14 ottobre 1996, Crotone: una storia da ricordare, non solo per l’alluvione.

Sono passati 25 anni ormai da quel lontano 1996.

   Era il 14 ottobre 1996.

   Avevo appena compiuto diciotto anni. Frequentavo il Liceo Classico Pitagora. Ultimo anno. A scuola non ero un granché. Lo ammetto. Non volevo essere un granché. Volevo che l’ultimo anno passasse soltanto liscio. Non avevo passato un bel periodo nei mesi precedenti (questioni personali), e volevo soltanto staccarmi psicologicamente dal brutto periodo.

   Però era l’ultimo anno di scuola per me. Come me, tanti altri ragazzi.

   Poi quel giorno del 14 ottobre si mise a piovere.

   Ad un certo punto la corrente elettrica s’interruppe, e restammo al buio. Il cielo s’era fatto cupo, e la lezione scolastica si chiuse così, senza motivo apparente. Ci fu un silenzio strano. Cioè, la scuola era piena di ragazzi. Gli insegnanti c’erano. Un giorno normale, ma quella sensazione di silenzio… Una cosa strana… La verità? Era la pioggia. Un po’ più forte del solito. La nostra preoccupazione fu di tornare a casa e basta, senza neanche bagnarsi troppo.

   Il turno di scuola finì un po’ prima, perché la corrente elettrica non tornava.

   Fu la sola buona notizia per i ragazzi. Terminare un po’ prima le lezioni.

   Ma quel cielo grigio… Ancora lo ricordo bene… Ci penso ogni volta che passo dal Liceo Classico. Uscii da scuola in un momento che non pioveva. Mi preoccupavo soltanto di tornare a casa, e di terminare la mia giornata tra vari fumetti.

   Invece…

   Durante l’ora di pranzo si ebbero notizie sconfortanti. La città si era bloccata.

   Papà tornò più tardi dal lavoro (era insegnante a Isola di Capo Rizzuto), e disse che l’avevano obbligato a fare un altro giro, che di fatto gli allungò il percorso.

   Che cos’era successo? Era la domanda che mi frullava nella testa, e nel 1996 non c’era internet. Dovevi aspettare il tg per le notizie immediate.

   Poi le prime immagini dell’alluvione.

   Un’onda di distruzione dentro la città.

   Passa il tempo, e poi i nomi dei dispersi, poi morti.

   La città divenne in pochi attimi una terra di nessuno.

   Tutto si fermò.

   Ed io, come altri ragazzi, ci trovammo a vivere una delle settimane più strane della nostra vita. Non riuscivamo a comprendere quello che era appena capitato. Cioè, io ero fortunato perché abitavo in una zona lontana dal fatto, ma tremendamente vicina. L’ondata non m’aveva colpito. Anzi, abitavo in uno dei pochi palazzi che l’acqua corrente se la poteva permettere. Ma a due passi da casa, tutto si trasformò in un gigantesco campo di soccorso.

   La mattina scendevo sul Comune (Piazza della Resistenza, davanti al palazzo comunale) e vedevo le autobotti piene d’acqua e interminabili file di persone con varie borracce e bidoni per prendere razioni.

   E poi i racconti che sopraggiungevano.

   Una settimana lunga dove non potevi riposarti mentalmente, dove non sapevi che fare se non prestare un minimo d’aiuto se avevi una coscienza. Una settimana snervante prima di ricominciare la scuola (il Liceo Classico non era stato colpito). E poi si fecero i nomi delle vittime (pochissime rispetto ad altre realtà alluvionali, e fu molto duro immaginarsi che fu tutto frutto di un mostro dovuto ad un temporale eccezionale. Vittime di una tristissima casualità.

   L’alluvione non fu causata dal maltempo che fece ingrossare già di per sé il fiume Esaro (che colpì in modo violento tutti quartieri limitrofi), ma perché cedette un pezzo di cavalcavia nord sul fiume, e questo fece da diga e impedimento, causando tutto il disastro. Un evento casuale e sfortunatissimo.

   La città di Crotone era inevitabilmente costretta a cambiare, se non altro perché già da qualche anno stava cercando una sua identità dopo la chiusura industriale.

   Passai quella settimana a pensare parecchio, a fare volontariato silenzioso, a cercare di essere utile in un altro modo. Non mi sporcai le mani di fango a dire il vero. Per fortuna c’erano altre persone a farlo.

   Mi occupai di fare il facchino per quelle persone che non potevano muoversi (e ne conoscevo un po’), soprattutto portando acqua a chi ne aveva bisogno.

   Poi passavo dei momenti ad avventurarmi in zone silenziose. Avventure solitarie.

   E la sera t’incontravi con gli amici, e ascoltavi i loro racconti, in parte molto agghiaccianti e terribili. Si avventuravano nel quartiere Gesù, e raccontavano storie di abitazioni improvvisate, ed era solo l’inizio della storia. Ascoltavo quelle storie con attenzione, e andavo oltre. Guardavo da lontano quello scenario apocalittico, pensando che l’alluvione stava portando fuori il marcio della città, che s’era accontentata di vivere all’interno di un “sistema” stantio, e quelle erano effettivamente le tremende conseguenze.

    Si stava prendendo coscienza che Crotone non poteva restare ancora in quel modo, perciò speravamo che da lì in poi si poteva pensare a costruire una città migliore, un posto migliore, diventare persone migliori…

   Sono passati 25 anni da allora.

   Le promesse di 25 anni fa… qualcuno le ha mantenute forse, ma molto a livello personale e intimo direi. La città, dopo un’iniziale ripresa (i primi anni dell’era Senatore sindaco), ha poi continuato ad affondare in uno stagno, dove adesso si trova in una fase di stallo enorme e scoraggiante (Crotone è stata maltrattata in tutti i sensi, sia a livello politico che criminale), e oggi si trova ad essere un enorme boh, e questo lo pagano tutti (me compreso).

   È inutile nascondere l’evidente. Giusto ricordare la tragedia, le vittime, ma c’è da scrivere anche il resto, da riconoscere lo sbagliato…

   Sono passati 25 anni da allora…

    Ricordo ancora quel cielo grigio e quel rumore di pioggia che sapeva d’inquietante, e m’immagino quelle poche persone che non trovarono scampo, persone che potevano ancora vivere una vita e costruire qualcosa, vittime sulle quali si poteva e doveva costruire un posto migliore per tutti.

   Ora restano dei fiori e dei silenzi, promesse mancate, situazioni precarie, continue situazioni precarie.

   Ricordiamo il 14 ottobre, per carità…

   Ricordiamo le vittime.

   Ma poi ricordate di guardare Crotone per bene. Non guardatela come città. Guardatela come individui all’interno di una città. Guardatela bene. Ascoltatela, soprattutto di notte, nel silenzio.

    Abbiate il coraggio di farlo.

    Lo dico soprattutto a coloro che si sono succeduti nei posti di potere nella città, ad ognuno di loro. Non so se avete la capacità o la sensibilità di poterlo fare, perché alla fine si tratta di fare i conti con la propria coscienza, e ci vuole molto coraggio.

   Ma, detto con franchezza, credo che la risposta sarà sempre la stessa….

   Una risposta di silenzio che spiega molto più di migliaia di parole dette e sprecate in due decenni.

Aurélien Facente, 14 ottobre 2021

Quando parlare di ambiente a Crotone è sinonimo di propaganda

Mi sono permesso di prendere in prestito alcune foto di utenti crotonesi. Sono foto prese a caso, tra l’altro in anni diversi e in posti vari. Ma voi non saprete a quale anno si riferiscono perché la spazzatura è l’argomento più scottante nella città di Crotone (ma il problema si vive anche da altre parti).

Ogni anno, a più riprese e dovremmo parlare di mesi, si ripresenta sempre lo stesso problema. Eppure Crotone è la città che ha perso più abitanti negli ultimi anni, ma le montagne di spazzatura crescono eccome.

Ora possiamo parlare di impianti guasti (e quando ne hai solo uno sono cavoli amari se si guasta) e di varie responsabilità politiche e gestionali. Un groviglio di responsabilità nella quale la Calabria tutta si è impigliata, arroccandosi in posizioni politiche più ipocrite che di dovere.

Abbiamo un serio problema a monte. A produrre i rifiuti sono gli esseri umani. Non è che i cumuli di spazzatura li creino gli elefanti o le rondini. Le persone creano spazzatura.

Quando eravamo in pochi ci si poteva permettere erroneamente di seppellire e bruciare, ma poi la scienza ha scoperto che è dannoso e quindi abbiamo dato spazio al progresso tecnologico.

In Italia di progressi tecnologici ce ne sono stati, ma impari se andiamo a vedere in giro per il mondo. Gli stessi “privati” della spazzatura, quelli seri, parlano della possibilità di migliorare il progresso tecnologico. Ma vanno fatte anche nuove discariche, perché le vecchie dovrebbero essere dismesse e bonificate.

A quel punto, mentre sale il sospetto dell’inquinamento, si comincia il valzer della demagogia elettorale. Tutto dovrebbe partire dal pubblico, che è meglio del privato. Perché il privato segue i suoi interessi, e non quelli della collettività. Ma chi le dice queste cose spesso è seduto dietro una bella scrivania, eletto e sistemato per qualche anno a livello economico perché percepisce buono stipendio pagato dalla collettività.

Giusto difendere il territorio. Ma difendere il territorio vuol dire anche curarlo con i migliori mezzi. E se non li hai che fai? Ti viene facile demonizzare il privato, ma tu non hai i mezzi che il privato si è dotato. E allora racconti la supercazzola dell’inquinamento che provoca il privato. Ma la tua discarica è esaurita. Negli anni, assieme ad altri geni, vi siete impantanati in un sistema che si aggroviglia da solo.

Una sorta di gioco del cucuzzaro abbastanza perversa.

Sì, perché il cittadino, quello onesto s’intende, paga. Si lamenta, ma paga. Ma ricopre il ruolo del cucuzzaro, e perciò la prende nel didietro.

E intanto la spazzatura cresce, si accumula, non viene trattata. Cresce, cresce, cresce. Con tutto quello che ne consegue. E la storiellina si ripete da anni, e così le cucuzze giocano con il cucuzzaro, e chi se la prende nel culo? Ovviamente il cittadino che fa il cucuzzaro.

E così poi partono i provvedimenti più fantascientifici che ci possano essere. A raccontarli in un episodio dei Simpson sarebbe divertente, ma qui si abbonda di realtà demenzialmente tragica.

Facciamo l’inceneritore. No, l’inceneritore inquina. Ma poi in altri posti costruiscono inceneritori all’avanguardia e scientificamente testati, ma loro inquinano. Mentre è preferibile tenersi la spazzatura che s’imputridisce sotto casa tua, a discapito dell’igiene e ovviamente della salute.

Realizziamo una discarica fatta a norma allora. Un bel progetto. Sacrifichiamo un terreno e bonifichiamo le vecchie. No, inquinano. E intanto con questa bella scusa ce ne stiamo fermi e assaporiamo l’odore della merda.

Chiediamo aiuto a un privato allora. C’è. Lo autorizziamo con i controlli dovuti e per il momento ci accontentiamo. No, lui è un delinquente e fa gli interessi propri. Anzi, è probabile pure che sia un mafioso. Ma tu che stai dietro la scrivania non dici che fai parte dell’ostruzionismo e che giochi con il tuo comportamento proprio con la salute collettiva. Quindi dovremmo credere a un “onesto” che si comporta di fatto come un criminale, visto che il suo temporeggiare con la salute cittadina è un atto da criminali?

Ma tanto è il gioco del cucuzzaro. Tutt’in culu aru cucuzzaru, dicono a Crotone. E ù culu du cucuzzaru appartiene a quello che paga la bolletta.

La verità è che bisogna difendere l’ambiente e la città. Ma difendere l’ambiente vuol dire anche non perdersi in chiacchiere e comunicati stampa a supercazzola. Difendere l’ambiente vuol dire anche non fare propaganda se le soluzioni non sono a portata di mano. Difendere l’ambiente non vuol dire fare la protesta e basta o il ricorso qua e là, quando tu stesso sei sprovvisto della conoscenza. Difendere l’ambiente vuol dire anche affrontare il groviglio di norme che lo Stato Italiano e le Regioni si sono create per fare dispetto ai comuni. Già, loro sono le eccellenti cucuzze e devono andare intu ù culu du cucuzzaru.

Ma poi un giorno il cucuzzaro dirà basta.

Bene, signori. Ovviamente il racconto è una piccola sintesi della storia della propaganda ambientalistica crotonese, soprattutto in determinati ambienti istituzionali. Non vado nei particolari e nei nomi perché beccherei querele o sarei tacciato per pazzo.

Ma il fatto è che la spazzatura per strada continua ad esserci. Non la spazzatura del cafone di turno. ma quella che si accumula nei cassonetti provocando le cosiddette montagnuole maleodoranti. Vi raccomando l’estate poi. Beh, adesso ci sono le mascherine. Quelle in qualche modo proteggono dal cattivo odore.

Però intu ù culu del cucuzzaro continua a mietere vittime tra i cittadini.

E nel frattempo si parla, si parla, si parla.

Ma di soluzioni sempre intorno al racconto che vi ho appena narrato.

Aurélien Facente, 13 giugno 2021

Cambia partito che l’erbaccia resta, ovvero l’epidemia del candidarsi…

La democrazia è un termine abusato in questo periodo. Nei tempi nobili, la democrazia era fondata sul rispetto del voto che si scambiava perfettamente con la ricerca dell’eccellenza della rappresentazione elevata all’interno di una enorme stanza del potere che doveva amministrare lo Stato.

In Italia per un pezzo questo andamento c’è stato. Me lo ricordo. Attenzione, la politica ricercava l’eccellenza e la formazione. Non andava per gradimento, ma andava nelle piazze a cercare di parlare con la gente. E il gradimento (così come i fischi) erano immediati. Ma significava soprattutto guardare le persone in faccia. Essere consapevoli che tante promesse non si potevano tradurre in realtà, ma costruire qualcosa di forte sì.

Ora, all’alba delle elezioni regionali calabresi, il quadro è molto complesso. Parliamo del primo male: l’astensionismo.

Da qualche anno (troppi anni, a dire il vero), il calabrese ha ormai preso la cattiva abitudine di disertare le urne, salvo quando ha la possibilità di trovare uno spazio di protesta dove sa che il suo voto sarà palese. Vedi il caso dei 5stelle alle elezioni nazionali, dove qui hanno fatto il pieno in tutto e per tutto. Salvo poi, alle regionali, arrivare a sacche di astensione che superano largamente il 50%, il che pone a sfavore della politica calabrese che negli anni ha perso grande credibilità tra cialtronerie, inefficienze, degrado politico e culturale.

Che il politico medio calabrese non sia amato tanto dai calabresi è già un dato di fatto, ma che la politica locale non si sia fatta un esame di coscienza e un bagno nella realtà è anche un altro dato di fatto. La percezione della realtà da parte della politica calabrese non è prettamente quella che servirebbe a dire il vero.

C’è però un altro dato preoccupante e ridicolo allo stesso tempo.

C’è un’epidemia di candidatura che preoccupa. Sembra che non ci sia, ma in realtà c’è eccome. Ecco perché ho voluto fare l’introduzione.

La candidatura al ruolo politico non proviene da una richiesta precisa della popolazione stessa, che con il desiderio di votare vedrebbe volentieri più rappresentanti. No, in Calabria, e in particolar modo a Crotone, sta dilagando una moda a candidarsi perché si è carini, simpatici, strafighi, e del progetto politico ben poco si sa tranne che si candidano perché… alla fine più che la politica appaga il loro desiderio di protagonismo. Attenzione, tengo conto che ci sono persone che ci credono all’idea politica in sé, ma se dovessimo scavare con attenzione ci renderemmo conto che sono troppo pochi.

Ormai è cronaca che una signora senatrice crotonese eletta in Calabria si candida a sindaco di Roma per conto di una compagine di liste civiche. Diritto suo candidarsi nell’arena romana, ma leggendo le sue motivazioni ispiratorie, per quanto desiderose di giustificazione, si può notare che sono più un atteggiamento da protagonismo piuttosto che spinto da un vero progetto politico, tra l’altro condiviso. Basta leggere le sue stesse parole con attenzione, e non c’è mai il pronome noi, bensì l’io predomina, con il marcato desiderio di confrontarsi con gli altri candidati romani, come se Roma non avesse già i suoi problemi. Al di là degli auguri, la realtà sarà molto severa. Però la signora ci crede… Vedremo in autunno se le rose cresceranno o meno.

Caso curioso è De Magistris. Non la persona, ma il progetto politico che sta formando. Un progetto con marcata identità di sinistra, ma che poi non è così di sinistra. Sembra una copia malfatta dell’Ulivo, quell’agglomerato di partiti di centrosinistra che riuscirono ad arrivare al governo della nazione, ma con risultati politici molto discutibili.

Anche nelle sue fila, c’è qualcuno che ha questa malattia del candidarsi. Non credo che il sindaco De Magistris sia fesso, ma un po’ ingenuo è. Per i nomi che sta raccogliendo da una parte e nel voler far credere a forza che lui è il nuovo che avanza, ma con conoscenze che fanno parte del vecchio.

Certo, mi dirà il buon sindaco di Napoli, però che è difficile raccogliere candidature da parte di gente nuova, visto che i nuovi se ne vanno via dalla terra di Calabria.

Lo stesso problema lo vivono pure gli altri candidati alla presidenza nel trovare gente nuova, ma poiché il De Magistris è quello che viene da fuori il problema si fa più evidente. In attesa di un programma reale da comprendere, sto notando i mercenari che sta assoldando di volta in volta. Se avere Mimmo Lucano ha un suo perché (De Magistris ha adottato politiche molto simili a Napoli), per il resto c’è da mettersi un po’ le mani nei capelli. Perché il rischio di vedere un’accozzaglia è lampante. Tra i volti nuovi, si nota quello di una noto consigliere comunale di Crotone, tra l’altro eletto con una coalizione che correrà avversaria a De Magistris stesso. E quale sarebbe la ragione di tale scelta, se non una voglia matta di candidarsi in modo figo e simpatico. Qualcuno mi farà notare che è un diritto candidarsi. Ma è doveroso rimarcare che ci vorrebbe più coerenza e meno figheria. Ma tant’è che sarà il popolo calabrese a decidere (e sarà bravo a non decidere vista la massiccia confluenza nel partito dell’astensione).

Ovviamente avverrà qualcosa di simile anche nel centrodestra calabrese, sempre a Crotone. Ora i nomi non son ancora ufficiali, ma tra i tanti c’è quello di qualche buontempone non tagliato per la politica che crederà di essere eletto a prescindere dai voti che riuscirà a racimolare. Si presenterà perché è figo, bello, intelligente, ma del programma elettorale non ci capiremo nulla perché l’ingresso al consiglio che rappresenta una bella indennità mensile sarà talmente lampante che probabilmente vedremo al posto dei suoi occhi le cosiddette $$$, che da sole vogliono dire tanto. Ma anche qui, ci tengo a ripeterlo, ci saranno persone che credono nel progetto politico e che meritano rispetto. Perciò è doveroso chiedere uno straccio di programma chiaro.

PD e Cinquestelle non sono pervenuti ancora perché protagonisti di uno psicodramma che li perseguiterà per tutta la campagna elettorale, e la probabilità di essere i più evitati è altissima.

Infine ci sarebbe Tansi, l’indipendente. Per la seconda volta corre da solo contro tutti i pronostici, proponendo il suo progetto personale. Al momento la sua è più una scommessa che un progetto consolidato, ma ha già un suo appeal per piacere. Potrebbe pagare lui più di altri l’astensionismo calabrese, ma se dimostrerà coerenza potrebbe essere la vera novità, ma tutto dipende ovviamente da come farà percepire il suo progetto agli elettori, soprattutto dopo l’incidente separatorio con De Magistris. Prima erano amici, ora avversari. E quest’ultimo aspetto potrebbe incidere moltissimo, per l’uno e per l’altro.

Insomma, questo è l’attuale quadro che si presenta. Ma se sui candidati alla Presidenza della Regione Calabria si scriverà molto e troppo, la stessa cosa non succederà per i candidati al Consiglio Regionale.

Un vecchio detto dice: “Campa cavallo che l’erba cresce.”

In Calabria potrebbe diventare “Cambia partito che l’erbaccia resta.”

Sì, perché di candidati ce ne son tanti e troppi, ma l’erbaccia resta. Eccome se resta…

Aurélien Facente, 12 luglio 2021

La morte del signor Nessuno

Ciao, mi chiamo Nessuno. Sono una persona che non ha un volto. Vivo nella tua città. Ogni tanto ti vedo, sai. Magari provo a sorridere. Ma tu non ricambi mai.

Come me, ci sono tante altre persone. Persone senza volto e persone senza nome. Persone che non guarderai mai in faccia, e nemmeno vorrai ricordarle.

Non te ne faccio una colpa. Le persone sono strane. Selezionano, o meglio scelgono con chi rapportarsi. Oppure scelgono di vivere la solitudine a tal punto da voler essere invisibili.

Io sono invisibile ai tuoi occhi. Magari c’incrociamo vicino ad un supermercato, ma non mi degni di uno sguardo. Ti saluto pure, ma il tuo buongiorno è distante. Mi ricambi il saluto giusto per educazione, ma poi finisce lì.

Io sono una persona senza volto e senza nome. Ho una seria difficoltà a farmi vedere da te. Perché i tuoi occhi sono coperti da un velo che non definirei ipocrisia, e forse nemmeno paura. Sono occhi coperti dal velo della convenienza. Perché in una cittadina come Crotone l’apparenza conta eccome.

Nella mia solitudine, riesco a vedere bene le persone. Le vedo ogni giorno. E le conosco pure.

Ogni tanto trovo qualcuno che scambia parole con me. Ma si tratta di una persona senza volto e senza nome come me, magari anche senza casa. Ma ci sono anche persone senza volto che si odiano tra loro. La vita in mezzo ad una strada ci rende talvolta bestie, e a volte è solo il modo di capire che siamo umani anche noi. E quando facciamo vedere questo nostro lato allora ti giri, e ci guardi. Capisci che il signor Nessuno esiste, ma poi basta.

Preferisci lasciarci nella solitudine.

Perché è così che vuole la gente con la quale ti immischi. Meglio stare in mezzo ad una folla piuttosto che provare ad ascoltarci.

Ma non ti condanno, sai. In fondo, magari me la sono cercata. E allora mi merito di vivere questa condanna chiamata indifferenza. In fondo, anche io ci metto il mio.

Molti ne fanno una questione di pelle. Ne vedo di signor Nessuno come me che hanno la pelle diversa e provengono da luoghi lontani. Ma ognuno di noi ha una sua storia, una sua vita, una sua avventura e una sua sventura. Abbiamo la caratteristica di vivere alla giornata, quando sorge il sole iniziamo a vivere e durante la notte proviamo a cercare un riparo. Qualche signor Nessuno lo trova, ma in un posto come Crotone dove non esiste un dormitorio pubblico… Beh, allora diventa la strada la nostra principale casa. Magari mettiamo su una tenda improvvisata. Un buco lo troviamo. E appena scende il silenzio, allora proviamo a dormire anche noi.

Siamo una piccola comunità adesso. Tra noi non ci amiamo tanto, forse perché ogni signor Nessuno è uno specchio riflesso dell’altro. Ma ci facciamo compagnia. E ci chiediamo spesso perché ci troviamo qui.

C’è qualche furbastro tra noi. In fondo siamo esseri umani. Il furbastro se ne approfitta, ma non sempre è così. La società dei qualcuno è talmente egoista che preferisce vederci nella solitudine e nella povertà. Accetta la nostra esistenza. Siamo tollerati, ma non siamo considerati. In fondo, il signor Nessuno non alza la voce e se lo fa diventa un mostro agli occhi degli altri.

Ma chi è il signor Nessuno? Potrebbe anche essere un tuo vecchio amico d’infanzia, con cicatrici profonde causate dalle sventure dell’esistenza.

Per avere un nome, devo aspettare la mia morte. Che magari sopraggiunge. E mi trovano in mezzo alla strada, su una panchina, sull’erba secca di un campo, sulla spiaggia di mattina. Raccoglieranno il mio cadavere, e allora sui giornali è probabile che uscirà il mio nome, la mia provenienza, e magari qualcuno racconterà la mia sventura. E così saprai che sono esistito, e la cosa mi farà sorridere.

Perché tanti dei tuoi pari punteranno il dito contro il sistema sociale e politico nel quale si troveranno. Perché anche loro hanno paura di diventare un signor Nessuno. Per me l’ombra della morte non è evitabile. Sopraggiunge e basta. Ne sono sempre stato consapevole quando ho capito che la mia casa non aveva un tetto. Però esisterò per te quando sarò morto. Una beffa per me trasformata in tragedia da chi lo scriverà sui giornali.

Ma sarò fortunato. Perché forse in questa città ci sarà qualcuno che proverà a scrivere del signor Nessuno, e proverà a raccontare una storia, e proverà a dire che ci sono quelli come me, e proverà a raccontare che bisogna essere consapevoli della propria ipocrisia se si vuole combattere l’indifferenza.

Non sono arrabbiato con te. Tanto, ormai sono morto. Se provi ad accendere una candela per me o solo se provi a spendere un piccolo pensiero per me sarà già tanto. Ma fammi il favore di essere sincero per favore. Perché il 99% delle persone mi dimenticherà nel giro di qualche giorno, e non saprà più nemmeno il mio nome. In fondo è il meccanismo crudele dell’esistenza.

Ma da qualche parte, qualcuno proverà a scrivere del signor Nessuno. E magari gli darà un viso, e scriverà una storia. Non per il gusto di fare chissà quale morale, ma con la voglia di raccontare una storia e basta.

La storia dell’esistenza del signor Nessuno.

Aurélien Facente, 28 giugno 2021

NDA: L’ho scritto ieri, di getto. Domenica 27 giugno 2021 è stato ritrovato sulla spiaggia il corpo di un uomo. Al di là della causa del decesso, i giornali web con le loro prime uscite hanno riportato notizie contraddicenti tra di loro. Prima si trattava di uno straniero, e poi di un cittadino crotonese, e poi non s’è capito bene. Qualche fatto privato magari è fuoriuscito. Sono arrivati puntualmente commenti e condivisioni. Si continuerà a parlarne per qualche giorno, poi arriverà il silenzio. E aspetteremo il prossimo signor Nessuno.

Vi racconto un episodio curioso tutto crotonese

Mi è capitato un episodio curioso stamattina, mentre cercavo di capire come riprendere a far funzionare questo blog. Ho preso una pausa dalla scrittura perché avevo altre cose da fare, e negli ultimi tempi stavo molto riflettendo. Purtroppo è difficile scrivere quando sai che la lettura non è una cosa importante nel paese dove vivi.

Crotone è un posto dove la lettura, intesa come tale, non è una grossa prerogativa, anche se a onor del vero vedo ragazzi leggere. Basta vedere come le librerie (poche) riescono a vendere bene i cosiddetti manga. Ma questo non è un articolo sui manga.

Crotone è una ridente cittadina che ama vestire i panni della metropoli senza nemmeno esserlo. Non nascondo di vivere qualche problema culturale, ma chi è che non li vive oggi?

Sono assente da qui da parecchio tempo. Ho perso, costruttivamente, tempo a fare lo speaker su Facebook in modo preponderante. Ed è stato un esperimento fondamentale che mi ha creato molti nemici.

E già. Perché quando provi a raccontare la realtà, sembra che bisogna essere tifosi per forza di qualcosa o di qualcuno. Fare il tifo per il buonsenso è qualcosa di non totalmente obiettivo qui a Crotone. Ma tant’è che in qualche modo, da sempre in posti come Crotone, raccontare dà fastidio eccome.

Avrei potuto prendere lo smartphone e raccontare l’accaduto. Ma preferisco scriverlo. Adoro scrivere, anche se non sembra. Però scrivo. E adesso ritorno a farlo, con più lucidità.

Stamane incontro Mimmo, un parrucchiere di vecchia data. Mi rimprovera perché mi devo fare i fatti miei, perché devo stare zitto e fare in modo di tenere bassa la testa. Lo dice convinto, e afferma inoltre che ha visto un mio video dove criticavo l’amministrazione comunale che non si prendeva cura della parte inferiore di Viale Regina Margherita, dove ci stanno giardini un pochino mal messi, e un piccolo immobile deposito di biciclette (il famoso bike sharing) fermo da tempo, con tanto di biciclette lasciate all’abbandono e in balia della ruggine. Biciclette pagate con soldi pubblici, e man mano che il tempo passa il rimetterle a posto sarà lievitato nei costi.

Ma non finisce qui. Sembra che io ce l’abbia con l’assessore, che non mi devo permettere di criticare l’assessore. E che mi metterò nei guai perché non mi faccio gli affari miei.

L’ho guardato. E ho capito come sta male la gente a livello psicologico e di come il degrado sia talmente profondo nella città di Crotone che ormai è diventato un delitto dire pubblicamente che ci sono biciclette, comprate con soldi pubblici, lasciate all’abbandono. Diventa un delitto sperare che un buon progetto possa rivivere perché fattibile.

Bene, Mimmo, se a te piace essere mangiato dal degrado è un affare tuo. Ma siccome vivo in una città che è attualmente una bella donna truccata male, allora senza chiedere miracoli prego l’attenzione almeno sulle piccole cose. E non smetterò mai di farlo. Altrimenti si ritorna a commettere sempre lo stesso tipo di errore che purtroppo rende Crotone una maglia nera in senso della qualità della vita.

Dopo l’acceso confronto con il depresso Mimmo che non ha nulla da chiedere alla vita, allora mi sono fatto un piccolo esame di coscienza. Sul ruolo del narratore di una cittadina come Crotone. Serve effettivamente?

Sì, serve. Perché non si può vivere in una finzione eterna autoconvincendoci di stare nella città più bella e più sana al mondo. Questo tipo di racconto va bene a chi se ne approfitta e va bene a chi si arrende facilmente. Questo tipo di racconto va bene ai fancazzisti (e ce ne stanno). Questo tipo di racconto non gioverà all’immagine di Crotone, perché poi si nota quando una donna è truccata bene oppure no.

Purtroppo per Mimmo e per altri, mi sa che ritorno a scrivere, pure più di prima se serve. Perché in fondo è anche colpa di qualche personcina se alla fine mi riduco a scrivere quello che osservo e quel che ascolto.

Grazie, Crotone.

Un ultimo appunto: io voglio vedere una Crotone più bella. Non sono il solo a pensarla in questo modo. E per renderla ancora più bella bisogna prendere cura soprattutto delle cose più piccole. Ed è sempre bene ricordarlo a un’amministrazione comunale. Non si tratta di una critica, ma di uno stimolo, che oggi più che mai serve.

Aurélien Facente, 19 giugno 2021

22 febbraio 1991/22 febbraio 2021: del quando conobbi l’aggressione fisica dei bulli…

Ho pensato molto prima di scrivere. Avevo da pensare. Perché quando racconti la tua esperienza, ti trovi una pattuglia di soggetti che ti dice di non farlo, che fai male a passare per vittima, che tanto non interessa a nessuno.

   Può darsi, ma di sicuro non sono stato il solo a essere vittima di un bullismo a Crotone che è stato snervante. Forse mi ha aiutato a realizzare una corazza che oggi, in piena epoca Covid, mi è servita. Ma le ferite, quelle, non guariscono. Quelle restano, e quelle che fanno più male sono dentro.

   Qualche settimana fa, a Crotone, è circolato per via web un video dove s’intravede una zuffa violenta tra ragazzi. Polemiche, dibattito acceso, prese di posizione, la volontà di mettersi alle spalle l’episodio cercando di dare almeno un esempio. Ho visto il video, e per giorni sono rimasto a pensare. Perché quella zuffa mi ha riportato indietro di 30 anni, esattamente al 22 febbraio 1991.

   Avevo dodici anni. Frequentavo la scuola media Corrado Alvaro, che all’epoca si trovava all’interno di un palazzo in Via 25 Aprile, tra la scuola Ernesto Codignola e quella scuola superiore che noi chiamavamo semplicemente “Il Professionale”.

   Da ragazzo non ero il classico ragazzo sportivo che amava giocare a calcio per le strade del quartiere. Quando si è adolescenti purtroppo non si ha la coscienza di scegliere quello che si vuole essere, e soprattutto non si può avere il fisico adatto. Sono cose che ti condannano.

   A me piaceva il basket, il primo gioco di squadra che praticai con un certo entusiasmo. Il basket è uno sport molto completo, indifferentemente da quello che si dice. Equilibrio, forza, cervello. Ha tutto quello che serve per aiutare lo sviluppo caratteriale di una persona. Il campo da basket si trovava in un tendone da piscina dentro lo stadio Ezio Scida, quando il Crotone calcio era una piccola società dilettantistica. Ricordi di un periodo che pochi conoscono.

   Io non ero il migliore a basket. Pagavo il tardo sviluppo fisico, e perciò mi concentrai molto sulla disciplina. Cioè palleggiare bene per avere il pieno controllo della palla. IN realtà pagavo il mio carattere timido.

   Si faceva amicizia e c’erano anche scontri. A 12 anni gli scontri tra ragazzi hanno una ragion di esistere. Ma finiva tutto all’interno del campo da gioco.

   C’era un ragazzo più grande. Uno dei tanti. Non faceva basket, ma dava un’occhiata al fratello più piccolo. Fin qui nulla di male, ma di sicuro era stato mandato lì dai genitori che non avevano tempo di guardare entrambi. E allora il fratello baby sitter è il classico tipo che si annoia perché vorrebbe fare altro. E quando sei quattordicenne, vuoi fare altro e non il baby sitter. E quando ti annoi a Crotone, ecco che prendere in giro qualcuno diventa il primo passatempo.

   Papà e mamma m’insegnarono a non dare mai confidenza a chi non conoscevo. Ma quel ragazzo era insopportabile quando pensò di beccarmi. La cosa seccante era che lo faceva mentre mi stavo allenando. Quel pomeriggio di febbraio gli diedi una risposta istintiva, ma non volgare. Non gli dissi una parolaccia, ma gli feci capire che era indesiderato. Il tipo borbottò qualcosa, ma non me ne curai.

   Qualche giorno dopo, esattamente il 22 febbraio 1991 alle ore 13.30 all’uscita di scuola, un paio di braccia mi presero alle spalle all’improvviso e mi sbatterono con forza contro le sbarre della scuola Codignola. Venni preso a schiaffi dal tipo di qualche giorno prima ed era in compagnia di un complice, suo compagno di scuola. Mi presero a freddo, e mi ritrovai circondato da sguardi di ragazzi e ragazze che volevano solo rientrare a casa. In quel momento non mi facevano male gli schiaffi, ma gli sguardi indifferenti degli altri. Non c’era nessun adulto pronto ad intervenire.

   Quello che mi fece più male fu l’umiliazione.

   Non mi chiedete quanti schiaffi presi.

   So solo che riuscii a dimenarmi.

   I due mi avevano picchiato perché avevo osato rispondere qualche giorno prima e basta, e che non mi dovevo permettere di scherzare.

   Tornai a casa barcollante. Qualcuno mi accompagnò vedendomi piangere. Ma non erano gli schiaffi che mi fecero male. Fu l’umiliazione del momento. Sapere che nessuno aveva osato quantomeno alzare la voce. Sì, perché era una zuffa da ragazzi. Lasciamoli fare. Tanto non sono figli nostri. Che se la sistemino fra loro. E nel 1991 non c’erano i telefonini che filmavano.

   Tornai a casa con voluto ritardo. I miei si preoccuparono nel non vedermi tornare, ma a piccoli passi con lo sguardo basso tornai a casa. Solo che non volli essere abbracciato. Mi vergognavo apertamente per quello che avevo provato.

   Ci fu qualche settimana dopo un incontro risolutore. Mio padre, che era insegnante, parlò con i ragazzi davanti a me. I due non dissero esattamente che mi avevano preso alle spalle a freddo e immobilizzato alle sbarre davanti a tutti. Loro si stavano divertendo e basta, perché era un gioco che facevano spesso.

   Non dissi nulla. Ma capii che il bullo tende sempre a mentire, a sminuire, a volerti convincere che gli schiaffi sono in fondo come delle carezze affettuose. Sono rimasto zitto perché prima di quell’incontro il fratello più piccolo mi aveva pregato con estremo rispetto di non essere cattivo. E se sei in una squadra, devi fare squadra.

   Ho preferito il silenzio e non aggravare la cosa ulteriormente.

   Crotone non era pronta nel 1991 ad affrontare il bullismo per quello che era.

   A distanza di anni, quel silenzio fu una sorta di perdono sotto certi aspetti. Perché poi, dopo qualche tempo, ti vengono raccontate altre storie, forse anche più brutte della tua. Perché Crotone è una città che nasconde molto bene quello che non va. Perché quando un bambino viene picchiato in un’ora di punta come l’uscita da scuola (e su quel pezzo di via 25 Aprile ce n’erano ben tre di scuole) e nessuno interviene, allora qualche domanda te le fai.

   Mi sono rifatto la stessa domanda 30 anni dopo.

   Mi ricordo la data perfettamente perché è nel 22 febbraio 1991 che ho conosciuto sulla mia pelle gli schiaffi dei bulli. Ma nello stesso giorno ho conosciuto la vergogna causata dall’indifferenza. Ecco, quella sì che fa veramente male. E allora capisci da dove nasce la vera cattiveria. E se non calmi la rabbia, la frontiera dell’odio verso il prossimo è facilmente superabile. Mi ricordo bene di questo episodio perché per anni ho odiato Crotone e i suoi abitanti, vergognandomene anche.

   Ho deciso di uscirne appena ho maturato gli strumenti per uscirne. Un cammino lungo e complesso. E lo può capire solo chi lo ha vissuto. Oggi la storia sarebbe stata diversa, perché ci sarebbe stato sicuramente uno smartphone a riprendere. Nel 1991 era già abbastanza se avevi una macchina fotografica a pellicola.

   Mi auguro che questo racconto possa essere d’aiuto per chi ha vissuto qualche momento simile.

Aurélien Facente, febbraio 2021

Corrado Augias e i Misteri della Calabria (Lettera aperta)

Dottor Augias, mi permetto di presentarmi. Mi chiamo Aurélien Facente. Abito a Crotone, Calabria. Mi definisco ex giornalista perché non credo che il giornalismo oggi possa definirsi giornalismo. Si tratta di qualcos’altro che umilia il senso dell’essere giornalista, e ci tengo a farLe sapere che questa resta una mia opinione personale perché ritengo che non cambierà nulla.

   Dottor Augias, Le aggiungo che sono un acquirente dei Suoi Libri, tanto che ad ogni uscita ne regalo un esemplare a mia madre, che la segue dai tempi di Babele, la trasmissione che difendeva e divulgava il libro. Altri tempi, vero?

   Ho avuto modo di ascoltare la sua intervista pepata, e di leggerne le parole. Tra il dire e lo scritto ci sono differenze sostanziali, ma il succo è quello.

   Lei definisce la Calabria una terra persa. Lei ha sentenziato sparando su una terra che si trova nel baratro della fragilità da decenni, eppure lei ha speso le sue parole aggiungendo una bella sceneggiatura cinematografica.

   E mi permetto di usare tale tono, dottor Augias, perché in Calabria ho scelto di viverci, oltre che obbligato. E se permette, credo di conoscerla meglio proprio perché ci vivo.

   La Calabria è una terra dai molteplici aspetti. Lei, dall’alto del suo ruolo, la vede come una terra povera, dove tra l’altro la criminalità è all’ordine del giorno. Ci condanna perché la Calabria ha preferito eleggere, attraverso un voto democratico e certificato, una persona che poi è deceduta a dispetto di un imprenditore di grosso valore, che però poi si è dimesso dall’essere capo di un’opposizione che poteva essere alquanto costruttiva.

  

Partiamo da questa storia, dottor Augias.

   Il centrodestra vinse le elezioni regionali, ma con il 56% di astensionimo.

   Non mi sembra che con questi numeri il centrosinistra capitanato dal suo imprenditore abbia fatto miracoli.

   Anzi, dopo qualche mese si è addirittura dimesso. E non sembra che qualcuno del centrosinistra si sia opposto in maniera dura.

   Non parlo di altri contendenti, perché non sono entrati nel Consiglio Regionale.

   Dottor Augias, parliamo di quel 56% di astensionismo. Siamo una terra persa perché abbiamo rinunciato a votare? Beh, sì. Ma sa perché il calabrese non vota? Per superficialità? Io direi che per decenni sacche di politica nazionale hanno ingannato le speranze dei calabresi, sacche di sinistra e sacche di destra.

   La Calabria ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile, perciò produce emigranti, che poi vanno a sistemarsi da Roma in su se decidono di stare in Italia. Devono trovare un lavoro come si suol dire, e non sempre, anzi spesso, si tratta di un lavoro stabile. Certo, c’è gente che si distingue anche bene a livello professionale. Abbiamo medici, ingegneri, avvocati e anche artisti che nel mondo fanno la differenza.

   Ma chi è rimasto qui non è solo un criminale. Semmai è nato in un sistema ipocritamente alimentato anche dalla sua amata politica dei diritti.

   Vede, dottor Augias, ho 40 anni superati. Diciamo che, tolta la fase liceale della politica dove si è più sognatori, ho saggiato con mano quello che la politica degli ultimi 25 anni è riuscita a fare ai danni della Calabria, in tutti i settori tra l’altro.

   Quando chiedevamo più medicina di qualità, ci hanno lasciato con il minimo indispensabile (secondo loro). Quando chiedevamo più studio, qui sono stati capaci di chiudere plessi scolastici e universitari. Quando chiedevamo più lavoro, ci hanno mandato la precarizzazione del lavoro con annessi sciacalli che si sono mangiati i contributi dello Stato. Uno Stato che non ha saputo essere Stato.

   E quando le sacche di povertà aumentano, caro dottor Augias, anche le sacche criminali aumentano.

   Ma in Calabria ci sono anche le brave persone, quelle vorrebbero farsi il mazzo fino a prendersi frustate sulla schiena solo per dimostrare di essere degni di essere calabresi, e che qui delle buone cose si potrebbero fare eccome.

   Queste persone meriterebbero quantomeno il Rispetto con la R maiuscola. Perché ci sono persone che hanno avviato il loro Lavoro cercando di essere il più Utile possibile alla società. Cercano di dare un segnale di positività e un esempio alle generazioni che potrebbero e dovrebbero migliorare la loro Terra.

   La Calabria è una terra strana, dottor Augias. Ricca di cultura da vendere, ma strapiena di gente che non è stata fatta crescere per come dovrebbe essere. Certo, ci considerate “persi”. Ma questo lo hanno voluto quelli di Roma, o meglio quelli che stanno a Roma a occupare poltrone. Non lo hanno mica voluto i calabresi.

   Anzi, i calabresi sono doppiamente vittime. Diciamo tre volte vittime.

   Vittime della ‘ndrangheta, perché la criminalità si è sostituita dove lo Stato non c’era o non voleva farsi vedere.

   Vittime dello Stato, perché degni rappresentanti nazionali venivano qui solo per i voti e basta. Ci avevano promesso che alcune industrie avrebbero continuato la loro attività, ma adesso ci sono gli scheletri. Certo, lo Stato non si può occupare di tutto, ma qui lo Stato non pensa, caro dottor Augias. E noto che il problema non è solo calabrese e basta.

   Poi siamo Vittime di Noi stessi. Vero. La nostra diffidenza ci ha portato a non votare più come prima. Non le elenco i perché solo per il fatto che ci servirebbe un libro a parte. Un libro che potrebbe scrivere lei, dottor Augias. Ma che non farà, perché una Persona del Suo Calibro Culturale non potrebbe scendere in Calabria per qualche periodo solo per provare a raccontare quello che c’è di buono dal quale ripartire.

   Lei ha tutta la cultura per esprimere un giudizio sulla Calabria, caro dottor Augias. Grazie di averci condannato. Ma non è della condanna di cui abbiamo bisogno.

   Abbiamo bisogno di qualcosa di più positivo.

   Abbiamo esempi positivi, sa?

   Abbiamo il Procuratore Gratteri, giusto per citare il più discusso. Ma il suo è un lavoro lungo e solitario. Abbiamo qualche scrittore, qualche musicista, qualche imprenditore, anche un premio Oscar. Abbiamo borghi bellissimi e templi da raccontare. Abbiamo ristoratori che danno lezioni a tutto il mondo nella cucina che producono. Abbiamo gente che riesce a dare il massimo pur avendo pochissimo.

   Però siamo una Terra Persa.

   Le faccio una domanda, dottor Augias, perché lei l’ha presa dal punto di vista politico. Si metta nei panni di un calabrese qualsiasi. Magari un tipo che possiede una piccola pompa di benzina sulla Statale 106. Si presentano alla sua pompa decine di candidati, di destra e di sinistra. Tutti a fare delle promesse che potrebbero essere mantenute. Uno sviluppo migliore della Statale 106, un aeroporto da realizzare non lontano dalla pompa di benzina, magari anche un porto, o anche riprendere la stazione dei treni nel paesino dove vive il benzinaio. Magari gli promettono anche un ospedale che per adesso è piccolo, ma che crescerà. Magari promettono anche investimenti mirati per avviare un’economia, così magari i figli possono pensare di potersi fare una vita nel paesino.

   Eppure gli anni passano, i candidati cambiano, e le promesse svaniscono nel nulla.

   E secondo lei, quel benzinaio ormai anziano, perché dovrebbe credere all’ennesimo candidato che si presenterà alla pompa di benzina’

   Sa, dottor Augias, la Sua Profonda Cultura è eccellente, ma la vita è anche fatta di queste storie. Da queste persone che smettono di illudersi e nel credere nei fantasmi.

   Io rispetto le sue Idee Politiche, caro dottor Augias. Ma qui queste idee sono state delle maschere usate per fare propaganda e basta il più delle volte.

   Ecco perché il suo imprenditore ha perso le elezioni. Perché non si vota una persona perché ha la sua storia imprenditoriale. Si vota una persona perché ama la sua terra. Quell’imprenditore ama la sua terra, ma anche la donna di destra amava la sua terra. Questa donna ha avuto pochi mesi per esprimersi per poi andare tra le braccia del silenzio. Nonostante avesse un male, si era messa a disposizione e voleva prendersi cura di questa terra. Certo, aveva le sue idee. Ma erano idee sulle quali si poteva quantomeno discuterne. E anche questa signora mi ha dato l’impressione che fosse sola, così come lo sono quelli che amano la loro Terra prima di tutto. Mi dispiace che lei, dottor Augias, veda il fantasma del fascismo nelle persone che abbraccino un’idea diversa. E se non è fascismo, diventa ‘ndrangheta, e se non è ‘ndrangheta diventa qualcos’altro di negativo.

   Bene, dottor Augias, io non mi ritengo offeso se in onda nazionale si parla della Calabria, anche nei suoi aspetti negativi. La Calabria è una parte fondamentale dell’Italia che produce, viste le migliaia di persone che sono state le mani sporche dell’Italia industriale e gloriosa che si è fatta valere nell’eccellenza.

   Ma è facile sentenziare da dietro uno schermo televisivo, dottor Augias.

   Mi permetto di rivolgermi così a Lei, dottor Augias, perché c’è stato un tempo che io ho odiato la mia Terra. E quell’odio si comportava come un fantasma. Mi annebbiava la vista. E ho perso tempo per lavorare a contrastare quest’odio.

   Critico la mia terra ancora oggi. Ma non la critico, condannando e basta. Cerco di farlo raccontando e proponendo una testimonianza non ipocrita, perché il lavoro da fare e tanto. Come il sottoscritto, c’è una voglia anche da parte di altri di raccontare per poi provare a ripartire e trovare nuove direzioni. I calabresi hanno bisogno che qualcuno li racconti, ma che non sia uno che li racconti da dietro uno schermo televisivo.

   Perciò la sfido in senso letterario, dottor Augias.

   Si prenda un periodo per scendere in Calabria. La venga a visitare. La racconti per quello che è. La osservi da vicino. Cerchi di sentirne gli odori. E ovviamente si faccia accompagnare dai colori della Terra di Calabria. Venga a respirarne l’aria. Si faccia un giro, magari incontrando tante persone. Venga a comprendere il male e venga a scoprirne il bene. Nessuno di noi è immune da difetti, ma qui c’è voglia di migliorare. Poi magari ne scrive un libro, e noi lo compreremo. E lo leggeremo e lo racconteremo.

   Ma ci faccia un favore.

   Non sentenzi sulla Calabria dentro una trasmissione televisiva. Non lo faccia.

   Perché la stragrande maggioranza di chi va in televisione non ha mai avuto il coraggio di raccontare la vera Calabria.

   Ovviamente le invio i miei apprezzamenti, aspettando con ansia il Suo Nuovo Libro in libreria.

Aurélien Facente, 24 gennaio 2021

Una lettera inaspettata da uno che faceva il bullo…

Nel 2016, via mail, mi ègiunse questa lunga lettera. Ve la propongo perché l’autore ci teneva tantissimo a scrivermi, ma soprattutto a divulgare il suo pensiero. Dopo una lunga telefonata che lui ebbe con me per convincermi, mi convinsi a pubblicarla e a trasmetterla. Alla fine di questa lettera, troverete la mia risposta. E oggi la ripubblico volentieri.

Aurélien Facente è nato a Crotone, e per via del suo nome francese e del suo aspetto non propriamente fico (o figo) è stato vittima di bullismo. Con l’avvento dei social network, Aurélien ha dimostrato di essere una persona che esiste e che nel tempo si è costruito qualche capacità, come quella fotografica, che gli hanno permesso di affrontare al meglio le avversità: mentre gli altri parlavano male di lui, Aurélien in silenzio affinava e studiava. Poi un giorno è uscito fuori, e la gente ha cominciato a scoprire che è un buon fotografo, che sa scrivere, che prova a fare video, ma che soprattutto non è l’imbecille che molti suoi compaesani crotonesi sostenevano. Ho visto i suoi tanti contenuti, e nella Crotone che lui fotografa vedi che vuole trasmettere bellezza, ma soprattutto testimoniare le capacità di persone valide che vogliono fare la differenza in questo modo. Certo, Aurélien ha i suoi difetti, ma non li nega. Magari ti puoi scontrare con lui, lo puoi prendere come uno che non ascolta, come un testardo. Ma è la stessa persona che pretende il meglio dagli altri, che pretende di fotografare il meglio. Ho visto tante sue foto, tanti suoi attimi, tanta vita, e tanta cultura. Non è facile conoscerlo perché è tante cose. Aurélien è indubbiamente figlio delle sue sofferenze, ma continua a camminare cercando di dare il meglio di sé, anche sbagliando a volte ma sempre pronto per darti quella foto giusta che ti permette di essere te stesso. Si raccontano tante cose su di lui a Crotone, e molte sono sbagliate.  Anche io sbagliavo a vederlo con la bocca degli altri. Un pomeriggio, andai a vedere otto foto esposte in un bar. Una serie di paesaggi con gabbiani e il mare della mia Crotone. Io amo Crotone, ma sono fuggito da questa realtà 20 anni fa. Anche io ero tra quelli che prendeva in giro Aurélien. In cuor mio, credevo che lui se ne fosse andato e che sarebbe stato uno di quelli che non sarebbe mai tornato. Eppure lui è rimasto, e con quelle foto invidiavo come un’anima tormentata e maltrattata riuscisse a farci vedere la bellezza. Andai a casa, e sul computer di mia moglie mi misi a cercare Aurélien, e a vedere le sue tante fotografie e a leggere anche qualcosa di suo. Lo contattai con il Facebook di mia moglie, e lui fu molto cortese, rispondendo alle mie domande e provocandomi anche. Mi colpì un suo pensiero: “La gente pensa che mi dia delle arie, che io sia un vanitoso. La mia arte parla abbastanza per me, e si sa che non mi limito solo alla forma. Cerco sempre di andare oltre, perché a me manca un pezzo di vita che altri hanno e che io non avrò mai. Ho il terribile difetto di essere sincero, di essere a volte duro con gli altri perché io voglio il contenuto e non la superficie. Sì, amico mio, ho sofferto tantissimo la mia condizione, ed è lì dentro che è nato un qualcosa che mi ha permesso di essere creativo. Se non ci fosse stato il social network, forse non sarei uscito dalla mia condizione. Io ho semplicemente colto l’occasione di proporre quelli che sono i miei contenuti e basta, e so bene che sono visti, e tanto pure. Non m’importa se sarò tacciato di essere chissà che cosa. Nessuno mi conosce intimamente parlando. Loro pensavano e credevano che io fossi un volgare passatempo, e di questo ne soffrii tanto. Ma ero giovane all’epoca, e soffrivo perché chiedevo egoisticamente solo un po’ di rispetto, di comprensione, di amore. Ma in me è scattato qualcosa. Ho odiato Crotone, ma non potevo odiare il luogo. Sono tornato, e un giorno ho ripreso la macchina fotografica. Ho iniziato e basta. E continuerò a fare quello che so fare. Qualcuno non mi sopporta? Beh, normale perché non si può essere simpatici a tutti.”

   Un lungo messaggio che mi ha impressionato per la tranquillità espressa nelle parole. Mi sono pentito del mio passato da “bullo”, e anche se ero giovane all’epoca degli scherzi crudeli fatti ad Aurélien, ma non solo, io mi rammarico delle mie azioni. Purtroppo a Crotone il buono viene preso sempre in giro. Ti insegnano a essere duri, fighi, stronzi. Come se tutto questo fosse la qualità principale. Non si vive così. Perché è pur vero che la natura mi ha dotato di un corpo forte e robusto, ma per tutti non accade così. Infatti, mio figlio Luca non ha un corpo come il mio. È fragile. È un bimbo che soffre di diabete. E mi ha sorpreso scoprire che anche Aurélien ne soffre. Con mia moglie ne parliamo spesso perché è ovvio che vuoi proteggere tuo figlio, poi dentro di me mi auguro che mio figlio possa avere una porzione di dignità e di tenacia che hanno spinto Aurélien ad andare avanti tra alti e bassi.

   Ti chiedo perdono, Aurélien, per le cose che ti ho fatto in passato. Non so se otterrò il tuo perdono, ma voglio chiederti scusa. Da quando sono padre (ma anche da quando sono marito) ho capito che bisogna apprezzare tanto quel poco che hai, e che è giusto difenderlo. Ma difendersi non vuol dire attaccare per controbattere. Difendersi vuol dire anche cercare una risposta. Avevi tutti i motivi per non rispondermi. Infatti, non siamo mai stati grandi amici e dubito che lo saremo. Ma ci tengo a chiederti scusa, e se ritieni opportuno pubblica la lettera. Perché io voglio testimoniare che dietro quella macchina fotografica c’è una persona con relativi pregi e relativi difetti che cerca di dare un contenuto, e che il più delle volte ci riesce perché non ha paura di sbagliare.

   Ho imparato a conoscerti meglio sul web attraverso quello che scrivi e quello che fotografi. Ho visto alcuni tuoi video. Ho saputo delle tue ferite personali. Ho seguito le tue tappe. E alla fine mi rendo conto di quanto io sia stato cattivo con te.

   Mio figlio è qualcosa di prezioso. L’ho accettato, e non nascondo che a volte soffro nel non poterlo vedere come altri bambini. Mio figlio mi ricorda te, Aurélien, perché tu quand’eri adolescente non entravi in pizzeria o in una pasticceria. Mi sembrava strano che un ragazzino non potesse mangiarsi la pizza perché soffriva di allergia al glutine. Vent’anni fa c’erano cose che non si sapevano, e noi le sottovalutavamo.

   In questi mesi, abbiamo instaurato un dialogo costruttivo. Ti voglio dire grazie per i suggerimenti e per la pazienza che mi hai dimostrato. Non voglio che ti arrabbi perché ti ho voluto scrivere una lettera così lunga e appassionata, ma è che la vita è una sola e abbiamo poche occasioni per vederci e parlarci. Poi succede che magari ci stacchiamo, e magari non ci potrebbero essere altre occasioni. Perciò ho voluto scrivere e farti trasmettere il mio rispetto e la mia ammirazione.

   Non servirà forse ad aggiustarti la vita, ma dirti che hai in mano un percorso valido mi allieta il cuore.

   Mi hai insegnato a non aver paura di combattere per i propri sentimenti e per le proprie fragilità. Mi hai fatto capire che devo guardare oltre, perché questa è una delle regole che un genitore deve sempre applicarsi per essere un punto di riferimento per il proprio figlio.

   Adesso, dopo aver scritto tutto questo, mi sento più sereno e posso guardare meglio mio figlio. Non so come crescerà e che cosa farà da grande. Non so che cosa mi riserva il futuro in questi tempi incerti. Ma una cosa è certa: cercherò di essere una persona migliore. Per questo insisto nel chiederti scusa.

Gianni

Che dire? La lettera mi ha commosso, ma francamente non meritavo tanto. Vuol dire che m’impegno a spedirti una mia foto di grande formato. La vita è piena di sorprese ed è sempre imprevedibile. Per quello che posso fare, caro Gianni, il perdonarti dalle tue malefatte è il minimo. Perché l’essere padre e marito ti ha reso più responsabile, e ha permesso di aprire il tuo cuore. Fai bene a combattere per i tuoi sentimenti. Non c’è nulla di ridicolo nel farlo, anche perché i sentimenti sono l’unica cosa vera su cui puoi contare se vuoi sentirti qualcuno.

La tua lettera arriva in un momento dove sto riflettendo sul confessare e denunciare una mia parte del passato, ma le tue parole tolgono ogni dubbio.

Mi chiamo Aurélien Facente. Sono nato, e tuttora vivo, a Crotone. In passato sono stato vittima di gravi episodi di bullismo, e l’arte è stata il mio primo rifugio per reggere psicologicamente al terribile gioco psicologico dei bulli. Mi ritengo fortunato perché ho avuto indubbiamente una valvola di sfogo, e purtroppo ci sono tanti ragazzi e tante ragazze che sono scomparsi e che magari potevano dare il meglio. Non tutti hanno la fortuna di decidere e di accettare il proprio destino.

Il mio non è stato un percorso facile, e ancora oggi vivo delle conseguenze. Ma cerco di correggerle. Non sempre mi riesce, ma non mi arrendo.

Oggi, però, sono contento di essere me stesso. Mi accetto per come sono, e non ho paura del domani. Scrivo, fotografo, filmo, mi pongo degli obiettivi. Combatto così la facile cattiveria, la facile diceria, il facile pregiudizio, l’invidia, la codardia. Perché il mio essere vivo prevale e vince contro queste avversità. Un discorso egoistico forse, ma sono convinto che se produco il mio lavoro riesco in qualche modo ad essere un esempio per chi, come me, è stato vittima del bullismo.

Se ne esce, ma il primo passo da fare è accettare se stessi in tutto e per tutto.

Mi chiamo Aurélien Facente. Sono stato vittima del bullismo.

Oggi voglio solo dire che accetto me stesso per chi sono e per come sono.

Aurélien Facente, dicembre 2016

Alla fine saranno i bambini a dare la migliore soluzione…

Stamattina ho fatto un giro in città. Ho incontrato un amico, e abbiamo deciso di farci un giro in auto, tutti e due con la mascherina. Quindi rispettosi delle precauzioni contro il coronavirus.

Poi verso le 13, siamo arrivati alla discesa di Via Roma, Crotone. Traffico intenso. Il traffico che si ha in quella zona è tipico delle uscite da scuola. Sembrava di aver fatto un salto indietro nel tempo, di quando tutta questa follia preventiva non c’era.

Ho abitato nei pressi di una scuola per 25 anni. Per innumerevoli mattine ho visto bambini diventare adolescenti, genitori che vedevano crescere i loro bambini e lasciarli poi autonomi per andare a scuola. Ho visto vita giovane provare a diventare adulta. Ho visto anche adulti invecchiare. Ma lo sguardo dei bambini non te lo scordi, soprattutto quegli occhi pieni di quotidianità, fatta di sorrisi e talvolta di tristezza, ma con l’accettazione di voler diventare adulti.

Stamane, nonostante le mascherine, ho rivisto quei piccoli sguardi che alimentavano il loro spirito. Certo, il virus c’è. Ma non piegherà mai quello sguardo pieno di gioia e di prospettiva. I bambini cadono, ma si rialzano subito. Magari piangono, ma per loro la paura passa. Perché è così che crescono. Il bambino affronta un passo alla volta le sue paure, e tira avanti per la sua strada. Se poi c’è l’adulto ad accompagnarlo è meglio per tanti aspetti, ma i bambini non amano la paura. Piangono o urlano quando si fanno male, ma poi sempre pronti a rialzarsi. Quando accade, i genitori si tranquillizzano.

Molti genitori dovrebbero entrare in questo meccanismo e starli solo a guardare. Vedrebbero tante cose che servirebbero pure a loro. Senza nessuna ipocrisia.

Perché stamane, pur non essendo genitore, ero felice come i bambini stessi. Perché assaggiavo la libertà, mi mettevo alla prova, ero contento di saltellare come potevo. Perché i bambini non rinunciano mai a vivere, nonostante l’adulto provi paura. Una comprensibile paura, ma che un bambino non proverà mai. Perché il bambino ci tiene a voler essere forte, ed è pronto a far buon viso a cattivo gioco.

Molti adulti hanno dimenticato lo spirito dell’infanzia. Si tengono ancorati alla realtà mettendosi delle catene addosso, e si lasceranno mangiare dall’incertezza. Perché questa incertezza si nutre dello spirito umano come un cancro, e se ci si dimentica di essere stati bambini allora essa prende il sopravvento.

I bambini seguono sempre l’esempio che gli mostra il coraggio. Fateci caso. L’empatia dell’infanzia è molto particolare. Quando ero bambino, sceglievo la compagnia dell’adulto che mi dava sicurezza, ma anche allegria. Sceglievo l’adulto che provava a rispondere ai miei perché. E tra mamma e papà, ho anche il ricordo di maestri e professori che non solo mi hanno insegnato la materia, ma anche l’approccio alla vita stessa. Tra questi ci sono anche soggetti che non ho ascoltato, ma perché non erano chiaramente esempi di vita. Ma quando sei infante, tu cerchi inconsapevolmente l’esempio di vita e non l’esempio dell’insegnamento, che viene dopo perché i bambini hanno bisogno di tappe per crescere.

Il sorriso salutare dell’infanzia regala un attimo di speranza per il futuro, anche quando ci sono incidenti di percorso.

I bambini sono tornati a casa, accompagnati dai loro genitori abbastanza increduli e spaesati, ma pronti per riportarli nella propria dimora.

Poi è sopraggiunto il silenzio. Quel silenzio che addormenta la vita, ma non la uccide.

Non c’è niente da fare. Il sorriso di un bambino spegnerà sempre l’ipocrisia del mondo adulto.

Aurélien Facente, 11 gennaio 2020

Crotone è ormai una città dedita al silenzio

Sono volutamente uscito lo scorso 6 gennaio. Ho voluto rendere soddisfacente la mia curiosità. Volevo farmi un giro dentro una città immersa nel silenzio.

   Certo, era zona rossa. Non sarei dovuto uscire, secondo qualche benpensante. Ma il momento storico era unico. Molto probabilmente l’anno prossimo non si ripeterà.

   Il silenzio della piazza, quello del corso Via Vittorio Veneto, quello di Piazza Pitagora, a parte qualche vocio di qualche persona che magari salutava velocemente un amico, un parente o un’altra persona.

   Il 6 gennaio è l’Epifania, una festa dei bambini e dei ragazzi. L’ultimo giorno di festa, l’ultimo giorno dello scambio degli auguri, l’ultimo giorno del sorriso tra parenti.

  Ed era anche un giorno di passeggiata per tutta la giornata.

   Ho fatto la passeggiata per prendere appunti.

   E ho assaggiato il silenzio.

   Silenzio di serrande chiuse, silenzio di strade senza auto e senza bambini che giocano, non c’era nemmeno il petardo che scoppiava.

   Silenzio di una città che, mentre sparla su Facebook, si è ormai dedicata al silenzio.

   Un silenzio che non va bene, perché non è il silenzio della notte, dove in ogni caso ti capita d’incontrare qualcuno.

   Questo non era nemmeno un silenzio che l’Epifania meritava, perché anche nelle ore di riposo pomeridiane qualche tocco di pallone lo sentivi.

   E mancava lei, la Befana.

   Ho provato a capire questo silenzio.

   Ed è da qualche mese che Crotone è una città silente.

   Persone chiuse in casa per via del DPCM, ma una volta ci si affacciava almeno sui balconi. Non dico che il saluto fosse obbligato, ma vedere qualcuno era una benedizione.

   Invece, il mio cammino era solitario, e l’ho pure raccontato in video.

   Ma non ho raccontato quello che ho provato.

   Mi sono fermato dinanzi al liceo classico Pitagora, quello non lontano da Piazza Pitagora.

   Sono tornato ragazzo. E mi ricordavo quando con alcuni compagni venivamo davanti al portone di scuola, sapendo che la vita di tutti i giorni riprendeva, e che gennaio era il mese del primo quadrimestre.

   Mi ricordavo l’eccitazione.

   Ora c’era solo il silenzio, e dentro di me sentivo l’incertezza, il peggior dramma dell’epoca Coronavirus.

   Ho ripreso a camminare, perché l’incertezza non mi violentasse ulteriormente.

Aurélien Facente, gennaio 2021