Beh, lì l’azione sarebbe stata plateale perché in mondovisione Rai, e allora sì che avrebbe fatto un po’ di rumore.

La verità sapete qual è, cari lettori?

Che lo fanno per opporsi a Voce stesso, che senza dare grandi spiegazioni è passato dal ruolo di urlatore di piazza a diplomatico della città al servizio del dialogo con la multinazionale (dialogo che bisogna pur sempre avere), e solo questo dimostra che sulla bonifica tanti nostri condottieri di palle di ne hanno raccontato a iosa, dimostrando per l’ennesima volta che il processo di bonifica non è la storiella che viene portata avanti con demagogia e chiari scopi elettorali. Altrimenti non durerebbe da una trentina d’anni, non credete?

Gli attivisti No Eni, anche se in maniera confusa, addirittura hanno campeggiato nella vicinanze dell’impianto della multinazionale, e la loro azione si è sciolta nel tempo proprio perché alcune facce che si vedono adesso non hanno voluto unirsi all’epoca, denigrando proprio quel gruppo di persone che aveva comunque il valore della spontaneità. Al di lù di quello che si potrebbe pensare del piccolo leader Infusino, che adesso potrà gioire nel vedere che una decina di anni dopo sono spuntati fuori i suoi cloni dormienti.

Ora aspetto naturalmente la grigliata di pesce davanti all’impianto della multinazionale, e la scampagnata a Capo Colonna post Madonna di Capo Colonna per capire dove si vuole andare a parare.

La bonifica è un argomento troppo complesso per essere un mezzo propulsivo di propaganda elettorale.

Ah, ultimo appunto. So che farà male. Ma non credete che Arisa si sia svegliata stamane pensando di fare da portavoce a una manifestazioncina come quella di ieri.

Il gesto sembra abbastanza eloquente. Ovviamente scherzo, perché quel gesto era rivolto ad altro argomento. Ma per capire come il momento dell’invocazione della Madonna sia stato proprio fuori luogo e molto trash.

Comunque, concerto o non concerto, si è capito il perché dei trent’anni di stallo.

Ma una promessa ve la faccio: se organizzate la grigliata mi faccio vedere. Se non altro perché sarà più insaporita di qualche manifestazione dal carattere orgasmico mentale di quella che ho potuto vedere ieri.

La sola cosa certa è che state realizzando un remake fatto male delle lotte dell’amico Pietro Infusino, che stando lontano da Crotone sta ridendo a crepapelle ricordandosi degli sfottò che gli riservaste negli anni. Sfottò anche molto crudeli tra l’altro.

E con franchezza credo che questo spieghi perché non c’è la partecipazione sincera della gente di tutti i giorni.

Aspettiamo con trepidazione la prossima puntata di questa situation comedy.

  • Aurelien Facente, 18 maggio 2024

A Crotone ci si nutre della demagogia e poi si sbatte contro la bonifica

Sono decenni che si parla di bonificare gli ex siti industriali di Pertusola e Montedison, ora di proprietà ENI. Decenni passati tra processi e petizioni popolari firmate e controfirmate per un qualcosa che a Crotone va comunque fatto.

La bonifica è l’argomento elettorale. La resa dei conti sulla quale la politica locale, tra l’altro frammentata e piena di attori teatranti, si è ormai arenata.

In campagna elettorale si promettono rivoluzioni e cambiamenti mitologici.

Nella realtà di tutti i giorni avviene proprio il contrario.

Perché non si conosce la storia industriale nei particolari, non si sono fatte le dovute analisi storiche e sociali, non si riconosce che ormai quella realtà non esiste più dalla fine del secolo scorso (gli anni 90′), e per decenni si è andati per inerzia. Salvo poi sottoscrivere un accordo (giunta comunale Pugliese) che chiuderebbe la questione.

Ora in tutta la discussione portata avanti da opposizioni sgangherate e maggioranze camaleontiche, il dubbio che si sia arenata la barca è molto presente. Perché tutti, ma proprio tutti, cadono nel lato pratico della questione.

E da qui apriti cielo. Quanta fantascienza fantasiosa viziata dalla propaganda demagogica che ha invaso le menti di coloro che si ergono a rappresentanti della comunità crotonese, tra l’altro ormai sparpagliata e non unita (ma qui le cause sono anche altre).

I nodi arrivano al pettine. E quando l’oggettività della verità arriva, ecco che tutti si fanno male. Le opposizioni un po’ di meno, ma quando erano maggioranza anche loro sbandieravano imprese fantascientifiche. Ora hai il sindaco Voce che si è fatto votare per la questione ambientale, e pochi ricordano che fu il solo a parlare di un termovalorizzatore funzionale ai bisogni della città durante una nota trasmissione televisiva locale, La memoria corta fa brutti scherzi, ma lui stesso paventò la necessitò di un termovalorizzatore, che è quello che si realizzerà di qui a breve. Serviorà per la bonifica? Ma certo che sì, Produrrà un ulteriore danno ambientale? Beh, se resti dell’idea che il mondo è fermo dagli anni 90′, la risposta sarebbe sì. Ma in 30 anni i progressi sono stati fatti, solo che la demagogia politica non la vede.

Ora il dubbio mi sorge. Senza prendere le parti di nessuno in particolare, e senza neanche giudicare l’esito dell’ultimo consiglio comunale, l’impressione è che tutti più o meno si siano presi un ceffone senza precedenti, e che la politica cittadina si sia mostrata molto più politicante che professionale. le favolette raccontate in campagna elettorale sono restate favolette che ormai tutti vedono, e ahimé giustificarsi con degli screenshot su Facebook non è tanto producente. Anzi, porta all’effetto contrario. Perché in questa partita illusoria di voler convincere chissà quali elettori, tutti quanti peccano nel loro più grande difetto, ovvero l’essere padroni di una verità che di fatto è stata solo fuffa fino ad ora. E continuerà ad esserlo, visto che il termovalorizzatore del ventunesimo secolo sarà realtà.

In tutti questi anni, nessuno si è posto la seguente domanda pratica: e se i rifiuti da bonifica, di cui non conosco la quantità reale se non dopo le operazioni di scavo, non se li fila nessuno?

Ed è proprio qui che la demagogia cade nella sua menzogna.

Perché? Facciamo un salto in Giappone. La centrale nucleare di Fukushima. Distrutta a causa di un terremoto di proporzioni spaventose, tale centrale è stata la tragedia del Giappone, nonostante fosse all’avanguardia in tutto. Eppure la catastrofe ci è stata, e le scorie hanno avuto bisogno di un trattamento marittimo. Ma i rifiuti nella sostanza sono rimasti in zona. Così come è avvenuto in altri siti dismessi nel mondo.

A Crotone avverrà la stessa cosa. Lo richiede la logistica, e soprattutto lo richiede un altro fatto politico della quale i nostri si son dimenticati di raccontare. Ve la ricordate la favoletta dell’autonomia del rifiuti tanto decantata in passato durante le campagne elettorali tra Comuni calabresi e Regione Calabria? Che dicevano in sostanza? Ognuno dovrà pensare al suo senza se e senza ma.

Ora si possono convocare consigli di tutti i tipi per parlare della questione, ma servirà molto probabilmente a poco. Perché, alla fine dei conti, questa storia dovrà finire in un modo o nell’altro, e pensare di bloccare ancora tramite tribunali non risolverà il problema. Non ci siete riusciti prima, e non ci riuscirete nei prossimi giorni.

Tanto vale iniziare il tutto con l’accordo del 2019 e chiuderla una buona volta per tutte.

La bonifica non è un argomento di campagna elettorale.

Ma è stata usata a suon di demagogia per troppo tempo.

E si sa che la demagogia è la menzogna politica per eccellenza.

Al prossimo episodio. Fidatevi. Ormai è una telenovelas che batterà il record detenuto dal serial Sentieri. Di questo passo mi procurerò una carrozzina. Sperando però di avere ancora una buona memoria.

Ma voglio restare ottimista. Confido molto nella figura del generale. Sì, quello che è attualmente il commissario alla bonifica. Petizioni permettendo.

  • Aurelien Facente, 15 maggio 2024

La crisi delle Autolinee Romano è una delle conseguenze delle tragiche scelte governative.

Toc! Toc! Ecco qua la crisi delle autolinee Romano che si affaccia con uno sciopero, più che giustificato, dei dipendenti della ditta crotonese, e non si sa quando terminerà perché la crisi è complessa.

Oltre ai tanti problemi documentati da testate più illustri della mia umile scrittura, il dovere di analizzare bene il fenomeno fino in fondo è basilare perché nessun dipendente deve essere strumento di bugie.

Immagino già la rabbia di chi si sveglia sapendo che non avrà lo stipendio.

Ma i governi nazionali passati (Conte bis e Draghi) sapevano che una polveriera prima o poi sarebbe esplosa. Il mondo dei trasporti è stato il più falcidiato da un insieme di norme governative molto ipocondriache durante il Covid. Se uno provasse a leggere il regolamento per i trasporti durante il coronavirus è qualcosa partorito da una mente malata.

Certo, la prevenzione della salute è importante. Ma anche gli stipendi lo sono.

Eppure le norme hanno sacrificato interi settori con la scusa ipocrita del sacrificio e i primi a farne le conseguenze sono le ditte di trasporto pubblico che operano nei piccoli centri prevalentemente, come il caso di Crotone.

Il Covid è stata la scusa per dimezzare sostanzialmente tutto, e le entrate sono state, di fatto, minori e dannose tra l’altro. Un’azienda potrebbe tenere, ma solo se possedesse ingenti capitali. Cosa che a Crotone non è il caso. E poiché le entrate sono state minori, la cassa ne ha sofferto tanto che poi si è arrivati a questa situazione. Senza contare che durante il periodo piùbuio del Covid, gli stessi autisti hanno dovuto fronteggiare tanti e troppi ostacoli. Non è che guidare con la mascherina sia un piacere, senza contare i disagi che comporta un lavoro del genere.

Poi mettiamoci la crisi dell’energia che ha fatto il resto (e anche qui c’è tutta una storia), e così iniziamo a contare le vittime sociali. Questo perché non si è avuti il coraggio e il buonsenso di contrastare una narrazione, quella del coronavirus, che aveva buttato all’aria centinaia di anni di biologia.

Le restrizioni adottate dimostrano, di fatto, che il sacrificio generale non è valso la pena. Perché già la ditta in passato aveva affrontato delle crisi delicate, ma superandole con quello che serviva per mantenere in piedi l’impianto lavorativo. Poi ti arriva l’evento che non ti aspetti, e allora si cerca di seguire il governo, il quale non sa nemmeno darti le migliori risposte. E mentre attua DPCM al limite della comprensione umana (ovviamente scritti così per evitare di pensare al dopo), il gioco al massacro sociale ha cominciato ad avere inizio.

Certo, perché se dimezzi per motivi legati ipocritamente alla salute la clientela, dopo qualche tempo non è che la stessa clientela si ripresenta in massa a prendere l’autobus, Perché due anni sono un periodo lungo dove per la gente è più facile praticare un taglio netto piuttosto che prendere il pullman urbano. Sapete quanta gente è rimasta a piedi perché non poteva salire per motivi legati al distanziamento? E sapete quanti autisti hanno lasciato a malincuore persone che si erano fatte il biglietto per tornare a casa? Inevitabilmente qualcosa si rompe, e così inizia la vera emorragia economica.

E a soccombere sono proprio i piccoli.

Non sempre il sacrificio può valere la pena.

E con il caso delle autolinee si comincia ad accorgersi che l’inverno sarà duro e lungo, perché al segno dell’incertezza, della mancanza di chiarezza, della mancanza di questi governi nazionali pieni di protagonisti incapaci pure di dire grazie a chi il sacrificio lo sta praticando oggi.

Certo, qualcuno mi farebbe notare che ci sono anche altri problemi. Ma è il biennio Covid che li ha soltanto peggiorati.

E a farne le spese sono proprio quei lavoratori che con il freddo e il caldo offrivano un servizio più che necessario in un posto dove il trasporto pubblico dovrebbe essere il primo grande investimento.

Questo caso dimostra come il farsi mangiare dalla paura del virus ha creato più devastazione che opportunità.

Aurélien Facente, 19 ottobre 2022

Giuseppe Conte e la sindrome di Stoccolma

Mentre ormai stiamo aspettando la nascita di un governo che non piacerà ai miei concittadini, voglio pregare gli amici dei Cinquestelle o ai fan di Giuseppe Conte di astenersi dal leggere l’articolo, perché pur parlando di lui non parlo proprio di lui, ma di un fenomeno che si è ben sviluppato negli anni dei suoi governi, in particolare il secondo.

Io non considero Giuseppe Conte una cattiva persona, sia chiaro. Ma ho un severo giudizio sul suo secondo governo. Perché un Presidente può essere popolare quanto volete, ma è sempre attorniato da un governo fatto di ministri e circondato da parlamentari che hanno comunque un peso specifico, che nel suo caso specifico è stato un festival dell’idiozia, dell’ipocrisia e della caccia alle streghe gratuito.

Che Giuseppe Conte piaccia è fuor di dubbio. Ha un certo appeal sulle persone. Ha una ottima padronanza del linguaggio politico. Sa parlare alla gente, o meglio ad un tipo di elettorato, tanto da farlo innamorare. Si può dire che sa tenere in piedi uno spettacolo perché il talento ce l’ha, e sa riempire le piazze, il che però non si traduce in voto.

Come ampliamente dimostrato nelle elezioni regionali calabresi, dove la sua presenza ha fatto scendere in piazza tantissime persone, ma che non si è tradotto in voti per vincere. In Calabria ha pagato soprattutto l’alleanza ipocrita con il PD. che ovviamente lo appoggiò non per un vero progetto politico ma perché aveva usato un certo stile nel far fuori Salvini in uno storico scontro che ha fatto godere gli immaginari antifascisti, che lo hanno rimesso in sella proprio per fare il classico colpo del palazzo dove poter stare e regnare, ovviamente sotto la responsabilità di Conte, che per i piddini era il cucuzzaro di turno.

Ed è quello che è accaduto durante la pandemia del C-19.

Badate bene che basta rivedersi i video delle annunciazioni dei suoi DPCM, che facevano godere come matti una certa cerchia politica intorno non perché di fatto salvavano le persone (l’ipocondria è uno strumento stranissimo per affrontare un’epidemia), ma per obbligare tante persone a sottostare ad un gioco malsano che si stava approfittando di una catastrofe che senza la cosiddetta ipocondria di chi era intorno a Giuseppe Conte avrebbe avuto ben altri risultati.

Man mano che le apparizioni ufficiali proseguivano attraverso conferenze stampa dalla scenografia cinematografica, si notava quanto fosse provato e stressato. Perché il nemico, badate bene, non era l’opposizione (che altrimenti non si chiamava tale), ma proprio tutta quella gente che usava la parola “sinistra” per mascherarsi e che in realtà si comportavano come bulli televisivi.

Questo gioco è durato per più di due anni, fino alla caduta del governo Draghi (successore di Conte, ma anche lui attorniato francamente da idioti politici, che erano fgli stessi che avevano sostenuto Conte tra l’altro, con la differenza che s’erano aggiunti il Silvio e il Matteo),

Il caso di Giuseppe Conte è curioso se dovessimo fare un’analisi della sua storia politica e mediatica. Si tratta del primo soggetto nominato Presidente del Consiglio che ha presieduto due governi opposti, uno finto populista (CinqueStelle e Lega) e uno finto progressista (CinqueStelle, PD e Articolo Uno, partitino inutile e dannoso tra l’altro). Ma è stato il primo Presidente che attraverso i media è riuscito a realizzare una gigantesca sindrome di Stoccolma, inconsapevolmente; nella popolazione italiana, in particolare quella meridionale.

Una sindrome di Stoccolma che dura tuttora, e che ovviamente è anche uno dei fattori che poi ha portato all’interno della sinistra immaginaria italiana una vittoria morale di tutto rispetto. Perché la campagna elettorale dei CInquestelle nel 2022 l’ha fatta esclusivamente lui, e gli va dato merito di non aver avuto una umiliazione elettorale che era nell’aria.

Già, perché la pandemia prima e la guerra dopo hanno fatto vedere la classe insufficientemente politica proprio davanti agli occhi degli italiani.

Il che assolve in parte Giuseppe Conte, che da quando si staccò da Palazzo Chigi ha fatto, almeno lui, un bagno di realtà, ma non di verità. Perché lo sciacallaggio conseguente alla pandemia si è acclarato proprio dalle stanze dei ministeri, che avrebbero dovuto pensare ad una parola importantissima sin dall’inizio: logistica.

L’Italia (ma anche altre parti del mondo) fu messa in lockdown per una questione di logistica e non perché bisognava salvare le persone (che tra l’altro alcune, purtroppo, non potevano essere salvate poiché si trattava di una catastrofe).

Il governo dei DPCM si è mosso con molta illogicità, cambiando continuamente le direttive della prevenzione e credendo falsamente che il percorso intrapreso fosse il migliore possibile. Tanto firmava Giuseppe Conte, e il tutto fu (e vige tuttora) da una campagna mediatica contro il dissenso, creata ad arte da altri che si nascondevano dietro le chiappe dell’attuale capo politico dei CinqueStelle.

La pandemia è stato lo scenario di una vera e propria lotta politica già all’interno di maggioranze che non potevano restare insieme, e il successivo governo Draghi ne è stata la chiara dimostrazione, perché l’ex presidente della BCE fu chiamato per fare quel lavoro sporco che evidentemente Giuseppe Conte non poteva fare. Un lavoro che di fatto ha incancrenito una maggioranza bulgara molto fragile, tanto che Draghi si dimise (pur avendo la fiducia) perché anche lui era il cucuzzaro di turno, con in più la funzione da baby sitter fra soggetti politici che non hanno mai pensato a salvaguardare la comunità.

Giuseppe Conte è stato eletto e sarà protagonista di questa legislatura, seppur all’opposizione. Ma non ha vinto. E non ha preso i voti per il reddito di cittadinanza, badate bene. Li ha presi, tolti gli iscritti, per una questione di “sindrome di Stoccolma”. E me ne sono accorto proprio per le discussioni che ho personalmente avuto.

La sindrome di Stoccolma è una malattia psichiatrica. Le persone che sono state rapite fisicamente e imprigionate trovano a volte nel loro carceriere una forma di amore malsano, perché dal carceriere dipende l’esistenza del rapito. E il carceriere pur tenendo chiuso il rapito lo nutre e si occupa di lui. Nonostante il male…

Giuseppe Conte è il primo che si trova a vivere una situazione per qualsiasi soggetto politico una situazione del genere. Non a caso, la sua campagna elettorale è stata diversa, molto più incentrata a cambiare pagina e nei suoi attacchi agli ex alleati ha confermato pienamente quello che mi puzzava dall’inizio. Che c’era una dirigenza politica ben definita che ha creduto di usarlo per poi buttarlo via.

E così Giuseppe Conte diventa di fatto il boia del centrosinistra targato PD, portando alla luce il vero volto di una classe dirigente che preferisce stare piuttosto che parlare alla gente, Con buona pace degli appassionati e degli innamorati della sinistra, perché la Sinistra di oggi non è mai stata la Sinistra di ieri.

La gente lo sa e ha preferito votare altro (vedi Destra) o non votare proprio.

Già. Perché Conte è ancora visto come un presidente carceriere. Nonostante abbia chiesto scusa e in parte motivato le ragioni di determinate scelte, che però non si sono rivelate le migliori.

Già, perché l’Italia è ancora più povera, e si sa che il reddito di cittadinanza non è la misura che ridarà la vita a chi il lavoro lo ha perso, e molto probabilmente non lo riprenderà.

I risultati si vedono. E ora che Conte è più libero, dovrà dimostrare di essere degno di definirsi Politico. Perché se il popolo soffre, qualcosa non ha funzionato. Un qualcosa che ovviamente tutti vedono, ma non tutti ammettono. E credo che questo il buon Giuseppe Conte lo sa bene. Eccome se lo sa, anche se non lo ammette.

Consiglio spassionato: si liberi un po’ di tutta questa pletora di soggetti affetti da sindrome di Stoccolma. Sarebbe ora.

Aurélien Facente, 19 ottobre 2022

Falcone e Borsellino non avrebbero voluto vivere questa Italia

Trent’anni sono passati da quel maledetto periodo del 1992. Ero poco più che adolescente quando vidi la notizia sul TG5 di Enrico Mentana. La strage di Capaci. La morte del giudice Falcone con tutta la sua scorta. La nascita tragica di un mito che avrebbe fatto vedere quello che era la criminalità nella sua massima barbarie.

Io avevo visto Giovanni Falcone ad un’intervista famosissima al Maurizio Costanzo Show. Una persona rassicurante che sapeva quello che faceva, e che non aveva peli sulla lingua. Il racconto della verità era disturbante. Stavamo iniziando a conoscere il mondo descritto da Leonardo Sciascia che molti percepivano come un film.

Quell’attentato sul ponte cambiò le carte in tavola.

La risposta politica dell’allora Presidente della Repubblica Scalfaro non fu potente a dire il vero. La strage aveva creato sgomento, ma la politica lo percepì più come un attentato che come una strage di eroi che preferivano essere persone che compivano il loro dovere.

Qualche mese dopo, proprio a luglio, toccò a questo signore, il giudice Paolo Borsellino, di cadere vittima con i suoi uomini in un altro attentato di rara crudeltà. Anche con lui morì la scorta.

Paolo Borsellino era più discreto rispetto a Falcone. Non ebbe il piacere di essere protagonista di una bella intervista come accadde per il collega. Ma era un uomo tutto d’un pezzo. Il suo sacrificio fu determinante a farci vedere l’orrore che osava nascondersi e osava a non essere raccontato.

Vidi la notizia della sua morte anche sul TG5, sempre diretto da Mentana. Fu un colpo diverso, ma altrettanto forte. Si aveva l’impressione che erano stati portati via dei fratelli. Fratelli che volevano che l’Italia fosse più giusta e più consapevole.

Su questi due signori si è scritto e raccontato di tutto. Si sono prodotti anche dei film. Vengono venerati da eroi e come dei. Ma spesso si dimentica che loro erano persone prima di tutto. Persone che credevano in una nazione che doveva migliorare.

I media li celebrano come martiri, ma dimenticano spesso e volentieri che questi martiri lottavano per qualcosa che andava oltre il loro nemico, la mafia come abbiamo imparato a chiamarla. Volevano di sicuro un Paese migliore dove la stessa politica trovasse la decenza di essere sincera con i propri cittadini, dove il lavoro della giustizia non fosse visto come una colpa o una celebrazione ma di un’espressione di lavoro, dove l’espressione del dissenso e della denuncia non fossero visti come capricci di una moda ma come l’inizio di una terapia che avrebbe aiutato a costruire esempi.

L’Italia li venera, ma non è una nazione di giustizia e di equità. L’Italia li celebra, ma non ha una politica sincera con i cittadini. L’Italia è un paese che è diventato ambiguo e oggi lo Stato non aiuta il cittadino, ma lo bullizza.

Non credo che Falcone e Borsellino vivrebbero bene questa Italia.

In fondo il male che loro combattevano continua ad esistere, ed è diventato molto più ambiguo. Talmente ambiguo da essere stato realmente bravo ad affondare ancora di più le sue mani nei posti che contano.

Il loro sacrificio è servito per farci vedere il male, ma oggi questo non viene detto a sufficienza. Sì, perché il male in Italia è mutato preferendo altri luoghi.

Oggi l’Italia è più ipocrita, più maligna, più ambigua, più tendente alla propaganda e non alla verità.

Questa Italia non è la nazione che sarebbe piaciuta a Falcone e Borsellino, così come tutte alle persone che hanno combattuto con loro.

Si canonizzano gli eroi in Italia, ma la verità è che il male continua a esistere eccome.

Aurelien Facente, 19 luglio 2022

L’acqua, le cucuzze e il culo del cucuzzaro

A Crotone siamo vittima di un gioco malsano. Bene che si sappia, perché qui siamo davanti a violazioni di diritti umani e di diritti di chiarezza, e questi ultimi si sono andati a fare benedire da un bel po’ di tempo.

A Crotone e provincia (parte) in un giorno d’estate, la signora Sorical appare e raziona l’acqua. Il perché è presto detto. La giustificazione arriva puntuale sui giornali locali, e arriva la denuncia del megadebito della signora Congesi, un consorzio uscito dopo la chiusura di Soakro, altro pasticciaccio della politica lungimirante crotonese. Ma neanche Sorical è da meno in quanto pasticciaccio, solo che lei è figlia della Regione Calabria.

Questa simpatica (ma tragica e rompiscatole) storiella avviene puntualmente ogni anno d’estate, e puntualmente ogni anno scopriamo che ci sono milioni di euro in ballo, senza mai capire perché chi paga la bolletta dell’acqua debba essere penalizzato in questa guerra tra enti, che ovviamente giocano al cucuzzaro. Loro sono le cucuzze, e i cittadini il cucuzzaro.

Sono andato nell’orto e ho trovato tre cucuzze. E perché tre? E allora quanto? Tutto in culo al cucuzzaro.

Sintesi perfetta di questa situazione che dura da parecchi anni.

E cosa succederà? Arriveranno i sindaci con le loro ordinanze e riapriranno l’acqua.

In un gioco eternamente singolare per la pazienza del cucuzzaro, ovvero il popolo.

E questa storia va avanti da anni, in barba ad ogni diritto sancito su un referendum che definisce l’acqua come bene pubblico, ma gestito come se fosse qualcosa di privato. La prova sta nel fatto che si stringe il rubinetto, senza però chiedere parere al popolo.

Ora, a distanza di anni, qualche domanda sorgerebbe spontanea. Eccome se sorge.

La prima è perché non si va in tribunale a risolvere definitivamente la faccenda.

La seconda è perché a distanza di anni ancora non si è voluto raggiungere un accordo di ripianamento debito su più anni, vista la scarsezza economica che vige nelle casse dei comuni coinvolti, e perché non si è fatto un accordo.

Terza domanda è una risposta velata: ci piace dare spettacolo.

Ora, a discapito di qualsiasi ironia, l’argomento acqua non è da prendere alla leggera. Ed è giusto che il servizio vada pagato, soprattutto se c’è una continua manutenzione. Ma non prendiamoci in giro con questi giochetti di forza per dimostrare chissà che cosa.

Negli ultimi tre anni un accordo si poteva trovare benissimo, e nelle ultime settimane, vista la riacquisizione della Sorical da parte della Regione Calabria sarebbe stato ancora più motivante farlo. Anche perché adesso, in un forte periodo di ristrettezze economiche, non è plausibile cacciare il grosso assegno come se fosse un gioco di prestigio. Perché è evidente che ora il denaro serve a tutti in un periodo di povertà.

In Calabria l’acqua è un argomento molto importante. Oltre che abusato nel tempo. Ogni provincia in Calabria ha una sua storia con tutte le sue complicanze perché non c’è mai stata una progettazione comune atta a rendere il servizio quantomeno civile. Ci sono piccoli progressi tecnici, ma Sorical non può nascondere, così come altri consorzi calabresi, che la gestione dell’acqua è stata un deficit economico perché oggetto da usare in campagna elettorale, e che alla base di questa visione ha ovviamente portato l’ente a farsi la guerra con altri enti. Una guerra mai risolta dove i cittadini di tutti i giorni ne patiscono gli effetti. Senza contare l’immagine che si dà alla Calabria in termini di servizio ed efficienza.

Una storia del genere, l’anno passato, ha fatto deviare parecchie persone dal tornare in Calabria, e non stiamo parlando di guasti, ma di questa guerra dell’assurdo che si poteva benissimo risolvere con la ridefinizione di un accordo.

Ora abbiamo un Presidente della Regione, Roberto Occhiuto, che un’operazione intelligente è riuscita a portarla in porto. Rendere la Regione Calabria come solo proprietario di Sorical, il che già questo permetterebbe un po’ di ordine. Ma di lavoro ce n’è da fare tantissimo a dire il vero, e proprio in virtù di questo cambiamento era auspicabile la definizione di un nuovo accordo senza che i cittadini della provincia di Crotone ne potessero risentire.

Ma sapete com’è? Qua si preferisce giocare al cucuzzaro. Solo che dalle mie parti, il culo del cucuzzaro cambia cucuzzaro. Perché anche alle cucuzze tocca fare il cucuzzaro. Come la ruota che gira insomma. Io so già chi sarà il nuovo cucuzzaro. Ma non lo dico. Si tratta pur sempre di uno spoiler.

Aurélien Facente, 4 luglio 2022

Fabrizio Corona e la verità che ci fa vedere… ma che non vogliamo ammettere

Preciso. Non sono un fan di Fabrizio Corona, ma lo rispetto. Perché lui è quello che non vogliamo vedere realmente, ovvero la rappresentazione di quello che il male della società italiana si è trascinato negli ultimi anni.

Ho avuto modo di visionare alcuni filmati di Corona che, qualche giorno addietro, ha presenziato l’inaugurazione di un negozio di vestiario in centro a Crotone, e badate che non è la prima volta che si fa vedere nella città di Pitagora.

Ebbi modo di notarne la presenza in un noto ristorante sul lungomare crotonese anni fa. Era il periodo dei primi problemi giudiziari mediatici che il personaggio viveva. Non entro nel privato e non entro nei dettagli, ma mi meravigliò un dettaglio. Aveva terminato di cenare, e si è prestato con estrema gentilezza a farsi dei selfie con il personale del ristorante. In maniera serena e tranquilla. La cosa mi stupì molto (ma fa parte del mestiere, mi dirà qualcuno), e in qualche modo ci rimuginai un po’ su. Non seguo la televisione e francamente sono molto contrario a un certo modo di mostrarsi. Ma questo lato umano del Corona mi aveva in qualche modo frastornato.

Qualche giorno fa, lo rivedo. Ero passato in lontananza e avevo visto la gente che entrava in questo nuovo negozio di vestiario sotto i portici. Non sono un amante delle inaugurazioni, soprattutto quando c’è folla. E, in effetti, la risposta non tarda ad arrivare, anche perché i filmati su Facebook e WhatsApp girano.

Anche in questa occasione mi stupisce, non tanto la voglia di vip di tanti crotonesi, la disarmante disponibilità del Corona a farsi immortalare con le persone. Qualcuno mi dirà che è il suo mestiere. Appunto, ma non lo fai solo perché è il tuo mestiere.

Corona oggi è quello che l’Italia rifiuta di vedere.

Un artista come Andy Warhol lo avrebbe applaudito, perché l’arte di Corona sta nel vendere la sua celebrità.

Proviene dal mondo dei paparazzi, la cui funzione è smerciare merce fotografica. Lui ne è maestro, e glielo riconosco, anche se eticamente può sembrare sbagliato. Ma il mestiere di paparazzo non lo fa chiunque, e devi essere molto scavezzacollo per praticarlo e venderlo. E questo ovviamente dà molto fastidio, soprattutto se becchi con certezza i bersagli dei tuoi scoop. Poi commetti l’errore e…

Corona ha saputo trasformare l’errore fatale in un’opportunità.

Lui è per l’immaginario collettivo una persona discutibilmente folle, eppure le sue inaugurazioni sono zeppe di persone. Te lo dipingono come un cattivo, ma lui si mostra disponibile (secondo me, se ci sai parlare, è pure simpatico) e amichevole. Lui ha commesso tante di quelle cavolate che avrebbe dovuto almeno restare chiuso per decenni in una comunità di recupero, ma lui è lì. Non me ne volere, Fabrizio. Ma il perché me lo sono chiesto, e sono arrivato ad una conclusione.

In Italia Fabrizio Corona è definito nel peggiore dei modi come star del trash.

Invece la commercializzazione del suo personaggio è solo l’opportunità di mostrare la deriva nazionale di un sistema politico e mediatico dell’Italia. Lui sarebbe benissimo un personaggio dei fumetti stile Diabolik o Kriminal, ma le sue avventure, vere o presunte, le leggiamo sui giornali.

Leggiamo la sua apparenza, ma dentro di lui non riusciamo a scorgere nulla, tranne quello che la tivù ci fa vedere.

Andy Warhol avrebbe ammirato questa estremizzazione delle sue teorie artistiche.

In verità, o quasi, il mutamento del Corona avviene nello stesso momento in cui il giornalismo comincia a decadere. Le riviste del pettegolezzo chiudono una dopo l’altra, tranne le storiche. Fare giornalismo in Italia è obiettivamente rischioso dal punto di vista economico. E oggi, effettivamente, un Fabrizio Corona paparazzo non renderebbe in Italia. E lui ha giocato di anticipo, mostrando quello che i media vogliono far vedere: uno spettacolo dove la gente si inorridisce, ma che nello stesso tempo ne rimane affascinata.

Lo scrittore J.G. Ballard lo avrebbe incluso volentieri nel suo romanzo sperimentale di fantascienza “La Mostra delle Atrocità”, perché di questo si tratta: della mostra di un’atrocità mediatica.

E davanti all’atrocità mediatica si sviluppa il concetto del dissenso.

Che se ne possa parlare bene o male, il Corona continuerà a vendere finché lo potrà fare. Perché è così che qualcuno ha voluto, e lui ha solo colto l’occasione di trasformare l’odio per lui in una macchina economica. Non tutti ci sarebbero riusciti, ma in una società che si appresta a glorificare la mostra delle atrocità è ben permesso e accettato.

Alla fine Corona, paradossalmente, diventa utile. Perché ti fa vedere quello che gli altri fanno finta di non vedere perché preferiscono l’illusione dell’apparenza.

Perciò ho trovato il dibattito crotonese avvilente. Perché tutti sono cascati nel gioco dell’apparenza. E per tale motivo non posso purtroppo nascondere un rispetto per Corona. Mi fa rivivere il romando di Ballard, che tra l’altro è tra i miei autori preferiti.

Aurélien Facente, 3 luglio 2022

La vittoria di Pirro degli amanti del PD

Io credo fermamente che sia ora di chiudere questo film tristissimo e che il PD faccia una grossa operazione chiarezza con i suoi iscritti e con i suoi amanti sparsi per i media perché questa storia deve essere portata a termine.

Siamo nel 2022 e nei ballottaggi di tutta Italia (a chi toccava) non ha vinto il PD, non hanno vinto i 5stelle, non ha vinto la Lega, non ha vinto Forza Italia, non ha vinto nessuno. La maggioranza degli elettori se n’è fregata altamente di considerare il ballottaggio. Se più del 60% degli elettori preferisce fregarsene, vuol dire che c’è qualcosa che non va. E non è una questione di sinistra o di destra o di centro, ma di democrazia e di rapporto della politica con la cittadinanza di tutti i giorni.

Ormai l’astensionismo è il simbolo del dissenso dilagante verso una cultura politica italiana che non guarda più al presente, e per continuare a sopravvivere continua imperterrita la sua metodologia del divide et impera.

Bene, c’è un limite a tutto ciò.

E in questi ultimi anni, dove elezione ci sia stata, ha vinto l’astensionismo, perché supera di fatto il 50%, e l’elezione avviene lo stesso perché la legge lo permette. A prezzo però della credibilità e dell’autorevolezza, elemento quest’ultimo che si è andato a fare benedire perché bisogna raccontare le belle favole piuttosto che migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini.

Il distacco è netto.

Certo, il PD centrosinistra vince a Catanzaro ad esempio, ma con un avversario di centrodestra che prima stava nel PD. Ed è stato facile vincere poiché il nemico era un voltagabbana bollato come tale. Anche io non lo avrei votato.

In realtà, oltre alla mancanza di elettori, questi ballottaggi (che per loro stessa natura riducono il numero degli elettori) raccontano altre verità più dure.

Il primo è il netto distacco tra politica e cittadinanza. La politica è percepita come un volgare reality show molto trash, perciò non attrae più come prima. Anzi, proprio non attrae.

Iniziano a sparire dei partiti come Forza Italia. Il caso Verona è stato lampante, ma Forza Italia non è più un partito di riferimento come qualche decennio fa. Sparirà perché la gente non ama i Brunetta e le Ronzulli, politicanti superficiali e presuntuosi che adorano apparire detestabili, ma non costruttivi. Il Silvio fa quello che può, ma forse è meglio che si occupi del Monza Calcio, La sua stella ormai è un meteorite che si sta sgretolando nell’atmosfera. La Lega è in forte crisi identitaria, e sarebbe meglio stendere un velo pietoso.

Il caso di Fratelli d’Italia merita un ragionamento a parte. A livello nazionale potrebbe prendere il posto delle Cinquestelle cadenti, che ormai vincono, per modo di dire, dove hanno stretto qualche alleanza.

Ma allearsi con il PD non paga. Assolutamente no. La prova sta proprio nell’affluenza bassissima.

Ma i giornaloni dichiarano che sia il PD ad avere stravinto. Certo, perché i giornaloni stanno tutti a sinistra idealmente (in realtà sarebbe bello parlare degli azionisti di maggioranza) e perdono di vista l’equilibrio dell’obiettività. Meglio propaganda a prezzo della credibilità. Non stupisce che i giornali non vendano più come prima.

Fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti, piddini e forzisti, Cinquestelle contro il sistema. Scontri che hanno francamente stancato, quando ormai il tema principale sta nel trovare un lavoro che permetta quantomeno di vivere con dignità.

Negli anni passati si è chiaramente voluto mantenere lo status quo portandolo alla cancrena. Gli effetti delle politiche passate hanno portato alla luce mostruosità democratiche, sancendo di fatto il fallimento della democrazia rappresentativa.

Più del 50% non vota e non vuole votare. Lo ritiene una perdita di tempo.

Un dato di fatto triste, ma figlio di quella politica che ha volutamente tagliato le rappresentanze locali a discapito di una generazione di Yes Man e Yes Woman che vivono un film immaginario mentre la gente di tutti i giorni soffre.

Conoscendo le dinamiche, il trend si ripeterà alle prossime nazionali.

L’Italia politica farebbe bene a cambiare registro. L’impressione è quella di vivere l’apertura di un vaso di Pandora. La misura è ormai colma.

Ovviamente auguri ai sindaci eletti. Non sarà una passeggiata di salute per loro.

Decisamente no.

Aurelien Facente, 27 giugno 2022

Oggi viviamo in Italia le conseguenze del Porcellum, il vero assassino della democrazia

Ogni storia ha un inizio. Inizia con l’attuale Presidente della Repubblica, l’On. Sergio Mattarella. Fu artefice di una legge elettorale nazionale definita “Mattarellum”, nella quale era possibile scrivere nome e cognome del candidato alla Camera o al Senato da parte dell’elettore, il che implicava un voto riflessivo e convinto. Non perfetta come legge (non esiste la legge perfetta), ma almeno uno votava qualcuno che conosceva. C’era un fondo di merito, il che la rendeva abbastanza democratica.

Poi arrivò il signor Silvio Berlusconi negli anni 90′ che sconvolse la vita parlamentare italiana, e dopo un primo tentativo di governo nel 1994, qualche anno dopo riuscì a governare per cinque anni consecutivi insieme ai soci di Alleanza Nazionale, la Lega Nord, e l’UDC con il suo partito Forza Italia. E una delle cose che gli riuscì fu di cambiare la legge elettorale.

L’ideatore di questa legge elettorale, definita “porcata” proprio dal suo stesso ideatore, ha un nome e cognome: Roberto Calderoli, un navigato della Lega Nord. La legge prevedeva la non possibilità di conoscere i candidati a favore del simbolo. Cioé una ics sul simbolo mentre si vota, e nessun contatto con la rappresentanza locale.

Si può dire una bella legge a favore dell’oligarchia, nel senso che tanto ci siamo noi e noi ci voterete senza discutere.

Questo bel giochino è andato avanti per almeno 15 anni e passa, senza calcolarne le conseguenze nel periodo lungo a venire.

Il signor Mario Monti fu una brutta conseguenza di questa legge. Perché dentro il Parlamento, grazie alla cosiddetta garanzia dell’anonimato sulla scheda elettorale, ci siamo trovati tanti soggetti passare da destra a sinistra e vice versa senza il benché minimo senso del pudore, portando alla sopravvivenza di parlamenti ma con il prezzo di non incidere sulla scelta politica del primo ministro, poiché uno come Mario Monti fu scelto proprio dall’allora Presidente della Repubblica Napolitano, con il chiaro scopo di non andare ad elezioni, nonostante il Paese ne avesse bisogno.

Un’altra conseguenza della legge fu la scelta dei candidati. Non più persone che potevano prestarsi alla politica per costruire la società, ma una lunga serie di Yes Man e Yes Woman messi lì solo ad eseguire la linea del partito o del capobanda. Garantendosi così il posto per le successive elezioni. A Crotone ne abbiamo un esempio chiaro con la Maga Dorina, che passò da destra a sinistra, con la scusa di essere moderata, e vice versa con la sola motivazione che i moderati (termine politico molto idiota) si spostavano così.

Con una legge come il Porcellum questa fu la più grave delle conseguenze. Perché la politica non era più un’opportunità per la società, bensì un’occasione di mantenere quei privilegi, anche economici, che piacevano e piacciono a tutti.

Ovviamente con la complicità di un popolino italiano che man mano che il tempo passava si trovava sempre più povero.

Poi arrivò il Grillo urlante. Con i Cinquestelle. Fu un momento storico il suo arrivo in politica, perché trovò la falla nel porcellum. Il simbolo dei Cinquestelle divenne il dissenso democratico contro i nuovi signorotti del Parlamento Italiano. Arrivando ad entrare di prepotenza nel Parlamento Italiano, con un’energia necessaria.

Attenzione, però, perché il Cinquestelle è la testimonianza diretta di come l’Italia politica era sprofondata in un sistema oligarchico mascherato da democrazia. Perché il Porcellum fu dichiarato poi dalla Corte Costituzionale come una legge illegittima che non garantiva la conoscenza diretta del candidato.

L’ultima legge elettorale nazionale, definita Italicum (che è una versione riveduta e corretta della precedente), la si deve al governo Matteo Renzi, oggi il politico più detestato d’Italia. Ma anche lui aveva visto chiaramente che il Porcellum non era buona come legge, tanto che il suo ingresso dentro le sacre stanze del Parlamento fu non dovuto ad una crisi politica (che c’era già prima), ma da un’occasione causata ed avvallata dalle conseguenze del Porcellum.

Curioso il fatto che per una quindicina d’anni sono stati eletti parlamenti con una legge poi dichiarata non valevole, ma è proprio grazie a questa stortura che ci ritroviamo nella peggiore Italia.

Sì, perché, di fatto, l’Italicum non ha riparato un bel niente.

Oggi ci ritroviamo questo signore, Mario Draghi, con la complicità di una politica quasi tutta accondiscendente. Certo, perché i candidati al Parlamento non li hanno scelti i cittadini, ma i capobanda dei vari partiti. Yes Man e Yes Woman pronti a cambiare casacca qualora la situazione lo richieda. Il caso recente del giovine ministro Luigi Di Maio, addirittura eletto Cinquestelle, sta a dimostrare come le stanze parlamentari siano oligarchiche a danno proprio della cittadinanza.

Ad oggi, nonostante il Parlamento avrà meno deputati e senatori per via di una riforma proprio voluta dai Cinquestelle, non si sa con che razza di legge elettorale si voterà. Certo è che ormai è chiaro che il Parlamento è pieno di attori buoni per un reality show, ma non adatti (ma molto indifferenti) sul vero vissuto del Paese, che con grossa probabilità non voterà in massa. Questo andrà a vantaggio di una politica sempre più oligarchica e non democratica.

Il caso di Luigi Di Maio è lampante. Rivoluzionario con i Cinquestelle, omologato non appena ha avuto un ruolo in governi di maggioranza. Seguendo il costume già presente durante il Porcellum, ha cambiato strategia per assicurarsi la sua posizioncina politica, dichiarando tutto il contrario di tutto. Non una questione di crescita personale, ma di sporca opportunità. I Cinquestelle si trovano in momento di basso gradimento, quando è in realtà tutta la politica nazionale a essere corrotta nell’anima. E questo la gente lo sa. Tranne gli innamorati. Ma la gente di tutti i giorni lo sa, e questo creerà un altro distacco tra la politica e l’elettorato.

Il voto è una questione di fiducia. Se tradisci la mia fiducia, io non ti considero nemmeno per un voto, che oggi più di ieri, in regime di grosso astensionismo, risulterà essere determinante.

Sta di fatto che l’Italia è sempre più povera. Proprio per colpa di tutti questi Yes Man e Yes Woman figli della politica del Porcellum.

Una brutta pagina di storia dell’Italia.

Aurelien Facente, 26 giugno 2022