Quando parlare di ambiente a Crotone è sinonimo di propaganda

Mi sono permesso di prendere in prestito alcune foto di utenti crotonesi. Sono foto prese a caso, tra l’altro in anni diversi e in posti vari. Ma voi non saprete a quale anno si riferiscono perché la spazzatura è l’argomento più scottante nella città di Crotone (ma il problema si vive anche da altre parti).

Ogni anno, a più riprese e dovremmo parlare di mesi, si ripresenta sempre lo stesso problema. Eppure Crotone è la città che ha perso più abitanti negli ultimi anni, ma le montagne di spazzatura crescono eccome.

Ora possiamo parlare di impianti guasti (e quando ne hai solo uno sono cavoli amari se si guasta) e di varie responsabilità politiche e gestionali. Un groviglio di responsabilità nella quale la Calabria tutta si è impigliata, arroccandosi in posizioni politiche più ipocrite che di dovere.

Abbiamo un serio problema a monte. A produrre i rifiuti sono gli esseri umani. Non è che i cumuli di spazzatura li creino gli elefanti o le rondini. Le persone creano spazzatura.

Quando eravamo in pochi ci si poteva permettere erroneamente di seppellire e bruciare, ma poi la scienza ha scoperto che è dannoso e quindi abbiamo dato spazio al progresso tecnologico.

In Italia di progressi tecnologici ce ne sono stati, ma impari se andiamo a vedere in giro per il mondo. Gli stessi “privati” della spazzatura, quelli seri, parlano della possibilità di migliorare il progresso tecnologico. Ma vanno fatte anche nuove discariche, perché le vecchie dovrebbero essere dismesse e bonificate.

A quel punto, mentre sale il sospetto dell’inquinamento, si comincia il valzer della demagogia elettorale. Tutto dovrebbe partire dal pubblico, che è meglio del privato. Perché il privato segue i suoi interessi, e non quelli della collettività. Ma chi le dice queste cose spesso è seduto dietro una bella scrivania, eletto e sistemato per qualche anno a livello economico perché percepisce buono stipendio pagato dalla collettività.

Giusto difendere il territorio. Ma difendere il territorio vuol dire anche curarlo con i migliori mezzi. E se non li hai che fai? Ti viene facile demonizzare il privato, ma tu non hai i mezzi che il privato si è dotato. E allora racconti la supercazzola dell’inquinamento che provoca il privato. Ma la tua discarica è esaurita. Negli anni, assieme ad altri geni, vi siete impantanati in un sistema che si aggroviglia da solo.

Una sorta di gioco del cucuzzaro abbastanza perversa.

Sì, perché il cittadino, quello onesto s’intende, paga. Si lamenta, ma paga. Ma ricopre il ruolo del cucuzzaro, e perciò la prende nel didietro.

E intanto la spazzatura cresce, si accumula, non viene trattata. Cresce, cresce, cresce. Con tutto quello che ne consegue. E la storiellina si ripete da anni, e così le cucuzze giocano con il cucuzzaro, e chi se la prende nel culo? Ovviamente il cittadino che fa il cucuzzaro.

E così poi partono i provvedimenti più fantascientifici che ci possano essere. A raccontarli in un episodio dei Simpson sarebbe divertente, ma qui si abbonda di realtà demenzialmente tragica.

Facciamo l’inceneritore. No, l’inceneritore inquina. Ma poi in altri posti costruiscono inceneritori all’avanguardia e scientificamente testati, ma loro inquinano. Mentre è preferibile tenersi la spazzatura che s’imputridisce sotto casa tua, a discapito dell’igiene e ovviamente della salute.

Realizziamo una discarica fatta a norma allora. Un bel progetto. Sacrifichiamo un terreno e bonifichiamo le vecchie. No, inquinano. E intanto con questa bella scusa ce ne stiamo fermi e assaporiamo l’odore della merda.

Chiediamo aiuto a un privato allora. C’è. Lo autorizziamo con i controlli dovuti e per il momento ci accontentiamo. No, lui è un delinquente e fa gli interessi propri. Anzi, è probabile pure che sia un mafioso. Ma tu che stai dietro la scrivania non dici che fai parte dell’ostruzionismo e che giochi con il tuo comportamento proprio con la salute collettiva. Quindi dovremmo credere a un “onesto” che si comporta di fatto come un criminale, visto che il suo temporeggiare con la salute cittadina è un atto da criminali?

Ma tanto è il gioco del cucuzzaro. Tutt’in culu aru cucuzzaru, dicono a Crotone. E ù culu du cucuzzaru appartiene a quello che paga la bolletta.

La verità è che bisogna difendere l’ambiente e la città. Ma difendere l’ambiente vuol dire anche non perdersi in chiacchiere e comunicati stampa a supercazzola. Difendere l’ambiente vuol dire anche non fare propaganda se le soluzioni non sono a portata di mano. Difendere l’ambiente non vuol dire fare la protesta e basta o il ricorso qua e là, quando tu stesso sei sprovvisto della conoscenza. Difendere l’ambiente vuol dire anche affrontare il groviglio di norme che lo Stato Italiano e le Regioni si sono create per fare dispetto ai comuni. Già, loro sono le eccellenti cucuzze e devono andare intu ù culu du cucuzzaru.

Ma poi un giorno il cucuzzaro dirà basta.

Bene, signori. Ovviamente il racconto è una piccola sintesi della storia della propaganda ambientalistica crotonese, soprattutto in determinati ambienti istituzionali. Non vado nei particolari e nei nomi perché beccherei querele o sarei tacciato per pazzo.

Ma il fatto è che la spazzatura per strada continua ad esserci. Non la spazzatura del cafone di turno. ma quella che si accumula nei cassonetti provocando le cosiddette montagnuole maleodoranti. Vi raccomando l’estate poi. Beh, adesso ci sono le mascherine. Quelle in qualche modo proteggono dal cattivo odore.

Però intu ù culu del cucuzzaro continua a mietere vittime tra i cittadini.

E nel frattempo si parla, si parla, si parla.

Ma di soluzioni sempre intorno al racconto che vi ho appena narrato.

Aurélien Facente, 13 giugno 2021

Coronavirus KR – La paura di un nemico invisibile

   Crotone, 11 marzo 2020, ore 1.56 del mattino

   Non credo di essere il solo ad avere problemi di sonno.

   Sono a casa. Scrivo. Ci provo.

   Il governo italiano dice che ci deve proteggere, e ci intima di stare dentro casa.

   Perché c’è un nemico che si chiama Coronavirus, o Covid-19 se vogliamo essere più tecnici.

   Dopo una breve pausa, riprendo con naturalezza a scrivere.

   Sono un blogger. Devo lasciare una traccia, una testimonianza, un qualcosa che possa darmi sollievo in questa notte silente.

   Ascolto mia madre dormire.

   Anche il mio cane dorme.

   Io no.

   Sono l’uomo di casa.

   Devo restare vigile. Avrò tempo di riposare. Sono abituato a dormire poco. Voglio essere sicuro che tutto sia a posto. Sono un guardiano ormai. Papà, dovunque sia adesso, mi ha lasciato l’eredità di una responsabilità.

   E non posso permettermi di avere paura.

   Mia madre ha paura. Il mio cane avverte la paura.

   Non è una situazione bella. Tempi duri, mi direbbe qualcuno. Già. Sono tempi duri. Ma non mi piego. Perché se mi piego, il male potrebbe approfittarne.

   Io so che è invisibile, piccolo, tremendamente minaccioso, che potrebbe bussarmi da un momento all’altro. Ma non posso permettermi di avere paura. Devo essere forte per mia madre. Devo essere forte perché c’è gente che sta peggio di me, molto peggio di me che magari sta combattendo per la sua seconda possibilità. E anche se dal canto mio potrei starmene comodo a casa a leggere, purtroppo non posso fare a meno di reagire per conto mio.

   Ho un’altra maledizione. Sono diabetico. Per me è importante muovermi. Vitale. Stare troppo fermo mi fa male. Mi alza la glicemia, e mi danneggia.

   Crotone è diventata una zona rossa. Viviamo la quarantena.

   Grazie, Coronavirus.

   Ti ringrazio con tutto il cuore.

   Già ho il diabete che mi ha regalato dei limiti prestabiliti, e prima di esso c’è la celiachia. Sai, quell’intolleranza che non ti permette di mangiare una pizza, un pane, un pasticcino. Cose che ho conosciuto in avanzata età adulta per stare con gli altri, per essere un po’ come gli altri.

   Ora ci sei tu.

   Non ti temo. Non ho paura di te, Coronavirus. So che potrai prendermi alla sprovvista quando vuoi, ma non mi posso permettere di avere paura.

   Sono uscito stanotte. Era l’una. Una breve passeggiata con il cane. Una cosa da incoscienti. Vero. Ma avevo bisogno di respirare. Non seguite il mio esempio. Mi faccio giusto il giro di un grande isolato. Il mio cane deve fare la pipì. Una breve passeggiata di quindici minuti. Quindici soli minuti per… Non lo so. Io sono uno che adora la notte. Sono stato un uomo di notte per tanto tempo, perché in essa il mio cuore trovava rifugio.

   Non tutti possono capire. Mi definisco una scheggia anomala.

   In meno di una settimana, la vita di tutti è cambiata.

   Scosse di assestamento dentro di me per evitare di cedere ai nervi.

   Conosco la mia fragilità. Ci vengo a patti ogni giorno.

   La verità è che la passeggiata notturna di quindici minuti circa è un’abitudine dura a morire. La faccio dopo l’ultima puntura, perché quella camminata aiuta in qualche modo l’insulina notturna a fare il suo dovere. Se sto fermo, mi alzo con una glicemia non accettabile.

   Non ho più l’età della movida. Ho 41 anni suonati, e per molti giovanotti potrei essere classificato come un vecchietto ormai. Dovrei essere più responsabile. Ma quando vivi il male che io ho vissuto… No, non fraintendetemi. Non voglio fare la vittima. E nemmeno voglio apparire come un eroe.

   Sono solo un uomo che passeggia di notte con il suo cane. Una sola piccola passeggiata.

   E sapete perché?

   Perché un cane può fare pipì dentro l’appartamento. E la regola numero 6 ti impone di tenere pulita la casa dove dormi. Quindi sai che seccatura…

   Ecco, caro Coronavirus, tu sei una bella seccatura. Ma veramente una brutta seccatura, anche se sei pericoloso e contagioso. Fattelo dire.

   Il lungomare è deserto. Solo un breve passaggio. Da Piazzale Ultras a Piazza Gramsci. Al distributore di bibite al piazzale, quattro poliziotti cercano di prendere un caffè. Per loro il lavoro stanotte è duro e solitario. Non provano nemmeno a fermarmi. È vero però che sono distante.

   Sul lungomare, incrocio un uomo di colore. Non so dove sta andando, ma nessuno si accorge di lui.

   Il cane fa quello che deve fare diligentemente. C’è umidità e fa freddo. Il mare. Ascolto il mare notturno. Un canto calmo, calmissimo, rincuorante.

   Poi una pattuglia dei carabinieri.

   Mi ferma.

   Mi chiede che ci faccio fuori.

   Gli dico semplicemente la verità al carabiniere, che però non è nemmeno sicuro di che cosa accusarmi. In fondo non posso evadere dalla zona rossa nemmeno se lo volessi, non vado a nessuna festa, non vado a trovare nessuno, sono ben coperto. Il carabiniere è un po’ imbarazzato. Mi dice che rischio la denuncia e che dovrei pagarmi un avvocato. Non mi chiede nemmeno i documenti. Perché la situazione è paradossale alla fine dei conti. Ci lasciamo cortesemente, e con un po’ di comprensione reciproca. L’atmosfera è surreale per entrambi. In fondo, un carabiniere non può permettersi di arrestare un uomo con il suo cane solo per 15 minuti di onesta passeggiata, soprattutto quando l’uomo che cammina a piedi è ben coperto e desideroso di rispettare le regole. La giornata è stata pesante per entrambi.

   Ho sbagliato io a scegliere quel percorso. Lo so.

   Potevo scegliere altro. Oppure potevo starmene a casa. E in questo momento sono a casa che scrivo. Si sono fatte le 2.31, e ancora il sonno non mi è venuto. Dubito che verrà presto.

   Non ho paura, Coronavirus.

   In realtà non ho il tempo di avere paura di te.

   Mi spaventa di più il signor Diabete. Lui sì che sa essere tremendo. Il signor Diabete ti mangia lentamente negli anni. Devi sempre stare a controllarti la glicemia e a rispettare i tempi delle iniezioni. Mi buco quattro volte nell’arco delle 24 ore. Nell’arco di un anno sono 1460 buchi al corpo se ti va bene. Mi buco quattro volte al giorno da 23 anni ormai. E ho fatto le mie cazzate anche.

   Il signor Diabete un giorno mi mangerà, ma non lo farà oggi. Perché mi controllo spesso, e cerco di mantenere la media accettabile per vivere una vita quasi normale.

   Sono abituato a convivere con il signor Diabete da tanti anni ormai.

   C’è gente che sta peggio di me. Lo so.

   Perciò non ho paura, e non posso permettermi di avere paura.

   Coronavirus, ormai sei un’opportunità per me.

   Racconto la tua storia. La sto scrivendo. Tu fai paura alle persone che io voglio bene. Permettimi di essere il tuo compagno di sventura in questo tuo caos nella mia amata e odiata Crotone.

   Sono le 2.40.

   Sono stanco. Ho finito di scrivere.

   Coronavirus, ci vediamo domani.

   Buonanotte.

Aurélien Facente, 11 marzo 2020

PS: Non fate come me se avete letto questa storia. Restate a casa e seguite le regole.