Le avventure del professor Vincenzo perseguitato dalle teorie strampalate di Fantapall

Il mio Whatsapp ogni tanto salta. Alcuni mi inviano articoli che sembrano più delle barzellette che pezzi inerenti l’attualità. Una della testate più condivise in città è Fantapol, che io definisco affettuosamente Fantapall.

   Sì, perché a raccontar palle è abbastanza abile. In piena emergenza coronavirus, standosene bene a casa, il giornalista racconta di risse violente nei supermercati, risse mai avvenute. Giusto per fare un esempio.

   Però è divertente, devo ammettere.

   Ogni tanto un sorriso ci vuole, ma poi la cosa è seccante quando si vuol far credere di essere padroni della verità.

   Bene, Fantapall in questo periodo è ossessionata dal denigrare e delegittimare il professor Vincenzo, un noto candidato a sindaco che in questi giorni è impegnato a portare avanti il proprio progetto politico.

   Ora, se io fossi il giornalista di Fantapoll mi preoccuperei di capire perché il professor Vincenzo si presenta, quali sarebbero i suoi candidati, quali sono i programmi che propone, quali obiezioni da fargli sui contenuti che non mi convincerebbero, e magari fargli una critica politica onesta, anche se mi è antipatico. Mi preoccuperei di capire perché tanta gente ha partecipato alla presentazione delle liste. Cercherei di capire perché questo signore è popolare. Senza fare neanche tanti pronostici.

   Ecco, seguire il buon professore dal punto di vista sociale sarebbe un reportage abbastanza interessante, anche perché i lettori vorrebbero capirci di più.

   Io, ad esempio, sono un lettore che ama approfondire. Mi piace farmi un’idea dei candidati, vedere che cosa propongono, capire il loro grado culturale e verificare la loro idea di dimensione di uno spazio cittadino.

   Voi pensate che leggerete tutte queste cose che richiederebbero tra l’altro un lavoro accurato e obiettivo? No.

   Mi mandano un articolo dove il professor Vincenzo è al bar a incontrare qualche conoscente, e magari a questi signori dichiara di candidarsi. E ci sta. Quanti candidati vanno al bar per proporsi agli amici e ai conoscenti? No, secondo Fantapall gli amici son pochi, come se il bar stesso potesse riempirsi di migliaia di persone all’istante così per magia.

   Un articoletto senza logica, ma molto divertente.

   Ieri (29 agosto 2020) la pubblicazione di un altro articoletto divertente. Una macchina parcheggiata all’angolo con tanto di morale sul codice della strada. E indovinate a chi appartiene la macchina? Proprio al professor Vincenzo.

   Ora, prima di scrivere l’articolo, mi chiederei almeno se la macchina non si fosse guastata e per necessità si è parcheggiata lì. No, ci si inventa che la macchina blocca il passaggio alle carrozzine per disabili, che è in divieto di sosta e fermata e quant’altro ancora. E anche se fosse, magari sarebbe utile chiamare qualcuno delle forze dell’ordine prima di scrivere l’articolo. Così, giusto per avere un chiarimento. No, neanche questo.

   E allora via con la pubblicazione.

   E così mi inondano il Whatsapp per leggere questa roba demenziale.

   Ora il professor Vincenzo non ha bisogno della mia difesa. Però adesso ho paura che il professor Vincenzo sarò protagonista di un articolo dove magari vola su un asino volante, oppure un altro articolo dove magari si metterà a parlare con Pinocchio, oppure un altro dove magari si scriverà che vorrà andare a farsi un pellegrinaggio fino a Serra San Bruno.

   Insomma, la demenzialità più pura.

   E così continua la triste narrazione del giornalismo crotonese, che va sempre più giù pur di raccontare barzellette.

   È vero che siamo in regime di par condicio.

   Allora aggiungiamo che Fantapall non è il solo a raccontare felicemente delle palle.

   Mi hanno inviato qualche giorno fa il link di un blog dedicato ai Vichinghi, e poi vedi il blog e vedi tanti articoletti fantasiosi su un noto segretario della Lega, come se quelle pubblicazioni illuminanti acchiappassero lettori.

   Caro professor Vincenzo, come può ben vedere ogni esponente politico è perseguitato da qualcuno che ama raccontare palle. Lei almeno ha Fantapall. Pensi che c’è chi è addirittura stalkerizzato dai Vichinghi…

   E poi dicono che i blogger sono fabbricanti di fake news…

   Detto da chi racconta e pubblica palle tra l’altro sembra addirittura un complimento…

Aurélien Facente, agosto 2020

Coronavirus KR: Respirare un pochino di libertà vuol dire vivere

Il 4 maggio c’è stato un allentamento deciso nella quarantena imposta dallo Stato e dalla Regione per quanto riguarda l’emergenza Coronavirus. Il 4 maggio 2020 è stata una data liberatoria sotto certi aspetti. In fondo, la gente era confinata in casa, limitando la propria autonomia al minimo.

   Tutti pensano che la gente abiti in un appartamento uguale al proprio. È il classico errore di chi punta il dito. Il leggero “Rompete le righe” è diventato l’argomento dei social. Tutti a puntare il dito contro. Gente che s’improvvisa fotografa e pensa di far vedere quanto è stata brava nell’osservare le regole, salvo poi andare sul lungomare e fotografare gli altri, senza capire che la foto da sola può giocare effetti illusori. Chi usa lo smartphone non sempre capisce di prospettiva.

   E allora ecco l’esagerazione. Tanta gente. Sembrava la festa della Madonna.

   Beh, di gente ce n’era.

   Ma quando vedi che la stragrande maggioranza era con la mascherina, con i guanti, e tutti più o meno rispettosi della distanza di sicurezza. Sì, c’è stato qualche ingorgo. Piccoli errori non decisivi, però. Tutto frutto di uno sfogo dovuto alla clausura. Uno sfogo che andava liberato in qualche modo.

   Ed è importante psicologicamente se si vuole ristabilire un equilibrio con sé e con l’altro.

   Assembramenti? Non puoi evitare che le persone che si conoscono si salutino e si scambiano qualche parola. Ci sono state famiglie in giro? Sì, verissimo. Ma mica clan numerosi. Il fatto è che forse ci si è trovati ad impattarsi con una norma che impone l’uso della mascherina e della distanza per potersi rivedere dopo un po’ di tempo.

   E allora il lungomare è stato il luogo del ricominciare a vedersi.

   Ma c’erano anche i fidanzati. Verissimo. Ma con enorme discrezione.

   Uno sfogo di respiro dunque.

   Quand’è iniziata l’emergenza, c’è voluta una settimana buona per la gente ad abituarsi.

   Per capire le regole, bisogna esplorarne in qualche modo i confini. Altrimenti non ci si abitua.

   Si chiama umanità.

   Poi ci sono quelli che puntano il dito. Umani anche loro, ma che dimenticano che c’è gente che magari per 60 giorni circa ha visto solo l’androne di un cortile stretto, o peggio ancora un garage, o quattro mura di un appartamento da 60 metri quadri. Facile puntare il dito e lo smartphone per giudicare la coscienza altrui, quando in verità bisogna guardare la propria.

   I dati ufficiali parlano chiaro.

   Il territorio provinciale di Crotone, capoluogo compreso, ha avuto un numero basso di contagiati da Coronavirus. Certo, le vittime ci sono state. Ma la mortalità è stata nella norma. Per Coronavirus sono state sei. Però l’umanità deve guardare avanti.

   L’umanità vive. Non si ferma. È capace di sacrificarsi per il bene comune. E i crotonesi lo hanno fatto. Perché a livello di sanzioni, i numeri sono stati bassi. Il che vuol dire che la maggior parte ha fatto di tutto per osservare le regole.

   Però poi c’è il desiderio del sole, del colore, del mare, dell’aria, del sapore del mare. Per una città che si affaccia sul mar Ionio, è un elemento vitale almeno respirare quell’odor di mare, anche se si tratta di pochi minuti al giorno.

   Solo e semplice umanità.

   Una piccola esplosione di sentimento del tutto naturale.

   Le persone hanno semplicemente preso dimestichezza con i nuovi confini.

   Tant’è che oggi la circolazione a piedi è diminuita, quindi è ritornato tranquillamente il buonsenso.

   Il Commissario Prefettizio, con tutto il rispetto per la sua figura di responsabilità, avrebbe il dovere di mostrare un po’ più di umanità perché in fondo si è trattato solo di un piccolo respiro.

   Per quelli che puntano il dito. Beh, prima o poi qualcuno vi punterà il dito addosso. E alla fine resterete zitti, perché a quel punto non avrete argomentazioni. Invece del dito, usate il cervello e un po’ di cuore anche.

Aurélien Facente, maggio 2020

Coronavirus KR – Vita da quarantena (Il racconto di Elvira)

Vi propongo una testimonianza scritta dell’esperienza di quarantena dovuta all’emergenza Coronavirus qui a Crotone. Il testo è stato scritto da Elvira Scaccianoce, che ha deciso di condividere la sua personale testimonianza. Mi auguro di poter pubblicare anche altre testimonianze, perché è importante esprimersi in un periodo fatto soprattutto di domande senza risposte e di incertezze, come quelle che stiamo vivendo in piena epoca Coronavirus. Vi rinnovo l’appello. Se avete voglia di condividere le vostre testimonianze, fatelo liberamente. Vi offro volentieri il mio spazio. Scrivetemi in privato sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/aurelienfacenteblogger oppure sulla mail aurelienfacente@yahoo.it dove però vi chiedo di essere identificati con nome e cognome. Per un’eventuale pubblicazione sul blog, ovviamente mi atterrò alle vostre volontà qualora mi chiediate l’anonimato. Ora vi lascio al racconto di Elvira.

Vita da quarantena: diario di casa

Prima di scrivere questa mia breve riflessione, ho aspettato molto tempo, cercando di raccogliere i tanti pezzi di vita vissuta in quest’ultimo mese, dove non solo è cambiata la mia vita, ma il modo di vedere me stessa e gli altri. È cambiato tutto il mondo e lo scenario a cui eravamo abituati a vivere… ci siamo lasciati dietro le spalle giorni dove la nostra unica preoccupazione era quella di stare a tempo con gli altri, quel maledetto tempo a ritmo di jive nel quale ci siamo abituati, ovvero correre, correre sempre, senza guardare in faccia nessuno, vivendo come automi tanti giorni pieni di impegni da sbrigare… per poi raggiungere cosa?

   Improvvisamente questo Covid 19, un nemico invisibile di cui se ne parlava da qualche mese in maniera latente cominciò a insidiare le nostre vite come un parente scomodo che incontri il giorno di Natale… quest’essere invisibile proveniente da lontano ha cambiato totalmente le nostra vite. Mai e poi mai avrei pensato che poteva toccare anche a noi.

   I giorni passavano e pensai che il loro problema avrebbe potuto diventare il nostro. Ci siamo accorti troppo tardi che da un momento all’altro quella semplice influenza, come diceva lo stesso medico di famiglia con sorriso sornione o le massime autorità sanitarie davano per scontato… “Tranquilla,” dicevano, “il Covid 19 colpisce la generazione più debole, tipo quella anziana…”

   Mi ripetevano che non poteva stravolgere le nostre vite. Tutto scorre con la mente che è in verità piena di dubbi e in bilico tra realtà e finzione.

Giorno 4 marzo 2020

Sono a casa con il pensiero e la sensazione che qualcosa di più serio stia accadendo invade i miei pensieri.

La scuola del bambino che rimane chiusa, le continue notizie del tg, e il volto dei miei genitori che comincia a cambiare.

   Il focolaio di Codogno, e poi Lodi e Brescia e il famoso paziente zero allarmano tutti. Cerco di mantenere una calma, a dire il vero molto finta.

   Ma con l’edizione straordinaria delle 20 del premier conte confermo la mia non più infondata preoccupazione. Il maledetto ospite venuto da Oriente è diventato pandemia …e la nostra cara Italia, quella narrata dalla Meloni e da Salvini, ovvero dell’eterna lotta tra nord e sud era diventata zona rossa.

   L’ansia comincia a salire…

   I giorni a seguire sono un continuo altalenarsi di emozioni: ansia, sconforto, agitazione, nervosismo, notti insonni, e il caro amico cellulare dove fino a poco tempo fa usavo per scherzare con amici e parenti diventa fonte di continui bollettini di guerra, notizie discordanti, fake news.

   Dove sta la verità?

Giorno 15 marzo 2020

Passano i giorni. Notizie sconfortanti. Il famoso picco sta salendo. Vedo in tv i tanti militari che portano file di bare per essere cremati chissà dove. Cose mai viste se non forse su un qualche libro di storia alle scuole medie. L’incubo continua.

   Tempi duri per chi soffre d’ansia. La gastrite va a nozze con la mente preoccupata. Questa forzatura domiciliare non aiuta. Si cerca di cucinare, lavare, pulire lo stesso ambiente, subire le preoccupazioni degli altri membri di casa, cercando di minimizzare la situazione ormai palese. Mi appresto a fare spesa di continuo come riempire a più non posso di tutto perché non si sa mai quel che può accadere. I supermercati non vengono riforniti, vedo in tv lotte tra gli scaffali, detenuti sui tetti e altro ancora.

   L’incubo continua.

Giorno 21 marzo 2020

   Il famoso picco è arrivato. Non esco di casa da giorni. Sono stanca delle notizie. Cerco di dormire. La mia famiglia che vedevo tutti i giorni ora è su whatsapp. Le videochiamate, le foto, i video non migliorano la situazione.

Giorno 27 marzo 2020

Vedo un uomo solo vestito di bianco in tv. Il Santo Padre da solo sotto la pioggia battente di Roma prega stanco e vacillante è il santo Crocifisso miracoloso, e la Santa Vergine che si rivolge al popolo romano. Dio mio, siamo in mondovisione. Tutti uniti credenti e non a chiedere a Dio un miracolo.

   Mi ritrovo sul divano ormai campo di battaglia con mio marito, in silenzio dentro casa le lacrime scendono da sole.

   Chi siamo e cosa siamo diventati? Castigo divino? Oppure opera dell’uomo? Non lo so. Il flusso delle cattive notizie continua in tv, vedo gente ballare sul balcone e carri funebri che passano in Lombardia. Io rimango una telespettatrice di una tragedia e cerco di restare salda e ferma. Riscopro la fede. Prego. Riscopro i passi del Vangelo. Non può essere la fine del mondo.

   Nel frattempo tutto si ferma. Lavoro, vita, tutto. E scopri veri volti chi ti sta vicino. La forza nasce da te. Penso. Sono una donna. Noi donne diamo la vita tra atroci dolori. Ce la faremo. Spirito ribelle misto a rabbia e ansia sono compagne di questa quarantena forzata.

Giorno 1 aprile 2020

   Tanti medici morti. Penso ai miei 4 nonni morti di diabete qualche anno fa, e vedo in tv che i morti non hanno avuto neanche una funzione religiosa o una degna sepoltura Penso ai miei nonni, attorniati da tutta la famiglia negli ultimi giorni. Forse sono egoista a pensare chi ha avuto una morte migliore.

Giorno 12 aprile 2020

   Il famoso picco è sceso. Una piccola luce in fondo al tunnel. Calano i morti. La curva rallenta, la paura no. Cerco di mantenere i piedi saldi.

   Oggi è Pasqua.

   Ripenso alle feste di qualche mese fa. La nostalgia oggi è tanta, e sono di cattivo umore. Cerco una piccola quotidianità, e provo a informarmi dai social in modo razionale e corretto.

   Crotone sembra la Terra di Mezzo, quella della saga de Il Signore degli Anelli per capirci. Tutto tace. La politica crotonese inesistente. Tutto questo silenzio fa male, e i cittadini che non ricevono una parola di conforto. Dove sono i profeti della Crotone che cambia durante le promesse elettorali?

   Nulla. Mi imbatto tra le tante cavolate di Facebook con dirette di cucina, finti buonismi e balli dal balcone video esagerati. Vedo qualche diretta di un blogger scrittore, un certo Aurélien Facente lì per lì. Ascolto qualche diretta senza commentare.

Letture in quarantena. Chi? Io? Non amo leggere. Lo ammetto e questo si ripercuote sulla mia scrittura, ma ascolto volentieri tutto e tutti. Io sono una popolana e possiedo questo spirito curioso e ho voglia di imparare qualcosa che la tv nasconde o che ti vuol fare credere altro. Cerco di crearmi una nuova quotidianità, per adesso difficile e fatta di social da vivere e vita da vivere in casa.

   Mio figlio è molto piccolo… per fortuna.

   Parecchie emozioni cerco di nasconderle, e a volte mi riesce male, ma si va avanti. I giorni si susseguono come da calendario, anche se confondo il martedì con il mercoledì.

   La curva scende. Questo mi alleggerisce le giornate.

   L’estate, la scuola, gli impegni per ora sono chiusi nel cassetto. Ora devo sopravvivere per me stessa e per chi mi sta intorno. Non vivo di ricordi, ma faccio tesoro delle esperienze passate per proiettarmi sul futuro, come il tramonto che vedo dal balcone di casa mia.

   La fortuna di abitare a Crotone dove mare e monti si incontrano. Cerco di trarne energia positiva, perché come cantavano i famosi Ricchi e Poveri: “Del futuro sarà quel che sarà.”

   Vivo il presente, cercando conforto nelle mani di Dio.

Testo di Scaccianoce Elvira Liberata.

Coronavirus KR – Quel silenzio che non va bene

La mattina mi tocca passare da quella scuola elementare. Mi succede quando esco con il cane. Un breve giro dell’isolato per restare nella norma dei duecento metri imposto dalle ordinanze governative e regionali. Per cinquanta giorni almeno sempre lo stesso paesaggio. Palazzi con persone che stanno sul balcone che ti osservano come un oggetto estraneo, gatti selvatici che ormai hanno preso possesso del parco inutilizzato, e poi ad un certo punto ti ritrovi le scuole. Già, la scuola elementare della Santa Croce, poi magari ti ritrovi a guardare la scuola media Giovanni XXIII, e infine la Anna Frank.

   Solitamente a quell’ora del mattino, m’ero abituato ad ascoltare i clacson delle auto, e osservavo i genitori che accompagnavano i figli nelle loro scuole. Conversazioni tra mamma e figlio o tra papà e figlia, o viceversa. Scene di assoluta normalità di un giorno appena iniziato qui a Crotone.

   Oggi le scuole sono chiuse. Non sai quando riapriranno. Il dramma lo vivono certamente i ragazzi e i bambini, così come gli insegnanti. Obbligati a stare dentro casa e a evitare il contatto con i compagni. Una prova durissima che metterà in secondo piano lo studio, nonostante ci sia la migliore delle forze di volontà.

   Oggi c’è questo silenzio.

   Puoi ascoltare le auto passare, ma non ascoltare l’energia dell’infanzia e dell’adolescenza tra le aule è un duro colpo al cuore. Sembra di ascoltare il vuoto di una vita interrotta.

   Tutti a parlare del Coronavirus, e nessuno che si preoccupa di questo silenzio anomalo, brutto, dannoso.

   Certo, c’è la sicurezza e la salute da mettere in primo piano.

   Ma ciò non toglie che questo silenzio sia brutto.

   Ritorno alla mia memoria da ragazzo. Non ero uno che amava tanto andare a scuola. No di certo, ma sapevo che era importante. Ho i miei ricordi che tengo strettamente nel mio cuore, tra alti e bassi. Ma se fosse capitato a me, mi sarei angosciato nel sapere che non avrei potuto risedermi in quel banco accanto al mio compagno di classe.

   Il silenzio che ti zittisce ti rimette in moto un duro confronto con te stesso. Ti rendi conto di quanto manca il vocio dei ragazzi tra una lezione e un’altra. Ti manca sentire qualche maestra che si fa la voce grossa per tenere la disciplina. Ti manca il bidello che apre le porte della scuola, e magari lo vedi che alla fine delle lezioni si mette a pulire con impegno l’aula.

   Scene di quotidianità preziose.

   E ora silenzio.

   Un silenzio che non va. Anche se si tratta del prezzo della prevenzione e della quarantena. Non cambia la sostanza. Resta sempre un silenzio che non va.

Aurélien Facente, aprile 2020

Coronavirus KR – Un mese è appena passato

Crotone. Emergenza Coronavirus giorno 31. Oggi si può dire che è passato un mese vero e proprio, di quelli lunghi. Un mese di quarantena, la cui grandissima parte del tempo tra le mura di casa. Esci solo se vai a fare la spesa, e se hai il cane giusto nel raggio dei 200 metri.

   Un mese è tanto.

   Che cosa ho imparato in un mese?

   Che il caro Coronavirus esiste e fa paura.

   Fa molta paura nel racconto televisivo e anche su internet, dove la gente si rifugia per trovare conforto umano, e si trova a condividere immagini e filmati (di cui molti realizzati ad arte per condividere il terrore).

   Ho imparato a indossare la mascherina, soprattutto quando entro in un supermercato o in una farmacia.

   Ho imparato a organizzare la spesa per velocizzarmi meglio, e dare subito il posto di chi ha bisogni diversi da me.

   Ho imparato a star di nuovo da solo, ma la cosa non mi è mai pesata a dire il vero. Sono abituato alla solitudine. Semmai sono gli altri a non avere un dialogo con loro stessi.

   Ho imparato a usare i guanti, ma solo quando tocco le superfici comuni esterne.

   Ho imparato a lavarmi le mani spesso, ma lo facevo già prima.

   Ho imparato che c’è tanta gente che ha paura, e che ha bisogno di sfogarla in qualche modo. Manca l’ascolto, e dove non c’è ascolto si acuisce l’odio per l’altro, solo perché magari sfrutta la sua possibilità di uscire.

   Ho imparato che tutte le forze dell’ordine sono formate da esseri umani, con pregi e difetti, e che è sempre meglio scambiarsi informazioni prima di tutto. Il buonsenso è la prima regola, ma ovviamente deve essere accompagnato dallo scambio. Perché il capirsi è la prima regola, anche quando non si è d’accordo.

   Ho imparato a conoscere un Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ci mette la faccia sempre e comunque quando si tratta di assumere decisioni che sembrano impopolari.

   Ho imparato che ci sono Presidenti della Regione che parlano alla gente, come De Luca ai suoi campani, e Presidenti della Regione, come la magica Jole, che hanno difficoltà di comunicazione.

   Ho imparato che il mondo dell’informazione è in seria crisi con se stessa, tanto che non riesce a mettersi in ordine.

   Ho imparato che abbiamo tanti scienziati che parlano, parlano, parlano….

   Ho imparato che c’è una guerra silenziosa. Quella dei medici e degli infermieri nelle corsie degli ospedali, tutti adibiti al Covid-19.

   Ho imparato a prendere decisioni difficili e dolorose, soprattutto per quanto riguarda la mia sopravvivenza mentale, che è la più importante in questo momento.

   Ho imparato che la conta degli amici si riduce tantissimo, per poi scoprire che si può essere amici con il proprio vicino.

   Ho imparato ad ascoltare il silenzio del giorno, quando prima ascoltavo il silenzio della notte.

   Ho imparato che le persone hanno paura di mettersi in regola con la propria fragilità, che era mascherata dal finto benessere diffuso, e sapere che si deve uscire mascherati ne fa il simbolo di uno dei paradossi di questa esistenza.

   Ho imparato a voler sorridere e a voler sembrare folle nel mio essere anticonformista, pur rispettando le regole emanate, per essere ancora di più me stesso, nel bene e nel male.

   Ho imparato a essere presente, anche se nel virtuale. Una presenza giornaliera, anche nelle azioni quotidiane più comuni, aiuta a sorridere.

   Ho imparato che ci sono persone che avrei dovuto conoscere prima, e altre persone che forse sarebbe stato meglio non conoscere.

   Ho imparato che la paura va combattuta, anche quando gli altri ti urlano su Facebook che devi stare a casa, come se si potesse contraddire la legge del destino, dove ognuno è padrone di se stesso, perché alla fine è sempre così.

   Ho imparato che c’è tanta negatività in giro perché non si vuole dare un pugno alla paura.

   Ho imparato a dare un sorriso anche in una telefonata.

   Ho imparato tante cose, caro Coronavirus. Ma proprio tante cose.

   Grazie a te, non posso vedere la città di Crotone con gli stessi occhi, e perciò mi godo quei piccoli particolari che posso cogliere nelle brevi uscite necessarie.

   Ma di sicuro c’è una cosa che ho imparato, caro Coronavirus. Non ti sottovaluto, anzi ti rispetto sotto certi aspetti.

   Perché nella tua aggressività, ho capito quanto molta politica sia paurosa, quanti scienziati e medici che vanno in tivù siano molto confusi, quanto pressapochismo ci sia in giro, e quanta fuffa burocratica sia uno dei mali di quest’emergenza, quando forse si dovrebbe parlar di meno e dare maggior peso all’azione e alla reazione.

   Sono sicuro che ci saranno altre cose che imparerò.

   Ti ringrazio, Coronavirus. Ma veramente tanto. Credimi.

   Però c’è una cosa che voglio dirti sinceramente: io non ho paura di te.

   Forse un giorno le nostre strade si potrebbero incrociare. Ne sono consapevole. Ma non pensare che io abbia paura, soprattutto quando so che hai spezzato le vite di tante persone che avrebbero voluto respirare una seconda possibilità.

   Per questo motivo, non posso permettermi di avere paura di te.

Aurélien Facente, aprile 2020.

Coronavirus KR: La Domenica delle Palme

Crotone. Ventottesimo giorno di quarantena. Domenica, ma è come se fosse un giorno come un altro.

   Oggi, scendendo il cane, sono andato alla macchinetta del caffè sul piazzale Ultras. È un piccolo rito molto utile. Un caffè. Odorarlo. E poi sentire la brezza del mare, mentre il silenzio della città di Crotone continua. Ascolto qualche onda, mentre avverto un po’ di luce in questa domenica un po’ grigia sul mio viso. Poi risalgo. Giusto qualche auto che circola. E poi quando risali per Via Roma, ti senti estraneo.

   Perché è una domenica che ti aspettavi magari bella; e so di essere un privilegiato in questa breve camminata. Alzo lo sguardo verso l’alto dei palazzi, e vedo qualcuno sui balconi. Ognuno di noi, nel proprio silenzio, è tragico compagno di sventura in un periodo dove ogni giorno è uguale all’altro, in attesa che la catena venga in qualche modo sciolta.

   Ascolto musica in lontananza. Vite di persone che trovano rifugio in qualcosa che dovrebbe alleggerire una domenica che non è una domenica.

   Oggi è la Domenica delle Palme.

   Quand’ero piccolo, ma proprio piccolo, scendevo in piazza accompagnato da mio nonno Pasquale, fervido credente, e con lui andavo in Piazza Duomo, dove c’erano i venditori delle palme. Nonno Pasquale mi comprò una volta una barchetta fatte con le palme, e mi raccontò la storia di Gesù.

   Non potevo capirla allora. Avevo, penso, cinque anni.

   Piuttosto ero affascinato dal verde delle palme.

   Ognuno scendeva in Piazza Duomo per portare la propria palma a casa. Un rito che ho visto ripetersi anno dopo anno.

   Oggi, quasi quarant’anni dopo, quel rito non s’è ripetuto.

   Ci hanno detto di stare a casa il più possibile per non rischiare di essere colpiti dal mostro invisibile che si chiama Coronavirus.

   Oggi il sole non sembra esserci a Crotone. Un caldo leggero mi accarezza il viso. Alzo lo sguardo in alto, e persone che osservano la libertà che non c’è. Che scena triste! Già.

   Continuo il mio breve cammino, ritornando al ricordo di mio nonno che prese per me la barchetta delle palme. Sento ancora la sua mano sicura su di me, e mi domando se mio nonno, da qualche parte, sia in qualche modo fiero di quello che faccio, giorno dopo giorno.

   Io non ho mai visto mio nonno immerso nella paura. Qualche volta ha peccato d’imprudenza, ma non l’ho mai visto assalito dalla paura. Non l’ho mai visto piangere. Non credo che l’abbia fatto, se non verso la fine, mentre la vita lo abbandonava.

   Ho ripensato a lui oggi.

   E mentre stavo per ricordare il momento della sua fine, ho subito stoppato il pensiero.

   Succede che la memoria fa brutti scherzi se non sai fermarla.

   Mi rimetto a ricordare la scena di Piazza Duomo, davanti alla Chiesa principale di Crotone. Ogni giorno, mio nonno mi portava in chiesa. Si ascoltava la messa. Lui faceva l’offerta. Ogni volta che ci andava. Non grosse somme, ma piccoli spicci che distribuiva ad ogni cestino. E poi si fermava a contemplare sempre lui, il Cristo.

   Quand’ero piccolo, non capivo questo suo rito. Non ho mai osato chiederglielo. La fede è qualcosa che si può provare a capire solo quando si è adulti, e ognuno ha un suo percorso molto personale.

   Oggi, 5 aprile 2020, siamo senza palme.

   Persone che si affacciano sul balcone. Alcuni a respirare e altri a guardare l’estraneo che sono io che cammino sotto il loro balcone in questa breve passeggiata.

   Si chiude un’altra settimana strana, inedita, terribile e oscura.

   Ma oggi ho ricordato mio nonno e la barchetta di palme che volle comprare e darmela.

   Adesso ricordo bene.

   Lui la comprò da un signore che aveva problemi economici, ma non mi ricordo se aveva perso il lavoro o era tra quelli che si “arrangiavano”.

   Nonno non comprò la barchetta per omaggiare il Signore, ma solo per aiutare una persona.

   Oggi non ci sono le palme ad allietarci le case.

   La vera palma, il vero omaggio per chi crede nella Pasqua, si deve trovare dentro il cuore. Perché è lì dentro che si trova la vera essenza della fede. Almeno per chi vuole crederci.

Aurélien Facente, 5 aprile 2020

Ciao, Joe (in ricordo di Joe Amoruso)

Non si è mai scritto tanto sui pianisti. Sulle vite dei pianisti. Certo, conosciamo la vita di talenti come Mozart, oppure come quel talento di David Helfgot, che conosciamo grazie al film Shine del 1996. Ma ogni pianista riesce a scrivere una storia, una vera storia.

   Io ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e fotografare Joe Amoruso, quel pianista che si fece notare per aver contribuito al successo del ben più famoso Pino Daniele.

   Però non era solo il pianista di Pino Daniele.

   Joe era un artista di straordinario talento, e di sensibilità.

   Tanta sensibilità.

   Lo fotografai nel 2009 e nel 2010, e in quest’occasione era in compagnia di un altro musicista, Antonio Onorato, che gli riconosceva il grande talento e l’enorme preparazione musicale.

   Poi all’improvviso un male, e un percorso di lunga sofferenza.

   E oggi la triste notizia.

   Gli altri articoli che usciranno vi parleranno della carriera di Joe Amoruso. Ve ne parleranno, e qualcuno vi ricorderà la sua grandezza nella scena musicale di Napoli.

   Ma io ho conosciuto l’uomo, la persona.

   Ho visto una persona che, quando era venuta a Crotone, già usciva da un suo periodo buio. Ma le sue mani sui tasti del pianoforte elettrico vibravano di grande energia, di vivacità. Non si lasciava sconfiggere, tanto che poi non si fermava.

   Joe e il suo pianoforte.

   Anche in duetto con Antonio Onorato, gli veniva concesso uno spazio dove si esprimeva solo lui con la sua sensibilità.

   Poi magari il concerto finiva. E, ospitato da un amico a Capo Colonna, aveva fretta di andare a letto. Mi colpì molto questo suo particolare. Già, perché Joe non era uno che aveva voglia di dormire perché stanco. Aveva voglia di svegliarsi molto presto perché voleva vedere l’alba di Capo Colonna.

   Joe, continuerai a vedere l’alba adesso.

   Ciao, ci vediamo presto.

Aurélien Facente, 24 marzo 2020