Campagne elettorali strapiene di paginette e profili Facebook

Che Facebook abbia cambiato il modo di comunicare tra noi ominidi umani è ormai un dato di fatto. Ma che Facebook sia il problema è la più classica delle masturbazioni mentali, perché di fatto sono le persone a usarlo e sono responsabili del come lo usano. Ogni giorno vedo tanti di quei post copia/incolla che mi stupisce che in questa umanità nessuno ha capito che Facebook funziona come un’azienda telefonica. Il mezzo cambia, ma il principio è lo stesso.

   Al di là di questa introduzione, c’è da dire è che da un pezzo la politica usa qualsiasi mezzo a disposizione per fare la propria propaganda, soprattutto quando inizia la campagna elettorale che ci porterà a votare e a scegliere quegli eroi che si troveranno per tot tempo ad amministrare la cosa pubblica.

   Quindi prima vi invadevano di fogliettini anche messi sotto la porta d’ingresso. Oggi vi invadono con i profili fake (non personalmente gestiti dai candidati stessi in buona parte) e con tante paginette pubbliche, dove v’inviteranno a mettere il like, detto volgarmente oggi “mi piace”, giusto per intenderci.

   E così prende vita il grande catalogo delle regionali (visto che tra poco si vota in Calabria, terra dove risiedo), poi toccherà alle comunali, poi magari toccherà alle nazionali, e così via. Peccato, perché la raccolta delle figurine era sempre preziosa, se non altro perché avevo un’idea con chi avevo a che fare.

   Quindi quando prendo lo smartphone e vedo su Facebook le tante pagine sponsorizzate, mi viene il sorriso. Un sorriso abbastanza amaro.

   Non sono ipocrita. Qualche paginetta la seguo, ma seguo solo quelle di soggetti con i quali magari ho collaborato o di quelli che qualcosa da dire ce l’hanno davvero (adoro soprattutto le pagine di chi è definito “coglione” da altri, quando sarebbe meglio analizzare i contenuti). Adoro le pagine di chi parla al proprio elettorato, anche mostrandosi in video. Adoro chi magari ha un blog e condivide i suoi punti di vista.

   Ma poi la cosa finisce lì. Non metto like alle pagine durante le campagne elettorali e nemmeno ai candidati. Magari accetto qualche amicizia fake, ma solo per il gusto di togliermi giusto la curiosità. E già so che chi c’è dietro se ne fotte completamente di me, visto che cerca consenso e voto.

   Funziona uguale per tutti.

   E tutti che si fanno la foto simpatica e che vogliono apparire angelici, come eroi invincibili contro un sistema al quale molti di loro hanno contribuito alla sua costruzione. Mi piacciono soprattutto i cambia casacca che si riciclano puntualmente, perché più che la politica gli interessa molto probabilmente il portafogli più gonfio.

   Certo, c’è chi fa politica in modo serio. Mica condanno tutti. Sono quelli che puntualmente aggiornano le loro pagine, e che non le abbandonano al caso. Sono quelli che ci credono in qualcosa di più trasparente. Ci sono anche quelli (ahimé troppo pochi) che vi rispondono direttamente e senza fronzoli.

   Ecco. Questi li rispetto.

   Ma gli altri possono anche andare a farsi un giro. Perché tanto tra qualche settimana le loro paginette ricadranno nel silenzio. Non hanno contenuti da offrire, ma forse solo qualche selfie fatto in giro. Adoro le foto dei vostri banchetti sulla strada. A un certo punto non manca la foto di tutta l’armata Brancaleone in piedi e tutti a sorridere come se voi foste la risposta ai problemi, quando magari voi siete parte del problema.

   Non dirò chi voterò o per chi farò campagna elettorale. Purtroppo lor signori devono capire che per uno come me prendere una posizione in una lunga serie di candidati del non senso diventa difficile. Ci tengo alla mia sanità mentale e alla mia salute.

   Quindi vi auguro un “in bocca al lupo” perché più di questo non posso fare.

   Se poi accettate di avere un incontro più o meno privato con me, magari avrete la mia considerazione (che è già qualcosa in questa società votata all’indifferenza).

   Ho un solo consiglio per voi, però. Un piccolo consiglio. Quando chiedete l’amicizia su Facebook, guardate un po’ l’attività dell’altro. Una semplice e piccola questione di rispetto. Non esistono solo i vostri bei selfie e le vostre belle paginette.

   Esiste anche altro nella vita, e sarebbe bene che lo consideraste.

   Quindi, non rompetemi ulteriormente con la propaganda, e mostratevi a me se avete coraggio, che credo sia più importante dell’apparire “fighi” agli altri.

   Lo so che sembro severo, ma in realtà voglio vivere con serenità la mia vita e tenere lontani da me alcuni problemi di stitichezza.

Aurélien Facente, gennaio 2020

Un capodanno con mia madre e i Queen

   Gennaio. Il primo giorno dell’anno nuovo. Un bel giorno a Crotone. Un bel sole in una fredda giornata d’inverno.

   Ore 13. Preparo il pranzo di capodanno. Un bell’arrosto di carne con patate, il tutto rosolato in una grossa pentola con un pizzico di vino rosso e tante buone spezie.

   È il primo capodanno senza papà. Siamo solo mia madre, io e il cane. Il tavolo della sala da pranzo è diventato improvvisamente troppo grande. La grossa presenza di papà manca. Sono ormai quasi cinque mesi che non c’è più.

   Lui, il grande Alfredo, si sedeva a capotavola. Me lo ricordo ancora con il giornale che sfogliava in attesa del piatto. Ora, al posto suo, c’è soltanto una sedia senza nessuno.

   Mamma attende in silenzio.

   Il silenzio interrotto soltanto dal suono della cottura in cucina, e ogni tanto il cane che abbaia a qualche suo simile dal balcone.

   È un capodanno triste. Io mi sono fatto una ragione della morte di papà. L’ho lasciato andare quando sapevo che non c’era più nulla da fare. Mamma, per sua fortuna, non ha vissuto l’ultimo mese di papà. Io ho visto il suo sguardo di solitudine in un percorso sofferente dove non sapeva dove e come appigliarsi. Io ho ascoltato il suo dolore. E sono io la prima persona che lo ha accarezzato quando i suoi occhi si sono chiusi per sempre.

   Certo che ho pensato a lui e al fatto che non potrà mangiare con noi, pungermi con le sue battute, e soprattutto leccarsi i baffi.

   Il pranzo è pronto. Il piatto di mamma è pieno. Anche il mio.

   Pranzo silenzioso.

   Ho tolto la tv dalla sala da pranzo.

   La regola di casa Facente è di mangiare senza il tg. Serenità a pranzo e a cena. Il tg si segue dopo i pasti.

   Nel silenzio, però, qualche parola vien detta.

   “Com’è stato il capodanno stanotte?”

   “Sono rimasto a casa, mamma.”

   “Potevi uscire con i tuoi amici…”

   “A volte, fa bene passare l’ultimo dell’anno a letto con un buon libro e poi provare a dormire.”

   “Però non dovresti rinunciare a…”

   “Mamma, ho scelto di riposarmi e basta. Il 2019 è finito ieri, e francamente voglio lasciarmelo alle spalle.”

   “È il primo capodanno senza tuo padre, il primo Natale senza di lui.”

   “Già. Ci manca.”

   “Che cos’hai intenzione di fare adesso?”

   “Vivere per il momento.”

   “Vai al cinema oggi?”

   “No, voglio ascoltare un po’ di musica.”

   Una serie lunga di ring sul mio telefono interrompono il dialogo. È il primo dell’anno, e la gente ti manda gli auguri.

   “Non guardi i messaggi?”

   “Dopo, mamma. Tanto oggi i messaggi possono aspettare.”

   Il pranzo finisce.

   Un amaro per mamma.

   Una birra per me.

   Un brindisi per papà.

   E poi silenzio.

   “Ma sul tuo telefono vai su Internet?”

   “Sì, a quest’ora do uno sguardo su YouTube…”

   “Puoi mettere un po’ di musica? Che musica ti piace?”

   “Ascolto un po’ di tutto.”

   “Mi fai ascoltare qualcosa di Freddie Mercury? Mi piace molto Barcelona perché adoro il suo duetto con Monserrat Caballé…”

   “Certo.”

   Trovo Barcelona. Le voci di Freddie e di Monserrat si odono attraverso la casa, mentre mi sposto per prendere un medicinale.

   Su YouTube c’è un’impostazione automatica casuale. Rientro quando la canzone finisce, poi parte un video con il celebre Live Aid dei Queen nel 1985, con una performance memorabile. 20 minuti di live senza sosta.

   “Che talento Freddie Mercury! Quanto mi sarebbe piaciuto vederlo a Wembley. Lo sai che i Queen facevano parte della mia giovinezza. Ascoltavamo Bohemian Rhapsody continuamente.”

   “Davvero?”

   E mentre i Queen diventano la nostra colonna sonora, mamma e io parliamo.

   È il primo capodanno senza papà. Ma non si può definire un capodanno triste.

   Perché mamma e io parliamo, e non è da tutti parlare con una mamma dei Queen e del loro repertorio.

   Il nuovo anno è iniziato.

   Buon anno a tutti.

Aurélien Facente, gennaio 2020