Il vero amore ai tempi del Coronavirus

Foto di Aurélien Facente

Crotone. Mattina. Primo giorno della chiusura delle scuola per l’emergenza coronavirus. Vedere le scuole vuote in una calda mattinata invernale è desolante, poco rassicurante. Ascoltare il vocio dei bambini è sempre un buon segnale di vita. Stamattina questo vocio non c’è. Cammino per la città di Crotone, non raggiunta dal virus, cercando di non farmi condizionare dalle voci sull’apocalisse.

   In Italia il giornalismo ufficiale cerca il sensazionalismo. Si cerca di arrivare per primi, senza preoccuparsi dei danni. È sempre meglio buttare veleno su veleno.

   Io non nego l’esistenza del virus. Assolutamente no. Lo so che la natura ogni tanto fa nascere qualcosa di più fastidioso, di più difficile da affrontare.

   Mi dà fastidio l’informazione disfattista, come se fosse normale arrendersi e piegarsi ad un nemico invisibile che ti mangerà in ogni caso.

   Curatevi, signori della comunicazione.

   Io non sono sconfitto. Non mi piegherò alla paura. Il male c’è? Okay. Bisogna conviverci? Okay. Ma c’è modo e modo di affrontarlo.

   Prima di tornare a casa si va al supermercato. La spesa quotidiana. Poca gente all’una meno un quarto. Normale. Le scuole sono chiuse. I genitori non si precipitano per fare la spesa. In realtà non si vede il classico supermercato dell’ora di punta.

   Poca gente. Silenzio. Guardi i prodotti in silenzio. Guardi la lista della spesa. Olio, pane, uova, sapone, zucchero, sale, e altro. Poi nel silenzio ascolti una voce.

   La voce di una bambina. Si lamenta con la mamma. Non è andata a scuola.

   “Perché il governo ha deciso così. Non posso farci nulla, cara.”

   “Ma mamma… Non è giusto… Non posso vedere i miei amici…”

   È inevitabile essere indiscreti, pur apparendo indifferenti.

   Però la vita è fatta di momenti che vanno osservati, o forse è meglio dire che vanno ascoltati. Mentre mi avventuravo per il supermercato, ascoltavo le paure della bambina che si poneva delle domande. La mamma non sapeva che cosa rispondere. Siamo, effettivamente, in una situazione del tutto inedita, e perciò tutti, anche il meno istruito, ci facciamo delle domande.

   Gli adulti si pongono ben più problemi dei bambini. È assodato. Poi in un’Italia come la nostra, tendiamo a dimenticare che forse è meglio pensare di stare bene, di trovare una sorta di armonia. Dovremmo ricordarci di essere stati bambini. Una lezione, questa, scritta da Saint-Exupéry nel celebre libro “Il Piccolo Principe”.

   La bambina è piena di energia, di vitalità, di ricerca della gioia. È il suo parlare è contagioso. Una bambina di sei anni forse, o qualcosa di più. O forse è più piccola, e dimostra di essere più adulta.

   “Mamma, ma è vero che il governo ha detto che non ci possiamo abbracciare?”

   Già. Evitare il contatto. Una misura precauzionale per provare a evitare il contagio.

   La mamma oserà rispondere qualcosa? Alimenterà la paura della figlia, facendole credere che il contagio passa attraverso il contatto umano? Come può un governo, con i media invadenti, pretendere una cosa del genere?

   La mamma non risponde. Si limita soltanto ad abbracciare la figlia calorosamente. Un abbraccio che non ha bisogno di altre parole.

   Viviamo tutti un incubo delirante, ma possiamo combatterlo.

   I bambini ce lo ricordano.

   Una mamma non negherà mai il proprio abbraccio al figlio che ha paura.

   Il figlio correrà sempre verso di lei.

   E quest’amore potrebbe essere la chiave per combattere il coronavirus.

   Il vero amore combatte la paura.

   Mi allontano. Mi ricordo, un po’ di tempo fa, che ero nelle vicinanze della spiaggia di Crotone. Una giornata grigia. Vicino la passerella esattamente. In lontananza una mamma e suo figlio. Il bambino corre sulla spiaggia, e poi torna dalla mamma, cercando proprio l’abbraccio.

   Sono proprio questi momenti che combattono, e sconfiggono, l’oscurità dell’incertezza.

Aurélien Facente, marzo 2020

Quell’Acido che ci riempiva le giornate all’università (Un ricordo dei Prozac +)

Oggi la testa si riempie di bei ricordi. Cosenza, correva l’anno 1998. Avevo 20 anni, e frequentavo l’università. L’appartamento dove alloggiavo si trovava nelle vicinanze del tribunale, a due passi dalla sopraelevata che ti portava sulla strada statale 107.

   Allora internet era agli albori. I social erano qualcosa di sconosciuto. Però noi giovanotti avevamo i nostri mezzi per socializzare.

  Allora dividevo l’appartamento con altri 4 ragazzi, e ognuno aveva la sua stanza, e ognuno aveva la propria radio, o il proprio walkman. I cd erano un piccolo bene di lusso, e facevamo incetta di musicassette. Certe volte, le nostre stanze si riempivano di musica ad alto volume, per sovrastare quella sala giochi frequentata da ragazzi che parlavano di pallone dalla mattina alla sera, mentre noi cercavamo di studiare e vivere la vita.

   A 20 anni, vivere l’università era la prima vera esperienza libera. Nessun controllo famigliare intorno. Ti crei un feeling con i nostri coinquilini. E se non è il calcio ad unirti, di sicuro è la musica.

   Già. A quell’epoca, per me che ero appassionato di fumetti (la Marvel era considerata qualcosa per adolescenti con problemi infantili) non era facile socializzare. Non ero (e non sono) un grande appassionato di pallone. Nel 1998 il Crotone Calcio giocava in C1, e vivevo la serie B del Cosenza. Ma non era tanto la mia passione.

   Però la musica, in qualche modo, fu il linguaggio che tutti parlavamo, e ci unì, noi ragazzi del sud in quell’appartamento non lontano dal tribunale.

   Io ascoltavo molto il rock, il mio coinquilino ascoltava la scena indipendente italiana, un altro il pop italiano e così via. Ci amavamo e ci detestavamo. Però quello era un modo di confrontarsi culturalmente. Perché c’erano i nostri “razzismi” meridionali, ma la musica spezzò le nostre barriere.

   Quando si pranzava in cucina, accendevamo la tv. Avevamo un vecchia tv in bianco e nero. E vedevamo spesso TMC2, una specie di MTV italiana con musica non stop tradotta in videoclip, ed era la nostra radio. La prima radio che vedevi in tv. Uno speaker che ti parlava, e la musica la guardavi.

   Ad un certo punto arrivarono loro, i Prozac + con la loro hit “Acida”

   Fummo invasi istantaneamente dal ritmo del ritornello: Acido, Acida, Acido, Acida…

   Un punk tutto italiano cantato da una voce femminile, accompagnata da altri due elementi, tra cui una donna che suonava il basso.

   Per settimane, ogni volta che passava il pezzo ci scaricavamo l’adrenalina canticchiando quel pezzo, perché noi sapevamo che cosa voleva dire quel pezzo.

   Erano gli anni delle discoteche dove circolava l’acido, se dovessimo prenderla sul serio.

   Ma ci davamo anche dell’acido quando litigavamo: “Quanto sei acido!”

   Il punk è ribellione, e quel brano punk divenne il nostro accompagnamento dei vent’anni verso un’età più adulta.

   Il tempo passò, ma i Prozac + ogni tanto tornavano, e noi cantavamo.

   Anche nell’appartamento successivo dove alloggiai, con altri ragazzi, i Prozac + erano di casa.

   Quel modo d’intendere e di ascoltare era il linguaggio che si usava. Anche le ragazze adoravano adottare un look più punk, perché noi detestavamo la rigidità di un certo mondo adulto calabrese.

   Già, la Calabria adulta che noi criticavamo e contestavamo.

   Volevamo riuscire con le nostre forze a fare qualcosa, senza l’intromissione del sistema che prevedeva l’omologazione e la raccomandazione. E quando si usciva tutti insieme, si andava alla ricerca di qualche concerto per esprimere il nostro dissenso.

   Io non ho mai visto i Prozac + dal vivo. Solo visti in tv o ascoltati per radio. Migliaia di volte, sempre con l’energia a mille per darsi la carica e affrontare la giornata universitaria, perché nel caldo estivo cosentino ti chiudevi nell’appartamento, dentro la stanza, e studiavi con una certa attenzione, addirittura combattendo contro te stesso, perché certi libri volevi mollarli, e buttarli.

   Allora, ti fermavi e accendevi la tv. Ti preparavi qualcosa di fresco, e in estate, quando c’è poca gente a guardare la tv, riuscivi ad incappare con Acido, Acida, Acido, Acida… e cantavi a squarciagola, oppure ti liberavi in un ballo pieno d’energia per scaricare la tensione. Era un modo, almeno per me, per affrontare al meglio quella parte seccante che ti tiene bloccato in casa.

   E così passava il tempo con più piacere, mentre in qualche modo si cresceva…

   Sono passati ventidue anni.

   Oggi ho saputo della triste notizia di Elisabetta Imelio, la bassista dei Prozac + che si è dovuta arrendere al male che non lascia scampo. Mi ricordo bene di lei, perché molto raro vedere una donna che suona il basso in una band molto punk. Mi ricordo di quanto fosse carina, e di come mi sarebbe piaciuto invitarla a bere qualcosa se l’avessi conosciuta. Ma non come probabile partner, ma perché di sicuro le avrei chiesto: “Scusa, ma come fa una come te a suonare in una punk band tutta italiana?”

   Una semplice fantasia da ventenne.

   Elisabetta, che dire? Solo grazie.

   In qualche modo ti ascolterò ancora. E così tanti ragazzi, oggi uomini e donne, che grazie a te hanno in qualche modo trovato stimolo nel fare un qualcosa di molto libero. E altrettanto vivo.

Aurélien Facente, 1 marzo 2020

La magica Jole nella Calabria mai contenta

Ho delle difficoltà a capire molti miei amici calabresi. Non me ne vogliano lor signori, e non prendano il titolo del blog come una strenua difesa della Presidente Jole Santelli, appena proclamata a capo della Regione Calabria, un ente tra i più disastrati e considerati come “lontani” dai cittadini. Il dato astensionistico supera il 50% largamente, e basta quello per far capire quanto l’ente sia percepito realmente. Tant’è che esiste e c’è una rappresentanza che va votata per amministrarlo.

   Questa volta è toccato alla magica Jole, che con la sua ciurma di centrodestra si mangia gli avversari, e si prende lo scranno meno ambito d’Italia (beh, visti i precedenti presidenti si può ovviamente capirne il perché).

   Ora tutti si scandalizzano perché la Presidente abbia scelto di stare tre giorni a Roma (dove tra l’altro c’è un palazzo della Regione Calabria), dove tra l’altro ha i suoi contatti migliori (per via del suo recente passato da parlamentare).

   Su questo ci sono quattro elementi da tenere in considerazione: 1. la magica Jole ha vinto, tuttavia, le elezioni e allora è libera di decidere una strada diversa dell’amministrare (viste le precedenti non totalmente eccelse); 2. la magica Jole ha vinto le elezioni, e può dire (anzi, deve) la sua come meglio crede; 3. si tratta della prima Presidente donna (fattore storico importante, anche se non vi piace) della Regione Calabria, ed è logico che la sua strada è diversa, nel modo di pensare e di ragionare, da quella di un uomo (e i suoi predecessori non è che siano stati i migliori); 4. il più importante, ovvero la consapevolezza di giocarsi il tutto per tutto, visto che per la stessa magica Jole è una seria possibilità di dimostrare che può governare, essendo sempre lei stata in posti più di rappresentanza (deputato e sottosegretario, anche se quest’ultimo ruolo è un pochino più di comando, ma non parliamo del potere di un ministro) che di comando (ad eccezion fatta dei suoi anni da vice sindaco di Cosenza, dove il peso istituzionale si fa sentire eccome), e perciò vorrà dimostrare di avere delle capacità.

   C’è un altro elemento molto importante da non sottovalutare. L’aspetto umano.

   Fermo restando che non la conosco personalmente, ma lei, confessato pubblicamente tra l’altro, soffre di un male che è per sua stessa natura una sorta di roulette russa. Perciò il suo modo di ragionare, pensare, vivere è diverso dal comune pensare. Lei stessa ne è consapevole, non ne fa un segreto, e questo la rende più forte e caparbia.

   Ora sommate i 5 elementi citati sopra, e avrete un qualcosa di lontanamente diverso da quello che c’è stato prima. E quando è diverso, impossibile è capirne la direzione.

   Ha iniziato a realizzare la sua personale Giunta.

   Il primo è quell’uomo mascherato che è il capitano Ultimo, la leggenda vivente che ha catturato il boss dei boss. Si occuperà dell’ambiente alla Regione Calabria. Certo, è mascherato. Ma almeno sappiamo chi è e che cosa faceva. Un eroe del nostro tempo chiamato ad agire in nome di un argomento che in Calabria è stato sempre messo in secondo o terzo piano del tutto, ovvero l’ambiente. Di certo, è una sorpresa che ha creato dissenso (parecchio perché controcorrente, e rovina i piani di qualcuno che voleva continuare l’invisibile opera pia dei predecessori, tutti famosi per essere stati completamente anonimi nel ricordo dei calabresi).

   Poi è stata nominata l’astrofisica, quella dottoressa Savaglio che finì addirittura sul Time (per meriti propri tra l’altro), e che si occuperà dell’università, altro argomento molto sottovalutato dalle nostre parti (a Crotone sono stati capaci di chiudere un polo universitario tra l’altro, e quanti stanno zitti su quest’argomento).

   E sono sicuro che le sorprese, positive o negative che siano, non finiranno qui.

   È presto per avere un’opinione, anche se la tentazione è di incoraggiare la magica Jole, che si sta rivelando un’anomalia abbastanza piacevole, tutto sommato. Perché ci sorprende, ci fa discutere, ci fa dissentire. Un vero e proprio contrasto in questa regione, e forse in questo periodo storico serve proprio il contrasto, visti i precedenti soggetti molto opachi.

   Ci sono gli scontenti, ci sono gli oppositori, ci sono quelli che la giudicano per quel servizietto tv delle Iene.

   Continuate a sottovalutarla. Diritto pieno di farlo.

   Per esperienza (il sottoscritto ha poco più di 40 anni), vi dico che ora per ora è un film da seguire fino alla fine. Perché non è il solito film con gli accordi di potere decisi prima delle elezioni.

Aurélien Facente, 2020

E il belga disse a me: “Non è cambiato nulla a Crotone” (Un ricordo molto attuale…)

Crotone, Maggio 2016. Il Crotone è appena salito in serie A. Un festeggiamento di quelli che non si vedevano da molto, moltissimo tempo. Strade piene di bandiere e di colori rossoblù.

   Una luce in mezzo a tanto buio.

   Intanto è sera, e scendo da casa perché è importante partecipare alla festa, in mezzo alla gente. Poi è giusto mettere alla parola fine a un equivoco che è stato nella testa di molti cittadini crotonesi.

   Per via del mio nome francese, Aurélien, sono tanti anni che lotto contro certi ignorantoni per ribadire la mia appartenenza sanguigna alla città di Crotone, e continuano a dire a bassissima voce che sono un francese di Parigi, come se Parigi fosse l’unica città francese esistente. Purtroppo per loro sono un crotonese di Crotone che sta a Crotone.

   A me il rossoblù m’è sempre piaciuto, perché se poi tra il rosso e il blu ci metti il bianco ecco che ti esce la bandieruola francese. Sarebbe bello vedere qualche crotonese cantare l’inno francese: “Allons enfants de la Patrie…”

   Ovviamente è un’esagerazione. Una cosa che potrei soltanto vedere nei miei sogni.

   Adoro l’inno francese quanto quello italiano, ma se poi lo dico ecco che ritorna l’ossessione collettiva del fatto che sono francese al 100%, anche se poi i documenti dimostrano che sono nato quasi 40 anni fa all’ospedale San Giovanni di Dio che si trova a Crotone, a due passi dallo stadio Ezio Scida.

   Tra i colori rossoblù mi sento a mio agio, perché per la prima volta avverto una gioia collettiva sincera. Per la prima volta ascolto le voci di un popolo unito. Certo, il tutto è dovuto al calcio, al merito della squadra. Ma se una squadra di calcio riesce a unire una città, vuol dire che si può iniziare a sperare.

   Quindi qualsiasi sorriso diventa contagioso.

   Entro in un bar sul lungomare di Crotone, il solito. Quello in cui mi trovo meglio. Perché è il bar in cui sono cresciuto tra alti e bassi.

   È sabato sera. Il giorno ideale per osservare la gente. Non amo spiare, ma osservare è una deformazione professionale del mio lavoro. Mi piace guardare quelli che mangiano e quelli che bevono, mi piace vedere i gesti tra i loro dialoghi, gli sguardi che s’incrociano. Poi trovo sempre qualcuno che sussurra di me, oppure qualcuno che urla il mio nome e tutto contento si nasconde come se avesse avuto un orgasmo. Tendenzialmente è maschio, leggermente imbecille, tendente a fare il figo. Ne ho conosciuti tanti di questi bulletti. A volte mi avvicino e li prendo di sorpresa. Amo chiamarli vigliacchi, ma in fondo li capisco. Mica possono dire in giro che prendere in giro il mio nome li porta ad avere qualche orgasmo mentale. Poi figuriamoci se io dovessi dire questa cosa alle loro ragazze.

   Perciò mi divertono. Certo, tendono a essere monotoni. Ma che ci volete fare? Simu à Cutrone…

   Basta parlare di me. Incontro gente. Alcuni amici. Ci si mette a ridere insieme. Il tempo passa. La notte continua fino a quando la gente non inizia a tornarsene a casa.

   I festeggiamenti per la serie A continueranno anche domani, e poi per tutto il mese di maggio, tranne nel weekend dedicato alla Festa della Madonna.

   Poi tutto finirà, e comincerà la lunga campagna elettorale per il sindaco.

   9 candidati a sindaco.

   Cazzo, ragazzi, abbiamo eguagliato il record di cinque anni fa.

   Altri 9 pazzi che si vogliono nell’avventura. Ma che cavolo di pensiero mi viene in mente adesso? Oggi posso dire di trovarmi in serie A.

   Sono al bancone del bar. Un amico si avvicina a me e mi presenta un tizio biondo. Parla inglese. Nella nostra immediata conoscenza riesco a scoprire la nazionalità del tizio. È un belga. Gli propongo di parlare in francese, perché in Belgio si parla il francese. E poi è più facile, vista l’ora tarda, di restare abbastanza lucido. Parlo l’inglese anche, ma con il francese ho più dimestichezza. Lo parlo fin da piccolo.

   Il belga si complimenta per la serie A conquistata. Poi scopro che lui è arrivato qui via mare con la sua barca di proprietà, che gli piace un sacco Crotone, e che sono almeno sei anni che attracca qui e ci passa qualche giorno volentieri.

   Poi mi fa una domanda alquanto strana: “Sono almeno cinque anni e mezzo che vengo qui, signor Facente. Le posso fare una domanda?”

   “Certo.”

   “Tutte le volte che vengo qui non vedo nessun cambiamento. A parte la vostra squadra di calcio che è appena salita in serie A.”

   Già. Non è facile cambiare le cose. Ma qui la fenomenologia parte da lontano, molto lontano. Simu sempre à Cutrone…

   “Posso sapere quando parti?”

   “Domattina, signor Facente…”

   “Ok. Te lo spiego la prossima volta che tornerai a Crotone. Ora mi voglio soltanto godere la festa. Comunque benvenuto a Crotone.”

   Ci vuole più di un libro per spiegare Crotone. Ma la faccia del belga è emblematica. Mi ha fatto notare che non è cambiato un cazzo, anzi che tutto è peggiorato. Eppure lui stesso vorrebbe che noi tutti migliorassimo, che costruissimo, che possiamo essere ben altro.

   Bene, amico belga, mi hai convinto. Torno a scrivere. E mò sono cazzi!!!

(Il seguente testo è tratto da un capitolo di un libro che non ho terminato di scrivere, giusto per essere chiari).

   Questa storia è accaduta nel 2016, e la riprendo perché, oltre al fatto che oggi, in questo momento storico a Crotone, non c’è un sindaco, ma un commissario prefettizio che ancora non ha ricevuto l’okay per lasciare il comune, ci sono due punti interessanti.

   Il primo, che è del signore belga, che denuncia l’immobilismo cittadino e urbano. Non che in Belgio siano migliori di noi, ma la percezione che si dà al viaggiatore che ritorna nella stessa città è purtroppo anche questa. La volontà di restare uguali a ieri e restare uguali anche domani. Questo non aiuta la comunità a crescere, e soprattutto non aiuta la percezione esterna che qui a Crotone si possono fare determinate cose, solo se questo desiderio di rivalsa diventa collettivo (e non individuale).

   E qui arriviamo al secondo punto, il più importante.

   Nel 2016 si candidarono in nove a fare il sindaco. Vinse Ugo che nel 2019 si trovò costretto a dimettersi da sindaco, e il perché lo sapremo quando i processi saranno celebrati in tribunale. Questo ovviamente ha lasciato la città senza una guida politica, tra l’altro molto discutibile.

   Però, in attesa della decisione dello Stato, c’è fermento politico. Già si parla in questa sessione incerta di qualcosa che molto probabilmente si concretizzerà come numero di candidati tra i 6 e i 9 che si contenderanno la fascia. E non parliamo poi dei candidati a consiglieri (e qui non basterebbe nemmeno l’elenco telefonico).

   Si ripeterà insomma la storia del ballottaggio, che qui, a differenza di 4 e 10 anni prima, sarà di sicuro più incerto.

   Mi auguro, a titolo personale, che il futuro sindaco possa quantomeno rispondere alla seguente domanda, la stessa che mi ha fatto quel signore venuto dal lontano Belgio: “Perché non cambia nulla a Crotone?”

   A questa aggiungerei: “E come mai peggioriamo, tra l’altro sapendo bene anche di peggiorare?”

   Chi mi risponderà con una certa serenità… ecco, mi rincuorerà un po’…

Aurélien Facente, febbraio 2020

La storia di una Ford Orion 86’ (Storia di un prof calabrese e della sua auto)

Vorrei raccontarvi una storia. È la storia di un uomo, mio padre, che faceva il professore in una scuola media di Isola di Capo Rizzuto. Nel 1986 si innamorò di un’automobile, esattamente di una Ford Orion. Se la comprò, e con essa si mise a fare giornalmente il percorso della strada statale 106 per andare ad insegnare, a provare a educare una lunga serie di alunni per dargli un futuro.

   Papà prendeva la sua macchina tutti i giorni. Amava la sua Orion. Gli dava delle soddisfazioni che solo lui poteva provare.

   Io, invece, non l’ho mai tanto amata. Una macchina a quattro ruote ha le caratteristiche di chi la guida. Papà ci stava bene con quella Ford color marrone, e ogni mattina si alzava presto per andare a Isola di Capo Rizzuto. Una ventina di chilometri all’andata, e altrettanto al ritorno.

   Quella Ford Orion era il biglietto da visita di papà. In fondo era la sola ad aver quel colore in tutta la Calabria, forse anche in Italia.

   Durante le vacanze estive, papà non vedeva l’ora di andare in Francia (patria della mia mamma) anche solo per mostrare che un uomo del sud poteva portare la sua famiglia lontano.

   Ricordo che a Modane papà superò un’Audi targata Latina, e gli fece un saluto, dicendogli che lui era un uomo più a sud. Ci teneva a far vedere che era un uomo di Calabria.

   Non ha mai voluto cambiare la targa, e nemmeno l’auto. Quel CZ della sua auto era la sua carta d’identità.

   Papà usò la macchina anche per fare politica. Lui, segretario provinciale del PLI, andava avanti e indietro per la provincia di Crotone a trasportare manifesti e volantini dei candidati alle comunali e alle nazionali. Almeno fino a quando poi il partito non cessò di esistere.

   Papà girò gran parte dell’Italia con quel mezzo, non nascondendo mai la sua calabresità. E guai a chi toccava la sua auto. Era la sua compagna di viaggio. Una silenziosa compagna di viaggio, in verità un bel po’ rumorosa.

   Sì, perché io mi sedevo accanto a lui, quando mi accompagnava a Cosenza. Un avanti ed indietro per la Sila, a fermarci a bere l’acqua fresca oppure a fare una pausa pranzo a Camigliatello.

   Una volta glielo domandai: “Papà, perché non la cambi quell’auto?”

   Mi guardò storto, e mi rispose: “Tu non puoi capire l’amore che provo per quel volante appena lo tocco.”

   In realtà aveva mille scuse perché non voleva cambiare la sua amata Ford.

   Andò in pensione, e continuò a tornare ad Isola di Capo Rizzuto, anche solo per guardare il paese dove aveva visto crescere tanti suoi alunni, ormai uomini e donne, che magari lo riconoscevano e lo salutavano.

   In pensione, si permise ancora di farci dei viaggi per andare a trovare qualche amico, e ci ritornò anche in Francia, con il motore ormai ai limiti.

    Poi papà invecchiò.

   E la Ford Orion lo accompagnò pure durante il percorso.

   Smise di prendersene cura come prima, e l’auto cominciò a perdere qualche pezzo.

   Poi arrivò il giorno in cui papà si ammalò seriamente.

   Ebbe un cenno di ripresa, e guidò la sua Ford per andare a prendere il giornale dall’edicolante.

   Solo viaggi brevi, perché papà usava la stampella e non voleva farsi vedere in quel modo, acciaccato come la sua auto.

   Un giorno, papà ha smesso di scendere.

   E dopo un po’ smise di respirare.

   Il giorno del funerale, le forze dell’ordine, assieme al carroattrezzi, presero la sua auto, perché aveva ritardato il pagamento dell’assicurazione.

   Quel giorno del 7 agosto 2019, non dovetti solo salutare papà. Ma anche dare l’addio alla sua amata macchina.

   Dopo qualche mese, la macchina fu liberata dal verbale.

   Qualche giorno fa, sono andato in qualche modo a liberare la Ford Orion targata CZ.

   Oggi lo scrivo.

   Mi piace immaginare papà che ritrova la sua auto lassù da qualche parte, e che orgogliosamente si presenta alle porte dell’aldilà dove si lascia andare al seguente discorso: “La vedi questa macchina? Da Crotone sono arrivato fino al Nord della Francia, e lì ho beccato un napoletano, e gli ho fatto vedere un calabrese che ha saputo portare una macchina fin lassù…”

   Si chiude così la storia di un uomo che amava tanto la sua Ford Orion 1986.

Aurélien Facente, 2020

La devastazione del silenzio (Gres 2000)

Dovreste farvi un bel giro all’interno della zona del Passovecchio, la zona industriale di Crotone, attraversata dalla strada statale 106. Imboccate una via che vi porta all’interno della zona industriale. Prendete la direzione verso il mare. Andate in fondo. Dovete andate in fondo. Arrivate vicino la defunta Gres 2000 e fermatevi.

   E ascoltate prima di guardare.

   Ascoltate il silenzio di qualcosa che non c’è più.

   Se avvertite un brivido o una sorta di disgusto, non provate nemmeno a contrastare quella sensazione. Meglio conoscerla.

   Poi aprite gli occhi. Guardate quell’enorme manufatto industriale, completamente silente e tutto vuoto. Ascoltate quel vuoto. Fatelo e basta.

   Poi guardatevi intorno. Troverete capannoni industriali attivi, ma troverete anche capannoni mai finiti di costruire oppure lasciati all’abbandono.

   Nessuno parla della Gres 2000 oggi. Una fabbrica di mattonelle che doveva rappresentare una prima reindustrializzazione. Una storia finita male.

   Oggi c’è il silenzio.

   Il silenzio del cadavere ormai devastato. Adesso c’è solo il tempo che infierisce sulla struttura. Solo il tempo.

   Ci sono andato ieri mattina, e potrei tornarci.

   Mi ha fatto impressione.

   Un’enorme struttura lasciata all’abbandono.

   Nessuno la vuole prendere e provare a farne qualcos’altro. E intorno ci sono altri posti vuoti.

   Solo una foto e basta per oggi.

   Voglio soltanto ascoltare il silenzio.

   Il silenzio di un lavoro che non c’è più. E non ci sarà più…

Aurélien Facente, febbraio 2020

Vince la magica Jole, con l’aiuto dell’astensionismo

È da stanotte che seguo con una certa attenzione quello che succede nella mia Calabria. Ieri 26 gennaio si è votato. Come piccolo blogger, ho fatto appelli di ogni genere perché la gente andasse ad esprimere il proprio voto, a prescindere dal vincitore.

   Da stanotte c’è stata la vincitrice, quella signora di nome Jole Santelli che non è, a dire il vero, straconosciuta in Calabria. Io stesso, devo ammettere, che nutrivo qualche dubbio su di lei. Li nutro ancora, politicamente parlando.

   Però il voto si è espresso, e nell’effettivo c’è stato il trionfo della magica Jole, che sbaraglia tutti con un esercito di sei liste almeno e prende una Regione Calabria molto lontana dalla visione di un comune cittadino, il che spiega il largo astensionismo.

   Già, l’astensionismo è il fenomeno che fa vincere la magica Jole, che si accomoda in Regione aiutata anche dal vento in poppa del centrodestra.

   Ha fallito il buon Callipo, che ha contato forse troppo sulla sua stessa storia imprenditoriale, pagando anche l’alleanza con il PD che sembra essere il primo partito con il 14% (attenzione, che se contate l’astensionismo va giù più della metà).

   Hanno fallito i 5stelle, che pur trovando un candidato alla presidenza interessante, e hanno sbagliato tutta la loro campagna elettorale. Una volta c’erano i banchetti in mezzo alla strada. I bei vecchi tempi. Oggi hanno contato su Facebook e social un pochino troppo. Siamo tutti belli e simpatici. Senza contare il fuoco amico del loro senatore Nicola, che con i suoi speciali interventi ha causato una serie di autogol clamorosi.

   Non ha fallito il buon Carlo Tansi tutto sommato. A Crotone almeno no. Forse entrerà, forse no. In cuor suo sapeva che sarebbe stato molto difficile. Il merito suo è di aver trovato sostegno in tante brave persone. Per lui e i suoi è arrivato il momento di costruire, ma questo soltanto il tempo lo dirà.

   Ha stravinto il partito dell’astensionismo.

   Le ragioni sono molteplici.

   Alta emigrazione giovanile (ma non solo), presunzione di determinati politici, partiti che non sanno che cosa vogliono fare (fatevi raccontare la barzelletta del PD crotonese che voleva sostenere ancora l’uscente Mario Oliverio, silurato dalla base nazionale), il disgusto delle persone verso un certo modo di fare politica. Insomma una serie di problemi che hanno portato alla disaffezione più completa. E non è una giustificazione, badate bene.

   Poi c’è un dato. I calabresi, come popolo, esistono solo sulla carta.

   Non prendetevela, cari amici.

   Ma la Calabria è una regione troppo divisa.

   CZ e CS si detestano. KR odia CZ. RC odia CZ. VV un po’ troppo sola. Una regione bellissima, ma divisa da troppe chiusure mentali. Diventa difficile uscirne.

   Certo è che il prezzo dell’astensionismo non piace.

   Potete parlare di fascisti, di comunisti, di leghisti…. Tutto quello che volete in questo delirio psicotico post elettorale.

   Ma la vera vincitrice è lei, la magica Jole.

   Perché è stata largamente sottovalutata e criticata. Perché tutti guardavano ad una certa disinformazione di cui la stessa fu protagonista (un servizio delle Iene fu rimesso in rete per schernirla), ma nessuno guardava il suo effettivo curriculum (deputata più volte e sottosegretario pure più d una volta). Tutti gli avversari a fare i moralisti contro di lei, ma eppure lei li ha affrontati, democraticamente parlando. E poi per lei sono scesi i pezzi grossi. Anche il buon Silvio è tornato a parlare in piazza per lei.

   Già, non piace ammettere che la magica Jole è stata brava in fin dei conti, nonostante il male che si porta dietro, senza nasconderlo tra l’altro.

   Jole ha vinto. Bisogna riconoscerglielo almeno.

   Ora non si può sapere che cosa farà e se sarà capace di farlo.

   A ogni vincitore bisogna pur sempre fare gli auguri, e in questo caso gli auguri sono più che dovuti. Perché la Calabria sarà gestita da una donna finalmente, ed è un fatto storico di notevole rilevanza.

   Perciò auguri.

   In quanto ai leoncini della tastiera. Scervellatevi quanto volete, sfogatevi, lamentatevi, classificatevi ancora tra fascisti e comunisti, tra delinquenti e incompetenti. Scannatevi fino all’esaurimento nervoso. Fatevi prendere dalle più basse ipocrisie. Ma prima di farlo domandatevi perché in Calabria non si vota in massa quando ci sono le regionali. Chiedetevelo e datevi una risposta, guardandovi allo specchio. Siate oggettivi e non soggettivi. Ragionate con la testa e non con lo stomaco. Di sicuro non è scrivendolo su Facebook che cambierà il mondo, soprattutto quando c’è un problema che si chiama astensionismo.

   Alla fine la democrazia si è espressa, e anche se non piace il verdetto si è espresso in tal modo.

   Che Dio ce la mandi buona.

Aurélien Facente, 27 gennaio 2020

L’ipocrisia dello schierarsi nella massa che segue o si scontra con il politico di turno (e l’importanza del voto)

   Conoscete Scott McCloud? Non lo conoscete? Pazienza. Questo signore, tra l’altro un artista, si occupa di fumetti. Nel mondo del fumetto è molto conosciuto, soprattutto per i saggi che provano a spiegare l’importanza del linguaggio del fumetto in una società come la nostra. Leggere i suoi saggi, tra l’altro realizzati con il linguaggio del fumetto, sono, anche per chi non legge vignette abitualmente, un ottimo modo per capire l’evoluzione del linguaggio nella nostra società, che oggi usa molto della cultura del fumetto. Ora, nel primo saggio di Scott McCloud intitolato Understanding comics ovvero Capire il fumetto, c’è una tavola che spiega il ruolo dell’artista all’interno della società odierna. È una sequenza molto importante, la vera chiave che vi fa capire senza giri di parole come funziona una mente più sensibile in confronto alla massa. L’artista si muove con la massa, poi a un certo punto si ferma e osserva la massa prendere una direzione che, molto probabilmente, lo stesso artista non seguirà, proprio perché si è fermato. Quella scelta lo porterà a realizzare un pensiero che sarà tramutato in un’opera d’arte, presumibilmente.

   Oppure una semplice opinione di dissenso verso la massa.

   In ogni caso questo è anche il principio della libertà di pensiero, e il pensiero differente è un pensiero libero, e finché il pensiero è libero ci sarà sempre un contrasto di opinioni, ed è in base a questo contrasto che la società prova a evolversi, tra tanti bui e tante luci.

   Avendo velleità prettamente artistiche, quella tavola stessa mi fece capire che non dovevo rinunciare alla mia natura. Per nessun motivo. Il mio essere “diverso” dagli altri era un’opportunità che io dovevo cogliere.

   Ho fatto esperienza giornalistica in passato. Mi è servito “essere giornalista”. Non rinnego ciò che ho fatto, e fa parte del mio percorso di conoscenza. Però, poi ho lasciato il giornalismo. Io non ero adatto per il giornalismo di oggi. Io sono cresciuto nella libertà di espressione, nel rispetto dell’altro, nel cercare di vedere le cose in maniera oggettiva per offrire la migliore testimonianza al lettore (o all’utente visto che ci troviamo oggi in pieno linguaggio Facebook).

   Alcuni di voi mi conoscono, altri no. Ci sono anche alcuni di voi, nella vita, che mi contrastano perché non mi schiero.

   Schierarsi in Italia, oggi, equivale a fare un patto con il diavolo.

   Tesserarsi in un partito o in un movimento diverrebbe parte integrante del mio curriculum lavorativo, e di fatto limiterebbe la mia libertà di potermi creare delle opportunità.

   Qui, nel meridione, non è facile essere “indipendenti”, o almeno avvicinarsi a qualcosa di simile.

   Perché esiste un insieme di persone che non lo concepiscono, e perciò non lo tollerano.

   Conosco i partiti, e sono abituato a fare la distinzione tra ideali e persone, e distinguo tra persona e persona.

   Ci sono persone che usano davvero gli ideali perché credono in una società migliore.

   Ma poi ci sono anche persone che usano gli ideali come maschera, e nascondendosi dietro quella stessa maschera si permettono di compiere qualsiasi cosa che non abbia un interesse pubblico. E quando vengono beccati, loro usano la scusa dell’ideale, della bandiera del partito.

   Oggi non viviamo in una società di coerenza. Viviamo in una società fatta di contrasti e di ipocrisie. E si usa la maschera politica per nascondere la propria ipocrisia, vero male di questa società che gioca a fare la “perbenista”, quando poi la stessa politica non ascolta più i suoi cittadini.

   Ci dicono che loro sanno quello che è meglio per noi, ma negli ultimi 20 anni la macelleria sociale ha fatto molti danni. Ora la classe media in Italia non è classe media.

   Certo, nel frattempo qualche piccolo traguardo è stato tagliato. Ma a quale prezzo?

   Dopo la crisi economica, è arrivata la crisi culturale.

   Guardate gli indici culturali in Italia, ma soprattutto guardate al Meridione.

   Forse la cosa non vi interessa, perché preferite sapere se stasera avrete il vostro pezzo di pizza oppure la vostra puntata del Grande Fratello. Magari non v’interessa quello che io scrivo perché voi non volete togliervi il velo che vi siete fatti mettere. È vostro diritto non leggere. Ma poi non prendetevela se poi un giorno vi scrivo: “Io ve l’avevo detto.”

   Ho ricominciato a scrivere di attualità, dopo una lunga pausa, e già qualcuno prova fastidio. Perché il mio misero punto di vista è una piccola opinione di dissenso, quanto basta per aiutare il lettore a riflettere.

   Ma non basta per rispondere alla domanda.

   Perché non mi schiero?

   Perché se voi vedete che ciò che è intorno a voi, a livello politico, è formato da una serie di soggetti che in realtà sono e fanno tutt’altro che la vera politica per il cittadino, come avreste il coraggio di schierarvi apertamente?

   Io ho un difetto che è pure un pregio: la diffidenza.

   La diffidenza ti permette di mantenere un equilibrio, di non farti cadere dal baratro se stai attento.

   La diffidenza è un difetto per chi ti chiede il voto.

   Perché chi ti chiede il voto, deve sapere di aprire tutte quelle porte per convincerti che loro sono il meglio, che loro cureranno il tuo futuro, che loro ti troveranno il lavoro, che loro sono migliori e che gli altri sono peggio. Perché l’avversario è cattivo, brutto, razzista, pazzo. Già, loro sono meglio. Ma in passato magari ti hanno scippato qualcosa alla quale tenevi tantissimo.

   Ma è qui che sta il loro punto debole.

   Perché un vero politico, spinto anche da un ideale diverso dal tuo, s’interessa della tua opinione, si chiede perché hai un pensiero diverso, vuole parlare con te perché sa che il tuo punto di vista può essere prezioso.

  Questo tipo di politico, però, è molto raro. Tremendamente raro.

  Oggi ti trovi davanti alla scelta di scegliere tra tanti soggetti, e ti viene anche la voglia di non andare a votare.

   Ecco perché trovo preziosa la mia diffidenza. Perché poi osservo meglio il mio candidato, e ciò mi convince a fare la mia scelta di dissenso.

   La esprimo attraverso il voto.

   Può anche non cambiare nulla intorno a me, dopo. Ma ho espresso la mia libertà di pensiero, ho espresso il mio dissenso, e così acquisisco anche un altro diritto, ovvero quello di esprimermi liberamente.

   Tra poco ci saranno le elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale della Calabria.

   Ho già verificato la presenza di tanti voltagabbana. Ho già scelto il mio candidato a dire il vero. Seguirò la ragione e il cuore. Contribuirò nel bene e nel male all’elezione di qualcuno. Ma voglio dare il mio segnale.

   Nello stesso tempo non chiedetemi di schierarmi. Non ve lo dirò mai da che parte sto.

   Ma soprattutto non seguo la massa.

   La massa si schiera e s’incatena.

   Io preferisco restare a osservare, oltre che a esprimermi ovviamente.

Aurélien Facente, gennaio 2019

Crotone, la mia amata e la mia odiata

Il rumore delle onde del mare, mischiato ai miei passi sulla sabbia. Ogni tanto vado in spiaggia, e mi allontano fino a dopo il cimitero, per poi voltarmi e guardare Crotone in lontananza. Sto fermo un po’, mentre ascolto le onde del mare che battono sulla spiaggia.

   A volte ho bisogno di star da solo, di camminare senza una direzione precisa. A volte porto la mia macchina fotografica, a volte solo un taccuino dove poter scrivere qualcosina o poter portare dietro di me un momento.

   Guardo la mia Crotone, la mia amata e la mia odiata.

   Non offendetevi. Ognuno di noi ha un rapporto schietto con la propria città, fatto di tanto amore, ma anche di profondo odio, tra l’altro dettato da una rabbia che ognuno di noi tiene dentro.

   C’è il bel clima, c’è il sole, c’è il mare, c’è la storia.

   Questa filastrocca la sento da 40 anni almeno.

   Certo, c’è il Crotone Calcio che ti fa sognare la serie A. Puoi parlare di Pitagora e Milone senza sapere in che epoca sono vissuti. Ci sentiamo antichi Greci quando ci conviene, o diventiamo calabresi quando il leghista del nord offende il calabrese, o diventiamo all’improvviso comunisti quando il vecchio Partito Comunista è stato messo da parte. C’è qualche sacca, ma quando non hai un mondo operaio accanto, non puoi dar valore al comunismo.

   Odio Crotone a volte.

   La odio perché negli anni ho visto tanti, troppi, opportunisti e pochissimi costruttori di idee.

   La odio perché ho fatto il Don Chisciotte contro i mulini a vento, e adesso tutti son circondati da pale eoliche che non ti hanno migliorato il paesaggio circostante.

   La odio perché il popolo che è restato e non è partito si è rassegnato a convivere con una normalità che non è una normalità.

   Manca il lavoro. L’economia si è ormai decostruita. Andarsene sembra essere la soluzione migliore. Perché il poco lavoro che c’è è statale, oppure d’attività, oppure ti butti sull’alimentare e ti apri un ristorante, un pub, una pizzeria. Ti fanno credere che il vero lavoro è solo quello che ti si propone a Crotone, e io rispetto tutti questi lavori. Ma poi c’è il resto.

   Puoi provare a diventare un calciatore, ma qui la concorrenza è spietata. Puoi provare nella pubblica amministrazione, ma i posti sono limitati. Puoi provare in un qualche centro commerciale, ma il tuo contratto è di breve durata. Così come puoi provare al call center, ma la situazione non migliora.

   Ci sarebbe il lavoro nero, ma poi se hai qualche invalidità non ti conviene e poi non ti prendono. Perché se ti scoprono, poi il tuo capoccia passa i guai, e alla fine si sa che quando l’economia si riduce diventi avverso allo Stato e alle sue regole rigide.

   Si dice che nell’ultimo anno, l’attività di vendita sia diminuita del 60%. Meno acquisti vuol dire meno economia mobile, il che si tradurrà in meno tasse. E a Roma vogliono darci la colpa di questa contrazione economica.

   Si vuole colpire gli evasori, che ci stanno e sono un danno, ma non si vuole parlare di sviluppo. Si potrebbe fare, ma quando hai a che fare con un certo modo di pensare. Non è una questione politica, ma antropologica. Perché qui il politico si sente superiore a te. Magari gli parli delle tue idee, ma poi te le fotte abilmente. Se ne impossesserà, ma poi non le potrà realizzare a dovere. Perché in fondo non ha studiato come te, e allora preferisce dirti che sei intelligente, ma solo se lo voti o voti qualche suo amico. E poi vieni dimenticato o messo da parte, a patto però che tu non abbia da parte una sessantina di voti. Perché se non hai una famiglia numerosa, è difficile che tu abbia un futuro.

   A Crotone c’è un mondo giovane. C’è sempre stato. Ma oggi è un mondo giovane impaziente di andarsene. Sì, perché i più grandi hanno raccontato che è meglio andarsene da Crotone, che fuori ci sono ben altre possibilità. Quindi meglio andarsene, ma una vita migliore davvero c’è?

   Già, meglio soffrire fuori che qui.

   È il terribile presente che i giovani vivono. Un presente condiviso con chi ci vive da sempre qua.

   Ma tra questi giovani c’è una paura camuffata. Giocano a fare i forti, ma i loro sogni sono di fatto uccisi se restano qua. C’è chi tra loro sceglie di restare, con grossi prezzi da pagare tra l’altro. Giovani senza un’idea di orizzonte.

   Ma tanto c’è il bel clima, c’è la Magna Grecia, le imprese del Crotone FC. Bastano queste tre cose per costruirti il futuro…

   Però poi vivi in una terra dov’è stato sepolto di tutto. Già, parlo di quelle sacche di rifiuti industriali che hanno bisogno di essere bonificate e che, di fatto, impedisce una pronta rinascita.

   Ma non tutto è da buttare.

   C’è un mondo nascosto che cresce. C’è una coscienza che cresce. C’è una consapevolezza di non arrendersi. Poche cose, ma buone. In questo mondo nascosto c’è forse la soluzione.

   Guardo Crotone da lontano.

   La amo e la odio.

   Ritorno verso di te, mia Crotone, mentre il mare continua il suo lungo canto. Do uno sguardo verso l’orizzonte, mentre il sole scende.

   Un giorno finisce. La notte arriva.

   E domattina il sole sorgerà dal mare, per illuminare una città che deve liberarsi della sua oscurità.

Aurélien Facente, gennaio 2019

Campagne elettorali strapiene di paginette e profili Facebook

Che Facebook abbia cambiato il modo di comunicare tra noi ominidi umani è ormai un dato di fatto. Ma che Facebook sia il problema è la più classica delle masturbazioni mentali, perché di fatto sono le persone a usarlo e sono responsabili del come lo usano. Ogni giorno vedo tanti di quei post copia/incolla che mi stupisce che in questa umanità nessuno ha capito che Facebook funziona come un’azienda telefonica. Il mezzo cambia, ma il principio è lo stesso.

   Al di là di questa introduzione, c’è da dire è che da un pezzo la politica usa qualsiasi mezzo a disposizione per fare la propria propaganda, soprattutto quando inizia la campagna elettorale che ci porterà a votare e a scegliere quegli eroi che si troveranno per tot tempo ad amministrare la cosa pubblica.

   Quindi prima vi invadevano di fogliettini anche messi sotto la porta d’ingresso. Oggi vi invadono con i profili fake (non personalmente gestiti dai candidati stessi in buona parte) e con tante paginette pubbliche, dove v’inviteranno a mettere il like, detto volgarmente oggi “mi piace”, giusto per intenderci.

   E così prende vita il grande catalogo delle regionali (visto che tra poco si vota in Calabria, terra dove risiedo), poi toccherà alle comunali, poi magari toccherà alle nazionali, e così via. Peccato, perché la raccolta delle figurine era sempre preziosa, se non altro perché avevo un’idea con chi avevo a che fare.

   Quindi quando prendo lo smartphone e vedo su Facebook le tante pagine sponsorizzate, mi viene il sorriso. Un sorriso abbastanza amaro.

   Non sono ipocrita. Qualche paginetta la seguo, ma seguo solo quelle di soggetti con i quali magari ho collaborato o di quelli che qualcosa da dire ce l’hanno davvero (adoro soprattutto le pagine di chi è definito “coglione” da altri, quando sarebbe meglio analizzare i contenuti). Adoro le pagine di chi parla al proprio elettorato, anche mostrandosi in video. Adoro chi magari ha un blog e condivide i suoi punti di vista.

   Ma poi la cosa finisce lì. Non metto like alle pagine durante le campagne elettorali e nemmeno ai candidati. Magari accetto qualche amicizia fake, ma solo per il gusto di togliermi giusto la curiosità. E già so che chi c’è dietro se ne fotte completamente di me, visto che cerca consenso e voto.

   Funziona uguale per tutti.

   E tutti che si fanno la foto simpatica e che vogliono apparire angelici, come eroi invincibili contro un sistema al quale molti di loro hanno contribuito alla sua costruzione. Mi piacciono soprattutto i cambia casacca che si riciclano puntualmente, perché più che la politica gli interessa molto probabilmente il portafogli più gonfio.

   Certo, c’è chi fa politica in modo serio. Mica condanno tutti. Sono quelli che puntualmente aggiornano le loro pagine, e che non le abbandonano al caso. Sono quelli che ci credono in qualcosa di più trasparente. Ci sono anche quelli (ahimé troppo pochi) che vi rispondono direttamente e senza fronzoli.

   Ecco. Questi li rispetto.

   Ma gli altri possono anche andare a farsi un giro. Perché tanto tra qualche settimana le loro paginette ricadranno nel silenzio. Non hanno contenuti da offrire, ma forse solo qualche selfie fatto in giro. Adoro le foto dei vostri banchetti sulla strada. A un certo punto non manca la foto di tutta l’armata Brancaleone in piedi e tutti a sorridere come se voi foste la risposta ai problemi, quando magari voi siete parte del problema.

   Non dirò chi voterò o per chi farò campagna elettorale. Purtroppo lor signori devono capire che per uno come me prendere una posizione in una lunga serie di candidati del non senso diventa difficile. Ci tengo alla mia sanità mentale e alla mia salute.

   Quindi vi auguro un “in bocca al lupo” perché più di questo non posso fare.

   Se poi accettate di avere un incontro più o meno privato con me, magari avrete la mia considerazione (che è già qualcosa in questa società votata all’indifferenza).

   Ho un solo consiglio per voi, però. Un piccolo consiglio. Quando chiedete l’amicizia su Facebook, guardate un po’ l’attività dell’altro. Una semplice e piccola questione di rispetto. Non esistono solo i vostri bei selfie e le vostre belle paginette.

   Esiste anche altro nella vita, e sarebbe bene che lo consideraste.

   Quindi, non rompetemi ulteriormente con la propaganda, e mostratevi a me se avete coraggio, che credo sia più importante dell’apparire “fighi” agli altri.

   Lo so che sembro severo, ma in realtà voglio vivere con serenità la mia vita e tenere lontani da me alcuni problemi di stitichezza.

Aurélien Facente, gennaio 2020