LA BARCA DELLA DISCORDIA E DEL DISSENSO

Vi confesso che non avrei voluto scriverne a proposito di questo atto di vandalismo nei confronti di un’opera che è, di fatto, un lavoro che crea discordia e dissenso. Non avrei voluto scriverne perché sarei tacciato di essere chissà che cosa quando in realtà una formazione artistica la posseggo, e avendo contribuito a mostre e opere d’arte in passato… Beh, una parola ce la potrei mettere.

Facciamo così. Vi propongo una scelta: una pillola rossa e una pillola blu. Se scegliete la pillola rossa, cambiate canale e non andate oltre. Credete che Crotone sia l’unica città al mondo meritevole di considerazione e avete una dimensione favolistica che purtroppo vi rende sensibili. Se è così, prendete la pillola rossa e non andate oltre.

Se invece scegliete la pillola blu, avrete a che fare con la lettura di un pezzo scritto da un blogger spietato, additato come fascista, razzista e quant’altro ancora. Questo è il prezzo che pago volentieri per mantenere lo sguardo dell’oltre, ovvero non fermarmi alla solita apparenza per esprimere chissà quale solidarietà, se prima non si prova a conoscere il male. Non quello che viene raccontato su qualche giornaletto. Si tratta di quel male o malessere tangibile che il più delle volte non viene visto e nemmeno ascoltato. Ora, se scegliete la pillola blu lo fate a vostro rischio e pericolo, ma almeno avrete la possibilità di non sentirvi ipocriti, L’ipocrisia rende ciechi. Invece qui bisogna guardare le cose con chiarezza.

Fermo restando che non ho nulla contro l’attività civica di IO RESTO, associazione che fa del civismo la sua attività principale. Potrei semmai discutere delle scelte artistiche, alquanto kitsch, che puntualmente hanno anche suscitato delle critiche, alcune anche molto ingenerose. Ma se l’arte non suscita dissenso, non suscita emozione. Lo scrisse la scrittrice inglese Jeannette Winterton nel suo bellissimo saggio “L’arte dissente”, oggi introvabile.

Dato che ho citato la Winterton, quindi già questo mi permette di poter dire la umilissima mia opinione, la domanda che mi sorge spontanea è dura ma obbligata: ma che vi credevate?

Partiamo da un presupposto. Qualche notte prima, nello stesso parco Pignera, sono state vandalizzate delle panchine. Gesto compiuto da sconosciuti che prima o poi puntualmente lo avrebbero ripetuto. Cosa avvenuta tra l’altro. Quindi, esiste un problema. E non si risolve con la solidarietà conveniente che si esprime su Facebook il più delle volte,

Partiamo da un altro presupposto storico. La barca in questione non è stata l’unica opera vandalizzata nel tempo. Ce ne sono state altre. Ne cito due: il monumento dedicato alla tragedia delle Foibe, qualche anno fa, ed era stato appena inaugurato. E il monumento dedicato ai caduti italiani in Russia nella Seconda Guerra Mondiale, dopo qualche giorno vandalizzato con scritte oscene.

Gesti compiuti con ovvietà da bulli in una città che in realtà non gli offre grandi aspettative, anche perché ferma mentalmente negli stessi cliché da almeno un buon biennio in maniera ferrea,

Dico bugie? Mi sapete dire quale opera d’arte è stata prodotta in maniera imponente da lasciare un segno nell’immaginazione mondiale? Se escludiamo il Rino Gaetano di Jorit, il resto è zero. Proprio perché si tratta di opere kitsch o di monumenti celebrativi di caduti in guerra che, però, hanno il compito di mettere in risalto i nomi di chi non è potuto tornare a casa, e perciò sono assolti dal dover essere belli per forza.

Ma che Crotone artisticamente parlando esprima del kitsch è fuor di dubbio. Non la prendete come una critica distruttiva. Il kitsch ha anche il suo perché, ma se saputo fare però. Penso al mitico Anton Furst che con un buon uso del kitsch riuscì a rendere uniche le atmosfere del film Batman di Tim Burton nel 1989, tra l’altro campione d’incassi. Ma Furst era Furst. E qui non esiste Furst,

Ora analizziamo l’opera danneggiata dal fuoco.

Un utente straniero si domanderebbe il perché della realizzazione di un’opera del genere. Fermo restando che non discuto l’idea artistica, ma il messaggio che vorrebbe dare.

IN qualche bella giornata un gruppo di persone si è messo all’opera di un lavoro che doveva indurre alla riflessione sui tanti esuli in mare che vogliono arrivare in Europa e che bisogna accoglierli perché qui si vive bene. Io sono d’accordo nel salvare vite umane, ma sarei ancora più felice se nella mia città non ci fosse nemmeno quella bidonville di stranieri che si era rifugiata sotto il cavalcavia Nord (quello che si affaccia ai resti della gloriosa industria di Crotone), oppure mi piacerebbe non trovare gente di notte che non ha un letto dove poter dormire.

Quindi quest’opera nell’immaginario collettivo nasce in un ambiente che è già un controsenso se ci riflettete un po’.

Ma non fermiamoci qui. Andiamo ancora oltre.

Crotone ha un alto tasso di disoccupazione e di precariato lavorativo. Siamo un’isola felice, davvero? La disoccupazione e il precariato eccessivo generano già di per sè una forma di degrado sociale che si chiama povertà, e se imponi un altro tipo di povertà come quella degli esuli, ti raccomando la bomba sociale. La povertà si tollera, scrisse Dominique La Pierre nel suo capolavoro “La Città della Gioia! ambientato in India.

La città si è impoverita, di fatto, e per di più bisogna sopportare un principio di propaganda pseudoeuropeista che incoccia con la realtà di Crotone che è un controsenso continuo.

Quando da appassionato di arte, ho visto l’opera, mi è salito un rigurgito. Non che la disprezzi, ma è il sapore kitsch che non andava. Anche perché, purtroppo per gli altri, avendo studiato all’università i testi di André Gide sul Congo, i testi di Ryzsard Kapuscinski che l’Africa l’ha vista davvero e i testi storici delle colonizzazioni in Africa… Beh, vi lascio immaginare quando ho capito che si trattava del solito film a senso unico su un fenomeno di enorme portata che si riduce al solito chiché per non dirsi di essere… ecco,.. razzisti.

In ultimo c’è un qualcosa che mi disturba artisticamente parlando, ovvero la canonizzazione della disgrazia. In Italia abbiamo la triste mania di canonizzare la disgrazia per autoassolverci di eventi che sono purtroppo capitati. A Crotone si è voluto vivere per forza intensamente un evento tragico come il naufragio di Cutro non affrontando il trauma, ma cercando di autoassolverci come se quel delitto marittimo fosse colpa nostra. E mentre piangevamo, non ci siamo accorti che la città di Crotone ha bisogno di guardare oltre perché troppo prigioniera degli stessi argomenti da un buon quarantennio.

E certo. Perché conviene far vivere un pensiero retrò e restare fermi nel tempo. Come se questo lavasse le coscienze. Nella realtà non è così, altrimenti non si esprimerebbe il dissenso in tal modo. Anche se dà enormemente fastidio.

Ora, rivedendo, l’atto vandalico, non giustificabile, si è venuto a creare un paradosso. Ora l’opera in questione ha il suo sapore di verità. Perché il viaggio nel Mediterraneo, ma anche in altri mari, per la migliore vita non è un viaggio colorato, ma un percorso pieno di insidie e di incognite, e queste persone non arrivano con un transatlantico super attrezzato. Ora l’opera vandalizzata assume la sua reale funzione, e permette di vedere chiaramente il racconto che essa vuole trasmettere.

La tragedia.

Si dice che non tutto il male viene per nuocere.

Ma, qualche volta, capita che un male faccia vedere con chiarezza un altro male.

Anche questa è una verità-

Mi auguro che dopo attenta riflessione si tenga in considerazione di tenere il monumento in questo modo. Ovvero quello di un viaggio difficile e pieno di insidie. Solo così si può far passare il messaggio nella sua verità.

Altrimenti possiamo sempre raccontarci lo stesso film. Un film irritante tra l’altro.

Vi esprimo la mia comprensione perché doverosa. Mi auguro che i colpevoli siano trovati (nutro i miei dubbi qua), e che prima di condannarli a priori si abbia la decenza quantomeno di ascoltarli. Perché a Crotone esiste un folto gruppo di cittadini che non ha ascolto e, cosa più grave, viene denigrato quando solo osa fare una riflessione.

Ma si sa. Capire il dissenso è un argomento troppo difficile qui a Crotone.

Aurelien Facente, 21 maggio 2024

Quando la street art a Crotone non era ancora street art (ovvero un ricordo di Pino Attivissimo)

Ha fatto parlare i social crotonesi l’opera di Jorit dedicata a Rino Gaetano, ormai consegnata alla città di Crotone. Non si discute la qualità di Jorit, che ha fatto obiettivamente un’opera meritoria.

Ma la propaganda culturale che qualche “nano pseudoculturale” ha scritto e fatto, come se la street art proposta in questi giorni dalla attuale giunta comunale fosse “La Novità” a Crotone.

Oggi racconterò di un signore che, ahimé, non ho conosciuto di persona. Ma sono cresciuto con i racconti delle sue imprese e mi ritengo fortunato di aver potuto vedere alcune opere sue, di cui una molto particolare che si troverebbe nella pinacoteca comunale di Bastione Toledo, però ormai custodita chissà dove visto che la struttura è chiusa da anni ormai.

Per alcuni è una leggenda, per altri è un personaggio controverso, e per tutti è deceduto troppo presto. Il suo talento era profondo, geniale, anticipatore. Sì, perché Attivissimo si potrebbe definire come il “primo artista mediatico” della storia di Crotone, soprattutto nei concetti visivi che riuscì a esprimere in gran parte della sua produzione.

Pino Attivissimo fu un artista molto attivo a Crotone (ma non solo). Un punto di rottura con un certo classico che albergava nell’arte crotonese, fatta di ritratti e paesaggi e miti. In realtà, Attivissimo fu un esponente culturale che abbracciò vari tipi di arte visiva, dalla pop art alla street art, ma sempre avendo uno stile tutto suo, molto innovativo per i standard dell’epoca.

Fu addirittura capace, una volta, di realizzare una mostra di dipinti in mezzo al mercato ortofrutticolo di Crotone, portando le sue opere in uno dei posti più frequentati dalla gente in mezzo alla strada, usando come cornice dei suoi dipinti pezzi di cartone. Una forma di “arte popolare” per stare in mezzo alla gente. Un concetto che lo avvicinò in quel frangente proprio alla concezione del più celebre Keith Haring, che concepì a sua volta il concetto di avvicinamento dell’Arte verso la sensibilità della gente più comune. E la strada era proprio il mezzo da usare. Strada intesa come piazza, quartiere, mercato o anche luoghi come i bar o i ristoranti. L’artista doveva avvicinarsi alla gente più comune perché anche le persone di tutti i giorni avevano il sacrosanto diritto di godersi l’arte da vicino senza passare da una galleria o da un museo. Un modo per far sentire le persone parte di qualcosa che potrebbe rendere la visione della vita in modo più positivo.

Attivissimo all’opera con un esperimento artistico in mezzo alla strada, il cosiddetto Manifesto

Pino Attivissimo ha prodotto tanti contenuti nella sua breve vita. Ma quello che ha prodotto è un’evoluzione del linguaggio dell’arte. Più che l’estetica, era un esploratore del contenuto.

Il suo street art più celebre fu proprio il Manifesto. Un giorno attaccò al muro della carta da manifesto bianca e coinvolse la gente di tutti i giorni a scrivere e disegnare nella massima libertà.

Erano gli anni 80′ a Crotone. Era una Crotone operaia del profondo meridione calabro. Era una Crotone ibrida, fatta di abitanti figli di tradizione e figli pronti a sfidare il passato. Dentro il Manifesto c’era la scrittura, ma c’era il pensiero comune di voler raccontare il presente. Un racconto visivo scritto con la testa delle persone in mezzo ad una strada.

Un gesto artistico che pochi ricordano, ma che poi sarà ripreso sotto altre forme.

La voglia di provocare come concetto artistico e oggi mediatico.

Non ho avuto la fortuna di conoscere Pino Attivissimo di persona. Ho potuto conoscerlo solo cercando le sue opere e le poche testimonianze. Ho conosciuto alcuni suoi amici, e ho conosciuto chi lo ha ospitato. Ho avuto modo quindi di conoscerne il concetto artistico, all’epoca molto anticipatore e forse per questo oggi un po’ dimenticato.

Di certo, Pino Attivissimo ruppe le regole del gioco.

Oggi sarebbe da ricordare.

Anni fa, al castello Carlo V, ci fu una mostra dedicata alla sua memoria.

Ma Pino Attivissimo, perdonatemi, non è un artista che si vede in una sala mostra. Attivissimo fu un artista che usava gli ambienti per raccontare una storia. Il concetto del Manifesto è solo un esempio. Così come la mostra al mercato ortofrutticolo. Così come altre piccole grandi imprese, molte sul fare arte in mezzo alla gente. Che è poi lo stesso concetto che Jorit ha espresso attraverso il ritratto di Rino Gaetano.

All’epoca di Attivissimo non c’erano le telecamere compatte degli smartphone, così come non c’erano Facebook e Instagram, e molto probabilmente sarebbero stati strumenti funzionali per quello che lo stesso Attivissimo concepiva.

Io sono un blogger che ha il dovere di ricordare quello che altri ignorano o peggio hanno voluto dimenticare. E qui a Crotone, città dove vivo, spesso dimenticano.

Quindi ecco qui la conclusione della mia storia.

A Crotone c’era una volta un artista che si firmava Pino Attivissimo. Un giorno scese tra le strade di Crotone, e fece l’attacchino. Sui muri apparvero dei manifesti bianchi, e diede modo ad altri di esprimere quello che volevano, senza nessuna censura.

Erano gli anni 80′ di una Crotone industriale e operaia, di una Crotone con abitanti molto inclini alla tradizione che si trovarono con la possibilità di esprimere con la scrittura un pensiero, e per la prima volta potevano esprimerlo senza reprimersi. Bastava usare una penna e scriverlo su un manifesto attaccato al muro.

Anche questa è street art.

Aurelien Facente, 11 maggio 2022

Psicoantropologia del consigliere comunale crotonese durante la realizzazione di un’opera d’arte

Opera di Jorit

Solitamente questo blog non torna sullo stesso argomento in pochi giorni. Ma non posso fare a meno di raccontare qualche storia curiosa intorno alla venuta di Jorit, artista campano, che sta realizzando su commissione comunale un enorme murales dedicato alla figura di Rino Gaetano in uno dei quartieri popolari, i 300 alloggi, con obiettivi molteplici e ambiziosi.

Non sto a fare l’elenco di questi obiettivi. Intanto, mentre il lavoro procede a gonfie vele, ho passato a raccogliere diverse impressioni e soprattutto mi sono divertito nel constatare che non è l’artista a vivere la pressione di una scommessa chiamata “opera d’arte”, bensì qualche consigliere di maggioranza in compagnia di qualche assessore che non vedono l’ora di farsi notare in tutto.

Ora, prendendomi alcuni passaggi dell’opera (ancora in fase di realizzazione al momento in cui scrivo), mi sono divertito nel verificare che tali soggetti della maggioranza soffrono di una sorta di protagonismo isterico.

Era comprensibile che il sindaco Voce e qualche altro, nel momento in cui partiva il cosiddetto ok, si facessero qualche foto di rito. Fa parte del gioco. E ci sta.

Quello che viene dopo è stato curiosamente folle.

Tolti i curiosi, il che è già di buon auspicio visto che l’opera risulta già essere efficace, mi ha preoccupato la fame di protagonismo con conseguente accettazione forzata di un’impresa nella quale i nostri consiglieri, addirittura, avvertono più pressione dell’artista stesso.

Pubblicano foto. Fanno vedere che sono partecipi. Hanno iniziato una propaganda all’unisono (soprattutto quelli della lista Stanchi dei Soliti, ma non solo) perché l’evento deve essere visto, saggiato, digerito, approvato. Come dei sacerdoti di chissà quale religione che vi bussano alla porta di casa per convertirvi.

Addirittura vogliono e pretendono che gli altri siano felici ed eccitati come loro, e se non si approva la loro felicità allora si è cattivi, non si ama la città e altre palle del genere.

Cioé, in breve, documentano fino all’inverosimile pur di fare una guerra immaginaria in un contesto dove non c’è mica bisogno di farsi la guerra (perché sono loro che la fanno, o provano a farla). E quando la fanno, piagnucolano. Già, perché il loro scopo è avere tanta visibilità con tanto di approvazione annessa.

Peccato, però, che non sono loro che svolgono il lavoro di Jorit, che già nelle immagini già presenti su Facebook dimostra che l’opera sta conquistando proprio perché la gente comune ama scoprire da sola in questi casi, e non perché si mette di mezzo qualche consigliere (e qualche maritino di troppo) per fare la morale, scema tra l’altro perché si cerca di… Bah, non perdo tempo ad esprimermi.

In poche parole che cosa succede?

Che l’opera nello svolgersi comincia a conquistare il proprio consenso. Come era abbastanza prevedibile. Tra l’altro senza l’aiuto e il selfie di qualche personalità di troppo. Il lavoro, quando viene visto nella sua applicazione, conquista sempre il rispetto. Lo sanno anche i bambini. Certi consiglieri no. Perché hanno fame di consenso popolare con approvazione perpetua, e quando non ce l’hanno ovviamente li avvelena e fa loro usare termini invasivi ed equivoci. Un comportamento adolescenziale molto ormonale che, ovviamente, suscita antipatia perché vorremmo che i consiglieri fossero più adulti e meno adolescenti. Ma si sa che la maturità è un concetto abbastanza soggettivo.

Come scriveva la scrittrice inglese Jeanette Winterson, l’arte ha l’incredibile potere di mettere a nudo tutto.

In questo caso, l’opera di Jorit (che è iniziata il 4 maggio nella realizzazione) batte un record invidiabile a livello antropologico. Ci fa vedere chiaramente lo stato psicofisico di alcuni consiglieri e /o assessori che proprio non ce la fanno a rilassarsi e a godersi la realizzazione con calma. Proprio non ce la fanno, e allora è come se nell’atto masturbatorio (mi scuso per il termine usato) avessero proprio bisogno di provare l’orgasmo. Cioè soffrono di ansia da prestazione.

Il mio umile suggerimento sarebbe: lasciate respirare l’opera mentre nasce, e lasciatela libera di conquistare.

Però non credo che questo concetto possa entrargli in testa.

Cercasi sessuologo per curare i nostri consiglieri.

Non me ne voglia l’artista Jorit, ma francamente non mi aspettavo di assistere ad un’invasione di psicopatologie sessuali, tra l’altro trasmesse su Facebook, con tanto di discussioni molto perditempo e nevrotiche.

Resto in ogni caso sicuro che quest’opera comunque lascerà un gran bel ricordo qui a Crotone. E non è poco in un periodo complicato come l’attuale.

Aurélien Facente, 5 maggio 2022

Jorit a Crotone: operazione culturale o specchietto per le allodole?

Didascalia comunale per l’annuncio di Jorit a Crotone

Io non conosco personalmente l’artista dei murales conosciuto come Jorit. Conosco alcuni suoi lavori, visti per lo più attraverso le foto di alcuni miei amici campani, che ne hanno potuto ammirare il lavoro dal vivo.

Artista notevole, bisogna ammetterlo. Sui soggetti possiamo anche discuterne per ore, ma alla fine un artista produce quello che ritiene opportuno, e se può lo vende anche al miglior offerente.

C’è anche un altro aspetto, molto sociale. L’Arte, quella con la A maiuscola, non conosce le barriere. Riunisce le persone inevitabilmente. Crea anche dibattito e dissenso, e ciò dimostra quanto un contatto con l’Arte sia quantomeno necessario nell’animo di ognuno di noi, anche di quelli che credono di non vederla.

Ebbene, notizia del 29 aprile 2022, un artista conosciuto con il nome d’arte Jorit realizzerà un murales dedicato a Rino Gaetano in uno dei quartieri popolari (i 300 Alloggi) e problematici nella città di Crotone.

C’è ovviamente un costo che sembra alto, perché a Crotone ci sarebbero altre urgenze più impellenti. Il che è vero. E già qualcuno dei consiglieri di maggioranza ci fa propaganda, parlandone come di un segno di cambiamento.

Inevitabilmente Jorit diventa oggetto di dibattito e di critica.

Opera di Jorit

Ognuno può dire la sua.

Anche sul costo dell’operazione.

Ma sarebbe inutile. Io non credo che il lavoro di Jorit, quando sarà realizzato, potrà cambiare il volto della città di Crotone per darle la rinascita che merita. Ci vuole anche altro, soprattutto altro. E non dovrebbe essere un lavoro isolato tra l’altro.

Perché nell’immediato, Jorit realizzerà la sua opera in maniera professionale. Solo il fatto di vederlo all’opera permetterà di sicuro la visione di un’esperienza artistica di cui il quartiere un po’ ne guadagnerà a livello d’immagine. Ma poi ci sarà il resto da fare. Già, il resto.

Altrimenti si avrà l’impressione di avere un gioiello in mezzo al deserto.

Io considero, per quel che concerne l’operazione, l’arrivo di Jorit a Crotone un esame importante, che però va visto in un’ottica non immediata. Bisogna spingere lo sguardo ben oltre. Il che, conoscendo l’antropologia crotonese, pone ovviamente qualche dubbio (non sulla capacità dell’artista che resta sempre di alto livello) sull’operazione.

La polemica che si è innescata su Jorit riguarda il costo dell’operazione. Questa deformità del costo è la trappola mentale alla quale i partiti italiani ci hanno abituato con la classica (loro) idea del risparmio a discapito dell’investimento.

Perché un’opera d’arte, qualunque essa sia, è un investimento che frutta nel tempo, soprattutto se parliamo di turismo o di antropologia di quartiere, e nel caso specifico parliamo di murales.

Prima o poi Crotone dovrà iniziare a vendere la sua immagine, incoraggiando proprio il confronto e avvalendosi del servizio della visione esterna. Purtroppo è abbastanza risaputo che alcuni nostri artisti locali da soli non bastano (questa è una storia lunga e complessa), e già mi aspetto che anche i locali diranno la loro sulla sempreverde domandina: perché lui e io no?

Il che potrebbe esserci anche una buona ragione dietro, proprio per la facilità in cui è stata trasmessa la notizia. Jorit sarà un caso isolato, oppure si proseguirà con altre opere di riqualificazione urbana artistica magari coinvolgendo anche artisti nostrani? Domanda lecita, ma potrebbe esserci la trappolina economica dietro. Una cosa che verrà chiarita, spero. Perché molti artisti locali hanno speso energia a Crotone senza ricavarci il giusto. E questo è uno dei problemi mai risolti a Crotone perché i patti chiari non sempre sono amicizie lunghe…

Opera di Jorit

Io sono convinto dell’idea che Jorit sia un’opzione necessaria. Non posso dire se sarà vincente o no, ma necessaria. Perché la città di Crotone deve essere raccontata non attraverso i crotonesi, ma tramite le esperienze di chi viene a operare.

Un artista le racconta meglio certe cose. Fidatevi. Ed è questo che serve. Altrimenti continueremo a vivere in un’isoletta sempre da soli per la gioia di chi la realtà non la vuole nemmeno guardare in faccia.

E infine una prospettiva nel mondo bisogna pur darsela. Crotone fa parte del mondo oppure no?

Ecco perché non starei a guardare il costo dell’operazione, ma piuttosto la qualità di ciò che sarò realizzato.

A patto che non sia oggetto della classica propaganda politica che ha inquinato gli ultimi anni di Crotone.

Vorrei concludere con una foto provocatoria. Che è la seguente:

Opera anonima

Ecco, la mia domanda è questa: volete un po’ di buona e sana bellezza a Crotone, anche se ha un costo, oppure volete continuare ad assistere a situazioni degradanti come questa che vedete? Volete un po’ di sano colore nelle zone grigie della città o volete che la stessa rappresentazione imbratti il muro sotto casa vostra? Volete combattere il degrado con qualche esempio di bellezza o volete che qualche artistoide nostrano continui nella sua opera di “cattiva immagine” ai danni di una città che deve provare a ripartire?

Per finire: il capitolo “cultura ed estetica cittadina” fanno parte della spesa di una città. C’è anche un obbligo legislativo su questo, per chi non lo sapesse. Il problema è da dove provengono i soldi? Io sostengo che bisogna spendere quando si può, perché il trucco del risparmio politico è sempre lo stesso: risparmiare per non investire.

E questo ovviamente non ce lo possiamo più permettere eticamente.

Un in bocca al lupo a Jorit ovviamente.

Aurélien Facente, 30 aprile 2022

Pitagora c’era già, ma qualcuno volutamente non voleva vederlo…

L’argomento “Statua di Pitagora” è un argomento spinoso a Crotone. Solo farne un riassunto è impossibile, vista l’enorme mole di materiale che forse sarebbe più utile alla scrittura di un libro.

Nel celebre consiglio comunale dove si è svolto l’argomento “Statua di Pitagora” vi è stata una clamorosa bocciatura nella discussione tra consiglieri. Con tanto di comunicati a dir poco demenziali, non perché si deve discutere dell’abbellimento di una città, ma forse perché in seno al consiglio si è dimenticato, o fatto finta di non vedere, che già un lavoro esisteva ed era una visione offerta dallo scultore Gaspare Da Brescia che, sbagli permettendo, una visione originale del filosofo Pitagora la stava dando.

Qui alcune foto del prototipo di argilla in sequenza:

Questa sequenza, fotografata dal sottoscritto, è il grande prototipo in argilla presentato in un laboratorio pubblico nel 2012 in Piazza Pitagora, Crotone.

La seguente sequenza, sempre fotografata dal sottoscritto, presenta l’artista mentre opera sulla statua in argilla (da considerare come prototipo, e non come esemplare), per dimostrare la volontà dell’artista stesso a realizzare l’opera. Ed è ovvio che il lavoro e il materiale hanno un costo.

Adesso avrete modo di ammirare l’opera in argilla attraverso un video, sempre realizzato dal sottoscritto, per mostrare in qualche modo la portata dell’opera.

Quello che segue dopo è il cortometraggio “Pythagoras is dead? (Pitagora è morto?)” realizzato un po’ di tempo dopo e che narra la distruzione di un prototipo di cera (prototipo e non esemplare), poiché a Crotone si è più interessati a fare la chiacchiera politicamente volgare piuttosto che portare a compimento un progetto sul quale si doveva almeno iniziare la discussione sull’uso culturale di una piazza. Il cortometraggio è volutamente provocatorio ed è stato realizzato dal sottoscritto con la chiara volontà di lanciare un messaggio chiaro: volete continuare con la devastazione culturale o volete rialzarvi? La distruzione del prototipo è stata, di fatto, un reset per la discussione, Qui sotto potete vedere il corto.

Ora, siccome, custodisco gran parte del materiale fotografico del primo laboratorio Pythagoras, e ne conosco ovviamente la storia, i segreti, i materiali, il vissuto…

Ecco, sapendo che basterebbe attenersi a determinate regole perché il finanziamento per la scultura esiste già, ma non è di questo che voglio parlare qui. Non è compito mio almeno, e non bisogna essere ipocriti nel dire che il lavoro deve avere il suo riconoscimento economico. Ma queste immagini devono far capire che essendo il progetto in sé già imponente, è normale dire che tra realizzazione, promozione, comunicazione, trasporto, messa in posa, racconto, e perciò all’epoca del primo step si era pensato ad un crowdfounding (ovvero raccolta fondi), ma accompagnata da un finanziamento pubblico che avrebbe dovuto coinvolgere anche le istituzioni pubbliche, tra l’altro con tanto di comitato cittadino.

Ecco, ci sarebbe stato già un gruppo di individui che avrebbe lavorato, senza contare che avrebbe riqualificato in meglio una piazza che ha bisogno tuttora di un simbolo che non sia politico, ma culturale, poiché la conformazione stessa di Piazza Pitagora è matematica se la si osserva per bene.

Questo articolo, volutamente video e fotografico, vuole dimostrare che già il cittadino aveva adottato una visione che andava bene per due motivi: la visione classica di un filosofo che sta bene dentro la cornice di una piazza storica e poi perché la percezione stessa era ex novo, ovvero qualcosa di unico e originale. Dimostrazione quest’ultima che avrebbe dato una propria identità e che nel tempo a seguire sarebbe stato un bel biglietto da visita per la città stessa. E soprattutto ci sarebbe stato un meccanismo prezioso, usato per lo più in letteratura, ed è l’autoidentificazione. Nel bene e nel male questa scultura diventerebbe un simbolo della città perché sarebbe stata scritta e realizzata proprio dentro Crotone. Si potrebbe farlo, ma ovviamente con la volontà di farlo non di discuterci solo per chiacchierare e basta,

Testo, fotografie e video di Aurélien Facente. Le foto sono state realizzate nel 2012, mentre il cortometraggio “Pythagoras is dead?” è stato realizzato nel 2016

L’opera Pythagoras è stata iniziata da Gaspare Da Brescia nel 2012.

Cultura da Virus: Contagion di Steven Soderbergh

Steven Soderbergh non è un regista qualunque. È un autore raffinato e sperimentale. O lo ami o lo odi. Non ci sono vie di mezzo. Ogni suo film ha un suo perché, ma soprattutto ha un suo stile personale.

   Steven Soderbergh sa lavorare con i cast, sa scegliersi gli attori, sa usare la telecamera come farebbe un fotografo, sa lavorare con le immagini. Le sceneggiature dei suoi film lasciano dei perché alle volte. Non è un regista per tutti, ma quando esce un suo film, anche il più insensato in realtà ha un senso. Soderbergh ha un pregio. È un regista che sa lavorare su più generi.

   Quando Contagion uscì nel 2011, mi ritrovai sorpreso di questa scelta. Di raccontare attraverso varie persone il cammino di un virus che infetta il mondo. Dal trailer sembrava un film di genere, dai facili effetti, dal plot più sensazionalistico che di solito queste produzioni riservano.

   In effetti, non fu molto capito.

   Perché Contagion non è un film su un virus affrontato dagli uomini.

   È il viaggio di un virus attraverso le vite di tanti esseri umani.

   Nel film, i protagonisti sono vari. Hai lo scienziato, hai il dottore, hai il marito che perde la moglie e il figlio, hai la figlia impaurita, hai la dottoressa che agisce nelle zone di quarantena, ma soprattutto riesci a vedere il viaggio del virus, che diventa la scusa anche per raccontare quello che forse è il maggior male, ovvero la paura delle persone che si manifesta in ipocrisia e altro ancora.

   Non è un film buonista. Racconta i diversi modi d’interpretare la paura in un fenomeno complesso come la natura di un virus.

  Il cast fa il suo onesto lavoro. Matt Damon è un attore che sa dire la sua, così come Laurence Fishburne. C’è una bella Gwyneth Paltrow che è l’inizio del film, e anche se appare in poche scene sarà proprio il suo personaggio la chiave di tutta la lettura.

   La struttura del film è complessa, ma curata nei dettagli. Infatti, soprattutto dal punto di vista scientifico tutta la storia è attendibile. Anzi, sta già succedendo.

   Steven Soderbergh riesce in meno di due ore di descrivere l’effettivo impatto sociale (anche se il film una narrazione fantapolitica, che oggi è reale però), e non credo nemmeno che all’epoca gli autore avessero pensato a quello che sta avvenendo oggi con il coronavirus.

   Bene, Contagion è il perfetto film che racconta qualcosa di simile come il coronavirus. Il personaggio interpretato da Jude Law rappresenta proprio quel modo di fare notizia che non tranquillizza per niente, e perciò non aiuta. Ma è proprio attraverso gli occhi di questo personaggio che intravediamo anche il comportamento dei media, che ovviamente offrono il loro pasto quotidiano di notizie gonfiate di sana paura.

   In questi giorni, Contagion è un film da procurarsi.

   Se non altro, perché oggi, rivedendolo con più attenzione, risulta essere un film verità.

   In dvd lo trovate tranquillamente.

   In tv, in questi giorni, guarda caso non lo mandano in onda.

Aurélien Facente, 25 febbraio 2020