LA BARCA DELLA DISCORDIA E DEL DISSENSO

Vi confesso che non avrei voluto scriverne a proposito di questo atto di vandalismo nei confronti di un’opera che è, di fatto, un lavoro che crea discordia e dissenso. Non avrei voluto scriverne perché sarei tacciato di essere chissà che cosa quando in realtà una formazione artistica la posseggo, e avendo contribuito a mostre e opere d’arte in passato… Beh, una parola ce la potrei mettere.

Facciamo così. Vi propongo una scelta: una pillola rossa e una pillola blu. Se scegliete la pillola rossa, cambiate canale e non andate oltre. Credete che Crotone sia l’unica città al mondo meritevole di considerazione e avete una dimensione favolistica che purtroppo vi rende sensibili. Se è così, prendete la pillola rossa e non andate oltre.

Se invece scegliete la pillola blu, avrete a che fare con la lettura di un pezzo scritto da un blogger spietato, additato come fascista, razzista e quant’altro ancora. Questo è il prezzo che pago volentieri per mantenere lo sguardo dell’oltre, ovvero non fermarmi alla solita apparenza per esprimere chissà quale solidarietà, se prima non si prova a conoscere il male. Non quello che viene raccontato su qualche giornaletto. Si tratta di quel male o malessere tangibile che il più delle volte non viene visto e nemmeno ascoltato. Ora, se scegliete la pillola blu lo fate a vostro rischio e pericolo, ma almeno avrete la possibilità di non sentirvi ipocriti, L’ipocrisia rende ciechi. Invece qui bisogna guardare le cose con chiarezza.

Fermo restando che non ho nulla contro l’attività civica di IO RESTO, associazione che fa del civismo la sua attività principale. Potrei semmai discutere delle scelte artistiche, alquanto kitsch, che puntualmente hanno anche suscitato delle critiche, alcune anche molto ingenerose. Ma se l’arte non suscita dissenso, non suscita emozione. Lo scrisse la scrittrice inglese Jeannette Winterton nel suo bellissimo saggio “L’arte dissente”, oggi introvabile.

Dato che ho citato la Winterton, quindi già questo mi permette di poter dire la umilissima mia opinione, la domanda che mi sorge spontanea è dura ma obbligata: ma che vi credevate?

Partiamo da un presupposto. Qualche notte prima, nello stesso parco Pignera, sono state vandalizzate delle panchine. Gesto compiuto da sconosciuti che prima o poi puntualmente lo avrebbero ripetuto. Cosa avvenuta tra l’altro. Quindi, esiste un problema. E non si risolve con la solidarietà conveniente che si esprime su Facebook il più delle volte,

Partiamo da un altro presupposto storico. La barca in questione non è stata l’unica opera vandalizzata nel tempo. Ce ne sono state altre. Ne cito due: il monumento dedicato alla tragedia delle Foibe, qualche anno fa, ed era stato appena inaugurato. E il monumento dedicato ai caduti italiani in Russia nella Seconda Guerra Mondiale, dopo qualche giorno vandalizzato con scritte oscene.

Gesti compiuti con ovvietà da bulli in una città che in realtà non gli offre grandi aspettative, anche perché ferma mentalmente negli stessi cliché da almeno un buon biennio in maniera ferrea,

Dico bugie? Mi sapete dire quale opera d’arte è stata prodotta in maniera imponente da lasciare un segno nell’immaginazione mondiale? Se escludiamo il Rino Gaetano di Jorit, il resto è zero. Proprio perché si tratta di opere kitsch o di monumenti celebrativi di caduti in guerra che, però, hanno il compito di mettere in risalto i nomi di chi non è potuto tornare a casa, e perciò sono assolti dal dover essere belli per forza.

Ma che Crotone artisticamente parlando esprima del kitsch è fuor di dubbio. Non la prendete come una critica distruttiva. Il kitsch ha anche il suo perché, ma se saputo fare però. Penso al mitico Anton Furst che con un buon uso del kitsch riuscì a rendere uniche le atmosfere del film Batman di Tim Burton nel 1989, tra l’altro campione d’incassi. Ma Furst era Furst. E qui non esiste Furst,

Ora analizziamo l’opera danneggiata dal fuoco.

Un utente straniero si domanderebbe il perché della realizzazione di un’opera del genere. Fermo restando che non discuto l’idea artistica, ma il messaggio che vorrebbe dare.

IN qualche bella giornata un gruppo di persone si è messo all’opera di un lavoro che doveva indurre alla riflessione sui tanti esuli in mare che vogliono arrivare in Europa e che bisogna accoglierli perché qui si vive bene. Io sono d’accordo nel salvare vite umane, ma sarei ancora più felice se nella mia città non ci fosse nemmeno quella bidonville di stranieri che si era rifugiata sotto il cavalcavia Nord (quello che si affaccia ai resti della gloriosa industria di Crotone), oppure mi piacerebbe non trovare gente di notte che non ha un letto dove poter dormire.

Quindi quest’opera nell’immaginario collettivo nasce in un ambiente che è già un controsenso se ci riflettete un po’.

Ma non fermiamoci qui. Andiamo ancora oltre.

Crotone ha un alto tasso di disoccupazione e di precariato lavorativo. Siamo un’isola felice, davvero? La disoccupazione e il precariato eccessivo generano già di per sè una forma di degrado sociale che si chiama povertà, e se imponi un altro tipo di povertà come quella degli esuli, ti raccomando la bomba sociale. La povertà si tollera, scrisse Dominique La Pierre nel suo capolavoro “La Città della Gioia! ambientato in India.

La città si è impoverita, di fatto, e per di più bisogna sopportare un principio di propaganda pseudoeuropeista che incoccia con la realtà di Crotone che è un controsenso continuo.

Quando da appassionato di arte, ho visto l’opera, mi è salito un rigurgito. Non che la disprezzi, ma è il sapore kitsch che non andava. Anche perché, purtroppo per gli altri, avendo studiato all’università i testi di André Gide sul Congo, i testi di Ryzsard Kapuscinski che l’Africa l’ha vista davvero e i testi storici delle colonizzazioni in Africa… Beh, vi lascio immaginare quando ho capito che si trattava del solito film a senso unico su un fenomeno di enorme portata che si riduce al solito chiché per non dirsi di essere… ecco,.. razzisti.

In ultimo c’è un qualcosa che mi disturba artisticamente parlando, ovvero la canonizzazione della disgrazia. In Italia abbiamo la triste mania di canonizzare la disgrazia per autoassolverci di eventi che sono purtroppo capitati. A Crotone si è voluto vivere per forza intensamente un evento tragico come il naufragio di Cutro non affrontando il trauma, ma cercando di autoassolverci come se quel delitto marittimo fosse colpa nostra. E mentre piangevamo, non ci siamo accorti che la città di Crotone ha bisogno di guardare oltre perché troppo prigioniera degli stessi argomenti da un buon quarantennio.

E certo. Perché conviene far vivere un pensiero retrò e restare fermi nel tempo. Come se questo lavasse le coscienze. Nella realtà non è così, altrimenti non si esprimerebbe il dissenso in tal modo. Anche se dà enormemente fastidio.

Ora, rivedendo, l’atto vandalico, non giustificabile, si è venuto a creare un paradosso. Ora l’opera in questione ha il suo sapore di verità. Perché il viaggio nel Mediterraneo, ma anche in altri mari, per la migliore vita non è un viaggio colorato, ma un percorso pieno di insidie e di incognite, e queste persone non arrivano con un transatlantico super attrezzato. Ora l’opera vandalizzata assume la sua reale funzione, e permette di vedere chiaramente il racconto che essa vuole trasmettere.

La tragedia.

Si dice che non tutto il male viene per nuocere.

Ma, qualche volta, capita che un male faccia vedere con chiarezza un altro male.

Anche questa è una verità-

Mi auguro che dopo attenta riflessione si tenga in considerazione di tenere il monumento in questo modo. Ovvero quello di un viaggio difficile e pieno di insidie. Solo così si può far passare il messaggio nella sua verità.

Altrimenti possiamo sempre raccontarci lo stesso film. Un film irritante tra l’altro.

Vi esprimo la mia comprensione perché doverosa. Mi auguro che i colpevoli siano trovati (nutro i miei dubbi qua), e che prima di condannarli a priori si abbia la decenza quantomeno di ascoltarli. Perché a Crotone esiste un folto gruppo di cittadini che non ha ascolto e, cosa più grave, viene denigrato quando solo osa fare una riflessione.

Ma si sa. Capire il dissenso è un argomento troppo difficile qui a Crotone.

Aurelien Facente, 21 maggio 2024

Falcone e Borsellino non avrebbero voluto vivere questa Italia

Trent’anni sono passati da quel maledetto periodo del 1992. Ero poco più che adolescente quando vidi la notizia sul TG5 di Enrico Mentana. La strage di Capaci. La morte del giudice Falcone con tutta la sua scorta. La nascita tragica di un mito che avrebbe fatto vedere quello che era la criminalità nella sua massima barbarie.

Io avevo visto Giovanni Falcone ad un’intervista famosissima al Maurizio Costanzo Show. Una persona rassicurante che sapeva quello che faceva, e che non aveva peli sulla lingua. Il racconto della verità era disturbante. Stavamo iniziando a conoscere il mondo descritto da Leonardo Sciascia che molti percepivano come un film.

Quell’attentato sul ponte cambiò le carte in tavola.

La risposta politica dell’allora Presidente della Repubblica Scalfaro non fu potente a dire il vero. La strage aveva creato sgomento, ma la politica lo percepì più come un attentato che come una strage di eroi che preferivano essere persone che compivano il loro dovere.

Qualche mese dopo, proprio a luglio, toccò a questo signore, il giudice Paolo Borsellino, di cadere vittima con i suoi uomini in un altro attentato di rara crudeltà. Anche con lui morì la scorta.

Paolo Borsellino era più discreto rispetto a Falcone. Non ebbe il piacere di essere protagonista di una bella intervista come accadde per il collega. Ma era un uomo tutto d’un pezzo. Il suo sacrificio fu determinante a farci vedere l’orrore che osava nascondersi e osava a non essere raccontato.

Vidi la notizia della sua morte anche sul TG5, sempre diretto da Mentana. Fu un colpo diverso, ma altrettanto forte. Si aveva l’impressione che erano stati portati via dei fratelli. Fratelli che volevano che l’Italia fosse più giusta e più consapevole.

Su questi due signori si è scritto e raccontato di tutto. Si sono prodotti anche dei film. Vengono venerati da eroi e come dei. Ma spesso si dimentica che loro erano persone prima di tutto. Persone che credevano in una nazione che doveva migliorare.

I media li celebrano come martiri, ma dimenticano spesso e volentieri che questi martiri lottavano per qualcosa che andava oltre il loro nemico, la mafia come abbiamo imparato a chiamarla. Volevano di sicuro un Paese migliore dove la stessa politica trovasse la decenza di essere sincera con i propri cittadini, dove il lavoro della giustizia non fosse visto come una colpa o una celebrazione ma di un’espressione di lavoro, dove l’espressione del dissenso e della denuncia non fossero visti come capricci di una moda ma come l’inizio di una terapia che avrebbe aiutato a costruire esempi.

L’Italia li venera, ma non è una nazione di giustizia e di equità. L’Italia li celebra, ma non ha una politica sincera con i cittadini. L’Italia è un paese che è diventato ambiguo e oggi lo Stato non aiuta il cittadino, ma lo bullizza.

Non credo che Falcone e Borsellino vivrebbero bene questa Italia.

In fondo il male che loro combattevano continua ad esistere, ed è diventato molto più ambiguo. Talmente ambiguo da essere stato realmente bravo ad affondare ancora di più le sue mani nei posti che contano.

Il loro sacrificio è servito per farci vedere il male, ma oggi questo non viene detto a sufficienza. Sì, perché il male in Italia è mutato preferendo altri luoghi.

Oggi l’Italia è più ipocrita, più maligna, più ambigua, più tendente alla propaganda e non alla verità.

Questa Italia non è la nazione che sarebbe piaciuta a Falcone e Borsellino, così come tutte alle persone che hanno combattuto con loro.

Si canonizzano gli eroi in Italia, ma la verità è che il male continua a esistere eccome.

Aurelien Facente, 19 luglio 2022

La brutta stagione degli incendi a Crotone

Io ormai non riesco più a scandalizzarmi di quello che succede nella mia città, soprattutto in materia di incendi. Capitano in ogni città, vuoi per mano criminale, vuoi per casualità, vuoi per guasto a qualche impianto, vuoi per degrado.

L’ultimo weekend è stato pirotecnico.

Due incendi diversi e accomunati dal degrado istituzionale.

Il primo a Parco Pignera al confine stadio.

Un piccolo incendio che per professionalità dei pompieri è stato domato in fretta e con ottima organizzazione. Già, perché a Crotone c’è un’ottima squadra di pompieri. Non lo dice mai nessuno. Però hanno saputo affrontare al confine del parco qualcosa che poteva allargarsi, diciamolo chiaramente.

Poi c’è stato il giorno dopo un altro incendio, in una vecchia struttura dell’Asp quando era Asl a Corso Messina. Sopra vedete la foto. Una struttura volutamente abbandonata tra vari duelli istituzionali e che era ormai ridotta ad un vecchio rudere nel centro crotonese. Prima o poi qualcosa capita sempre.

Essendoci indagini in corso, attendendone l’esito, la sola cosa che mi scandalizza è il dito puntato contro.

Come se la stagione degli incendi a Crotone non ci fosse mai stata.

Ora si usano le seguenti parole: criminali, vigliacchi, seminatori d’odio.

Senza aspettare l’esisto delle indagini. Che sarebbe saggio, dopo aver smaltito una giusta prima rabbia. Siamo umani. Sacrosanto indignarsi. Ma poi lasciare che la giustizia lavori,, e sarà un lavoro difficile.

Perché a Crotone, si sa, l’omertà è una seconda religione.

Ora si urla un po’ di più, ma poi ci sarà il silenzio. E resterà un brutto ricordo da dimenticare.

Ma non spegnerà la stagione degli incendi che non hanno limiti nello spazio e nel tempo.

Crotone è abituata agli incendi.

Mi limito a ricordare i primi anni 2000. C’è stato un anno dove piromani professionisti muniti di veicolo appiccavano incendi, usando come bersaglio automobili di privati cittadini. Questa storia è andata avanti per un anno almeno. Non c’era notte che il bollettino delle auto bruciate non fosse aggiornato. Nel quartiere Tufolo, in una piazzetta adibita a parcheggio, andarono a fuoco ben otto veicoli con fiamme che arrivavano molto alto.

A Crotone le macchine bruciavano.

Ma anche qualche attività è finita in fiamme.

E non sembra che la politica fosse presente a commentare e a condannare e a prendere le distanze. E neanche a discuterne all’interno di qualche consiglio comunale e o provinciale. Meglio stare zitti sul mostro. Lasciamo la cronaca lavorare e la giustizia pure, nel più completo silenzio.

Ma la vicinanza a quei cittadini che hanno perso la loro macchina o la loro attività non era mai stata espressa.

Io ricordo. Magari ci sarà stata della solidarietà nel silenzio, il che sarebbe anche un bene. Ma il silenzio nell’omertà suona spesso come una beffa. Anzi, è una beffa.

Potrei raccontarvi di centinaia di attentati dolosi (e incidenti) accaduti negli anni.

Quello che non va alimentato è l’accanimento moralistico su episodi, indubbiamente gravi, che però vanno contestualizzati e ragionati. Non puoi parlare di attentato se non hai le prove materiali, non puoi parlare di odio se non sai che cosa è pur esprimendolo, e non puoi parlare di innocenza a priori quando magari i potrebbe essere più colpevoli di quel che si pensa.

Io ero presente quando è divampato l’incendio a Parco Pignera. Ero andato a vedere il concerto della Rino Gaetano Band al quartiere dei 300 alloggi. Ho visto partire i pompieri, confidando nella loro professionalità. Ho visto anche le fiamme, ma ho visto anche il più basso istinto moralistico in diretta.

Sono uscite delle storie. Sono usciti anche degli attacchi verso determinate persone. Il processo non si è fatto attendere.

E nel frattempo il vero mostro si è dileguato, perché magari ha ottenuto quello che voleva.

Crotone ha prodotto dei mostri. Certo. Non è complottismo. Si tratta del malessere che si crea all’interno di una società che non vuole armonizzarsi, e che passa da un estremo all’altro. Quando si stava bene, era comodo il silenzio. Ma quando si comincia a star male, il silenzio non va più bene. E in questo frangente nascono nuove forme di mostruosità invisibili. E nel medesimo lasso temporale non si accorge di essere ancora ciechi.

Non ho scritto questo articolo per condannare a priori. Scrivo per comprendere. Perché se voglio trovare il mostro, devo provare a comprenderlo. Non giustificarlo, ma comprenderlo.

In tutto questo urlare al colpevole, è sfuggito un elemento al quale dovremmo un po’ tutti guardare al meglio. Non ci sono stati feriti, e nemmeno vittime. Soprattutto all’incendio di Corso Messina, visto che il palazzo in questione è ubicato vicino ad altre abitazioni.

I pompieri hanno spento le fiamme.

Da altre parti qualcuno dovrebbe spegnere il nero della propria anima.

E ammettere che la stagione degli incendi non ha una sua stagionalità.

Il mondo è cattivo finché voi lo vorrete. In fondo Crotone ha una sua anima cattiva, e questo perché ha voluto tralasciare quella piccola fiamma di bene che andava alimentata. Crotone è piena di problemi. Ma è anche piena di difetti. Il più delle volte non si guarda oltre al proprio orticello. Non si accende la mente e non si accende il cuore.

In un contesto come questo si accende qualche altro tipo di fiamma. Inevitabilmente, soprattutto se in questo posto si sopravvive più che vivere. E in tal contesto l’odio si alimenta facilmente come una fiamma che brucia un foglio di carta che poi diventerà cenere.

Forse è per questo che sarebbe meglio provare a comprendere piuttosto che puntare il dito. Perché Crotone ha una malattia che dura da troppo tempo. E si fa poco per curarla con dovizia. E di certo non la curi con il dito accusatorio assommato alla demagogia.

Aurélien Facente, 30 maggio 2022

Lo sapete come pensa la vittima di un bullo?

Scenario. Crotone. Lungomare. Sabato sera. Ritrovo dei giovani in prevalenza. Periodo: in pausa pandemica, la gente tende ad uscire. I giovani, quelli che la politica decanta spesso e male, sono come bestie incattivite uscite dalla gabbia. Gli episodi di risse e litigi ormai sono una consuetudine, e il fenomeno negativo è affrontato male sotto tanti fronti, a cominciare da quello politico e giornalistico.

Vi spiego come funziona. Due soggetti litigano e vanno alle mani. Le urla e i gesti attirano e si forma la cosiddetta ruota. Andiamo a vedere che succede è la frase che si alterna con le urla dei protagonisti. La rissa non viene solo tra giovani. Capita anche agli adulti.

Sono decenni che questa è una triste tradizione degli usi e costumi crotonesi. I motivi possono essere i più svariati, ma la prima causa è sempre il cervello scollegato dalla realtà, seguita da un certo machismo che deve dimostrare la legge del più forte nella giungla.

Già, perché le bestie incattivite si sentono forti, e soprattutto autorizzate a farsi valere.

Capita anche al ragazzo gracile di uscire e di voler passare la sua serata. Già, perché non tutti hanno il cosiddetto fisico del lupo. C’è anche chi nasce più gattino, diciamo. Mi scuso se uso termini di animali, ma non voglio offendere. Voglio provare a descrivere il fenomeno per come è, senza mettere in ballo razzismo, fascismo e omofobia. Il bullismo, quando si manifesta, se ne sbatte di questi termini.

All’inizio avviene con una battuta. Il bullo, da lontano, fa la sua battuta infelice. A Crotone si usa spesso la parola “ricchione” quando si vede un ragazzo gracile. Se poi si veste in modo non tradizionale o magari ha un nome non comune, allora il bersaglio entra nella mente del bullo, che si autorizza da solo a colpire.

All’inizio lo fa per attirare l’attenzione. Ma la risposta del ragazzo è timida, e sarà sempre mal tollerata. Nelle serate che passano (susseguiti dai giorni) il bullo si rende conto che può continuare a colpire, e ogni volta che colpisce si sente più forte. Non esiste un perché a quello che fa. Per il bullo accanirsi sul prossimo fa parte del rito animale del predatore più forte. Ma mentre un predatore uccide per nutrirsi, il bullo lo fa per altre motivazioni.

Spesso coinvolge il suo branco di amici lupi. Sì, perché si coprono a vicenda e quando il malcapitato prova ad accusare, il gruppo si unisce definendo l’altro come un folle, e che loro magari avevano solo scherzato. All’inizio tutti giocano la carta del fraintendimento, ma non è così. Il loro scopo è sempre passare il tempo per portare avanti la loro supremazia. E sono talmente abili da scegliersi il bersaglio, perché sanno di agire in un contesto dove lo stesso bersaglio difficilmente parlerà e dove l’omertà si tramuta in facili moralismi da Facebook.

E poi capita il sabato sera. Qualche bottiglia di alcol in più, magari accomunata a qualche tipo di droga in alcuni casi. Ma il contesto rende più feroce il bullo. Perché lui si sente forte in mezzo al pubblico. E succede che la provocazione si tramuta in offesa sistematica. La vittima, spesso, si allontana. Sì, perché è meglio ignorare, usare l’indifferenza, piegare la testa. Ma l’indifferenza alimenta la ferocia del lupo, che si sente sempre più autorizzato a perseguitare la vittima. E allora lo segue con la macchina, si procura il numero di telefono per fargli qualche dispetto, si crea un profilo ad hoc su Facebook per disturbarlo.

All’inizio è difficile che le vittime parlino. Perché per loro significa ammettere di essere deboli e inadeguati, e la maggior parte delle volte temono di non essere credute. Perché magari un chiarimento lo hanno chiesto, ma si sono trovati una platea di persone cui non gliene fregava un cazzo di niente. Oppure gli tirano la scusa che è un bravo ragazzo che ha qualche problema e va compreso.

Se accade questo, per la vittima è finita. Perché l’immagine del bravo ragazzo è la perfetta maschera del bullo. E allora si rassegna. E tenderà a subire, senza avere la protezione adeguata. Perché il suo silenzio sarà il prezzo da pagare.

Così gli insulti e gli abusi aumentano. E la vittima continua a soffrire in silenzio. Per un tempo senza tempo. Deve provare a mantenere la pazienza, perché è quello che gli dicono gli altri, tra cui forse anche il genitore. Ma il tempo della sofferenza si allunga e schiaccia.

Quindi arriva il sabato sera. E scatta qualcosa. Magari la vittima si è stancata e risponde al bullo in un modo che non possa essere uno scambio di battute. Inizia l’aggressione fisica e si forma la ruota. C’è anche chi filma. Il circo delle belve si esibisce sul lungomare. Non ci sono tifosi, ma spettatori di uno spettacolo penoso.

Alla vittima non gli farà male il sangue che gli esce dal naso, ma dello sguardo degli altri. Quello sguardo che lo perseguiterà più del pugno. Perché sa che con quel gesto il bullo, il più delle volte, smette di tormentare e andrà per la sua strada. Ma lo sguardo degli altri resta. Perché puoi ammettere di essere più debole, ma non potrai mai farlo se l’umiliazione assomiglia ad un’esecuzione in pubblica piazza.

Il danno è fatto.

Il giorno dopo è sempre il peggiore. Perché dalle botte ti puoi rimettere, ma delle ferite dell’anima no. Non subito almeno. Ci vuole tempo per quelle. E il non sapere quando finirà ti farà ancora più male. L’unica consolazione è che adesso si sa che c’è un bullo che ti ha picchiato e che ha fatto la sua figura. Ma non risponderà alla domanda che ti affligge: perché tu?

Per la tua diversità? Per la tua fragilità? Per la tua unicità? Per la tua debolezza? Perché tu? Sono solo alcune tra le mille domande che ti tortureranno l’anima, mentre proverai a mettere un po’ di ordine in un conflitto emozionale strettamente personale.

Ma il giorno dopo è sempre il peggiore. Perché finisci sulla bolla degli altri, sulle tastiere degli smartphone, diventi il titolo di qualche giornale. La speculazione del pettegolezzo arriverà a farsi passare per solidarietà, e per te sarà il ritratto dell’ipocrisia. Perché tu non crederai a una comunità che è rimasta guardarti, e magari l’aiuto è venuto proprio da chi non ti aspettavi. Sai benissimo che c’è qualcuno di buono, ma sai anche che c’è tanta indifferenza di comodo.

Adesso ti trovi all’interno di un labirinto emozionale, e per trovare l’uscita dovrai fare piccoli passi alla volta. Diventerai più forte, ma sarai anche molto diffidente. Lo so perché ci sono passato anche io.

Ho letto anche io tante parole su Facebook e tanti articoli. Molti a usare il termine omofobia. No, non si chiama omofobia. Si chiama cattiveria. Perché quando un individuo ti perseguita lo fa per cattiveria. Un bullo non conosce volutamente determinati termini perché vuole il passatempo e basta. Lui avrà al sua condanna, ma non sarà facile strappargli il perché delle sue azioni cattive. Perché il bullo lo fa e basta. Puoi provare a parlargli, ma il bullo non ragiona perché non vuole passare per un debole. Potete incolpargli la famiglia per come lo ha cresciuto, ma in realtà il bullo indossa una maschera di crudeltà, e per sfilargliela bisogna che il tempo passi o che almeno provi almeno un po’ di quello che la sua vittima ha provato. E allora capirà, e forse si redimerà.

Crotone, mia amata e odiata Crotone. Il paradiso è soltanto la maschera che i tuoi abitanti indossano per non guardare il lato oscuro della società. Voi, cari concittadini, non avete idea di quante storie come questa siano presenti da decenni. Di sicuro non si affrontano con qualche post su Facebook.

Aurélien Facente, 30 giugno 2021

La morte del signor Nessuno

Ciao, mi chiamo Nessuno. Sono una persona che non ha un volto. Vivo nella tua città. Ogni tanto ti vedo, sai. Magari provo a sorridere. Ma tu non ricambi mai.

Come me, ci sono tante altre persone. Persone senza volto e persone senza nome. Persone che non guarderai mai in faccia, e nemmeno vorrai ricordarle.

Non te ne faccio una colpa. Le persone sono strane. Selezionano, o meglio scelgono con chi rapportarsi. Oppure scelgono di vivere la solitudine a tal punto da voler essere invisibili.

Io sono invisibile ai tuoi occhi. Magari c’incrociamo vicino ad un supermercato, ma non mi degni di uno sguardo. Ti saluto pure, ma il tuo buongiorno è distante. Mi ricambi il saluto giusto per educazione, ma poi finisce lì.

Io sono una persona senza volto e senza nome. Ho una seria difficoltà a farmi vedere da te. Perché i tuoi occhi sono coperti da un velo che non definirei ipocrisia, e forse nemmeno paura. Sono occhi coperti dal velo della convenienza. Perché in una cittadina come Crotone l’apparenza conta eccome.

Nella mia solitudine, riesco a vedere bene le persone. Le vedo ogni giorno. E le conosco pure.

Ogni tanto trovo qualcuno che scambia parole con me. Ma si tratta di una persona senza volto e senza nome come me, magari anche senza casa. Ma ci sono anche persone senza volto che si odiano tra loro. La vita in mezzo ad una strada ci rende talvolta bestie, e a volte è solo il modo di capire che siamo umani anche noi. E quando facciamo vedere questo nostro lato allora ti giri, e ci guardi. Capisci che il signor Nessuno esiste, ma poi basta.

Preferisci lasciarci nella solitudine.

Perché è così che vuole la gente con la quale ti immischi. Meglio stare in mezzo ad una folla piuttosto che provare ad ascoltarci.

Ma non ti condanno, sai. In fondo, magari me la sono cercata. E allora mi merito di vivere questa condanna chiamata indifferenza. In fondo, anche io ci metto il mio.

Molti ne fanno una questione di pelle. Ne vedo di signor Nessuno come me che hanno la pelle diversa e provengono da luoghi lontani. Ma ognuno di noi ha una sua storia, una sua vita, una sua avventura e una sua sventura. Abbiamo la caratteristica di vivere alla giornata, quando sorge il sole iniziamo a vivere e durante la notte proviamo a cercare un riparo. Qualche signor Nessuno lo trova, ma in un posto come Crotone dove non esiste un dormitorio pubblico… Beh, allora diventa la strada la nostra principale casa. Magari mettiamo su una tenda improvvisata. Un buco lo troviamo. E appena scende il silenzio, allora proviamo a dormire anche noi.

Siamo una piccola comunità adesso. Tra noi non ci amiamo tanto, forse perché ogni signor Nessuno è uno specchio riflesso dell’altro. Ma ci facciamo compagnia. E ci chiediamo spesso perché ci troviamo qui.

C’è qualche furbastro tra noi. In fondo siamo esseri umani. Il furbastro se ne approfitta, ma non sempre è così. La società dei qualcuno è talmente egoista che preferisce vederci nella solitudine e nella povertà. Accetta la nostra esistenza. Siamo tollerati, ma non siamo considerati. In fondo, il signor Nessuno non alza la voce e se lo fa diventa un mostro agli occhi degli altri.

Ma chi è il signor Nessuno? Potrebbe anche essere un tuo vecchio amico d’infanzia, con cicatrici profonde causate dalle sventure dell’esistenza.

Per avere un nome, devo aspettare la mia morte. Che magari sopraggiunge. E mi trovano in mezzo alla strada, su una panchina, sull’erba secca di un campo, sulla spiaggia di mattina. Raccoglieranno il mio cadavere, e allora sui giornali è probabile che uscirà il mio nome, la mia provenienza, e magari qualcuno racconterà la mia sventura. E così saprai che sono esistito, e la cosa mi farà sorridere.

Perché tanti dei tuoi pari punteranno il dito contro il sistema sociale e politico nel quale si troveranno. Perché anche loro hanno paura di diventare un signor Nessuno. Per me l’ombra della morte non è evitabile. Sopraggiunge e basta. Ne sono sempre stato consapevole quando ho capito che la mia casa non aveva un tetto. Però esisterò per te quando sarò morto. Una beffa per me trasformata in tragedia da chi lo scriverà sui giornali.

Ma sarò fortunato. Perché forse in questa città ci sarà qualcuno che proverà a scrivere del signor Nessuno, e proverà a raccontare una storia, e proverà a dire che ci sono quelli come me, e proverà a raccontare che bisogna essere consapevoli della propria ipocrisia se si vuole combattere l’indifferenza.

Non sono arrabbiato con te. Tanto, ormai sono morto. Se provi ad accendere una candela per me o solo se provi a spendere un piccolo pensiero per me sarà già tanto. Ma fammi il favore di essere sincero per favore. Perché il 99% delle persone mi dimenticherà nel giro di qualche giorno, e non saprà più nemmeno il mio nome. In fondo è il meccanismo crudele dell’esistenza.

Ma da qualche parte, qualcuno proverà a scrivere del signor Nessuno. E magari gli darà un viso, e scriverà una storia. Non per il gusto di fare chissà quale morale, ma con la voglia di raccontare una storia e basta.

La storia dell’esistenza del signor Nessuno.

Aurélien Facente, 28 giugno 2021

NDA: L’ho scritto ieri, di getto. Domenica 27 giugno 2021 è stato ritrovato sulla spiaggia il corpo di un uomo. Al di là della causa del decesso, i giornali web con le loro prime uscite hanno riportato notizie contraddicenti tra di loro. Prima si trattava di uno straniero, e poi di un cittadino crotonese, e poi non s’è capito bene. Qualche fatto privato magari è fuoriuscito. Sono arrivati puntualmente commenti e condivisioni. Si continuerà a parlarne per qualche giorno, poi arriverà il silenzio. E aspetteremo il prossimo signor Nessuno.

Corrado Augias e i Misteri della Calabria (Lettera aperta)

Dottor Augias, mi permetto di presentarmi. Mi chiamo Aurélien Facente. Abito a Crotone, Calabria. Mi definisco ex giornalista perché non credo che il giornalismo oggi possa definirsi giornalismo. Si tratta di qualcos’altro che umilia il senso dell’essere giornalista, e ci tengo a farLe sapere che questa resta una mia opinione personale perché ritengo che non cambierà nulla.

   Dottor Augias, Le aggiungo che sono un acquirente dei Suoi Libri, tanto che ad ogni uscita ne regalo un esemplare a mia madre, che la segue dai tempi di Babele, la trasmissione che difendeva e divulgava il libro. Altri tempi, vero?

   Ho avuto modo di ascoltare la sua intervista pepata, e di leggerne le parole. Tra il dire e lo scritto ci sono differenze sostanziali, ma il succo è quello.

   Lei definisce la Calabria una terra persa. Lei ha sentenziato sparando su una terra che si trova nel baratro della fragilità da decenni, eppure lei ha speso le sue parole aggiungendo una bella sceneggiatura cinematografica.

   E mi permetto di usare tale tono, dottor Augias, perché in Calabria ho scelto di viverci, oltre che obbligato. E se permette, credo di conoscerla meglio proprio perché ci vivo.

   La Calabria è una terra dai molteplici aspetti. Lei, dall’alto del suo ruolo, la vede come una terra povera, dove tra l’altro la criminalità è all’ordine del giorno. Ci condanna perché la Calabria ha preferito eleggere, attraverso un voto democratico e certificato, una persona che poi è deceduta a dispetto di un imprenditore di grosso valore, che però poi si è dimesso dall’essere capo di un’opposizione che poteva essere alquanto costruttiva.

  

Partiamo da questa storia, dottor Augias.

   Il centrodestra vinse le elezioni regionali, ma con il 56% di astensionimo.

   Non mi sembra che con questi numeri il centrosinistra capitanato dal suo imprenditore abbia fatto miracoli.

   Anzi, dopo qualche mese si è addirittura dimesso. E non sembra che qualcuno del centrosinistra si sia opposto in maniera dura.

   Non parlo di altri contendenti, perché non sono entrati nel Consiglio Regionale.

   Dottor Augias, parliamo di quel 56% di astensionismo. Siamo una terra persa perché abbiamo rinunciato a votare? Beh, sì. Ma sa perché il calabrese non vota? Per superficialità? Io direi che per decenni sacche di politica nazionale hanno ingannato le speranze dei calabresi, sacche di sinistra e sacche di destra.

   La Calabria ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile, perciò produce emigranti, che poi vanno a sistemarsi da Roma in su se decidono di stare in Italia. Devono trovare un lavoro come si suol dire, e non sempre, anzi spesso, si tratta di un lavoro stabile. Certo, c’è gente che si distingue anche bene a livello professionale. Abbiamo medici, ingegneri, avvocati e anche artisti che nel mondo fanno la differenza.

   Ma chi è rimasto qui non è solo un criminale. Semmai è nato in un sistema ipocritamente alimentato anche dalla sua amata politica dei diritti.

   Vede, dottor Augias, ho 40 anni superati. Diciamo che, tolta la fase liceale della politica dove si è più sognatori, ho saggiato con mano quello che la politica degli ultimi 25 anni è riuscita a fare ai danni della Calabria, in tutti i settori tra l’altro.

   Quando chiedevamo più medicina di qualità, ci hanno lasciato con il minimo indispensabile (secondo loro). Quando chiedevamo più studio, qui sono stati capaci di chiudere plessi scolastici e universitari. Quando chiedevamo più lavoro, ci hanno mandato la precarizzazione del lavoro con annessi sciacalli che si sono mangiati i contributi dello Stato. Uno Stato che non ha saputo essere Stato.

   E quando le sacche di povertà aumentano, caro dottor Augias, anche le sacche criminali aumentano.

   Ma in Calabria ci sono anche le brave persone, quelle vorrebbero farsi il mazzo fino a prendersi frustate sulla schiena solo per dimostrare di essere degni di essere calabresi, e che qui delle buone cose si potrebbero fare eccome.

   Queste persone meriterebbero quantomeno il Rispetto con la R maiuscola. Perché ci sono persone che hanno avviato il loro Lavoro cercando di essere il più Utile possibile alla società. Cercano di dare un segnale di positività e un esempio alle generazioni che potrebbero e dovrebbero migliorare la loro Terra.

   La Calabria è una terra strana, dottor Augias. Ricca di cultura da vendere, ma strapiena di gente che non è stata fatta crescere per come dovrebbe essere. Certo, ci considerate “persi”. Ma questo lo hanno voluto quelli di Roma, o meglio quelli che stanno a Roma a occupare poltrone. Non lo hanno mica voluto i calabresi.

   Anzi, i calabresi sono doppiamente vittime. Diciamo tre volte vittime.

   Vittime della ‘ndrangheta, perché la criminalità si è sostituita dove lo Stato non c’era o non voleva farsi vedere.

   Vittime dello Stato, perché degni rappresentanti nazionali venivano qui solo per i voti e basta. Ci avevano promesso che alcune industrie avrebbero continuato la loro attività, ma adesso ci sono gli scheletri. Certo, lo Stato non si può occupare di tutto, ma qui lo Stato non pensa, caro dottor Augias. E noto che il problema non è solo calabrese e basta.

   Poi siamo Vittime di Noi stessi. Vero. La nostra diffidenza ci ha portato a non votare più come prima. Non le elenco i perché solo per il fatto che ci servirebbe un libro a parte. Un libro che potrebbe scrivere lei, dottor Augias. Ma che non farà, perché una Persona del Suo Calibro Culturale non potrebbe scendere in Calabria per qualche periodo solo per provare a raccontare quello che c’è di buono dal quale ripartire.

   Lei ha tutta la cultura per esprimere un giudizio sulla Calabria, caro dottor Augias. Grazie di averci condannato. Ma non è della condanna di cui abbiamo bisogno.

   Abbiamo bisogno di qualcosa di più positivo.

   Abbiamo esempi positivi, sa?

   Abbiamo il Procuratore Gratteri, giusto per citare il più discusso. Ma il suo è un lavoro lungo e solitario. Abbiamo qualche scrittore, qualche musicista, qualche imprenditore, anche un premio Oscar. Abbiamo borghi bellissimi e templi da raccontare. Abbiamo ristoratori che danno lezioni a tutto il mondo nella cucina che producono. Abbiamo gente che riesce a dare il massimo pur avendo pochissimo.

   Però siamo una Terra Persa.

   Le faccio una domanda, dottor Augias, perché lei l’ha presa dal punto di vista politico. Si metta nei panni di un calabrese qualsiasi. Magari un tipo che possiede una piccola pompa di benzina sulla Statale 106. Si presentano alla sua pompa decine di candidati, di destra e di sinistra. Tutti a fare delle promesse che potrebbero essere mantenute. Uno sviluppo migliore della Statale 106, un aeroporto da realizzare non lontano dalla pompa di benzina, magari anche un porto, o anche riprendere la stazione dei treni nel paesino dove vive il benzinaio. Magari gli promettono anche un ospedale che per adesso è piccolo, ma che crescerà. Magari promettono anche investimenti mirati per avviare un’economia, così magari i figli possono pensare di potersi fare una vita nel paesino.

   Eppure gli anni passano, i candidati cambiano, e le promesse svaniscono nel nulla.

   E secondo lei, quel benzinaio ormai anziano, perché dovrebbe credere all’ennesimo candidato che si presenterà alla pompa di benzina’

   Sa, dottor Augias, la Sua Profonda Cultura è eccellente, ma la vita è anche fatta di queste storie. Da queste persone che smettono di illudersi e nel credere nei fantasmi.

   Io rispetto le sue Idee Politiche, caro dottor Augias. Ma qui queste idee sono state delle maschere usate per fare propaganda e basta il più delle volte.

   Ecco perché il suo imprenditore ha perso le elezioni. Perché non si vota una persona perché ha la sua storia imprenditoriale. Si vota una persona perché ama la sua terra. Quell’imprenditore ama la sua terra, ma anche la donna di destra amava la sua terra. Questa donna ha avuto pochi mesi per esprimersi per poi andare tra le braccia del silenzio. Nonostante avesse un male, si era messa a disposizione e voleva prendersi cura di questa terra. Certo, aveva le sue idee. Ma erano idee sulle quali si poteva quantomeno discuterne. E anche questa signora mi ha dato l’impressione che fosse sola, così come lo sono quelli che amano la loro Terra prima di tutto. Mi dispiace che lei, dottor Augias, veda il fantasma del fascismo nelle persone che abbraccino un’idea diversa. E se non è fascismo, diventa ‘ndrangheta, e se non è ‘ndrangheta diventa qualcos’altro di negativo.

   Bene, dottor Augias, io non mi ritengo offeso se in onda nazionale si parla della Calabria, anche nei suoi aspetti negativi. La Calabria è una parte fondamentale dell’Italia che produce, viste le migliaia di persone che sono state le mani sporche dell’Italia industriale e gloriosa che si è fatta valere nell’eccellenza.

   Ma è facile sentenziare da dietro uno schermo televisivo, dottor Augias.

   Mi permetto di rivolgermi così a Lei, dottor Augias, perché c’è stato un tempo che io ho odiato la mia Terra. E quell’odio si comportava come un fantasma. Mi annebbiava la vista. E ho perso tempo per lavorare a contrastare quest’odio.

   Critico la mia terra ancora oggi. Ma non la critico, condannando e basta. Cerco di farlo raccontando e proponendo una testimonianza non ipocrita, perché il lavoro da fare e tanto. Come il sottoscritto, c’è una voglia anche da parte di altri di raccontare per poi provare a ripartire e trovare nuove direzioni. I calabresi hanno bisogno che qualcuno li racconti, ma che non sia uno che li racconti da dietro uno schermo televisivo.

   Perciò la sfido in senso letterario, dottor Augias.

   Si prenda un periodo per scendere in Calabria. La venga a visitare. La racconti per quello che è. La osservi da vicino. Cerchi di sentirne gli odori. E ovviamente si faccia accompagnare dai colori della Terra di Calabria. Venga a respirarne l’aria. Si faccia un giro, magari incontrando tante persone. Venga a comprendere il male e venga a scoprirne il bene. Nessuno di noi è immune da difetti, ma qui c’è voglia di migliorare. Poi magari ne scrive un libro, e noi lo compreremo. E lo leggeremo e lo racconteremo.

   Ma ci faccia un favore.

   Non sentenzi sulla Calabria dentro una trasmissione televisiva. Non lo faccia.

   Perché la stragrande maggioranza di chi va in televisione non ha mai avuto il coraggio di raccontare la vera Calabria.

   Ovviamente le invio i miei apprezzamenti, aspettando con ansia il Suo Nuovo Libro in libreria.

Aurélien Facente, 24 gennaio 2021

Caro Roberto, a fare il bullo è facile…

Nota dell’autore: per precisazione, la seguente lettera era stata già pubblicata, ma il contenuto tematico (bullismo) resta lo stesso. Buona lettura.

Ti chiamerò Roberto. Un nome generico. Non ti preoccupare. Non farò il tuo nome, né il tuo cognome, e cercherò di evitare allusioni al tuo aspetto fisico e alla tua vita privata. Però qualcuno capirà chi sei, caro Roberto, e magari te lo riferirà. Ti potrai arrabbiare quanto vuoi, ma se sono arrivato a scriverti una lettera pubblica, beh… ti prego… Non prenderla come un atto di guerra, ma nemmeno come un atto di pace. Ti voglio solo invitare a riflettere sulle tue azioni, sulle tue parole, sul tuo modo di atteggiarti con me.

Devo essere sincero. Sono settimane che ci penso, però è doveroso farlo, perché io quello che voglio, mio caro Roberto, è solo godermi un’esistenza tranquilla e basta.

In verità, caro Roberto, ho deciso di scriverti e di rendere pubblica questa mia lettera perché c’è una cosa che mi ha colpito di te.

Mi è stata mostrata una foto di te con tua nonna. Una foto tenerissima, a dire il vero. Mi ha fatto piacere che dietro la tua scorzetta da bullo si nasconda un essere umano, il che è già qualcosa di straordinario. Io sono felice che tu abbia la fortuna di goderti la tua amata nonna. Non tutti hanno la fortuna, vista la tua età anagrafica adulta, di godersela. Ed è bello che tu lo abbia testimoniato questo enorme affetto.

Ma vedi, caro Roberto, poi succede che m’immagino che magari un giorno tua nonna veda il tuo comportamento di te nei miei confronti… e allora mi domando che cosa proverebbe nel vederti mentre mi segui con la macchinina a gridare che io sono frocio, ricchione, coglione, cretino? Che cosa proverebbe nel vederti mentre punti il laser di un giocattolino comprato alla fiera contro la mia faccia? Secondo te, sarebbe orgogliosa di vedere il nipote a fare queste cose?

Vedi, caro Roberto, io credo proprio di no.

Magari non te lo dirà, ma il suo sguardo cambierebbe verso la delusione, e non credo che la voglia vedere delusa, anche perché è una donna che ha dimostrato nel tempo di essere molto forte e paziente, e sai che non merita questo.

Oddio, caro Roberto, mi rendo conto che questo discorso non potrebbe essere opportuno, perché magari alimenta il tuo elemento di rivalsa nei miei confronti, e rischio di peggiorare la situazione. Ma tu non sei un ragazzino. Sei un adulto, cazzo! E perciò mi appello alla tua parte umana, chiedendoti di smetterla di credere di passare il tempo sulla mia pelle, solo perché tu e qualche tuo amico vi annoiate…

Vedi, caro Roberto, non sei il primo bullo che conosco, e credo che non sarai nemmeno l’ultimo. Non rientri nemmeno nella classifica dei migliori “bulli” con cui ho avuto a che fare nei miei miseri 38 anni di vita. NdA: la lettera è stata scritta nel 2017.

Tu, come tutti i bulli, pensi che io sia una persona incapace di reagire, una persona da prendere in giro e offendere solo perché devi passare il tempo o addirittura per dimostrare la tua superiorità o per farti figo. Il discorso è sempre lo stesso alla fine dei conti. Tu, forse, non lo sai e nemmeno vorrai saperlo, ma io il bullismo lo conosco molto bene. L’ho subìto per anni a Crotone, a causa di mentalità ristrette e ottuse. Tu non conosci i danni che mi ha fatto quando lo subivo, e non ti racconto le conseguenze emotive e fisiche che mi sono trascinato per anni. Certo, diventi strano agli occhi degli altri, e allora poi un bullo trascina l’altro, come se tutti foste autorizzati a massacrare una persona che non sa perché è condannata.

Poi un giorno qualcosa cambia. Anche la vittima può reagire. E se lo fa con una certa intelligenza, magari ribalta i ruoli. Oppure un giorno ti accorgi che tu hai un problema che non riesci a risolvere, e la vittima delle tue brutte parole è la sola persona che potrebbe aiutarti. Sai come di solito finisce? Che non riceverai quell’aiuto, perché ogni volta che mi prendi di mira è un colpo che ferisce la mia fiducia.

Perché dovrei fidarmi di te? Perché dovrei aiutarti, soprattutto se mi vedi dall’alto del tuo piedistallo e mi definisci “frocio” solo perché ti va di passare il tempo? E nelle tue imprese dove vuoi giocare a essere il “the best” ti trascini tanti amici diversi… e c’è qualcuno che ti regge il gioco. Lo so perché lo vedo, e ascolto.

Tu pensi che non reagirò, ma intanto sto prendendo appunti… e poi arriverà quel giorno dove tu avrai bisogno… perché poi un giorno potrebbe capitare che la vittima del bullo possa essere un tuo nipote o forse tuo figlio… e allora che farai? Gli dirai di sfidare una banda di bulli a mani nude pur non avendo il fisico adatto per farlo? Perché quando questo bimbo nascerà, a te non importerà come sarà fisicamente perché sarà tuo figlio, sarà parte di te, della tua anima. Sarà quella gioia che ti darà forza nei momenti difficili della tua esistenza, e farai di tutto per dargli quelle possibilità che tu non hai mai avuto.

Roberto, io questi sentimenti li conosco bene e un giorno magari ti spiegherò perché li conosco bene.

Io non ti sfiderò nel dirti che sono migliore di te, caro Roberto.

Io ti sfido nel dimostrarmi che tu puoi essere migliore di quello che sei adesso, mascherato da un orgoglio stupido che ti rende mediocre ai miei occhi.

Roberto, non pretendo di essere capito. Pretendo di essere rispettato nello stesso modo in cui tu rispetti gli altri.

Io lo so perché mi hai scelto come vittima. Perché hai sentito parlare di questo Aurélien molto strano che non si sa bene quello che fa, e siccome è strano allora bisogna massacrarlo d’insulti.

Bene, Roberto, vuoi che ammetta le mie debolezze?

Devo vergognarmi del nome che mi ha dato mia mamma?

Devo vergognarmi perché non posso bere una birra Peroni in quanto celiaco?

Devo vergognarmi perché mi faccio quattro punture al giorno d’insulina causa diabete?

Devo vergognarmi di chi ho amato e di chi amo?

Devo vergognarmi perché scrivo queste cose, con la consapevolezza che le mie parole scritte serviranno a ben poco…

Sottovaluta, Roberto. Ne ho visti passare bulletti prima di te. Tutti poi a vergognarsi di quello che hanno detto. Dopo un po’ se ne stanno in silenzio, oppure mormorano a voce bassa. Perché poi arriva un momento dove la vita ti prende e ti porterà a fare la scelta che non vorresti fare o ad affrontare quello che non auguri nemmeno alla persona che ami di più.

E allora che fai, Roberto? Continui a fare il bulletto? Continui a voler passare il tempo insultando e sbeffeggiando il prossimo?

Io sono cresciuto in una città che amo e che odio. Amo i colori della mia terra, ma odio le persone che si comportano come te pronte a prendersele con il prossimo solo perché appaiono più deboli, o solo perché hanno fatto una scelta diversa dalla tua.

Io lo so perché mi sfidi certe volte, caro Roberto. E mica te lo dirò qui, caro Bob. Perché se lo dico poi ti dovrai guardare allo specchio e vederti per quello che sei adesso agli occhi miei.

Vedi, caro Roberto, tu e i tuoi compagnucci avete urlato che faccio schifo perché scrivo… Non la prendo come un’offesa perché voi riconoscete che io scrivo, e mi basta quello per urlare la mia misera vittoria, una vittoria della quale nemmeno m’interessa più di tanto.

Perché la mia vittoria, caro Roberto, è farti vedere che alla fine dei conti sono una persona capace di pensare e di risponderti, anche a tono visto che poi copi apertamente le mie battute, e questo mi fa capire che tu, dentro la tua parte più intima, in qualche modo provi ammirazione per me. E sai perché? Perché mi dai importanza? M’insulti, e sai che non ti ascolto… eppure ti prendi il lusso di far fare all’amichetto di turno il giro dell’isolato per dimostrare che cosa?

Che sono “gay”, “frocio”, “coglione” o altro? È questo il passatempo che insegnerai a un tuo eventuale figlio? È questo che vuoi far vedere alla tua splendida nonna?

Non fare agli altri quello che non vorresti che fosse fatto a te.

È una legge che vale sempre.

Roberto, vedi… Io ho imparato che cos’è toccare il fondo dell’abisso… Potrai picchiarmi, insultarmi, offendermi… ma niente di quello che potrai farmi mi farà male… perché sono cose già vissute, e già superate… Continuerò la mia strada come sempre, e fischietterò anche…

Io forse faccio schifo perché scrivo, ma tu fai più schifo di me ogni volta che ti mostri nella tua misera mediocrità, sapendo che puoi essere migliore quando vuoi.

Con stima e rispetto,

Il tuo amico di quartiere Aurélien Facente

Alla fine saranno i bambini a dare la migliore soluzione…

Stamattina ho fatto un giro in città. Ho incontrato un amico, e abbiamo deciso di farci un giro in auto, tutti e due con la mascherina. Quindi rispettosi delle precauzioni contro il coronavirus.

Poi verso le 13, siamo arrivati alla discesa di Via Roma, Crotone. Traffico intenso. Il traffico che si ha in quella zona è tipico delle uscite da scuola. Sembrava di aver fatto un salto indietro nel tempo, di quando tutta questa follia preventiva non c’era.

Ho abitato nei pressi di una scuola per 25 anni. Per innumerevoli mattine ho visto bambini diventare adolescenti, genitori che vedevano crescere i loro bambini e lasciarli poi autonomi per andare a scuola. Ho visto vita giovane provare a diventare adulta. Ho visto anche adulti invecchiare. Ma lo sguardo dei bambini non te lo scordi, soprattutto quegli occhi pieni di quotidianità, fatta di sorrisi e talvolta di tristezza, ma con l’accettazione di voler diventare adulti.

Stamane, nonostante le mascherine, ho rivisto quei piccoli sguardi che alimentavano il loro spirito. Certo, il virus c’è. Ma non piegherà mai quello sguardo pieno di gioia e di prospettiva. I bambini cadono, ma si rialzano subito. Magari piangono, ma per loro la paura passa. Perché è così che crescono. Il bambino affronta un passo alla volta le sue paure, e tira avanti per la sua strada. Se poi c’è l’adulto ad accompagnarlo è meglio per tanti aspetti, ma i bambini non amano la paura. Piangono o urlano quando si fanno male, ma poi sempre pronti a rialzarsi. Quando accade, i genitori si tranquillizzano.

Molti genitori dovrebbero entrare in questo meccanismo e starli solo a guardare. Vedrebbero tante cose che servirebbero pure a loro. Senza nessuna ipocrisia.

Perché stamane, pur non essendo genitore, ero felice come i bambini stessi. Perché assaggiavo la libertà, mi mettevo alla prova, ero contento di saltellare come potevo. Perché i bambini non rinunciano mai a vivere, nonostante l’adulto provi paura. Una comprensibile paura, ma che un bambino non proverà mai. Perché il bambino ci tiene a voler essere forte, ed è pronto a far buon viso a cattivo gioco.

Molti adulti hanno dimenticato lo spirito dell’infanzia. Si tengono ancorati alla realtà mettendosi delle catene addosso, e si lasceranno mangiare dall’incertezza. Perché questa incertezza si nutre dello spirito umano come un cancro, e se ci si dimentica di essere stati bambini allora essa prende il sopravvento.

I bambini seguono sempre l’esempio che gli mostra il coraggio. Fateci caso. L’empatia dell’infanzia è molto particolare. Quando ero bambino, sceglievo la compagnia dell’adulto che mi dava sicurezza, ma anche allegria. Sceglievo l’adulto che provava a rispondere ai miei perché. E tra mamma e papà, ho anche il ricordo di maestri e professori che non solo mi hanno insegnato la materia, ma anche l’approccio alla vita stessa. Tra questi ci sono anche soggetti che non ho ascoltato, ma perché non erano chiaramente esempi di vita. Ma quando sei infante, tu cerchi inconsapevolmente l’esempio di vita e non l’esempio dell’insegnamento, che viene dopo perché i bambini hanno bisogno di tappe per crescere.

Il sorriso salutare dell’infanzia regala un attimo di speranza per il futuro, anche quando ci sono incidenti di percorso.

I bambini sono tornati a casa, accompagnati dai loro genitori abbastanza increduli e spaesati, ma pronti per riportarli nella propria dimora.

Poi è sopraggiunto il silenzio. Quel silenzio che addormenta la vita, ma non la uccide.

Non c’è niente da fare. Il sorriso di un bambino spegnerà sempre l’ipocrisia del mondo adulto.

Aurélien Facente, 11 gennaio 2020

Cari genitori, bisogna ammettere ai vostri figli che avete una paura matta, altrimenti non ve la perdonano

Crotone, gennaio 2021. Per fortuna non ci si può lamentare dell’inverno. La natura ci sta regalando qualche giornata piena di sole, e forse è questo che rende triste il crotonese medio. Non può passeggiare come prima, e deve stare attento. C’è il coronavirus in giro.

   Ora detta così, sembra che voglia mancare di rispetto a chi il coronavirus lo ha avuto o a chi lo ha vissuto pagandone il prezzo. Purtroppo avviene anche per altri mali, e mi stupisce il comportamento isterico dei crotonesi che hanno vissuto la strage dei tumori.

   Una delle cose più insopportabili è la litania della scuola, e qua il governo c’entra assai.

   È stato ragionevolissimo chiudere nella prima fase le scuole. Avevi a che fare con il coronavirus la prima volta e non sapevi come gestire la cosa. Il problema è che i genitori, già abbastanza preoccupati del loro destino incerto, sono stati alimentati da una comunicazione, anche governativa, fatta solo di incertezza che ha anche coinvolto gli addetti ai lavori, non offrendo garanzie e tranquillità.

   E voi pensate che siano stati i genitori a pagare tutto lo scotto?

   No, sono stati i bambini e i ragazzi ovviamente.

   Con un prezzo fatto di egoismo puro e crudo pur di nascondere la fifa.

   Sia chiaro. Non vado contro la patria potestà genitoriale, ma mi piacerebbe ascoltare le opinioni dei bambini e dei ragazzi. In fondo si tratta della loro possibilità di costruirsi un futuro, eppure cadono vittima di un sistema che ha soltanto prodotto isterismi ed incertezze.

   Qualcuno mi direbbe: “Tu non sei un genitore e non sai che cosa significa.”

   Io rispondo: “So però che cosa vuol dire essere figlio e so che cosa vuol dire quando un genitore usa il bavaglio della paura pur di sentirsi dire che ha ragione, pur sbagliando clamorosamente.”

   Crotone, ma non solo, ha offerto il peggio sulla tematica scuola, proprio cominciando dai genitori.

   Il governo, nell’incertezza, ha dato delle concessioni, pur promuovendo la didattica a distanza, detta DAD (il che mi preoccupa perché la sigla è l’appellativo di papà in inglese, dad appunto). Ma la DAD ha bisogno almeno dell’acquisto di un buon PC. Certo, c’è lo smartphone, ma i ragazzi mica si possono rovinare la vista per stare dietro a lezioni che non sono lezioni. Meglio leggere direttamente qualche buon libro o visionare documentari. Più efficaci, se permettete.

   Ma ovviamente non sono io a decidere.

   Credo fermamente che la scuola e i genitori abbiano perso, almeno parlo per Crotone, la voglia di parlarsi, quindi di avere un’occasione per dibattere sul futuro. Perché dopo sessanta giorni di lockdown si poteva tranquillamente giungere ad una prima conclusione sull’efficacia della didattica a distanza, o almeno provare nuove strade lecite. Basta usare l’ingegno, che fa parte dell’intelligenza o del buonsenso.

  E invece la litania dell’esistenza del virus e basta, senza neanche domandarsi se i propri figli avessero qualche domanda da fare, poiché si tratta di un dibattito che riguarda il loro futuro. Ma no. Meglio crepare di paura e continuare a distruggere, piuttosto che provare ad avviare una discussione fatta di idee (ma si sa che è meglio andare dove porta l’istinto, piuttosto che provare a usare l’intelletto).

   Una brutta pagina di egoismo.

   Fermo restando che sono per la decisione libera del genitore per quanto riguarda la gestione e l’educazione del proprio pargolo, delle quali però se ne deve assumere anche la responsabilità.

   Sono fioccate ordinanze regionali e comunali, seguite a loro volta da ricorsi presso la giustizia. Genitori che hanno espresso legalmente il loro dubbio e ognuno adducendo una propria motivazione legittima. E così accadde il massacro mediatico su Facebook, una delle pagine più vergognose della vita cittadina crotonese.

   Invece di provare a comprendere (almeno per iniziare un dibattito), meglio massacrare e insultare genitori che volevano alquanto capire (oltre al fatto che ognuno presenta una problematica diversa, e almeno in quella andavano quantomeno rispettati).

   Ora il governo italiano ha deciso di riaprire le scuole, usando un misto tra presenza e didattica a distanza. La scuola deve riaprire perché bisogna dare prima di tutto un segnale di coraggio e di ripartenza, e poi sia i bambini sia i ragazzi sapranno dare la migliore risposta in ogni caso, quella risposta che il mondo adulto non ha saputo e nemmeno provato a dar loro.

   Io sono stato bambino e ragazzo, e in più sono stato figlio di insegnanti. Ma conosco anche il mondo dei malati per questioni strettamente personali. Sono stato abituato a rispettare la malattia, ma non a farmi soggiogare dalla paura. La malattia può anche essere un ottimo motivo di discussione sul futuro, mentre nel presente lasciamo che gli addetti ai lavori trovino una soluzione terapeutica.

   Provare a non avere paura è la migliore risposta che si possa dare al mondo medico, oltre ovviamente al rispetto delle precauzioni fin dove è possibile.

   Tanto poi la storia umana prima o poi prenderà la sua risposta migliore. Che lo faccia socialmente o a livello medico poco importa. L’essere umano è stato capace di convivere anche con peggio.

   Però vorrei chiedere qualcosa ai genitori, che più o meno fanno parte della mia generazione (ho 42 anni). Ma al di là delle vostre legittime preoccupazioni, non temete il giudizio che avranno i vostri figli vedendovi così fragili e incerti (oltre che un poco fifoni)? Sapete perché vi faccio questa domanda? Perché credo nell’opportunità del dialogo. Ed è in momenti come questi che la famiglia e la scuola dovrebbero parlarsi, piuttosto che dare peso alle paure. Perciò fate un bel respiro, abbattete la vostra paura egoistica, e iniziate adesso a parlare. Altrimenti sarete voi che avrete bisogno di tornare a scuola, magari in compagnia dei vostri figli più piccoli.

   La vita, dopotutto, è fatta per essere vissuta. E non esiste solo il virus, dannazione!

Aurelien Facente, gennaio 2021

Coronavirus KR – Diario dalla Zona Rossa, giorno 2 e 3

   Giorno 2, sabato mattina.

   Mi sveglio un po’ tardi. Dormo bene. Molto bene. Mi sto riprendendo la forma. La solita routine. Ti lavi e fai colazione. A casa si usa la cucina uno alla volta. Tra poco esco, e poiché in famiglia sono io quello che esce, allora le precauzioni vanno prese al massimo, anche se può costare un bacio o un abbraccio.

   Le notizie dicono che il virus sia in giro, ma ci sono parecchi asintomatici. Il che potrebbe anche essere positivo a pensarci. Ma la paura regna sovrana. Troppa paranoia in giro.

   Apro Facebook. Circola un video preso dalla tv. Un’intervista surreale a un certo generale Cottarelli. Quante condivisioni. Credo che ben presto sarà offerto alla pubblica piazza televisiva. Chissà chi si aggiudicherà l’esclusiva…

   Giorno 2, sabato pomeriggio

   Si legge. Un libro che parla di comunicazione. Non ho mai terminato gli studi, a dire il vero. Io non conosco nulla ancora. Non conosco proprio niente. Ma il mio niente è tanto rispetto al pensiero unico dominante. Non mi si perdona di non provare paura e preoccupazione. Lo so che è un comportamento odiato. Ci si allontana dal singolo per abbracciare il gruppo. Girano voci di un’altra protesta. Vogliamo scommettere che non ci sarà? Crotone non è Cosenza, non è Catanzaro, non è Reggio. Evito di leggere i commenti su Facebook sugli eventi calabresi. C’è un dato di fatto, però: la gente ha cominciato a parlare. Troverà presto la sua dimensione. Benvenuti nella realtà, calabresi.

   Giorno 2, sabato sera

   Mi manca il cinema. Mi manca sedermi sulla poltrona della sala, e stare in silenzio a guardare il film. Mi manca stare in mezzo agli altri in silenzio. Mi resta solo uscire discretamente la sera con il cane. Poi torni a casa. Mangi. Non puoi permetterti di sognare più di tanto. Devi solo badare al sodo. È iniziato il daily direct. Ogni giorno una diretta, per far vedere che sono vivo almeno. La mia sopravvivenza può essere una rassicurazione per qualcun altro.

   Giorno 3, domenica sera

   Tutti incollati allo schermo. Non io. Mi bastano le testimonianze altrui mentre sparlano della tragicommedia del generale. Io non ho mai capito a pieno il giornalismo di Giletti. Un giornalismo che fa la morale e dà ospitalità a qualcuno che tenta di uscirne fuori da qualcosa di bollente. Si vede da lontano che è costretto a trattenersi, e a dare peso alla commedia. La storia delle immediate dimissioni per poi sbarcare alla tv nazionale e darsi in pasto al pubblico può convincere la massa. Una persona sana di mente non lo fa se prima non ha il culo coperto. E nonostante la presenza di Lino Polimeni che si lancia alla ricerca di scuse ipocrite, l’effetto è quello di un brutto film comico. E la gente che ci casca pienamente perché è quello che vuole. Un bel giochino delle apparenze. Con la fabbricazione di un mostro da mettere sullo schermo, la gente dimentica il vero succo della situazione: che al governo centrale non gliene frega un cazzo dei calabresi, e che farà ben poco al momento. E offrendo il mostro in pubblica piazza, il governo si defila e non ti chiede nemmeno scusa. Non so se la gente si preoccupa di quest’elemento. Intanto lo show è solo iniziato.

   Provo a fare una diretta. Ma alla gente non gliene frega di vedere il trucco che gli hanno combinato…

Aurélien Facente, novembre 2020