La crisi delle Autolinee Romano è una delle conseguenze delle tragiche scelte governative.

Toc! Toc! Ecco qua la crisi delle autolinee Romano che si affaccia con uno sciopero, più che giustificato, dei dipendenti della ditta crotonese, e non si sa quando terminerà perché la crisi è complessa.

Oltre ai tanti problemi documentati da testate più illustri della mia umile scrittura, il dovere di analizzare bene il fenomeno fino in fondo è basilare perché nessun dipendente deve essere strumento di bugie.

Immagino già la rabbia di chi si sveglia sapendo che non avrà lo stipendio.

Ma i governi nazionali passati (Conte bis e Draghi) sapevano che una polveriera prima o poi sarebbe esplosa. Il mondo dei trasporti è stato il più falcidiato da un insieme di norme governative molto ipocondriache durante il Covid. Se uno provasse a leggere il regolamento per i trasporti durante il coronavirus è qualcosa partorito da una mente malata.

Certo, la prevenzione della salute è importante. Ma anche gli stipendi lo sono.

Eppure le norme hanno sacrificato interi settori con la scusa ipocrita del sacrificio e i primi a farne le conseguenze sono le ditte di trasporto pubblico che operano nei piccoli centri prevalentemente, come il caso di Crotone.

Il Covid è stata la scusa per dimezzare sostanzialmente tutto, e le entrate sono state, di fatto, minori e dannose tra l’altro. Un’azienda potrebbe tenere, ma solo se possedesse ingenti capitali. Cosa che a Crotone non è il caso. E poiché le entrate sono state minori, la cassa ne ha sofferto tanto che poi si è arrivati a questa situazione. Senza contare che durante il periodo piùbuio del Covid, gli stessi autisti hanno dovuto fronteggiare tanti e troppi ostacoli. Non è che guidare con la mascherina sia un piacere, senza contare i disagi che comporta un lavoro del genere.

Poi mettiamoci la crisi dell’energia che ha fatto il resto (e anche qui c’è tutta una storia), e così iniziamo a contare le vittime sociali. Questo perché non si è avuti il coraggio e il buonsenso di contrastare una narrazione, quella del coronavirus, che aveva buttato all’aria centinaia di anni di biologia.

Le restrizioni adottate dimostrano, di fatto, che il sacrificio generale non è valso la pena. Perché già la ditta in passato aveva affrontato delle crisi delicate, ma superandole con quello che serviva per mantenere in piedi l’impianto lavorativo. Poi ti arriva l’evento che non ti aspetti, e allora si cerca di seguire il governo, il quale non sa nemmeno darti le migliori risposte. E mentre attua DPCM al limite della comprensione umana (ovviamente scritti così per evitare di pensare al dopo), il gioco al massacro sociale ha cominciato ad avere inizio.

Certo, perché se dimezzi per motivi legati ipocritamente alla salute la clientela, dopo qualche tempo non è che la stessa clientela si ripresenta in massa a prendere l’autobus, Perché due anni sono un periodo lungo dove per la gente è più facile praticare un taglio netto piuttosto che prendere il pullman urbano. Sapete quanta gente è rimasta a piedi perché non poteva salire per motivi legati al distanziamento? E sapete quanti autisti hanno lasciato a malincuore persone che si erano fatte il biglietto per tornare a casa? Inevitabilmente qualcosa si rompe, e così inizia la vera emorragia economica.

E a soccombere sono proprio i piccoli.

Non sempre il sacrificio può valere la pena.

E con il caso delle autolinee si comincia ad accorgersi che l’inverno sarà duro e lungo, perché al segno dell’incertezza, della mancanza di chiarezza, della mancanza di questi governi nazionali pieni di protagonisti incapaci pure di dire grazie a chi il sacrificio lo sta praticando oggi.

Certo, qualcuno mi farebbe notare che ci sono anche altri problemi. Ma è il biennio Covid che li ha soltanto peggiorati.

E a farne le spese sono proprio quei lavoratori che con il freddo e il caldo offrivano un servizio più che necessario in un posto dove il trasporto pubblico dovrebbe essere il primo grande investimento.

Questo caso dimostra come il farsi mangiare dalla paura del virus ha creato più devastazione che opportunità.

Aurélien Facente, 19 ottobre 2022

Giuseppe Conte e la sindrome di Stoccolma

Mentre ormai stiamo aspettando la nascita di un governo che non piacerà ai miei concittadini, voglio pregare gli amici dei Cinquestelle o ai fan di Giuseppe Conte di astenersi dal leggere l’articolo, perché pur parlando di lui non parlo proprio di lui, ma di un fenomeno che si è ben sviluppato negli anni dei suoi governi, in particolare il secondo.

Io non considero Giuseppe Conte una cattiva persona, sia chiaro. Ma ho un severo giudizio sul suo secondo governo. Perché un Presidente può essere popolare quanto volete, ma è sempre attorniato da un governo fatto di ministri e circondato da parlamentari che hanno comunque un peso specifico, che nel suo caso specifico è stato un festival dell’idiozia, dell’ipocrisia e della caccia alle streghe gratuito.

Che Giuseppe Conte piaccia è fuor di dubbio. Ha un certo appeal sulle persone. Ha una ottima padronanza del linguaggio politico. Sa parlare alla gente, o meglio ad un tipo di elettorato, tanto da farlo innamorare. Si può dire che sa tenere in piedi uno spettacolo perché il talento ce l’ha, e sa riempire le piazze, il che però non si traduce in voto.

Come ampliamente dimostrato nelle elezioni regionali calabresi, dove la sua presenza ha fatto scendere in piazza tantissime persone, ma che non si è tradotto in voti per vincere. In Calabria ha pagato soprattutto l’alleanza ipocrita con il PD. che ovviamente lo appoggiò non per un vero progetto politico ma perché aveva usato un certo stile nel far fuori Salvini in uno storico scontro che ha fatto godere gli immaginari antifascisti, che lo hanno rimesso in sella proprio per fare il classico colpo del palazzo dove poter stare e regnare, ovviamente sotto la responsabilità di Conte, che per i piddini era il cucuzzaro di turno.

Ed è quello che è accaduto durante la pandemia del C-19.

Badate bene che basta rivedersi i video delle annunciazioni dei suoi DPCM, che facevano godere come matti una certa cerchia politica intorno non perché di fatto salvavano le persone (l’ipocondria è uno strumento stranissimo per affrontare un’epidemia), ma per obbligare tante persone a sottostare ad un gioco malsano che si stava approfittando di una catastrofe che senza la cosiddetta ipocondria di chi era intorno a Giuseppe Conte avrebbe avuto ben altri risultati.

Man mano che le apparizioni ufficiali proseguivano attraverso conferenze stampa dalla scenografia cinematografica, si notava quanto fosse provato e stressato. Perché il nemico, badate bene, non era l’opposizione (che altrimenti non si chiamava tale), ma proprio tutta quella gente che usava la parola “sinistra” per mascherarsi e che in realtà si comportavano come bulli televisivi.

Questo gioco è durato per più di due anni, fino alla caduta del governo Draghi (successore di Conte, ma anche lui attorniato francamente da idioti politici, che erano fgli stessi che avevano sostenuto Conte tra l’altro, con la differenza che s’erano aggiunti il Silvio e il Matteo),

Il caso di Giuseppe Conte è curioso se dovessimo fare un’analisi della sua storia politica e mediatica. Si tratta del primo soggetto nominato Presidente del Consiglio che ha presieduto due governi opposti, uno finto populista (CinqueStelle e Lega) e uno finto progressista (CinqueStelle, PD e Articolo Uno, partitino inutile e dannoso tra l’altro). Ma è stato il primo Presidente che attraverso i media è riuscito a realizzare una gigantesca sindrome di Stoccolma, inconsapevolmente; nella popolazione italiana, in particolare quella meridionale.

Una sindrome di Stoccolma che dura tuttora, e che ovviamente è anche uno dei fattori che poi ha portato all’interno della sinistra immaginaria italiana una vittoria morale di tutto rispetto. Perché la campagna elettorale dei CInquestelle nel 2022 l’ha fatta esclusivamente lui, e gli va dato merito di non aver avuto una umiliazione elettorale che era nell’aria.

Già, perché la pandemia prima e la guerra dopo hanno fatto vedere la classe insufficientemente politica proprio davanti agli occhi degli italiani.

Il che assolve in parte Giuseppe Conte, che da quando si staccò da Palazzo Chigi ha fatto, almeno lui, un bagno di realtà, ma non di verità. Perché lo sciacallaggio conseguente alla pandemia si è acclarato proprio dalle stanze dei ministeri, che avrebbero dovuto pensare ad una parola importantissima sin dall’inizio: logistica.

L’Italia (ma anche altre parti del mondo) fu messa in lockdown per una questione di logistica e non perché bisognava salvare le persone (che tra l’altro alcune, purtroppo, non potevano essere salvate poiché si trattava di una catastrofe).

Il governo dei DPCM si è mosso con molta illogicità, cambiando continuamente le direttive della prevenzione e credendo falsamente che il percorso intrapreso fosse il migliore possibile. Tanto firmava Giuseppe Conte, e il tutto fu (e vige tuttora) da una campagna mediatica contro il dissenso, creata ad arte da altri che si nascondevano dietro le chiappe dell’attuale capo politico dei CinqueStelle.

La pandemia è stato lo scenario di una vera e propria lotta politica già all’interno di maggioranze che non potevano restare insieme, e il successivo governo Draghi ne è stata la chiara dimostrazione, perché l’ex presidente della BCE fu chiamato per fare quel lavoro sporco che evidentemente Giuseppe Conte non poteva fare. Un lavoro che di fatto ha incancrenito una maggioranza bulgara molto fragile, tanto che Draghi si dimise (pur avendo la fiducia) perché anche lui era il cucuzzaro di turno, con in più la funzione da baby sitter fra soggetti politici che non hanno mai pensato a salvaguardare la comunità.

Giuseppe Conte è stato eletto e sarà protagonista di questa legislatura, seppur all’opposizione. Ma non ha vinto. E non ha preso i voti per il reddito di cittadinanza, badate bene. Li ha presi, tolti gli iscritti, per una questione di “sindrome di Stoccolma”. E me ne sono accorto proprio per le discussioni che ho personalmente avuto.

La sindrome di Stoccolma è una malattia psichiatrica. Le persone che sono state rapite fisicamente e imprigionate trovano a volte nel loro carceriere una forma di amore malsano, perché dal carceriere dipende l’esistenza del rapito. E il carceriere pur tenendo chiuso il rapito lo nutre e si occupa di lui. Nonostante il male…

Giuseppe Conte è il primo che si trova a vivere una situazione per qualsiasi soggetto politico una situazione del genere. Non a caso, la sua campagna elettorale è stata diversa, molto più incentrata a cambiare pagina e nei suoi attacchi agli ex alleati ha confermato pienamente quello che mi puzzava dall’inizio. Che c’era una dirigenza politica ben definita che ha creduto di usarlo per poi buttarlo via.

E così Giuseppe Conte diventa di fatto il boia del centrosinistra targato PD, portando alla luce il vero volto di una classe dirigente che preferisce stare piuttosto che parlare alla gente, Con buona pace degli appassionati e degli innamorati della sinistra, perché la Sinistra di oggi non è mai stata la Sinistra di ieri.

La gente lo sa e ha preferito votare altro (vedi Destra) o non votare proprio.

Già. Perché Conte è ancora visto come un presidente carceriere. Nonostante abbia chiesto scusa e in parte motivato le ragioni di determinate scelte, che però non si sono rivelate le migliori.

Già, perché l’Italia è ancora più povera, e si sa che il reddito di cittadinanza non è la misura che ridarà la vita a chi il lavoro lo ha perso, e molto probabilmente non lo riprenderà.

I risultati si vedono. E ora che Conte è più libero, dovrà dimostrare di essere degno di definirsi Politico. Perché se il popolo soffre, qualcosa non ha funzionato. Un qualcosa che ovviamente tutti vedono, ma non tutti ammettono. E credo che questo il buon Giuseppe Conte lo sa bene. Eccome se lo sa, anche se non lo ammette.

Consiglio spassionato: si liberi un po’ di tutta questa pletora di soggetti affetti da sindrome di Stoccolma. Sarebbe ora.

Aurélien Facente, 19 ottobre 2022

E così accadde che i crotonesi si svegliarono in una città buia e malandata…

Ho preferito prendere una lunga pausa dal blog. Per due anni ho provato a dare una continuità, ma l’italiano medio non legge. Poi in epoca Covid questa caratteristica è aumentata. Per un biennio bello e buono non sono riuscito, proprio per motivi di scarsa attenzione, di raccontare bene quello che andava raccontato.

Vivo e abito a Crotone, una piccola città sul Mar Ionio, e come ogni luogo ci sono pregi e difetti. Uno dei maggiori difetti del crotonese è la profonda fede in mamma televisione. Quindi quando la tragedia Covid è cominciata, immaginate l’attaccamento alla televisione, con il suo nutrito esercito di narratori dell’apocalisse.

Ho passato due anni nella città più ipocondriaca del mondo. Raccontarne l’esperienza è come vivere un film di fantascienza vero e proprio. Immaginate un posto dove gli abitanti si credono di vivere per forza in un’isola felice lontano dagli eventi del mondo, e immaginate quando gli eventi del mondo bussano alla porta.

Uno degli effetti più balordi di questa situazione è l’effetto psicosi, tra l’altro realizzato ad arte proprio dall’infodemia nazionale.

Qualsiasi autore/blogger/scrittore avrebbe delle serie difficoltà a raccontare anche una bella favola.

E così il sottoscritto ha rinunciato fino ad un certo punto, mantenendo giusto qualche finestra narrativa, ma non continuativa come un blogger dovrebbe fare.

Crotone è la città ultima d’Italia in tutto. Lo dice la classifica economica del Sole 24Ore, che tiene conto di tutti gli aspetti. Ma non importa. Stiamo chiusi e lontani da tutti. C’è il contagio e condanniamo gli altri.

Sulla paura non discuto, ma sono abituato a leggere la Storia e a fare indagini. Esperienza vuole che quando vedi una massa che punta lo sguardo verso una direzione, ogni tanto è meglio guardare altrove. Chissà che non ci trovi qualche sciacallo che ti ruba dentro casa e tu non te ne accorgi. L’eccessiva convinzione della prudenza è credere di essere prudenti. Ed è su questo che giocano gli sciacalli.

La paura paralizza. Non hai tempo per pensare. Anzi, ti è proibito pure pensare. E ovviamente la mascherina anticontagio ti permette di mascherare bene questa situazione.

E intanto tutti a guardare la tv, da Sanremo al talk show dove al posto di esseri umani trovi un pollaio dove non si capisce niente e non si conclude niente.

E nel frattempo, tutti convinti che questi grandi eroi che si vedono in tivù saranno capaci di salvare la situazione. Tanto stiamo chiusi in casa. Meglio. E se qualcuno parla del contrario, allora è un coglione sovversivo.

Peccato che il coglione sovversivo, conoscendo la razza umana, è abituato a prendere appunti e a tenere la barca sempre direzionata nonostante le tempeste della cattiveria. Il che non vuol dire vincere, ma tenersi pronto alle brutte evenienze che possono presentarsi. Il che vuol dire già godere di un vantaggio.

Quando conosci gli sciacalli e gli avvoltoi, sai benissimo che se ci hai a che fare rischi seriamente di non avere più nulla il giorno successivo. E quando accade, ti dannerai solo per te stesso. Perché tu li hai lasciati entrare e hai guardato dall’altra parte.

La paura è normale. Ma non affrontarla no.

E poi un giorno ti svegli. E scopri che la tua città non è il paradiso fiorente di due anni fa. Povertà aumentata, disoccupazione aumentata a dismisura, incertezza e sapere che il governo se ne fotte tranquillamente della città di Crotone, tra l’altro amministrata da una compagine politica che non si rende conto nemmeno di come ha vinto e perché ha vinto, frutto di una convinzione che è più un’illusione mitologica del proprio essere o non essere politico. Ma qui il discorso merita un racconto a parte. Un brusco risveglio dove ti accorgi che Crotone (come altre città italiane) non è più il paradiso raccontato.

Lo dico subito. Non adoro questa situazione. Crotone non merita tutto questo male. Ma un pochino se l’è cercata, tra l’altro in anni pre pandemia. Il Covid ha solo scoperchiato la fragilità del sistema Crotone. E lo ha scoperchiato con estrema violenza tra l’altro. Direi anche in maniera raffinata, visto che la distrazione di massa basata sulla paura ha permesso agli sciacalli di nascondersi per bene sotto la maschera di un certo perbenismo.

Lo so che ho scritto un articolo cattivo.

Ma i fatti parlano abbastanza chiaramente nel tempo.

La situazione era precaria già prima. Se a questa ci aggiungiamo la cappa della supponenza, quella della presunzione, e infine quella della paura, allora il mix è micidiale. E la ragione si perde in questo mix salvo poi svegliarsi e accorgersi che forse il cervello andava usato ben prima.

Non offendetevi, cari cittadini. Io, nel mio piccolo, l’avevo detto che bisognava stare molto attenti. Molto, ma molto attenti. Perché uno sguardo intorno andava sempre fatto. Fermarsi a riflettere sarebbe stata una cosa già di per sé obbligata.

Ora vi ritrovate in questa piccola città buia, silenziosa, dove la gente non vivepiù con il sorriso, dove la parola futuro ormai è diventata un delitto solo pensarla, e dove nessuno ha il coraggio di prendere per mano i giovani che saranno gli adulti di domani. Già, perché ormai è meglio star fermi piuttosto che ammettere che la deriva è conclamata sotto ogni punto di vista.

In fondo al tunnel c’è sempre una luce che si avvicina man mano che si cammina.

Bisogna solo camminare.

Altrimenti dentro il tunnel ci si rimane eccome.

Io ve l’avevo detto. Ora si può solo camminare, sempre che non si voglia stare fermi per paura del contagio.

Di Covid si muore mi dirà qualcuno.

Si muore anche di fame, di mancanza di lavoro, di mancanza di prospettiva.

Alla fine, si è svegli e ci si accorge di essere in un tunnel dove la luce da raggiungere è lontana. Ma non irragiungibile.

Aurélien Facente, 8 febbraio 2022

Sul perché il sindaco di Crotone si chiama Vincenzo Voce

Se l’articolo precedente parlava dell’ossessione social e mediatica intorno al sindaco di Crotone Vincenzo Voce, qui ci concentreremo sui perché questa persona è riuscita tramite elezioni a occupare il posto di sindaco dopo un anno di commissariamento.

   Si sono fatte le analisi elettorali in tutte le maniere, ma non si sono fatte  le analisi storiche e sociali, che hanno influito maggiormente rispetto a quelle elettorali, che sembrano contassero di più.

   Analizziamo lo scenario in cui si svolsero le elezioni comunali nel 2020. Città, Crotone. Stato attuale: città maglia nera in termini di qualità della vita, ovvero un posto che nel tempo ha perso tante prospettive di vita vera e propria. Nella Crotone maglia nera bisogna tenere conto che gli indicatori sociali e redditizi sono bassi, e ogni attività, soprattutto politica, ne viene pienamente coinvolta. La città di Crotone ha perso negli ultimi anni almeno qualche migliaio di abitanti, e alcuni di essi mantengono residenza per motivi fiscali e/o lavorativi. Non è un caso che le case in vendita superino la disponibilità di case in fitto. Più di diecimila abitanti in meno vuol dire ovviamente meno economia e molto meno lavoro. Per affermarsi, il dato di fatto è andare via, e difficilmente si torna a Crotone.

   Questo stato di cose è figlio di politiche scellerate che non hanno tenuto conto del cambiamento della città che doveva fare alla chiusura delle fabbriche che erano l’indotto principale della città stessa.

   L’elenco delle problematiche è lungo inoltre.

   Principale problema oltre alla disoccupazione e alla dismissione dei servizi resta la cattiva cultura.

   Questo è lo scenario. Aggiungeteci il resto voi.

   Nel 2020 inizia l’era Covid-19, qualche settimana dopo le dimissioni del sindaco precedente e della venuta di un commissario cittadino. Si era appena votato alla Regione.

   Le dimissioni di Ugo Pugliese, sindaco precedente, sono state causate da un provvedimento giudiziario che è stato oggetto di discussione molto mediatica. Prima di Ugo Pugliese ci sono stati i dieci anni di Peppino Vallone, sindaco portato dal PD e dal centrosinistra, che per dieci lunghi anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo.

   Nei dieci anni del PD crotonese sono state chiuse o tenute chiuse strutture che potevano in qualche modo rianimare la città nel post industriale. Al quale si deve aggiungere una mancata seconda rivoluzione industriale, che non è avvenuta e che si preferisce non parlarne, tranne quando si tocca il problema inquinamento.

   In questa premessa, nelle regionali calabresi di inizio 2020, il candidato al consiglio regionale Vincenzo Voce risulta essere il più votato in città (non in provincia, badate bene) e per un soffio (causa legge elettorale regionale molto stronza) non viene eletto in consiglio. Resta il candidato più votato in città, e su questa premessa annuncia la sua candidatura a sindaco in largo anticipo sui tempi.

   Anticipo che gli andrà comodo perché arriva il Covid-19 e praticamente il lockdown chiude tutte le persone in casa.

   In una situazione inedita, il candidato Voce si fa sentire. Spesso in video ospite di un organo d’informazione locale, Voce conversa con altri ospiti. E nel frattempo fa restare costante la sua popolarità. In fondo, non ha nulla da perdere e solo da guadagnare. Di fatto è il solo politico che si esprime in video, e questo diventa fondamentale. Perché quelli di centrosinistra e di centrodestra e 5stelle stanno solo a guardare.

   Ma c’è un pubblico che guarda questo dettaglio. In un clima di paura e di incertezza si forma una sorta di sindrome di Stoccolma (ovvero un innamoramento del proprio carceriere in quanto le speranza di vita si aggrappano proprio a chi ci tiene chiusi), che vive anche il Presidente Giuseppe Conte. Tutti a casa ad aspettare, e ci rendiamo conto che sono quelle persone che coinvolgono la nostra vita. Solo che Giuseppe Conte era il premier, mentre Vincenzo Voce è il solo candidato a sindaco che parla della città chiusa dal lockdown. Questo influisce e di parecchio.

   In estate ci si libera un po’ e le campagne elettorali iniziano. All’inizio si prospettavano almeno 7 candidati a sindaco. Ne resteranno soltanto 4, perché uno di questi confluisce subito nel centrodestra, mentre gli altri due si ritirano.

   In questo scenario, si assiste alla tragedia del PD commissariato, che ovviamente influenzerà a suo modo le elezioni.

   Vincenzo Voce si presenta con tutto il cosiddetto mondo civico. Con quattro liste e tutti candidati quasi alle prime armi.

   Gli specialisti delle tendenze politiche non vedono in lui il vincitore, ma una corsa a tre.

   Tra un centrosinistra molto misto con il candidato Arcuri, un centrodestra corazzata (10 liste per 30000 elettori circa) con candidato Manica, e infine Voce con le sue liste. Molto staccato il Movimento Cinquestelle, che nella sua tragedia assomiglia molto al PD (e non credo che sia un caso che poi erano insieme allo stesso governo nazionale).

   La campagna elettorale è combattuta. Ha i suoi toni accesi. Ma lo stato psicologico della collettività votate, aspetto non volutamente tenuto in conto, decreta una gran voglia di sbattere la porta e cambiare.

   Voce è sulla bocca di tutti. Non si voterà Voce perché è un grande politico con un programma dettagliato e fattibile. Si voterà Voce perché è Voce e basta. Non appartiene a quella politica là, e tanto basta,

   Arrivano le votazioni al primo round. La corsa considerata a tre diventa in verità una corsa a due. Sia Voce che Manica superano i 10000 voti, mentre Arcuri è più staccato. Movimento 5stelle non pervenuto.

   Ballottaggio stravinto da Voce, che in questa occasione risveglia un bel po’ di sinistra. Non sia mai che quei fascistoni della Lega vadano al potere del Comune della città di Crotone. E ci fermiamo qui per quanto riguarda la storia in breve.

   Che cos’è accaduto in sostanza?

   Tutto normale all’apparenza. Solo che lo scenario psicologico è totalmente cambiato.

   Per la prima volta a Crotone non si votava il sindaco secondo tradizione, come nel caso di Vallone, e non si votava per programma elettorale, come avvenne per Pasquale Senatore, sindaco di destra tra i più ricordati d’Italia.

   Si è votato Voce senza chiedersi troppo il perché, e senza neanche guardare con chiarezza chi lo accompagnava in questo progetto. Non è un caso che, sempre in termini di popolarità, Voce supera tutta la giunta e gran parte del consiglio comunale.

   Se la campagna elettorale fosse durata di più, molto probabilmente il risultato sarebbe stato diverso.

   Se non ci fosse stato il lockdown e l’assenza di politici che avrebbero quantomeno dovuto rincuorare i cittadini in una situazione odiosa per tutti.

 

  Voce ha vinto con un risultato gigante proprio per demerito (e assenza) degli altri. Non è un caso che lui ha preso tanti voti, addirittura di quasi tre volte sopra rispetto alle liste che lo accompagnavano. Tanto che se Voce stesso non fosse stato votato nel disgiunto, il centrodestra con quel 49.9% avrebbe potuto vincere. Ma, ahimé, tra fan della sinistra, una coalizione da corazzata Potemkin (quella fantozziana per intenderci) e la sottovalutazione della questione psicologica non si poteva vincere. Tanto che la gente ha visto i cocci e ha preferito un vaso intero. Non bello, ma intero. Quindi si può dire che il demerito degli altri è stato l’ultimo alleato di Voce.

   E grazie a questa storia, si può spiegare perché Voce è diventato sindaco per democrazia di voto sì, ma con una responsabilità di cancellare la “vecchia politica”. Solo che per farlo occorre possedere un’educazione culturale molto grossa. Fattore purtroppo non presente nella compagine politica del sindaco. Una rivoluzione che ha avuto il sapore di una meteora.

   Oggi ci stanno molti pentiti tra quelli che hanno sostenuto Voce. Tra questi anche ex alleati (ma qui merita un discorso tutto a parte) e gente che lo ha votato, salvo poi pentirsene. Ma se questi elettori lo hanno votato, evidentemente gli altri non sono stati capaci di farlo.

   Alle elezioni alla fine ne resta solo uno. E ogni volta dobbiamo dirci: “Che Dio ce la mandi buona!”

   Già, ma mi sa che Dio ha più di qualche conto aperto alla fine dei conti.

   Alla fine ogni popolo ha il governo che si merita, proprio perché lo ha votato.

   Ora sapete in breve la storia.

Aurélien Facente, 17 novembre 2021

La lezione che la Nazionale Italiana dà nelle sue imprese…

L’Italia azzurra ha vinto il Campionato Europeo più bizzarro della storia del calcio. Un Europeo rimandato di un anno per via del Covid-19, ma alla fine si è disputato con una vittoria, che guardando il percorso, è strameritata ed entra di diritto come forse una delle più belle vittorie dello sport.

Ha vinto la squadra prima di tutto. Giusto riconoscerlo, perché nessuno è stato protagonista a discapito degli altri. La squadra ha vinto e non l’individualismo. Qui, Roberto Mancini è stato bravo a realizzare un capolavoro sportivo, e i numeri gli danno ragione, visto che la Nazionale in tutto il percorso europeo non ha avuto una sconfitta. Ed è giusto che la Coppa sia figlia sua, dimostrando che oltre a essere un genio è anche un allenatore preparato. Non era scontato andare a vincere a Wembley.

Questa Italia entra nella Storia perché è un remake di altre tre nazionali molto amate. Quella del 1982 ovviamente, quando si vinsero i mondiali spagnoli. Una squadra molto umana che riuscì a vincere meritatamente in mezzo ai giganti. Poi mi piace ricordare Italia 90′, una nazionale che perse la semifinale ai rigori contro l’Argentina di Maradona, ma che seppe dare una lezione di sport comunque (e vinse il terzo posto proprio contro l’Inghilterra). Infine c’è la vittoria del 2006 in Germania. Una nazionale fatta di star che non fecero le star. Una squadra che psicologicamente era provata dallo scandalo calciopoli, che un passo alla volta arrivò in finale vincendola ai rigori con la Francia in una partita dai continui colpi di scena fino all’ultimo rigore. Ma anche qui vinse la Squadra. Contro tutto e tutti, dando un calcio alla paura dell’onta e dell’incertezza.

L’Italia (nazione) è stata falcidiata dalla paura del Covid-19 (una paura sulla quale hanno marciato in molti, a cominciare dalla politica e dai media. Inutile fare l’elenco di baggianate televisive che hanno accompagnato la Nazionale in queste settimane.

L’impresa dell’Italia azzurra riporterà un po’ di cose in ordine. Prima di tutto il lavoro di squadra, messaggio importantissimo che vale sempre. Se c’è una squadra che ha fatto la squadra è proprio l’Italia. Questo dovrebbe servire di lezione più alla politica italiana che si perde nel protagonismo più bieco (il che fa capire perché l’Italia nazionale produce decine di milioni di spettatori piuttosto che i loro insulsi dibattiti televisivi).

Ovviamente dà un calcio alla paura. E non è una cosa scontata. La notte di festeggiamenti che si è consumata tra domenica 11 luglio e il lunedì 12 nelle piazze scriverà una storia leggermente diversa per quanto riguarda la pandemia da Covid-19, almeno per come ce l’hanno raccontata.

L’impresa di una nazionale di calcio che vince abbatte la paura, ed inevitabilmente offre un’opportunità di speranza per il popolo. Questa carica di allegria ci apre le porte di un risveglio, il che sarà importante anche ai fini di certa scienza (anche se dei precedenti c’erano già stati, ma a sprazzi e non attentamente osservati). Questo non implica la fine della pandemia, ma ovviamente sarà un capitolo molto importante per il modo di affrontarla, ovvero con maggior coraggio e meno apocalisse.

L’impresa sportiva ci regala un ritratto reale della salute del Paese. Qui, la politica mediatica fin qui ci ha regalato un ritratto di un popolo che non dà rispetto alle tante minoranze (sessuali, razziali, religiose). Le piazze della notte non sono così. Tanta gente in piazza tutta unita e pronta a sorridere. In Italia ci sono molti problemi, ma alcuni li immagina molto la politica. La notte tra domenica e lunedì racconta di un Paese che ha ben altre ferite, e che ha un bisogno fermo di tornare a sorridere. Altro che razzismo e discriminazione. Lo sport di squadra è immune per natura da queste problematiche, ed è con i gesti spontanei che fa vedere che si va ben oltre le differenze. I ragazzi della Nazionale sono andati oltre l’odio e la paura, e hanno dimostrato che l’applicazione, il gruppo, il fare squadra, e l’essere semplicemente se stessi aiuta a combattere meglio determinati temi piuttosto che farsi dare qualche lezioncina da qualche moralizzatore in tivù. Gli uomini della Nazionale azzurra sono rimasti loro stessi, e questa è la più grande lezione di sport e di civiltà che si potesse dare agli occhi del mondo.

La meritata vittoria della Nazionale Azzurra ai danni dell’Inghilterra, l’eterna incompiuta, non risolverà tutti i problemi della nazione Italia. Questo è ben chiaro. Ma una vittoria del genere aiuta eccome. Questa storia sportiva aprirà inevitabilmente un capitolo nuovo nella storia dell’Italia nazione. Perché il suo messaggio di vittoria inevitabilmente passerà e fungerà da esempio.

Questa non è una vittoria dell’individualismo e del protagonismo bieco.

Si tratta di una Vittoria della Squadra.

Questa è una Vittoria che va raccontata con il seguente messaggio: un passo alla volta andando sempre avanti, e mandare a quel paese qualsiasi tipo di sondaggio o di moralismo.

Grazie, Azzurri. Grazie per questa pagina di Sport.

Aurélien Facente, 12 luglio 2021

Vincerà sempre il desiderio di normalità sul virus

Potevo sprecare parole sulla tastiera per quanto riguarda il racconto del virus che opprime l’Italia, quel Coronavirus che è più presente nei media piuttosto che nella realtà. Non preoccupatevi, non nego l’esistenza di una malattia. Semmai combatto contro l’onnipresenza mediatica che non è l’antidoto al virus, ma una tortura psicologica continua.

La tv sostiene che la lotta alla pandemia sia costituita da una strana alleanza tra politica e medicina, che nell’insieme decidono di chiudere il mondo come se questo solamente potesse servire per liberarci da un virus ostico.

Purtroppo i media da tempo hanno rinunciato a raccontare l’umanità, soprattutto in Italia.

Nel blog di oggi vi voglio far vedere tre scatti presi stamane a mare. Tre scene sequenziali.

Stamattina è una bella giornata. Esco ogni mattina per andare sulla spiaggia con il cane, e uso spesso lo smartphone. Lo considero uno strumento essenziale almeno per un diario d’immagini da guardare poi con calma. Ho fotografato queste scene, tenendo conto della privacy dei soggetti, presi in lontananza e mai in volto scoperto.

Poi con calma ho rivisto le foto con attenzione. Ho visto il comportamento delle persone.

L’essere umano è un essere naturale. Fa parte del regno animale. Non è una pianta o un metallo. Si tratta di un essere vivente che nasce, cresce, vive, si realizza, invecchia e muore.

Si muore. Verità che non si può controbattere.

Ma c’è una altra verità.

Si vive anche. E l’essere umano in vita andrà sempre alla ricerca di un posto dove vivere, crescere, realizzarsi, e magari starsi fermo solo a stare a contatto con la natura. Lo fa da sempre. Una legge della natura e della vita.

Stamane ho avuto modo di vedere le persone sulla spiaggia. E il loro modo di vivere la spiaggia mi ha dato la risposta che cercavo, che ho sempre saputo, e che ciclicamente si ripete nelle catastrofi naturali.

C’è una cosa che un virus non può battere. Così come non lo potrà mai fare la politica, e nemmeno gli scienziati chiusuristi del Covid-19.

Il richiamo della natura.

L’essere umano seguirà la sua natura. Lo farà d’istinto in modo inevitabile. L’essere umano aspetta, ma non ha il dono per aspettare in eterno. Il bisogno di vivere prenderà il sopravvento. Non lo fermerà la medicina, non lo fermerà la politica, non lo fermerà la legge, non lo fermeranno le chiacchiere su Facebook. Piaccia o meno, l’esistenza riprenderà il suo cammino.

E quando l’esistenza riprende il suo cammino, sa che lo farà pur sapendo che ci sono morti e malati.

Non è una questione di puro egoismo.

Si tratta di un meccanismo naturale. Crudele forse, ma naturale.

Perché un nonno vorrà sempre passare un po’ di tempo con suo nipote, perché un bambino vorrà trovare uno spazio per correre, perché due persone che si amano magari rallentano ma alla fine vorranno stare insieme, perché dietro il sacrificio deve esserci una speranza… Ma se la speranza viene disattesa, allora il sacrificio verte su altro.

Stamane ho visto scene di vita.

Pura e semplice vita.

E sarà la vita a battere il virus.

La storia della natura ce lo insegna, anche se molti negheranno questo aspetto perché preferiscono continuare ad avere paura, desiderando che altri provino la stessa cosa. Peccato che poi i fatti non si presenteranno tali nel tempo che verrà.

Testo e foto di Aurélien Facente, 4 marzo 2021

Alla fine saranno i bambini a dare la migliore soluzione…

Stamattina ho fatto un giro in città. Ho incontrato un amico, e abbiamo deciso di farci un giro in auto, tutti e due con la mascherina. Quindi rispettosi delle precauzioni contro il coronavirus.

Poi verso le 13, siamo arrivati alla discesa di Via Roma, Crotone. Traffico intenso. Il traffico che si ha in quella zona è tipico delle uscite da scuola. Sembrava di aver fatto un salto indietro nel tempo, di quando tutta questa follia preventiva non c’era.

Ho abitato nei pressi di una scuola per 25 anni. Per innumerevoli mattine ho visto bambini diventare adolescenti, genitori che vedevano crescere i loro bambini e lasciarli poi autonomi per andare a scuola. Ho visto vita giovane provare a diventare adulta. Ho visto anche adulti invecchiare. Ma lo sguardo dei bambini non te lo scordi, soprattutto quegli occhi pieni di quotidianità, fatta di sorrisi e talvolta di tristezza, ma con l’accettazione di voler diventare adulti.

Stamane, nonostante le mascherine, ho rivisto quei piccoli sguardi che alimentavano il loro spirito. Certo, il virus c’è. Ma non piegherà mai quello sguardo pieno di gioia e di prospettiva. I bambini cadono, ma si rialzano subito. Magari piangono, ma per loro la paura passa. Perché è così che crescono. Il bambino affronta un passo alla volta le sue paure, e tira avanti per la sua strada. Se poi c’è l’adulto ad accompagnarlo è meglio per tanti aspetti, ma i bambini non amano la paura. Piangono o urlano quando si fanno male, ma poi sempre pronti a rialzarsi. Quando accade, i genitori si tranquillizzano.

Molti genitori dovrebbero entrare in questo meccanismo e starli solo a guardare. Vedrebbero tante cose che servirebbero pure a loro. Senza nessuna ipocrisia.

Perché stamane, pur non essendo genitore, ero felice come i bambini stessi. Perché assaggiavo la libertà, mi mettevo alla prova, ero contento di saltellare come potevo. Perché i bambini non rinunciano mai a vivere, nonostante l’adulto provi paura. Una comprensibile paura, ma che un bambino non proverà mai. Perché il bambino ci tiene a voler essere forte, ed è pronto a far buon viso a cattivo gioco.

Molti adulti hanno dimenticato lo spirito dell’infanzia. Si tengono ancorati alla realtà mettendosi delle catene addosso, e si lasceranno mangiare dall’incertezza. Perché questa incertezza si nutre dello spirito umano come un cancro, e se ci si dimentica di essere stati bambini allora essa prende il sopravvento.

I bambini seguono sempre l’esempio che gli mostra il coraggio. Fateci caso. L’empatia dell’infanzia è molto particolare. Quando ero bambino, sceglievo la compagnia dell’adulto che mi dava sicurezza, ma anche allegria. Sceglievo l’adulto che provava a rispondere ai miei perché. E tra mamma e papà, ho anche il ricordo di maestri e professori che non solo mi hanno insegnato la materia, ma anche l’approccio alla vita stessa. Tra questi ci sono anche soggetti che non ho ascoltato, ma perché non erano chiaramente esempi di vita. Ma quando sei infante, tu cerchi inconsapevolmente l’esempio di vita e non l’esempio dell’insegnamento, che viene dopo perché i bambini hanno bisogno di tappe per crescere.

Il sorriso salutare dell’infanzia regala un attimo di speranza per il futuro, anche quando ci sono incidenti di percorso.

I bambini sono tornati a casa, accompagnati dai loro genitori abbastanza increduli e spaesati, ma pronti per riportarli nella propria dimora.

Poi è sopraggiunto il silenzio. Quel silenzio che addormenta la vita, ma non la uccide.

Non c’è niente da fare. Il sorriso di un bambino spegnerà sempre l’ipocrisia del mondo adulto.

Aurélien Facente, 11 gennaio 2020

Crotone è ormai una città dedita al silenzio

Sono volutamente uscito lo scorso 6 gennaio. Ho voluto rendere soddisfacente la mia curiosità. Volevo farmi un giro dentro una città immersa nel silenzio.

   Certo, era zona rossa. Non sarei dovuto uscire, secondo qualche benpensante. Ma il momento storico era unico. Molto probabilmente l’anno prossimo non si ripeterà.

   Il silenzio della piazza, quello del corso Via Vittorio Veneto, quello di Piazza Pitagora, a parte qualche vocio di qualche persona che magari salutava velocemente un amico, un parente o un’altra persona.

   Il 6 gennaio è l’Epifania, una festa dei bambini e dei ragazzi. L’ultimo giorno di festa, l’ultimo giorno dello scambio degli auguri, l’ultimo giorno del sorriso tra parenti.

  Ed era anche un giorno di passeggiata per tutta la giornata.

   Ho fatto la passeggiata per prendere appunti.

   E ho assaggiato il silenzio.

   Silenzio di serrande chiuse, silenzio di strade senza auto e senza bambini che giocano, non c’era nemmeno il petardo che scoppiava.

   Silenzio di una città che, mentre sparla su Facebook, si è ormai dedicata al silenzio.

   Un silenzio che non va bene, perché non è il silenzio della notte, dove in ogni caso ti capita d’incontrare qualcuno.

   Questo non era nemmeno un silenzio che l’Epifania meritava, perché anche nelle ore di riposo pomeridiane qualche tocco di pallone lo sentivi.

   E mancava lei, la Befana.

   Ho provato a capire questo silenzio.

   Ed è da qualche mese che Crotone è una città silente.

   Persone chiuse in casa per via del DPCM, ma una volta ci si affacciava almeno sui balconi. Non dico che il saluto fosse obbligato, ma vedere qualcuno era una benedizione.

   Invece, il mio cammino era solitario, e l’ho pure raccontato in video.

   Ma non ho raccontato quello che ho provato.

   Mi sono fermato dinanzi al liceo classico Pitagora, quello non lontano da Piazza Pitagora.

   Sono tornato ragazzo. E mi ricordavo quando con alcuni compagni venivamo davanti al portone di scuola, sapendo che la vita di tutti i giorni riprendeva, e che gennaio era il mese del primo quadrimestre.

   Mi ricordavo l’eccitazione.

   Ora c’era solo il silenzio, e dentro di me sentivo l’incertezza, il peggior dramma dell’epoca Coronavirus.

   Ho ripreso a camminare, perché l’incertezza non mi violentasse ulteriormente.

Aurélien Facente, gennaio 2021

Cari genitori, bisogna ammettere ai vostri figli che avete una paura matta, altrimenti non ve la perdonano

Crotone, gennaio 2021. Per fortuna non ci si può lamentare dell’inverno. La natura ci sta regalando qualche giornata piena di sole, e forse è questo che rende triste il crotonese medio. Non può passeggiare come prima, e deve stare attento. C’è il coronavirus in giro.

   Ora detta così, sembra che voglia mancare di rispetto a chi il coronavirus lo ha avuto o a chi lo ha vissuto pagandone il prezzo. Purtroppo avviene anche per altri mali, e mi stupisce il comportamento isterico dei crotonesi che hanno vissuto la strage dei tumori.

   Una delle cose più insopportabili è la litania della scuola, e qua il governo c’entra assai.

   È stato ragionevolissimo chiudere nella prima fase le scuole. Avevi a che fare con il coronavirus la prima volta e non sapevi come gestire la cosa. Il problema è che i genitori, già abbastanza preoccupati del loro destino incerto, sono stati alimentati da una comunicazione, anche governativa, fatta solo di incertezza che ha anche coinvolto gli addetti ai lavori, non offrendo garanzie e tranquillità.

   E voi pensate che siano stati i genitori a pagare tutto lo scotto?

   No, sono stati i bambini e i ragazzi ovviamente.

   Con un prezzo fatto di egoismo puro e crudo pur di nascondere la fifa.

   Sia chiaro. Non vado contro la patria potestà genitoriale, ma mi piacerebbe ascoltare le opinioni dei bambini e dei ragazzi. In fondo si tratta della loro possibilità di costruirsi un futuro, eppure cadono vittima di un sistema che ha soltanto prodotto isterismi ed incertezze.

   Qualcuno mi direbbe: “Tu non sei un genitore e non sai che cosa significa.”

   Io rispondo: “So però che cosa vuol dire essere figlio e so che cosa vuol dire quando un genitore usa il bavaglio della paura pur di sentirsi dire che ha ragione, pur sbagliando clamorosamente.”

   Crotone, ma non solo, ha offerto il peggio sulla tematica scuola, proprio cominciando dai genitori.

   Il governo, nell’incertezza, ha dato delle concessioni, pur promuovendo la didattica a distanza, detta DAD (il che mi preoccupa perché la sigla è l’appellativo di papà in inglese, dad appunto). Ma la DAD ha bisogno almeno dell’acquisto di un buon PC. Certo, c’è lo smartphone, ma i ragazzi mica si possono rovinare la vista per stare dietro a lezioni che non sono lezioni. Meglio leggere direttamente qualche buon libro o visionare documentari. Più efficaci, se permettete.

   Ma ovviamente non sono io a decidere.

   Credo fermamente che la scuola e i genitori abbiano perso, almeno parlo per Crotone, la voglia di parlarsi, quindi di avere un’occasione per dibattere sul futuro. Perché dopo sessanta giorni di lockdown si poteva tranquillamente giungere ad una prima conclusione sull’efficacia della didattica a distanza, o almeno provare nuove strade lecite. Basta usare l’ingegno, che fa parte dell’intelligenza o del buonsenso.

  E invece la litania dell’esistenza del virus e basta, senza neanche domandarsi se i propri figli avessero qualche domanda da fare, poiché si tratta di un dibattito che riguarda il loro futuro. Ma no. Meglio crepare di paura e continuare a distruggere, piuttosto che provare ad avviare una discussione fatta di idee (ma si sa che è meglio andare dove porta l’istinto, piuttosto che provare a usare l’intelletto).

   Una brutta pagina di egoismo.

   Fermo restando che sono per la decisione libera del genitore per quanto riguarda la gestione e l’educazione del proprio pargolo, delle quali però se ne deve assumere anche la responsabilità.

   Sono fioccate ordinanze regionali e comunali, seguite a loro volta da ricorsi presso la giustizia. Genitori che hanno espresso legalmente il loro dubbio e ognuno adducendo una propria motivazione legittima. E così accadde il massacro mediatico su Facebook, una delle pagine più vergognose della vita cittadina crotonese.

   Invece di provare a comprendere (almeno per iniziare un dibattito), meglio massacrare e insultare genitori che volevano alquanto capire (oltre al fatto che ognuno presenta una problematica diversa, e almeno in quella andavano quantomeno rispettati).

   Ora il governo italiano ha deciso di riaprire le scuole, usando un misto tra presenza e didattica a distanza. La scuola deve riaprire perché bisogna dare prima di tutto un segnale di coraggio e di ripartenza, e poi sia i bambini sia i ragazzi sapranno dare la migliore risposta in ogni caso, quella risposta che il mondo adulto non ha saputo e nemmeno provato a dar loro.

   Io sono stato bambino e ragazzo, e in più sono stato figlio di insegnanti. Ma conosco anche il mondo dei malati per questioni strettamente personali. Sono stato abituato a rispettare la malattia, ma non a farmi soggiogare dalla paura. La malattia può anche essere un ottimo motivo di discussione sul futuro, mentre nel presente lasciamo che gli addetti ai lavori trovino una soluzione terapeutica.

   Provare a non avere paura è la migliore risposta che si possa dare al mondo medico, oltre ovviamente al rispetto delle precauzioni fin dove è possibile.

   Tanto poi la storia umana prima o poi prenderà la sua risposta migliore. Che lo faccia socialmente o a livello medico poco importa. L’essere umano è stato capace di convivere anche con peggio.

   Però vorrei chiedere qualcosa ai genitori, che più o meno fanno parte della mia generazione (ho 42 anni). Ma al di là delle vostre legittime preoccupazioni, non temete il giudizio che avranno i vostri figli vedendovi così fragili e incerti (oltre che un poco fifoni)? Sapete perché vi faccio questa domanda? Perché credo nell’opportunità del dialogo. Ed è in momenti come questi che la famiglia e la scuola dovrebbero parlarsi, piuttosto che dare peso alle paure. Perciò fate un bel respiro, abbattete la vostra paura egoistica, e iniziate adesso a parlare. Altrimenti sarete voi che avrete bisogno di tornare a scuola, magari in compagnia dei vostri figli più piccoli.

   La vita, dopotutto, è fatta per essere vissuta. E non esiste solo il virus, dannazione!

Aurelien Facente, gennaio 2021