Coronavirus KR – Ho visto un uomo con la speranza per battere la paura

C’è un momento in cui la notte è più buia perché si prepara a lasciare il posto alla luce del mattino.

   Ho visto Papa Francesco parlare ad una piazza vuota, silenziosa, senza persone.

   Ho aspettato prima di pensare a scrivere qualcosa.

   Volevo rivedere con attenzione la fotografia di tale momento, augurandomi che il messaggio sia passato.

   Cerco di non guardare Papa Francesco come la massima autorità della Chiesa Cattolica.

   Ho voluto vedere l’uomo.

   Un uomo che affronta il male, alzandosi da solo e cercando di dare conforto alle tante persone lontane, che forse mai come in tal caso sono, in realtà, molto più vicine.

   Sì, perché la preghiera, qualunque essa sia, non conosce tempo e spazio.

   La preghiera ha il grande e unico pregio che può raggiungere l’umanità in ogni dove e in ogni quando.

   Ma, nella mia singola individualità, non ho voluto ascoltare la preghiera di Papa Francesco. Non me ne voglia, Sua Santità. Ero impegnato altrove, a casa, a dare conforto a qualche persona che in quel momento non guardava la tv. E credo che il Santo Padre mi perdonerà, perché poi tanto la preghiera la fai quando realmente ti senti in dovere di farla. La preghiera non ammette ipocrisie ed egoismi.

   Ma resta il fatto che Papa Francesco ha fatto il gesto che serviva.

   Quello di alzarsi di fronte al male e di fronteggiarlo, senza avere paura di esso.

   Ho visto tanta paura e incertezza in questi giorni.

   Nel mio piccolo antro, ho insistito che gli altri cominciassero ad affrontare la paura a piccoli passi. Perché la paura, se non governata, porta facilmente al male. La paura rende egoisti nel tempo.

   Perciò ringrazio il gesto di Papa Francesco.

   Più della preghiera stessa.

   Perché è il gesto di un uomo che si arma della speranza per battere la paura.

   In fondo, chi cerca conforto nella preghiera cerca proprio la speranza.

   Sono giorni bui e incerti.

   Ma alla fine c’è sempre qualcuno che affronta il buio per indicare che da qualche parte c’è una luce.

Aurélien Facente, marzo 2020

Coronavirus KR: Avete mai provato a capire come ragiona un virus?

Se siete scettici e volete andare appresso alla informazione televisiva, internet, e cartacea allora è meglio che cambiate lettura. Se pensate che io stia facendo giornalismo, spacciandomi per quello che non voglio essere, allora cambiate letteralmente canale. Se ritenete opportuno farvi piegare dalla paura e non riprendere la ragione, allora non fidatevi di quello che scrivo qui. Potrebbe urtare la vostra sensibilità, e di sicuro potrebbe mettere in allarme la vostra distinzione di verità. Però per leggere quest’articolo, dovreste entrare nell’ottica di uno scrittore che s’appresta a sceneggiare il soggetto di un film incentrato su un virus che infetta gli umani e fa una strage. Perché, anche se potrebbe sembrare assurdo, certi film di fantascienza si basano proprio su sunti scientifici (e nel caso anche di relazioni che, ipoteticamente, lavorano sullo scenario peggiore), perciò vi ho avvertito.

   Con questo, non voglio prendere posti di scienziati e medici. Meglio che loro lavorino e ci possano quantomeno dare la notizia che questo Coronavirus può essere combattuto, e debellato un giorno.

   Ma al di là della introduzione chiarificatrice, proviamo un po’ a ragionare.

   Ora proviamo a capire come funziona un virus.

   Il virus è un microorganismo che attacca l’organismo ospite per sopravvivere. Semplice, detta così. Fa parte della natura. Il mondo dei microorganismi è pressoché infinito, e per quanto l’umanità ha fatto progressi sugli studi medici e biologici (acquisendo così grande conoscenza), a volte succede che la natura fa nascere un virus più bastardo.

   Nella storia di epidemie di massa ne sono capitate. Peste, colera, influenze come la spagnola. Milioni di vittime.

   C’è una cosa da dire, però, e bisogna sottolinearlo: un virus che si diffonde è perfettamente figlio dell’epoca in cui prende il sopravvento.

   Pensate alla spagnola. Subito dopo la fine della prima guerra mondiale. Un’umanità più debole e falcidiata ha causato migliaia di morti.

   Andiamo più recentemente all’Aids, l’incubo per eccellenza degli anni 80’. È il virus più letale che la storia medica abbia conosciuto finora, anche se i progressi ci sono stati eccome. Infetta l’ospite come HIV e ne indebolisce le difese immunitarie, poi quando si conclama in Aids la vittima ha pochissime chance di farcela. L’Aids è perfettamente figlio dei suoi tempi. Si conclama nelle comunità dove la sessualità è ambigua, poi aggiungiamoci i tossici di siringa, e infine il sangue infetto negli ospedali che fece scoppiare l’allarme generale. Di Aids ne sono morti a migliaia in tutto il mondo, però abbiamo imparato a combatterlo. Prima di tutto con la prevenzione. Per evitarlo, abbiamo cambiato i nostri costumi sessuali in maniera netta. Teniamo conto del preservativo. Abbiamo imparato a scegliere con cura il partner con cui condividere la nostra sessualità. Stiamo più attenti. E questo perché, in assenza di medicine, l’unica arma è la prevenzione. E questo ha aiutato.

   Con l’Aids abbiamo anche ammesso che il virus è un assassino seriale molto raffinato.

   Sì, perché essendo figlio della sua epoca sceglie bene chi infettare.

   Il Coronavirus, o Covid-19, è ben figlio della sua epoca.

   Eccome.

   Cosa conosciamo di questo virus contagioso?

   Che si manifesta come un’influenza, ma poi non lo è. Scatena una polmonite violenta e blocca le vie respiratorie. Ed è un maledetto osso duro da debellare, proprio perché nuovo. Ma non solo. Con le persone che hanno delle patologie pregresse (es. diabete, pressione, asma giusto per nominarne qualcuna), il Coronavirus si scatena come una bomba, devastando sostanzialmente il sistema respiratorio.

   Oggi la tv c’invade continuamente di notizie sul Coronavirus. Fa ormai parte della nostra cultura. E ci fa paura.

   Ci sono poi gli effetti collaterali del virus, in maniera sociale. Ci siamo dovuti allontanare dai nostri parenti, dai nostri amici, dai nostri vicini. Per una questione di sicurezza. Ci hanno confinato nelle nostre abitazioni. Ci hanno obbligato a rinunciare alla nostra vita sociale e lavorativa.

   Già, perché c’è l’emergenza. Perché abbiamo pochi ospedali. In effetti, l’Italia è una delle nazioni che ha tagliato moltissimo sulla spesa sanitaria e sulla spesa della ricerca. La grande colpa politica di questa prima parte del ventunesimo secolo. E di questo il virus se ne frega altamente, perché tanto continuerà il suo infausto compito.

   Il Coronavirus è qualcosa di terribilmente nuovo per adesso. Il fattore tempo è il suo vantaggio. L’incubazione è tardiva, nel senso che ha uno sviluppo di quattordici giorni circa. E sa scegliere i suoi bersagli con cura. Persone anziane per la maggior parte, ma anche giovani (seppur in minor parte). Anzi, sembrerebbe addirittura che al Nord Italia, in particolar modo in Lombardia e in Veneto (ma sostanzialmente ha toccato con violenza stragrande parte del Nord), il Coronavirus è particolarmente pericoloso.

   Talmente pericoloso, che tutta Italia è zona rossa.

   Nei giorni scorsi una biologa, che qui chiamerò con il suo nickname ST Regina 666190, che sta studiando il virus nel suo comportamento ambientale (essì, perché i virus hanno anche la caratteristica di essere studiati anche in questo senso) ha preso contatto con me.

   Bene, ST Regina 666190 mi manda una relazione riassuntiva della sua ipotesi (badate bene che adesso si tratta di un’ipotesi, che però sta prendendo sempre più piede, e se la pubblico oggi è perché è già stata pubblicata in altre pubblicazioni.

   ST Regina 666190 mi scrive: “La qualità dell’aria è un fattore molto importante per il benessere dei cittadini e per la protezione dell’ambiente. In Lombardia, in Veneto, per la presenza sul territorio delle Alpi si determinano condizioni meteo che non solo ostacolano la dispersione aerea di elementi inquinanti, ma addirittura ne favoriscono l’accumulo al suolo.

   Un aerosol è definito nella sua forma più semplice come una collezione di particelle solide o liquide sospese in un gas, mentre il termine particolato (particulate matter o PM) individua l’insieme dei corpuscoli di tale miscela.

   Si tratterebbe, dunque, di un inquinante molto diverso da tutti gli altri, presentandosi non come una dettata entità chimica ma come una miscela di particelle dalle più svariate proprietà. I maggiori componenti del particolato atmosferico sono il solfato, il nitrato, l’ammoniaca, il cloruro di sodio, il carbonio, le polveri minerali e si stima che in alcuni contesti urbani più del 50% sia di origine non naturale (industrie, riscaldamento, traffico veicolare e processi di combustione in generale).

   E adesso parliamo del Coronavirus. Domanda: “Perché in quella precisa area del Nord Italia si sono verificati tantissimi casi di morbilità”. La risposta è nel vento, che da quelle parti non c’è per via della connotazione geografica dell’area, e di questo ne avremo risposta quando lo studio sarà completo.

   I Coronavirus hanno dimensioni tra 80 e 160 nm. Tali dimensioni consentono ai virus di agganciarsi alle microparticelle inquinanti presenti proprio in queste aree. Questo aggancio fa da veicolo per il trasferimento interumano. Ecco perché la diffusibilità è estrema. Perché non ci sono in gioco solo le goccioline degli starnuti o l’aria umida della normale respirazione a fungere da veicolo, ma ci sono soprattutto miliardi di particelle di polvere sottili nell’aria, rappresentati dal particolato. La riduzione delle attività che producono inquinanti e la riduzione del traffico veicolare hanno ridotto la presenza di queste particelle. Le norme igienico sanitarie faranno il resto. Ma ci vuole tempo, purtroppo ancora sconosciuto.

   Il sole dovrebbe fare il resto. Ma non per via dell’aumento delle temperature, come ci viene erroneamente suggerito. Il virus è ospite di un corpo umano che ha una temperatura corporea di 36 gradi. Se resiste a tali temperature, forse niente lo danneggia a temperature inferiori o superiori, anche perché la teoria della cinta climatica è ancora tutta da verificare nel dettaglio. Però abbiamo un alleato in cui sperare: il sole.

   Il sole, invece, ci ha sempre salvato per via delle radiazioni ultraviolette. Basti pensare che le lampade ultraviolette sono usate per potabilizzare l’acqua e per sterilizzare ambienti e strumenti usati in ospedali e laboratori biologici, perché sterminano quasi tutti i virus ed i batteri. Più sole caldo quindi, più radiazioni ultravioletti.

C’è da dire un’altra cosa: gli inquinanti presenti nell’aria aumentano la reattività e l’infiammazione polmonare. Per cui non è la stessa cosa ammalarsi a Bergamo o Brescia anziché in Calabria o Basilicata. Ti ricordo che la SARS sparì con l’arrivo dell’estate, anche se adesso, per quanto riguarda il Coronavirus, è un azzardo dirlo con certezza.

   La ricerca andrà avanti con la formulazione del vaccino, gli anticorpi monoclonali e con i farmaci. E faremo una parte importante noi se rispetteremo le norme sanitarie, e non dimenticarti che la prevenzione che ben presto impareremo a praticare farà il resto.

   Questo testo mi è stato inviato un paio di giorni dopo la chiusura della Lombardia, e la conseguente dichiarazione di zona rossa, e poi sappiamo più o meno com’è andata la storia.

  Nel momento in cui scrivo è il giorno 19 di quarantena qui in Calabria.

  Il virus è arrivato anche qui, e ha fatto le sue vittime.

  Ma sono ancora poche, per fortuna. Noi calabresi dobbiamo farci un applauso per il rispetto delle norme, ma non vuol dire cantare vittoria. Anche oggi avremo il bollettino che salirà molto probabilmente.

   Però sono sicuro di una cosa. Che il Coronavirus è figlio della nostra epoca. Che questa è l’unica verità incontestabile, perché ci ha fatto riscoprire la nostra fragilità. Ma se la teoria della mia amica ST Regina 666190 sarà vera, allora avremo nella nostra aria (parlo di Crotone in particolare) forse il miglior alleato naturale, come una sorta di scudo.

   Ovviamente è un’ipotesi e non è la certezza.

   Ora c’è solo da aspettare con pazienza, e rispettare le regole, e fare il tifo per tutto il mondo scientifico e medico che di giorno in giorno combatte contro il tempo.

   Però, è vero che adesso dobbiamo ripensare alla nostra esistenza in rapporto con la natura e con il mondo. Perché i virus, nel loro volerci male, ci insegnano sempre nuove regole, modificando così la nostra vita. Ora c’è solo da tifare perché la curva dei guariti continui a essere in costante aumento. Senza dimenticare, però, che il bollettino delle vittime continuerà.

   Morale della favola: il virus è figlio della sua epoca, in ogni caso.

Aurélien Facente, marzo 2020

Link eventuali cui fare riferimento, casomai nutriste qualche dubbio:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/17/coronavirus-lo-studio-smog-e-polveri-sottili-hanno-accelerato-la-diffusione-di-sars-cov2/5739565/

https://lacnews24.it/salute/coronavirus-qualita-aria-relazione-contagi-inquinamento_113693/

https://www.ilgiornale.it/news/cronache/coronavirus-rianimatore-maggior-parte-italiani-ha-covid-1845976.html

Coronavirus KR: Volete essere umani o preferite essere sciacalli?

Nell’ultima settimana a Crotone ne sono successe di cose, di cui alcune molto brutte, che in una situazione di emergenza nazionale purtroppo fanno parte del bollettino giornaliero.

   Non voglio parlare di morti, di guariti, di contagiati, ma di come si sta comportando l’essere umano comune dinanzi a tutto questo.

   Se da una parte c’è un continuo bombardamento di notizie (tra l’altro con titoli a effetto che contribuiscono al panico delle persone), dall’altra non abbiamo un’organizzazione statale tale da garantire regole uguali e chiare (tanto che ogni giorno cambiano regolamenti) e soprattutto non garantisce nemmeno una comunicazione chiara, netta, sincera. E diciamoci la verità: va bene il bollettino di guerra, ma una parola dolce per chi sta dimostrando di rispettare le regole? Niente? Non esiste il rincuorarsi un po’?

   Certo, le priorità sarebbero altre.

   La prima priorità è combattere il Coronavirus. Giusto. Tutti in prima linea a cantare per i medici, gli infermieri e le tante forze dell’ordine che si sacrificano.

   Ma c’è un ma.

   Perché semmai lo avete dimenticato, è giusto ricordarlo.

   Ci sono le persone di tutti i giorni. Operatori di supermercato, fruttivendoli, macellai, pescivendoli, operai, camionisti, autisti, avvocati, e l’elenco continua per un bel po’. Ci sono anche i disoccupati e i senzatetto. Si chiama popolo, e ognuno ha le sue esigenze.

   Ma la critica qui non va al governo, che sta giocando una terribile partita a scacchi con il tempo e l’organizzazione (il processo si fa alla fine di questa brutta pagina storica, mai durante), ma con una piccola classifica di episodi che non vanno per niente bene.

   Cominciamo subito dal primo episodio: rimbalza la notizia di 300 operatori sanitari in malattia? Pane per i sciacalli dell’informazione, che subito ci costruisce la storia del secolo.

   Tutti poi a condannare, senza aspettare che la storia, seppur anomale, ha bisogno di chiarimenti. Al momento in cui si scrive è intervenuta la Procura, e le carte sono state acquisite dalla Guardia di Finanza. Lo Stato quindi funziona perché verifica, ma intanto quanto veleno addosso si è buttato e si butta in questa situazione?

   Ci scandalizziamo. Ci inorridiamo. Ma non sappiamo più aspettare, e come sciacalli ci nutriamo del cadavere che non c’è. Leggiamo la letterina che qualche operatore si fa pubblicare da qualche giornale, ma noi non vogliamo credere al fatto che dietro un camice bianco c’è un essere umano come noi.

   Non esiste l’eroe invincibile e imbattibile. Oddio, ci sarebbe. Ma si tratterebbe di una rarità. Il resto sono esseri umani che, per quanto condannati per ruolo professionali, saranno costretti a scendere in prima linea se servirà. E se succederà, vuol dire che nel territorio crotonese allora il controllo sul contagio è perso. E continueremo ad avvelenarci.

   Capita una barchetta di pochi migranti che attracca sulla passerella di Crotone. E vai con le foto e le parole di fuoco. Altro veleno. Dimentichiamo che sono esseri umani come noi, respirano come noi. Magari non avrebbero dovuto partire, ma intanto sono partiti. E noi sappiamo da dove scappano? Magari scappano da alcune raffiche di mitra dal loro paese di origine. Però non lo vogliamo accettare. E diventiamo sciacalli.

   Poi ci sono le amicizie che si spezzano inevitabilmente. Oggi si spezzano via social, perché nel proprio profilo tutti devono apparire forti e invincibili. Quando sarebbe meglio ammettere la propria fragilità davanti a qualcosa che non possiamo vedere, né toccare. Ripetiamo tutti bravi nel dire che dobbiamo stare a casa.

   Ma nessuno ha la forza di fare i conti con se stesso.

   Si condanna la persona che va a piedi a fare la spesa, o solo perché fa uscire il cane, e si allontana il giusto per non sporcare il marciapiede. E allora qualcuno ti scrive anche che faresti meglio a uccidere il cane.

   E devi sopportarlo. Anzi, devi proprio fregartene.

   Tu devi stare a casa e devi stare zitto.

   Noi possiamo fare ironia.

   Tu no.

   Anzi, devi metterti a piangere come noi. Devi sentirti prigioniero come noi. Devi sentirti debole come noi, devi essere sciacallo come noi.

   La mia risposta è no.

   Preferisco essere umano. Continuare ad apparire in video ogni giorno e più volte al giorno. So che non piace, ma se la mia presenza rincuora qualcuno e lo spinge a fare meglio nel proprio piccolo allora so che si tratta di un pezzo di umanità che si rimette in funzione. Perché io so che ci sono persone che stanno peggio di me e non sanno a chi rivolgersi anche solo per un bicchiere di acqua. Voi non li vedere, non li sentite, perché in fondo chi è debole si vergogna a volte di chiedere aiuto. Perché sa che in questo mondo di sciacalli tutti punterebbero il dito contro il più debole, anche solo per vederlo piangere. Già, perché condannare il debole vi rende più puri e più forti. All’apparenza, visto che siete chiusi in casa a puntare il dito.

   E così vi comportate da sciacalli.

   Quando in verità dovreste ammettere la vostra umanità.

   La rabbia può servire, ma l’odio no.

   Ognuno di noi legge la paura a modo suo.

   Chi crede di essere forte, non ammetterà mai di essere fragile. Anzi, la fragilità fa orrore. E quando ti fa orrore, la verità è che tu stai vedendo in faccia la fragilità, e ti si piazza davanti il prezzo che serve perché tal fragilità diventi un punto di forza.

   Non c’è nulla di male nell’ammettere di essere fragili.

   Ma lo sciacallo non l’ammetterà mai, e perciò trasmette il suo veleno, contagiando anche gli altri. Altro che Coronavirus.

   Mi dispiace, cari sciacalli.

   Preferisco essere umano. Preferisco provare a capire. Preferisco riconoscere che nell’altro, anche se ha una divisa, ci sia dell’umanità, e che come me può avere attimi di fragilità. Gli parlo da umano e basta se serve a rincuorarlo.

   Non punterò mai il dito addosso ad un altro come me solo perché si rivela nella sua fragilità. Gli dirò sempre: “Reagisci.”

   Perché c’è un momento in cui bisogna reagire alla paura.

   Perché quella stessa paura, se non l’affronti, ti farà diventare uno sciacallo.

   Ecco perché ogni giorno la mia miglior vendetta è quella di vivere bene. Magari con poco, ma vivo bene ugualmente.

Aurélien Facente, marzo 2020

Coronavirus KR: Il testo della mia amica Mariapia Giulivo

Foto di Aurélien Facente, tratta dalla serie “Mare Cromatico”

Avevo chiesto in qualche diretta Facebook e Instagram di poter pubblicare sul suddetto sito alcune storie di questo periodo di quarantena forzata. A dire il vero, pochi hanno raccolto il mio appello, perché narrare la propria esperienza, il proprio pensiero, e quello che vi passa per il cuore di sicuro può aiutare gli altri. Capisco perfettamente che non è facile, ma psicologicamente aiuta sapere che siamo nella stessa barca.

   Chi è Mariapia Giulivo?

   È un’amica, per quanto mi riguarda, ma è soprattutto una poetessa che ha pubblicato libri, ed è una delle personalità culturali che in questo momento stanno combattendo, come noi tra l’altro, la voglia di uscire e prendere una boccata d’aria.

   Lei viene spesso a Crotone, e adora Capo Colonna. Cerca di non mancare mai alla festa della Madonna di Capo Colonna che si tiene a maggio. Sotto certi aspetti, è molto più crotonese lei di me. Però, siccome mi ha mandato un testo molto particolare, lo condivido con voi. Lo battezzerò semplicemente: Coronavirus.

   Tira una brutta aria. Di umanità tradita, di panico di paura. Un ‘aria che desertifica luoghi, allontana gli esseri umani, non entra più nei polmoni, non trapassa neppure la luce delle chiese.  Tira un’aria che soffoca la vita, che disidrata le mani, che fa contare i nostri passi per calcolare un metro, che non tollera un innocente colpo di tosse, un lieve starnuto, che è malsana soprattutto nei cuori. Ce ne ricorderemo, quando, vedendo una mano tesa la allontaneremo, perché ci crederemo noi quelli puliti, noi quelli giusti, noi i giudici, noi che ora siamo in ginocchio e sperimentiamo quanto costa la diversità, che prezzo ha la paura, che colore ha un cielo in cui non sai se verrà mai la primavera? Siamo noi, ora, i fragili, noi quelli che stanno vivendo l ‘incubo. Noi che abbiamo ignorato altri dati che uccidono il mondo solo perché lontani, noi, piegati nelle nostre piccole effimere certezze, ora di colpo crollate… Tira aria di apocalittico timore, di contagio, e noi che non sapevamo più contagiare un sorriso, veicolare un perdono, noi che abbiamo fatto del denaro un dio, della materia la sostanza della vita, ora brancoliamo in una specie di anticamera, quella di una attesa che non sappiamo se avrà fine, quando, come… Io non consegnerò la mia umanità a questa paura, non regalerò la mia vita a un virus, io lo guardo vicino o lontano che sia, quasi con pietà. Non dimenticando che sapore ha la pietà che spesso ho sentito sulla pelle, quella che allontana davvero. In modo definitivo… Non dimenticando una frase di una meravigliosa canzone di Fabrizio De André…”il vomito dei respinti” ora siamo tutti. E chi già conosce questa sensazione, no, non può avere paura…Ha preso già coscienza…

Testo di Mariapia Giulivo, 2020

Ringraziando Mariapia per il suo contributo letterario, invito altri a fare la stessa cosa. Raccontare la vostra esperienza personale. Non disperderla su Facebook o altri social. Potete scrivermi sulla pagina pubblica di Facebook al seguente link, tranquillamente in messaggeria privata e con la massima discrezione: https://www.facebook.com/aurelienfacenteblogger

E se lo ritenete opportuno pubblicherò la vostra testimonianza anche con un semplice nickname. Credo che sia giunta l’ora di raccontare per raccontarci e per aiutarci.

Aurélien Facente, marzo 2020

Coronavirus KR: Il funerale silenzioso

E. Manet . Le esequie di Baudelaire

21 marzo 2020. Un giorno grigio di una primavera che oggi non vuole arrivare. Primo pomeriggio del tredicesimo giorno di quarantena imposto dallo Stato per prevenire l’emergenza del Coronavirus.

   Giornate di odio si susseguono sui social. In fondo, a Crotone, non sono tutti lettori di libri o fumetti o patiti di cinema. Oltre al pallone, gli argomenti su cui confrontarsi diventano scarsi. Non offendetevi, amici e concittadini. Purtroppo nel DNA abbiamo abitudini contraddittorie. Un puro fatto culturale e antropologico. E con ciò non vuol dire che non ci siano bravi crotonesi.

   Tutt’altro. Collaborazione, cortesia, solidarietà. Questi sono elementi giganteschi che sono protagonisti giorno dopo giorno in un ruolo d’incertezza.

   Purtroppo sono i social che sono diventati un luogo di scambio di paure, insicurezze, psicosi. Perché la quarantena non rientra nelle abitudini di nessuno, e ognuno fa quello che può, in attesa che la catena si allenti.

   Stare a casa. Già. Come se fosse facile. Eppure uno va a comprarsi da mangiare, e se bada a qualcuno deve fare la spesa ogni giorno. Senza contare le medicine che possono servire. E vogliamo parlare dell’acqua, dei detersivi, di tutto ciò che serve per disinfettare il proprio ambiente. E poi c’è la decisione di non approfittarsi di un servizio come quello delle consegne. Perché sai che c’è qualcuno che realmente non può muoversi. E ha bisogno. E allora la fai l’uscita, ma sai di essere legato ad un guinzaglio.

   Non sono giorni belli. Neanche per i cani, che anche loro sono nervosi perché vivono la nostra libertà. E c’è l’uscita quotidiana.

   Ho imparato a osservare le piccole cose nell’isolato in cui mi posso muovere senza incappare in qualche sanzione. Bisogna essere forti mentalmente, come quel tipo del film “Le Ali della Libertà” che con una sola forchetta per venti anni ha scavato un buco per uscire da quel carcere dov’era stato ingabbiato ingiustamente. Certo, mi dirà qualcuno. Si tratta di un film. Ma la realtà è più di un film, soprattutto quando l’incertezza è dietro l’angolo da molti giorni.

   Scendo, scelgo l’incrocio e incappo in un funerale.

   Oggi si parla di tante vittime del Covid-19, ma nessuno parla dei funerali.

   Perché si continua a morire di altro. Non esiste solo il coronavirus.

   Il funerale di una signora.

   La macchina presente in attesa della salma.

   Poca gente, tutta distanziata, per un saluto silenzioso.

   In questo periodo a nessuno è permesso di avere un funerale religioso.

   Si viene caricati in macchina, e basta. Subito al cimitero.

   Un funerale silenzioso.

   Questa è una delle tante storie che non vi racconteranno. Perché è facile raccontare del bollettino dei morti. Ma nessuno vi racconta che l’ultimo addio è devastante. Perché magari si tratta di un tuo caro che non può nemmeno essere salutato come si fa abitualmente. Una carezza sulla bara. Un abbraccio. Un saluto da vicino. La messa di un sacerdote. L’odore di una chiesa, che è la casa che accoglie i fedeli. Questo oggi non c’è.

   E allora, nonostante cerchi di andare avanti, ti accorgi dello strano silenzio, dell’addio più silenzioso. Il sangue può solo raggelarsi, perché il funerale dovrebbe essere il più dolce degli arrivederci per poi portare dentro di sé il ricordo del proprio caro.

   Oggi è solo un freddo silenzio.

   Un freddo silenzio di un primo giorno di primavera abbastanza grigio.

Aurélien Facente, 21 marzo 2020

Coronavirus KR – Ora è il tempo di essere tutti un po’ come San Giuseppe

Crotone. Quarantena giorno 11. È il 19 marzo. Il sole sta splendendo, ogni tanto accompagnato da un vento fresco. La situazione è di perenne attesa. Siamo tutti in libertà pressoché vigilata, se così si può definire.

   Perché c’è un Coronavirus che si aggira ben invisibile e nascosto. Ogni giorno c’è una conta di morti. Un bollettino che coinvolgerà tutta Italia ormai.

   Ma oggi è anche San Giuseppe, il giorno della festa del papà.

   Ricordo mio papà, Alfredo. Oggi non c’è più. Non posso nemmeno portargli un fiore al cimitero, ma credo che comprenderà. Anzi, forse nemmeno lo avrebbe voluto, conoscendolo.

   Di lui ho parlato anche in altre occasioni.

   Oggi è di San Giuseppe che voglio parlare, conosciuto come l’uomo che ha allevato Gesù per farlo diventare un uomo.

   Non è di religione che voglio parlare.

   Ma solo di provare a capire che bisogna scorporare il Santo da quello che realmente rappresenta. Non si tratta di una bestemmia, perché San Giuseppe è un simbolo che forse non riusciamo o non vogliamo vedere per quello che è, ovvero un uomo che ha scelto di essere padre e di portarne fino alla fine la missione.

   Oggi che cosa vuol dire essere padre?

   Mettere al mondo un bambino e lasciare che cresca da solo, perché può cavarsela da solo?

   Certo, esiste il padre superficiale.

   Poi c’è il padre divorziato, o separato, che il più delle volte è costretto a vedere i figli per qualche giorno la settimana, se gli va bene.

   Ma c’è anche il padre violento, ed esiste perché non ha voluto essere come San Giuseppe.

   E infine c’è papà vero, quello che ti prende per mano e che non si fa sconfiggere dalle avversità dell’esistenza. Il papà vero che ti rimprovera quando sbagli, ma è capace di abbracciarti se tu fai qualcosa di giusto.

   Ma San Giuseppe era altro, ben altro.

   Ha preso per mano suo Figlio prima che nascesse, proteggendolo quando serviva, e facendolo nascere in una calda stalla. Noi abbiamo l’immagine della Sacra Famiglia ben impressa nel nostro presepe. Ma è solo un’immagine.

   Non esiste il papà perfetto, o almeno esiste solo quando il papà non ha paura di definirsi umano, perché solo essendo uomo può dare un esempio ai suoi figli.

   In fondo, San Giuseppe non si era mai mostrato come un guerriero invincibile. Era un semplice falegname, e così è rimasto.

   Purtroppo non abbiamo tante testimonianze scritte sul suo rapporto con il Figlio. Ma sappiamo che è stato fondamentale. Perché lo ha protetto da un mondo cattivo, ma lo ha anche incoraggiato a crescere perché potesse diventare Uomo.

   Vale lo stesso discorso per la donna. Un papà è un papà sia per un maschio che per una femmina.

   Oggi è il giorno dei papà.

   È giusto che ci sia, ed è giusto ricordare.

   Un pensiero va a quelli che non hanno avuto forse un papà adatto. Esistono anche loro, e non bisogna puntar loro il dito contro se non hanno avuto un papà vero.

   Essere papà è prima di tutto una scelta di responsabilità.

   E chi l’abbraccia in pieno, allora acquisisce una grande forza, perché il papà si permette di compiere gesti che senza un figlio non compierebbe mai.

   Il papà può essere tutto.

   Ma sta a lui scegliere di assumersi la responsabilità.

   Scrivo quest’articolo, dedicandolo a tutti i papà che in questo momento storico non possono stare vicino ai loro figli.

   Abbiate pazienza. Siate come San Giuseppe, quando si prese cura del bimbo quando era in grembo. Perché la presenza non deve solo essere fisica, ma deve essere anche rappresentata dalla volontà di parlare con ogni vostro figlio.

   Tanti auguri, cari papà.

Aurélien Facente, 19 marzo 2020

Coronavirus KR: Qui Londra

Quando è iniziata l’emergenza, in una diretta Facebook, ho pregato di mandarmi delle testimonianze, racconti, materiale fotografico con i quali condividere e classificare una serie di resoconti sull’impatto sociale che l’emergenza Coronavirus sta avendo in Italia e non solo. Le foto che seguiranno vi faranno capire in sequenza quello che sta avvenendo a Londra, da dove sta operando un mio “inviato” che qui si firmerà come Sirdomek, che per questioni di privacy preferisce firmarsi con un nickname. Le foto che seguiranno sono dunque di Sirdomek.

In questa prima foto potete vedere un attimo di vita di Londra, una foto comune fatta da cellulare, ed è uno scatto abbastanza comune. Siamo nel mese di febbraio. La foto è datata appena dopo le regionali avvenute in Calabria. Fin qui nulla di strano.

Poi da noi inizia l’emergenza Coronavirus. Noi italiani ci ritroviamo prigionieri delle restrizioni per causa maggione, ma nel frattempo a Londra (e in Inghilterra), senza passare dalle restrizioni nostre, si adegua subito alla sua emergenza.

La serie di foto che vedrete adesso sono state scattate in posti abitualmente frequentati di Londra. Sirdomek abita in centro a Londra, perciò lui stesso, italiano, si è stupito della prontezza del popolo inglese a prepararsi al piano d’emergenza.

Notato nulla? Se ci fate caso, manca la gente. Le foto sono state prese in diversi momenti della giornata, in vie sostanzialmente frequentate da tanta gente. Ricordatevi che Londra è una delle città capitali che si possono definire metropoli, essendo che ci abitano quasi nove milioni di persone (un’enormità quindi).

Tutte queste foto vi fanno notare che subito il popolo londinese si è adattato. Di solito sono affollatissime di gente, ma stavolta si esce solo il necessario, senza aspettare gli ordini del Primo Ministro inglese, Boris Johnson, che ha fatto capire direttamente di voler agire anche in termini “estremi” in rapporto alla pandemia del Coronavirus. Ma prima che si pronunciasse, già gli inglesi si sono adeguati volontariamente, aspettando in qualche modo il nemico invisibile.

Perché vi mostro questo primo reportage fotografico?

Sirdomek è un italiano del Sud che vive a Londra, e mi ha rilasciato altro materiale che pubblicherò sotto un’altra forma, appena le acque, diciamo, si calmeranno un po’. E naturalmente gli auguro ovviamente tutto il meglio e lo ringrazio per l’apporto che sta dando.

Rispondiamo però alla domanda.

In Inghilterra sono abituati a fare simulazioni di catastrofi sin dall’età scolastica, perciò in età adulta si comportano di conseguenza, preparandosi al peggio e senza aspettare gli ordini della politica. La consapevolezza rende migliore l’organizzazione, e stiamo parlando di un popolo che è abituato, nonostante i difetti, ad affrontare le emergenze a viso aperto, e senza discutere più di tanto.

Il traffico a Londra in questi giorni è molto meno caotico, e la gente circola solo il giusto, ossia per acquistare provviste principalmente, forse cinque minuti d’aria, e ovviamente per sbrigare faccende burocratiche che toccano anche a noi.

Qui in Italia non siamo abituati all’emergenza, perché sin dalle scuole non impariamo che cos’è una situazione d’emergenza. La Calabria è una terra sismica, e nelle scuole sarebbe doveroso impartire lezioni di comportamento in caso di catastrofe. Perché questo tipo di lezione impara a organizzarsi nei momenti in cui è necessario, e salverebbe tante vite.

Gli italiani, per quanto possa essere storicamente un vero popolo quando serve, devono ripensare la prevenzione, partendo proprio dalle scuole. Perché, mai come adesso, bisogna ripensare culturalmente il nostro sistema, prima di darci delle istruzioni politiche ed economiche.

Testo di Aurélien Facente, marzo 2020

Foto di Sirdomek, 2020

Coronavirus KR: Caro Giuseppe Conte…

Oggi è il 17 marzo 2020. In realtà volevo scrivere a Lei, Avv. Giuseppe Conte, Attuale Presidente del Consiglio italiano, già qualche giorno fa. Ma ho preferito aspettare, perché di lettere aperte ne avrà lette migliaia in questi giorni, molte pubblicate sui giornali.

   Può darsi che un giorno capiterà di trovarsi casualmente a leggere la mia, piccola e insignificante vista la situazione, lettera che le ho voluto scrivere.

   Mi sono preso il tempo di scriverla, senza farmi condizionare da nessun sentimento di rabbia e di paura, che attualmente sono i primi nemici dopo il Coronavirus. Nemici che ognuno di noi deve saper tenere sotto controllo.

   Inizio questa mia lettera con la foto, presa da uno Smartphone, che le farà vedere un tramonto urbano. Ebbene, quello è il tramonto dalle parti di casa mia. Vedo quella scena da 25 anni ormai, e il bello è che il sole tramonta alle spalle della chiesa, San Domenico per essere precisi, dando l’impressione che il sole vada ad accasarsi nella casa del Signore. Una scena suggestiva che sto cercando di rendere ovviamente poetica, senza nessun pregiudizio per chi crede o non crede. Però ho la fortuna di godere giorno dopo giorno di un’immagine simile.

   Purtroppo, ahimé, non tutti possono godere di cotanta bellezza, vista la quarantena imposta per fronteggiare al meglio l’emergenza Coronavirus.

   In pochi giorni, e Lei lo sa bene caro Presidente, abbiamo tutti dovuto cambiare drasticamente le abitudini. Qualcuno c’è arrivato prima, qualcun altro dopo. Ma nel giro di qualche giorno, diciamo, che l’equilibrio si è costruito e si sta mantenendo, almeno per ora.

   Perché il sacrificio è enorme, ma in linea di massima seguiamo le istruzioni. Lavarsi le mani, usare i guanti, mantenere le distanze, mantenere la fila (anch’essa a distanza), si cerca di uscire il meno possibile. Questi progressi sono stati fatti.

   Poi ci sono i però.

   La motivata paura delle persone, la non immediata reattività, il fatto di trovarsi perennemente su una linea di confine, neanche il tempo di imparare per bene le nuove regole. E queste cambiano spesso, a quanto apprendo dalle tante testate.

   Sia chiaro. Non voglio rimproverarla per il tremendo lavoro che sta facendo in questi oscuri giorni, Giuseppe. La capisco. Lei cerca di tenere dritta la barra di un timone molto fragile in questo momento, perciò Lei, da buon capitano da crociera, sta richiamando tutto l’equipaggio all’ordine. E cerca di farlo senza perdere la calma, perché siamo in piena tempesta.

   Già, Quel nemico invisibile che si chiama Coronavirus ci è piombato in fretta. E lo so che fa paura. Lo vedo negli occhi di chi cerca di mantenere l’ordine. Poliziotti e carabinieri che devono mettere da parte la loro umanità, e non hanno avuto il tempo di recepire bene le informazioni, anche se il loro impegno è massimo.

   La stessa cosa vale per i pompieri e per tutti quegli operatori che sono in mezzo alla strada cercando la via della logica.

   Il Coronavirus e il Caos. Due perfetti alleati in questo tempo sempre più buio abbattono le certezze di chiunque.

   Signor Presidente, a nessuno piace ammettere la propria fragilità. Siamo in una società dove conta solo il più forte, dove conta saper dimostrare di essere forti senza pietà. Una pura e mera illusione, perché il Coronavirus colpisce subdolamente, senza avere pietà. Fa solo quello che la sua natura impone. E non c’è da chiedersi perché.

   Non adesso che non abbiamo una narrazione certa della malattia. Ora si lotta contro il tempo, e sembra che questo ci condanni. No, signor Presidente, non siamo condannati dal tempo. Siamo condannati a renderci conto della nostra fragilità.

   Vede, io mi considero un privilegiato. Ho piccoli spazi di libertà durante la giornata. Le assicuro che nei miei brevi viaggi a piedi verso un supermercato, verso la banca, girando un po’ l’isolato con il cane… Già, mi sento un privilegiato perché assaporo il tempo, pur sapendo che il nemico potrebbe colpirmi.

   E prendo momenti da poter trasmettere agli altri quando posso. Pezzi di colore perché gli altri, che le assicuro restano ben chiusi in casa, hanno bisogno per tener duro. Non basta solo essere sintonizzati sul web o in televisione. Ci vogliono segnali di vita pura e semplice, perché trasmettere quei segnali portano forza nelle persone.

   Io non so se Lei potrà sapere della domenica di Crotone. Della prima domenica della quarantena.

   Solo silenzio. Giusto qualche auto. Sì, perché lei non lo sa ma qui abbiamo una comunità fatta di persone anziane da tutelare, ma anche di malati ad un passo dalla morte, e non per il Coronavirus. Crotone è una città che è stata maltrattata da un inquinamento selvaggio a causa delle industrie, ormai dismesse da più di vent’anni, ma ancora con scheletri presenti.

   Qui lo conosciamo un nemico subdolo e invisibile. Lo chiamano Tumore.

   Perciò, Presidente, tenga conto dei crotonesi. O i krotoniati. Ne tenga conto.

   Perché, a parte qualche grosso vocione, ognuno di noi fa il meglio che può.

   In una settimana, ad esempio, si sono organizzate tante microcomunità per organizzarsi meglio. Un esempio: uno va al supermercato per sapere se c’è l’alcol verde, e se non c’è lo dice agli altri. In altri casi ci si raccomanda di prendere poche cose per velocizzare la fila. Per non intasare. Per facilitare il lavoro del supermercato.

   Poi magari esci più volte. Capita. Non per passare il tempo. Assolutamente no. Dove vuoi passare il tempo a Crotone, se tutte le attività di ristorazione, di somministrazione, cinema, teatro e librerie sono chiuse?

   Non varrebbe nemmeno la pena di farsi un giro. Perché Crotone è già una città dove hanno chiuso ben altre cose, oltre al lavoro.

   Perciò forse abbiamo buon senso di fare le cose per bene.

   Perché il prezzo dei morti lo conosciamo bene.

   Perché il prezzo di chi è andato via per un futuro migliore lo conosciamo bene.

   E io, che son rimasto come tanti, lo sentiamo il vuoto di una casa vuota, senza persone.

   Però, nella prima domenica di quarantena, qualcosa s’è ascoltato.

   Un balcone con bambini che giocano. Qualcuno che canta. Qualcuno che suona. Un po’ di musica ad alto volume. La voglia di ritornare a essere vivi.

   Sono cose che ti fanno sorridere perché ti aiutano ad avere speranza.

   Vedo e ascolto.

   Sono abituato a farlo. Avrei la tentazione di prendere la mia macchina fotografica e fare un ritratto a tutte queste piccole storie belle. Ma non posso. Perché rispetto il tempo concesso della mia microlibertà. E allora mi limito soltanto ad ascoltare, e a pensare che questi sono momenti che almeno vanno scritti.

   C’è la voglia di essere migliori.

   Perciò, caro Giuseppe Conte, quando tutto sarà finito si prenda il tempo di leggere questa mia piccola lettera aperta, se mai ne avrà l’occasione. E magari la legga anche a chi istituzionalmente le è vicino.

   Noi non siamo numeri, signor Presidente.

   Siamo persone, ognuna con una sua storia e con una propria dignità.

   Non rivendichiamo il folle diritto di fare ciò che vogliamo. No. Rivendichiamo il diritto all’esistenza. Perciò quando sarà tutto finito, non pensi soltanto a circondarsi di linguaggi istituzionali, ma si faccia anche circondare da linguaggi molto umani.

   Facciamo il tifo per la vita.

   Con profondo rispetto.

Aurélien Facente, 17 marzo 2020

Coronavirus KR – La paura di un nemico invisibile

   Crotone, 11 marzo 2020, ore 1.56 del mattino

   Non credo di essere il solo ad avere problemi di sonno.

   Sono a casa. Scrivo. Ci provo.

   Il governo italiano dice che ci deve proteggere, e ci intima di stare dentro casa.

   Perché c’è un nemico che si chiama Coronavirus, o Covid-19 se vogliamo essere più tecnici.

   Dopo una breve pausa, riprendo con naturalezza a scrivere.

   Sono un blogger. Devo lasciare una traccia, una testimonianza, un qualcosa che possa darmi sollievo in questa notte silente.

   Ascolto mia madre dormire.

   Anche il mio cane dorme.

   Io no.

   Sono l’uomo di casa.

   Devo restare vigile. Avrò tempo di riposare. Sono abituato a dormire poco. Voglio essere sicuro che tutto sia a posto. Sono un guardiano ormai. Papà, dovunque sia adesso, mi ha lasciato l’eredità di una responsabilità.

   E non posso permettermi di avere paura.

   Mia madre ha paura. Il mio cane avverte la paura.

   Non è una situazione bella. Tempi duri, mi direbbe qualcuno. Già. Sono tempi duri. Ma non mi piego. Perché se mi piego, il male potrebbe approfittarne.

   Io so che è invisibile, piccolo, tremendamente minaccioso, che potrebbe bussarmi da un momento all’altro. Ma non posso permettermi di avere paura. Devo essere forte per mia madre. Devo essere forte perché c’è gente che sta peggio di me, molto peggio di me che magari sta combattendo per la sua seconda possibilità. E anche se dal canto mio potrei starmene comodo a casa a leggere, purtroppo non posso fare a meno di reagire per conto mio.

   Ho un’altra maledizione. Sono diabetico. Per me è importante muovermi. Vitale. Stare troppo fermo mi fa male. Mi alza la glicemia, e mi danneggia.

   Crotone è diventata una zona rossa. Viviamo la quarantena.

   Grazie, Coronavirus.

   Ti ringrazio con tutto il cuore.

   Già ho il diabete che mi ha regalato dei limiti prestabiliti, e prima di esso c’è la celiachia. Sai, quell’intolleranza che non ti permette di mangiare una pizza, un pane, un pasticcino. Cose che ho conosciuto in avanzata età adulta per stare con gli altri, per essere un po’ come gli altri.

   Ora ci sei tu.

   Non ti temo. Non ho paura di te, Coronavirus. So che potrai prendermi alla sprovvista quando vuoi, ma non mi posso permettere di avere paura.

   Sono uscito stanotte. Era l’una. Una breve passeggiata con il cane. Una cosa da incoscienti. Vero. Ma avevo bisogno di respirare. Non seguite il mio esempio. Mi faccio giusto il giro di un grande isolato. Il mio cane deve fare la pipì. Una breve passeggiata di quindici minuti. Quindici soli minuti per… Non lo so. Io sono uno che adora la notte. Sono stato un uomo di notte per tanto tempo, perché in essa il mio cuore trovava rifugio.

   Non tutti possono capire. Mi definisco una scheggia anomala.

   In meno di una settimana, la vita di tutti è cambiata.

   Scosse di assestamento dentro di me per evitare di cedere ai nervi.

   Conosco la mia fragilità. Ci vengo a patti ogni giorno.

   La verità è che la passeggiata notturna di quindici minuti circa è un’abitudine dura a morire. La faccio dopo l’ultima puntura, perché quella camminata aiuta in qualche modo l’insulina notturna a fare il suo dovere. Se sto fermo, mi alzo con una glicemia non accettabile.

   Non ho più l’età della movida. Ho 41 anni suonati, e per molti giovanotti potrei essere classificato come un vecchietto ormai. Dovrei essere più responsabile. Ma quando vivi il male che io ho vissuto… No, non fraintendetemi. Non voglio fare la vittima. E nemmeno voglio apparire come un eroe.

   Sono solo un uomo che passeggia di notte con il suo cane. Una sola piccola passeggiata.

   E sapete perché?

   Perché un cane può fare pipì dentro l’appartamento. E la regola numero 6 ti impone di tenere pulita la casa dove dormi. Quindi sai che seccatura…

   Ecco, caro Coronavirus, tu sei una bella seccatura. Ma veramente una brutta seccatura, anche se sei pericoloso e contagioso. Fattelo dire.

   Il lungomare è deserto. Solo un breve passaggio. Da Piazzale Ultras a Piazza Gramsci. Al distributore di bibite al piazzale, quattro poliziotti cercano di prendere un caffè. Per loro il lavoro stanotte è duro e solitario. Non provano nemmeno a fermarmi. È vero però che sono distante.

   Sul lungomare, incrocio un uomo di colore. Non so dove sta andando, ma nessuno si accorge di lui.

   Il cane fa quello che deve fare diligentemente. C’è umidità e fa freddo. Il mare. Ascolto il mare notturno. Un canto calmo, calmissimo, rincuorante.

   Poi una pattuglia dei carabinieri.

   Mi ferma.

   Mi chiede che ci faccio fuori.

   Gli dico semplicemente la verità al carabiniere, che però non è nemmeno sicuro di che cosa accusarmi. In fondo non posso evadere dalla zona rossa nemmeno se lo volessi, non vado a nessuna festa, non vado a trovare nessuno, sono ben coperto. Il carabiniere è un po’ imbarazzato. Mi dice che rischio la denuncia e che dovrei pagarmi un avvocato. Non mi chiede nemmeno i documenti. Perché la situazione è paradossale alla fine dei conti. Ci lasciamo cortesemente, e con un po’ di comprensione reciproca. L’atmosfera è surreale per entrambi. In fondo, un carabiniere non può permettersi di arrestare un uomo con il suo cane solo per 15 minuti di onesta passeggiata, soprattutto quando l’uomo che cammina a piedi è ben coperto e desideroso di rispettare le regole. La giornata è stata pesante per entrambi.

   Ho sbagliato io a scegliere quel percorso. Lo so.

   Potevo scegliere altro. Oppure potevo starmene a casa. E in questo momento sono a casa che scrivo. Si sono fatte le 2.31, e ancora il sonno non mi è venuto. Dubito che verrà presto.

   Non ho paura, Coronavirus.

   In realtà non ho il tempo di avere paura di te.

   Mi spaventa di più il signor Diabete. Lui sì che sa essere tremendo. Il signor Diabete ti mangia lentamente negli anni. Devi sempre stare a controllarti la glicemia e a rispettare i tempi delle iniezioni. Mi buco quattro volte nell’arco delle 24 ore. Nell’arco di un anno sono 1460 buchi al corpo se ti va bene. Mi buco quattro volte al giorno da 23 anni ormai. E ho fatto le mie cazzate anche.

   Il signor Diabete un giorno mi mangerà, ma non lo farà oggi. Perché mi controllo spesso, e cerco di mantenere la media accettabile per vivere una vita quasi normale.

   Sono abituato a convivere con il signor Diabete da tanti anni ormai.

   C’è gente che sta peggio di me. Lo so.

   Perciò non ho paura, e non posso permettermi di avere paura.

   Coronavirus, ormai sei un’opportunità per me.

   Racconto la tua storia. La sto scrivendo. Tu fai paura alle persone che io voglio bene. Permettimi di essere il tuo compagno di sventura in questo tuo caos nella mia amata e odiata Crotone.

   Sono le 2.40.

   Sono stanco. Ho finito di scrivere.

   Coronavirus, ci vediamo domani.

   Buonanotte.

Aurélien Facente, 11 marzo 2020

PS: Non fate come me se avete letto questa storia. Restate a casa e seguite le regole.