Crotone tra zone rosse, arancioni e gialle e tra carenze di tanto buonsenso e di cervelli indipendenti…

Sono stato in silenzio per un po’ di tempo. Almeno qui. Ho preferito non scrivere. Tanto non serviva scrivere. Che scrivi a fare in un paese, Crotone, fatto di abitanti che non sanno leggere. Ovvero leggono, ma leggono come parlano, perciò leggono quello che vorrebbero sentirsi leggere.

   Non tutti sono così, ma una maggior parte. Lasciate stare l’introduzione.

   Qualcuno si potrebbe offendere, ma poi quando è il giornale Sole24Ore che stila la classifica annuale del miglior posto d’Italia, ecco che Crotone risulta essere l’ultima, e questa volta è stato sottolineato l’aspetto culturale del posto. E qui nessuno che si scandalizza. Già. È inutile scandalizzarsi. Tanto noi crotonesi siamo ultimi.

   E ve lo meritate, cari concittadini. Non arrabbiatevi. Il dato di fatto è questo. I crotonesi sono ultimi.

   Qualche settimana fa, ho scritto su Facebook: “Sei di Crotone se sei demenziale e pensi di essere il top.” Una cosa del genere. Non vi dico gli attacchi personali. Ovviamente la mia era una semplice provocazione. Crotone è piena di top. Ma ci sono i top dell’eccellenza, i top della demenzialità, i top della mediocrità, i top del peggio.

   Crotone ha i suoi top del meglio e del peggio.

   Ma oggi è il peggio a proliferare.

   E il bello che si pensa di essere i migliori quando tutto il mondo vede il peggio.

   Basta farsi un giro in città e solo vedere il proliferare di cartelli vendesi tra negozi e appartamenti. Una città che non vende i suoi appartamenti non è il top.

   Una città, per essere tale, deve essere un posto dove la voglia di andare a viverci c’è.

   Appartamenti solo in vendita a discapito di quelli in fitto non è un sintomo di salute.

   E appartamenti in vendita vuol dire che molto probabilmente c’è gente che se n’è andata, ed è gente che difficilmente tornerà tranne che per qualche giorno di vacanza.

   Crotone, negli ultimi due mesi, ha vissuto il festival dei colori, passando dal giallo al rosso e ogni tanto intrattenendosi con l’arancione.

   Facebook, la piazza virtuale preferita dai crotonesi, è stato (e continua) a essere un vespaio di minchiate ultragalattiche. Faccio un esempio: postano una foto dove il Corso Via Vittorio Veneto, la zona attigua al palazzo del municipio, è piena di gente.

   Piena come però? Perché essendo un fermo immagine con prospettiva falsata tra l’altro, perché nessuno si rende conto che sono persone che camminano, che vanno per i fatti loro, tutti con le mascherine (tranne due o tre), e soprattutto non stanno fermi proprio per non creare quell’assembramento proibito dal governo e dalla televisione italiana… Bene, ecco che qualcuno posta la foto e tutti a puntare il dito contro, salvo poi capire che qualcuno dei commentatori era presente in quel falso assembramento.

   Non è demenziale scoprire qualcosa del genere. No, i signorini si offendono. E se la prendono pure. Ma solo se tu glielo dici. Poi se è il Sole24Ore a farlo, tutti zitti e muti.

   Da queste piccole cose capisci lo stato di salute mentale della popolazione.

   Nella mia misera attività di scrittore ed ex giornalista, ho avuto la bontà di comprendere che denunciare con ironia un problema non vuol dire offendere, ma far presente che c’è un problema che può essere risolto anche con un po’ di buonsenso e di ironia, quest’ultima che non guasta mai.

   No, tu hai offeso…

   Allora la mia domanda è: se siete tanto preziosi, allora perché Crotone è ultima?

   Ed ecco la scusa del vittimismo perpetuo che detta al contrario nasconde la vera verità: Crotone è ultima perché l’abbiamo voluto e perché ci piace vivere un’eterna favoletta dove ci mettiamo dentro Pitagora e Milone e siamo tutti felici e contenti.

   Voi capite che questa storiella agli occhi di chi ascolta queste motivazioni andrebbero bene per un cartone animato.

   Poi se vai avanti e approfondisci il discorso, ti rendi conto che Crotone è una città diventata paese, dove il cittadino è diventato popolano, e dove il cervello libero viene soffocato da una mandria di esserini convinti di essere il top.

   Non tutti sono così, e lo sottolineo. Conosco gente che si fa il culo a quattro per sopravvivere, e c’è gente che usa il cervello con una certa indipendenza non andando dietro alle chiacchiere dei paesani.

   Crotone è un villaggio mascherato da città, e questo comporta la verità oggettiva dell’essere ultimi.

   Bene, ora che lo sapete fatevene una ragione. Per salire la classifica e trovarsi in posizioni migliori bisogna lavorare molto su se stessi e dimostrare prima di tutto di avere dei forti limiti. E poi pian piano si risale, soprattutto usando tanto olio di gomito. E cervello soprattutto.

   Già, il cervello che è mancato, perché nell’anno del signore 2020 la gente ha preferito puntare il dito contro quello che faceva la spesa, quello che faceva uscire il cane, quello che si faceva soltanto una camminata per respirare, tra l’altro rispettando perfettamente le regole di prevenzione del coronavirus.

   Invece di vedere queste cose, una condanna continua.

   Quando determinati paesani crotonesi avranno la volontà di ammettere la loro personale paura (dovuta non solo al virus), faranno un primo passo di civiltà. E se la smettessero di usare lo smartphone per vedere quello che fanno gli altri, magari mostrando comprensione allora forse comincerà a diventare cittadino.

   Ora come ora Crotone è un posto come un altro, tra pregi e difetti.

   Può essere zona rossa, zona arancione, zona gialla. Ma la sostanza non cambiano.

   Una città la fanno i cittadini. E se Crotone è ultima è perché i cittadini stessi lo hanno voluto. Ci si potrebbe scrivere un libro.

   Comunque, buon anno e che sia un anno di risalita e non di chiacchiere su Facebook.

Aurélien Facente, gennaio 2020

Coronavirus KR: La massa si muove

Nell’emergenza Coronavirus ho criticato apertamente due provvedimenti in particolare. Uno era la prossimità di duecento metri da casa, liberamente interpretata da qualche signore in divisa. La seconda era il divieto di passeggiare in solitaria, seppur munito di mascherina. Aggiungiamoci pure la chiusura di alcuni luoghi ideali per passeggiare, e ci siamo tutti dovuti atteggiare.

   Un altro aspetto da criticare è il terrorismo mediatico portato avanti da tanti organi di stampa e di televisione. Un terrorismo amplificato anche da buontemponi che sui balconi filmavano persone che, magari, erano uscite per necessità.

   Questo, nell’insieme, ha portato la gente ad odiarsi.

   Pur capendo la necessità del momento, la gente, nel 95% (dato sorprendente tra l’altro), si è comportata nel migliore dei modi.

   Ma la quarantena, o meglio la prigionia forzata, alimenta anche il malessere.

   Non tutti hanno la possibilità di godersi un bel panorama. Tanti non godono nemmeno di una buona compagnia dentro casa. Tanti eroi di tastiera pronti a giudicare e condannare il prossimo perché magari si è preso cinque minuti di respiro.

   Tengo a precisare una cosa: il virus esiste ed era necessario lasciare spazio ai nostri sanitari, se non altro per permettere loro di lavorare al meglio.

   Il governo, nel suo insieme, avrebbe dovuto porre un freno serio al terrorismo mediatico.

    Non l’ha fatto. Ha lasciato la palla al Presidente del Consiglio, che si è trovato gioco forza in una situazione inedita nel dover prendere provvedimenti molto discutibili tra l’altro. Ma questa è un’altra storia.

   Nel frattempo, una pattuglia di sindaci sceriffi che ti parla in video e ti colpevolizza anche per una carezza. E non una parola d’incoraggiamento. Molti a puntare il dito contro. Un terrorismo mediatico tale da alimentare l’odio piuttosto che la solidarietà.

   E così si accende la miccia di una dinamite pronta a scoppiare in qualsiasi momento.

   Aggiungete gli epiteti “fascisti” e “comunisti” che ormai ci perseguitano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando il regno dell’incertezza non ha voluto dare spazio alla speranza, il vero sentimento che unisce.

   Già, perché se si uccide la speranza uccidi le persone, o meglio le armi di qualcosa che non lascia spazio alla ragione.

   In questi mesi, il terrorismo mediatico (e se n’è reso conto pure il Governo guarda caso) ha solo alimentato un cancro: quello della disperazione.

   E c’è chi riesce a cavalcare quell’onda. Perché tutti noi ci nutriamo della speranza. Perché molti di noi hanno bisogno di ottimismo, di sentire che c’è un domani, che possiamo costruircelo.

   Nella paura del Coronavirus si è innescata la dinamite della reazione.

   Ormai le piazze iniziano a riempirsi, alla faccia delle regole imposte e delle ideologie politiche.

   A Piazza Duomo a Milano, nel giorno 30 maggio 2020, una manifestazione con tante persone vestite di gilet arancioni, guidate da un vecchio generale. Lasciamo perdere il contenuto per un attimo. Ho letto le opinioni e ascoltato i pareri, e letto anche gli articoli della stampa. Un effetto meteorite di opinioni, senza volersi rendere conto di un fatto essenziale: la massa, quando si muove, non si ferma.

   Sulla posizione politica se ne può discutere tranquillamente. Ma in mezzo a quelle migliaia di persone, erano tutte da condannare? Erano realmente tutti fascisti? O c’erano anche persone che avevano voglia soltanto di tornare a vivere con un po’ di dignità?

   Facile condannare. Troppo facile. Tra l’altro, con una domanda non posta: ma si poteva fermare, si poteva evitare? Certo, ma solo se non sottovaluti.

   Se chiedi un sacrificio, devi dare in cambio una speranza. Se prometti aiuti economici, caro Stato, sai che devono arrivare tempestivamente. Puoi sempre controllare dopo. Invece, più di qualcuno, nella macchina governativa ha fatto il bullo burocratico.

   E così, giorno dopo giorno, tra tanta paura e tante annunciazioni di morti ecco che la miccia si accende fino a far esplodere un’altra bomba.

   Alla fine esce sempre un generale o un nuovo capo politico o qualche antieroe improbabile. La storia ne è piena di esempi. E soprattutto c’è un dato naturale incontrovertibile. Fa parte del DNA umano. Nelle epidemie e nelle pandemie di vecchia data è sempre accaduto che l’umanità, nel suo insieme, prima o poi si muove per adattarsi al male. Andrà avanti rompendo le regole perché sentirà il bisogno di rimettere in ordine il proprio ruolo. E quando lo fa, la domanda è sempre la stessa: come lo farà?

   E questa domanda non ha mai una risposta, ma solitamente spaventa i governanti, dove si troveranno anche loro davanti a una domanda inevitabile: e adesso?

   Già. E adesso?

Aurélien Facente, maggio 2020

Coronavirus KR: Respirare un pochino di libertà vuol dire vivere

Il 4 maggio c’è stato un allentamento deciso nella quarantena imposta dallo Stato e dalla Regione per quanto riguarda l’emergenza Coronavirus. Il 4 maggio 2020 è stata una data liberatoria sotto certi aspetti. In fondo, la gente era confinata in casa, limitando la propria autonomia al minimo.

   Tutti pensano che la gente abiti in un appartamento uguale al proprio. È il classico errore di chi punta il dito. Il leggero “Rompete le righe” è diventato l’argomento dei social. Tutti a puntare il dito contro. Gente che s’improvvisa fotografa e pensa di far vedere quanto è stata brava nell’osservare le regole, salvo poi andare sul lungomare e fotografare gli altri, senza capire che la foto da sola può giocare effetti illusori. Chi usa lo smartphone non sempre capisce di prospettiva.

   E allora ecco l’esagerazione. Tanta gente. Sembrava la festa della Madonna.

   Beh, di gente ce n’era.

   Ma quando vedi che la stragrande maggioranza era con la mascherina, con i guanti, e tutti più o meno rispettosi della distanza di sicurezza. Sì, c’è stato qualche ingorgo. Piccoli errori non decisivi, però. Tutto frutto di uno sfogo dovuto alla clausura. Uno sfogo che andava liberato in qualche modo.

   Ed è importante psicologicamente se si vuole ristabilire un equilibrio con sé e con l’altro.

   Assembramenti? Non puoi evitare che le persone che si conoscono si salutino e si scambiano qualche parola. Ci sono state famiglie in giro? Sì, verissimo. Ma mica clan numerosi. Il fatto è che forse ci si è trovati ad impattarsi con una norma che impone l’uso della mascherina e della distanza per potersi rivedere dopo un po’ di tempo.

   E allora il lungomare è stato il luogo del ricominciare a vedersi.

   Ma c’erano anche i fidanzati. Verissimo. Ma con enorme discrezione.

   Uno sfogo di respiro dunque.

   Quand’è iniziata l’emergenza, c’è voluta una settimana buona per la gente ad abituarsi.

   Per capire le regole, bisogna esplorarne in qualche modo i confini. Altrimenti non ci si abitua.

   Si chiama umanità.

   Poi ci sono quelli che puntano il dito. Umani anche loro, ma che dimenticano che c’è gente che magari per 60 giorni circa ha visto solo l’androne di un cortile stretto, o peggio ancora un garage, o quattro mura di un appartamento da 60 metri quadri. Facile puntare il dito e lo smartphone per giudicare la coscienza altrui, quando in verità bisogna guardare la propria.

   I dati ufficiali parlano chiaro.

   Il territorio provinciale di Crotone, capoluogo compreso, ha avuto un numero basso di contagiati da Coronavirus. Certo, le vittime ci sono state. Ma la mortalità è stata nella norma. Per Coronavirus sono state sei. Però l’umanità deve guardare avanti.

   L’umanità vive. Non si ferma. È capace di sacrificarsi per il bene comune. E i crotonesi lo hanno fatto. Perché a livello di sanzioni, i numeri sono stati bassi. Il che vuol dire che la maggior parte ha fatto di tutto per osservare le regole.

   Però poi c’è il desiderio del sole, del colore, del mare, dell’aria, del sapore del mare. Per una città che si affaccia sul mar Ionio, è un elemento vitale almeno respirare quell’odor di mare, anche se si tratta di pochi minuti al giorno.

   Solo e semplice umanità.

   Una piccola esplosione di sentimento del tutto naturale.

   Le persone hanno semplicemente preso dimestichezza con i nuovi confini.

   Tant’è che oggi la circolazione a piedi è diminuita, quindi è ritornato tranquillamente il buonsenso.

   Il Commissario Prefettizio, con tutto il rispetto per la sua figura di responsabilità, avrebbe il dovere di mostrare un po’ più di umanità perché in fondo si è trattato solo di un piccolo respiro.

   Per quelli che puntano il dito. Beh, prima o poi qualcuno vi punterà il dito addosso. E alla fine resterete zitti, perché a quel punto non avrete argomentazioni. Invece del dito, usate il cervello e un po’ di cuore anche.

Aurélien Facente, maggio 2020

Coronavirus KR: Avete mai provato a capire come ragiona un virus?

Se siete scettici e volete andare appresso alla informazione televisiva, internet, e cartacea allora è meglio che cambiate lettura. Se pensate che io stia facendo giornalismo, spacciandomi per quello che non voglio essere, allora cambiate letteralmente canale. Se ritenete opportuno farvi piegare dalla paura e non riprendere la ragione, allora non fidatevi di quello che scrivo qui. Potrebbe urtare la vostra sensibilità, e di sicuro potrebbe mettere in allarme la vostra distinzione di verità. Però per leggere quest’articolo, dovreste entrare nell’ottica di uno scrittore che s’appresta a sceneggiare il soggetto di un film incentrato su un virus che infetta gli umani e fa una strage. Perché, anche se potrebbe sembrare assurdo, certi film di fantascienza si basano proprio su sunti scientifici (e nel caso anche di relazioni che, ipoteticamente, lavorano sullo scenario peggiore), perciò vi ho avvertito.

   Con questo, non voglio prendere posti di scienziati e medici. Meglio che loro lavorino e ci possano quantomeno dare la notizia che questo Coronavirus può essere combattuto, e debellato un giorno.

   Ma al di là della introduzione chiarificatrice, proviamo un po’ a ragionare.

   Ora proviamo a capire come funziona un virus.

   Il virus è un microorganismo che attacca l’organismo ospite per sopravvivere. Semplice, detta così. Fa parte della natura. Il mondo dei microorganismi è pressoché infinito, e per quanto l’umanità ha fatto progressi sugli studi medici e biologici (acquisendo così grande conoscenza), a volte succede che la natura fa nascere un virus più bastardo.

   Nella storia di epidemie di massa ne sono capitate. Peste, colera, influenze come la spagnola. Milioni di vittime.

   C’è una cosa da dire, però, e bisogna sottolinearlo: un virus che si diffonde è perfettamente figlio dell’epoca in cui prende il sopravvento.

   Pensate alla spagnola. Subito dopo la fine della prima guerra mondiale. Un’umanità più debole e falcidiata ha causato migliaia di morti.

   Andiamo più recentemente all’Aids, l’incubo per eccellenza degli anni 80’. È il virus più letale che la storia medica abbia conosciuto finora, anche se i progressi ci sono stati eccome. Infetta l’ospite come HIV e ne indebolisce le difese immunitarie, poi quando si conclama in Aids la vittima ha pochissime chance di farcela. L’Aids è perfettamente figlio dei suoi tempi. Si conclama nelle comunità dove la sessualità è ambigua, poi aggiungiamoci i tossici di siringa, e infine il sangue infetto negli ospedali che fece scoppiare l’allarme generale. Di Aids ne sono morti a migliaia in tutto il mondo, però abbiamo imparato a combatterlo. Prima di tutto con la prevenzione. Per evitarlo, abbiamo cambiato i nostri costumi sessuali in maniera netta. Teniamo conto del preservativo. Abbiamo imparato a scegliere con cura il partner con cui condividere la nostra sessualità. Stiamo più attenti. E questo perché, in assenza di medicine, l’unica arma è la prevenzione. E questo ha aiutato.

   Con l’Aids abbiamo anche ammesso che il virus è un assassino seriale molto raffinato.

   Sì, perché essendo figlio della sua epoca sceglie bene chi infettare.

   Il Coronavirus, o Covid-19, è ben figlio della sua epoca.

   Eccome.

   Cosa conosciamo di questo virus contagioso?

   Che si manifesta come un’influenza, ma poi non lo è. Scatena una polmonite violenta e blocca le vie respiratorie. Ed è un maledetto osso duro da debellare, proprio perché nuovo. Ma non solo. Con le persone che hanno delle patologie pregresse (es. diabete, pressione, asma giusto per nominarne qualcuna), il Coronavirus si scatena come una bomba, devastando sostanzialmente il sistema respiratorio.

   Oggi la tv c’invade continuamente di notizie sul Coronavirus. Fa ormai parte della nostra cultura. E ci fa paura.

   Ci sono poi gli effetti collaterali del virus, in maniera sociale. Ci siamo dovuti allontanare dai nostri parenti, dai nostri amici, dai nostri vicini. Per una questione di sicurezza. Ci hanno confinato nelle nostre abitazioni. Ci hanno obbligato a rinunciare alla nostra vita sociale e lavorativa.

   Già, perché c’è l’emergenza. Perché abbiamo pochi ospedali. In effetti, l’Italia è una delle nazioni che ha tagliato moltissimo sulla spesa sanitaria e sulla spesa della ricerca. La grande colpa politica di questa prima parte del ventunesimo secolo. E di questo il virus se ne frega altamente, perché tanto continuerà il suo infausto compito.

   Il Coronavirus è qualcosa di terribilmente nuovo per adesso. Il fattore tempo è il suo vantaggio. L’incubazione è tardiva, nel senso che ha uno sviluppo di quattordici giorni circa. E sa scegliere i suoi bersagli con cura. Persone anziane per la maggior parte, ma anche giovani (seppur in minor parte). Anzi, sembrerebbe addirittura che al Nord Italia, in particolar modo in Lombardia e in Veneto (ma sostanzialmente ha toccato con violenza stragrande parte del Nord), il Coronavirus è particolarmente pericoloso.

   Talmente pericoloso, che tutta Italia è zona rossa.

   Nei giorni scorsi una biologa, che qui chiamerò con il suo nickname ST Regina 666190, che sta studiando il virus nel suo comportamento ambientale (essì, perché i virus hanno anche la caratteristica di essere studiati anche in questo senso) ha preso contatto con me.

   Bene, ST Regina 666190 mi manda una relazione riassuntiva della sua ipotesi (badate bene che adesso si tratta di un’ipotesi, che però sta prendendo sempre più piede, e se la pubblico oggi è perché è già stata pubblicata in altre pubblicazioni.

   ST Regina 666190 mi scrive: “La qualità dell’aria è un fattore molto importante per il benessere dei cittadini e per la protezione dell’ambiente. In Lombardia, in Veneto, per la presenza sul territorio delle Alpi si determinano condizioni meteo che non solo ostacolano la dispersione aerea di elementi inquinanti, ma addirittura ne favoriscono l’accumulo al suolo.

   Un aerosol è definito nella sua forma più semplice come una collezione di particelle solide o liquide sospese in un gas, mentre il termine particolato (particulate matter o PM) individua l’insieme dei corpuscoli di tale miscela.

   Si tratterebbe, dunque, di un inquinante molto diverso da tutti gli altri, presentandosi non come una dettata entità chimica ma come una miscela di particelle dalle più svariate proprietà. I maggiori componenti del particolato atmosferico sono il solfato, il nitrato, l’ammoniaca, il cloruro di sodio, il carbonio, le polveri minerali e si stima che in alcuni contesti urbani più del 50% sia di origine non naturale (industrie, riscaldamento, traffico veicolare e processi di combustione in generale).

   E adesso parliamo del Coronavirus. Domanda: “Perché in quella precisa area del Nord Italia si sono verificati tantissimi casi di morbilità”. La risposta è nel vento, che da quelle parti non c’è per via della connotazione geografica dell’area, e di questo ne avremo risposta quando lo studio sarà completo.

   I Coronavirus hanno dimensioni tra 80 e 160 nm. Tali dimensioni consentono ai virus di agganciarsi alle microparticelle inquinanti presenti proprio in queste aree. Questo aggancio fa da veicolo per il trasferimento interumano. Ecco perché la diffusibilità è estrema. Perché non ci sono in gioco solo le goccioline degli starnuti o l’aria umida della normale respirazione a fungere da veicolo, ma ci sono soprattutto miliardi di particelle di polvere sottili nell’aria, rappresentati dal particolato. La riduzione delle attività che producono inquinanti e la riduzione del traffico veicolare hanno ridotto la presenza di queste particelle. Le norme igienico sanitarie faranno il resto. Ma ci vuole tempo, purtroppo ancora sconosciuto.

   Il sole dovrebbe fare il resto. Ma non per via dell’aumento delle temperature, come ci viene erroneamente suggerito. Il virus è ospite di un corpo umano che ha una temperatura corporea di 36 gradi. Se resiste a tali temperature, forse niente lo danneggia a temperature inferiori o superiori, anche perché la teoria della cinta climatica è ancora tutta da verificare nel dettaglio. Però abbiamo un alleato in cui sperare: il sole.

   Il sole, invece, ci ha sempre salvato per via delle radiazioni ultraviolette. Basti pensare che le lampade ultraviolette sono usate per potabilizzare l’acqua e per sterilizzare ambienti e strumenti usati in ospedali e laboratori biologici, perché sterminano quasi tutti i virus ed i batteri. Più sole caldo quindi, più radiazioni ultravioletti.

C’è da dire un’altra cosa: gli inquinanti presenti nell’aria aumentano la reattività e l’infiammazione polmonare. Per cui non è la stessa cosa ammalarsi a Bergamo o Brescia anziché in Calabria o Basilicata. Ti ricordo che la SARS sparì con l’arrivo dell’estate, anche se adesso, per quanto riguarda il Coronavirus, è un azzardo dirlo con certezza.

   La ricerca andrà avanti con la formulazione del vaccino, gli anticorpi monoclonali e con i farmaci. E faremo una parte importante noi se rispetteremo le norme sanitarie, e non dimenticarti che la prevenzione che ben presto impareremo a praticare farà il resto.

   Questo testo mi è stato inviato un paio di giorni dopo la chiusura della Lombardia, e la conseguente dichiarazione di zona rossa, e poi sappiamo più o meno com’è andata la storia.

  Nel momento in cui scrivo è il giorno 19 di quarantena qui in Calabria.

  Il virus è arrivato anche qui, e ha fatto le sue vittime.

  Ma sono ancora poche, per fortuna. Noi calabresi dobbiamo farci un applauso per il rispetto delle norme, ma non vuol dire cantare vittoria. Anche oggi avremo il bollettino che salirà molto probabilmente.

   Però sono sicuro di una cosa. Che il Coronavirus è figlio della nostra epoca. Che questa è l’unica verità incontestabile, perché ci ha fatto riscoprire la nostra fragilità. Ma se la teoria della mia amica ST Regina 666190 sarà vera, allora avremo nella nostra aria (parlo di Crotone in particolare) forse il miglior alleato naturale, come una sorta di scudo.

   Ovviamente è un’ipotesi e non è la certezza.

   Ora c’è solo da aspettare con pazienza, e rispettare le regole, e fare il tifo per tutto il mondo scientifico e medico che di giorno in giorno combatte contro il tempo.

   Però, è vero che adesso dobbiamo ripensare alla nostra esistenza in rapporto con la natura e con il mondo. Perché i virus, nel loro volerci male, ci insegnano sempre nuove regole, modificando così la nostra vita. Ora c’è solo da tifare perché la curva dei guariti continui a essere in costante aumento. Senza dimenticare, però, che il bollettino delle vittime continuerà.

   Morale della favola: il virus è figlio della sua epoca, in ogni caso.

Aurélien Facente, marzo 2020

Link eventuali cui fare riferimento, casomai nutriste qualche dubbio:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/17/coronavirus-lo-studio-smog-e-polveri-sottili-hanno-accelerato-la-diffusione-di-sars-cov2/5739565/

https://lacnews24.it/salute/coronavirus-qualita-aria-relazione-contagi-inquinamento_113693/

https://www.ilgiornale.it/news/cronache/coronavirus-rianimatore-maggior-parte-italiani-ha-covid-1845976.html

Coronavirus KR: Qui Londra

Quando è iniziata l’emergenza, in una diretta Facebook, ho pregato di mandarmi delle testimonianze, racconti, materiale fotografico con i quali condividere e classificare una serie di resoconti sull’impatto sociale che l’emergenza Coronavirus sta avendo in Italia e non solo. Le foto che seguiranno vi faranno capire in sequenza quello che sta avvenendo a Londra, da dove sta operando un mio “inviato” che qui si firmerà come Sirdomek, che per questioni di privacy preferisce firmarsi con un nickname. Le foto che seguiranno sono dunque di Sirdomek.

In questa prima foto potete vedere un attimo di vita di Londra, una foto comune fatta da cellulare, ed è uno scatto abbastanza comune. Siamo nel mese di febbraio. La foto è datata appena dopo le regionali avvenute in Calabria. Fin qui nulla di strano.

Poi da noi inizia l’emergenza Coronavirus. Noi italiani ci ritroviamo prigionieri delle restrizioni per causa maggione, ma nel frattempo a Londra (e in Inghilterra), senza passare dalle restrizioni nostre, si adegua subito alla sua emergenza.

La serie di foto che vedrete adesso sono state scattate in posti abitualmente frequentati di Londra. Sirdomek abita in centro a Londra, perciò lui stesso, italiano, si è stupito della prontezza del popolo inglese a prepararsi al piano d’emergenza.

Notato nulla? Se ci fate caso, manca la gente. Le foto sono state prese in diversi momenti della giornata, in vie sostanzialmente frequentate da tanta gente. Ricordatevi che Londra è una delle città capitali che si possono definire metropoli, essendo che ci abitano quasi nove milioni di persone (un’enormità quindi).

Tutte queste foto vi fanno notare che subito il popolo londinese si è adattato. Di solito sono affollatissime di gente, ma stavolta si esce solo il necessario, senza aspettare gli ordini del Primo Ministro inglese, Boris Johnson, che ha fatto capire direttamente di voler agire anche in termini “estremi” in rapporto alla pandemia del Coronavirus. Ma prima che si pronunciasse, già gli inglesi si sono adeguati volontariamente, aspettando in qualche modo il nemico invisibile.

Perché vi mostro questo primo reportage fotografico?

Sirdomek è un italiano del Sud che vive a Londra, e mi ha rilasciato altro materiale che pubblicherò sotto un’altra forma, appena le acque, diciamo, si calmeranno un po’. E naturalmente gli auguro ovviamente tutto il meglio e lo ringrazio per l’apporto che sta dando.

Rispondiamo però alla domanda.

In Inghilterra sono abituati a fare simulazioni di catastrofi sin dall’età scolastica, perciò in età adulta si comportano di conseguenza, preparandosi al peggio e senza aspettare gli ordini della politica. La consapevolezza rende migliore l’organizzazione, e stiamo parlando di un popolo che è abituato, nonostante i difetti, ad affrontare le emergenze a viso aperto, e senza discutere più di tanto.

Il traffico a Londra in questi giorni è molto meno caotico, e la gente circola solo il giusto, ossia per acquistare provviste principalmente, forse cinque minuti d’aria, e ovviamente per sbrigare faccende burocratiche che toccano anche a noi.

Qui in Italia non siamo abituati all’emergenza, perché sin dalle scuole non impariamo che cos’è una situazione d’emergenza. La Calabria è una terra sismica, e nelle scuole sarebbe doveroso impartire lezioni di comportamento in caso di catastrofe. Perché questo tipo di lezione impara a organizzarsi nei momenti in cui è necessario, e salverebbe tante vite.

Gli italiani, per quanto possa essere storicamente un vero popolo quando serve, devono ripensare la prevenzione, partendo proprio dalle scuole. Perché, mai come adesso, bisogna ripensare culturalmente il nostro sistema, prima di darci delle istruzioni politiche ed economiche.

Testo di Aurélien Facente, marzo 2020

Foto di Sirdomek, 2020