Top Gun: il sogno segreto di mio papà

Papà adorava gli aerei. Papà era un patito. Quando ero piccolo, il professor Alfredo Facente mi portava nelle manifestazioni aeree che si tenevano in Francia, tra l’aeroporto di Roanne e di Lapalisse. Papà mi portò a vedere la pattuglia acrobatica italiana all’aeroporto Sant’Anna, e quando vedeva i jet volare e fare le coreografie ritornava bambino. Papà, in cuor suo, voleva volare.

Ma, ahimé, la vista non glielo permetteva. Ha dovuto “accontentarsi” di restare un uomo d’acqua, vista la sua grande passione per il nuoto.

Nel 1986 sbarcò nei cinema il film “Top Gun” diretto da Tony Scott, con un Tom Cruise proiettato verso il successo.

Papà andò a vederlo al cinema Ariston nell’ottobre 1986. Ci andò da solo. Voleva portarmici, ma purtroppo mi prese la rosolia, una malattia dell’infanzia. E se ne fece una colpa. Perché vedere Top Gun al cinema gli permise di entrare nell’abitacolo dell’F-14 americano.

Al ritorno dal cinema, era mosso dalla meraviglia di un bambino. Spoilerava il film, adorava Tom Cruise, e soprattutto descriveva il valore di amicizia tra Maverick e Goose. Ma per lui era il volo che contava.

“Top Gun” fu trasmesso in tv per la prima volta da Canale 5. Ho dovuto accontentarmi dello schermo televisivo di un vecchio Grundig nel tardo 1988 per vedere le prodezze di Maverick.

Papà era sempre il bambino che amava volare. Io, a dire il vero, ero più affascinato dalla colonna sonora più che dagli aerei.

Però guardavamo le repliche, almeno una l’anno.

Passarono gli anni, e papà mi disse: “Guarda che vogliono fare il seguito. Dobbiamo vederlo quando uscirà. Dobbiamo vederlo al cinema perché voglio che tu abbia la stesa voglia di volare che ho io.”

E rimase in attesa di questo Top Gun che non arrivava, nonostante cercasse notizie sull’inizio della produzione. Si era pure messo in testa di scrivere una lettera diretta a Tom Cruise, dicendogli di sbrigarsi. Perché voleva semplicemente vederlo con me.

Gli anni sono passati.

Papà morì nel 2019. Una malattia tremenda. Però Top Gun lo teneva legato a me. Nei giorni lunghi del suo letto, mi chiedeva se avevano iniziato le riprese. Gli avevo dato la notizia che il film era entrato in produzione nel 2018 e che Tom Cruise sarebbe tornato a recitare nel ruolo di Maverick.

Papà, prima della sua dipartita, mi fece promettere che sarei andato al cinema con lui appena si fosse ripreso. Perché voleva volare con me.

Purtroppo per il prof. Alfredo Facente la chiamata in cielo fu anticipata.

Ieri 26 maggio sono andato a vedere il secondo Top Gun con Tom Cruise.

Ore 21.27 pago il biglietto del cinema Apollo.

Ore 21.30 inizia il film.

Mi siedo da solo, nel posto che papà ed io sceglievamo quando andammo a guardare altri film in passato. Mi sono messo nella posizione abituale, lasciandogli la poltrona alla mia sinistra. E ho guardato il film. L’ho guardato come lo avrebbe voluto vedere papà. Gli avevo promesso che avrei pagato il biglietto per vederlo.

E in qualche modo, mia impressione, era come se fosse stato accanto a me. Nelle scene di volo avrei visto i suoi occhi brillare, e poi magari si sarebbe voltato verso di me per assicurarsi che lo spettacolo mi piacesse.

Il film termina.

Le luci in sala si accendono.

E papà se n’è andato.

Esco con una piccola lacrima.

Arrivederci, papà. In qualche modo lo abbiamo visto insieme.

Grazie, Tom Cruise. Alfredo Facente in qualche modo è riuscito a volare di nuovo, con me nella cabina di pilotaggio.

Aurélien Facente, 27 maggio 2022

Jorit a Crotone: operazione culturale o specchietto per le allodole?

Didascalia comunale per l’annuncio di Jorit a Crotone

Io non conosco personalmente l’artista dei murales conosciuto come Jorit. Conosco alcuni suoi lavori, visti per lo più attraverso le foto di alcuni miei amici campani, che ne hanno potuto ammirare il lavoro dal vivo.

Artista notevole, bisogna ammetterlo. Sui soggetti possiamo anche discuterne per ore, ma alla fine un artista produce quello che ritiene opportuno, e se può lo vende anche al miglior offerente.

C’è anche un altro aspetto, molto sociale. L’Arte, quella con la A maiuscola, non conosce le barriere. Riunisce le persone inevitabilmente. Crea anche dibattito e dissenso, e ciò dimostra quanto un contatto con l’Arte sia quantomeno necessario nell’animo di ognuno di noi, anche di quelli che credono di non vederla.

Ebbene, notizia del 29 aprile 2022, un artista conosciuto con il nome d’arte Jorit realizzerà un murales dedicato a Rino Gaetano in uno dei quartieri popolari (i 300 Alloggi) e problematici nella città di Crotone.

C’è ovviamente un costo che sembra alto, perché a Crotone ci sarebbero altre urgenze più impellenti. Il che è vero. E già qualcuno dei consiglieri di maggioranza ci fa propaganda, parlandone come di un segno di cambiamento.

Inevitabilmente Jorit diventa oggetto di dibattito e di critica.

Opera di Jorit

Ognuno può dire la sua.

Anche sul costo dell’operazione.

Ma sarebbe inutile. Io non credo che il lavoro di Jorit, quando sarà realizzato, potrà cambiare il volto della città di Crotone per darle la rinascita che merita. Ci vuole anche altro, soprattutto altro. E non dovrebbe essere un lavoro isolato tra l’altro.

Perché nell’immediato, Jorit realizzerà la sua opera in maniera professionale. Solo il fatto di vederlo all’opera permetterà di sicuro la visione di un’esperienza artistica di cui il quartiere un po’ ne guadagnerà a livello d’immagine. Ma poi ci sarà il resto da fare. Già, il resto.

Altrimenti si avrà l’impressione di avere un gioiello in mezzo al deserto.

Io considero, per quel che concerne l’operazione, l’arrivo di Jorit a Crotone un esame importante, che però va visto in un’ottica non immediata. Bisogna spingere lo sguardo ben oltre. Il che, conoscendo l’antropologia crotonese, pone ovviamente qualche dubbio (non sulla capacità dell’artista che resta sempre di alto livello) sull’operazione.

La polemica che si è innescata su Jorit riguarda il costo dell’operazione. Questa deformità del costo è la trappola mentale alla quale i partiti italiani ci hanno abituato con la classica (loro) idea del risparmio a discapito dell’investimento.

Perché un’opera d’arte, qualunque essa sia, è un investimento che frutta nel tempo, soprattutto se parliamo di turismo o di antropologia di quartiere, e nel caso specifico parliamo di murales.

Prima o poi Crotone dovrà iniziare a vendere la sua immagine, incoraggiando proprio il confronto e avvalendosi del servizio della visione esterna. Purtroppo è abbastanza risaputo che alcuni nostri artisti locali da soli non bastano (questa è una storia lunga e complessa), e già mi aspetto che anche i locali diranno la loro sulla sempreverde domandina: perché lui e io no?

Il che potrebbe esserci anche una buona ragione dietro, proprio per la facilità in cui è stata trasmessa la notizia. Jorit sarà un caso isolato, oppure si proseguirà con altre opere di riqualificazione urbana artistica magari coinvolgendo anche artisti nostrani? Domanda lecita, ma potrebbe esserci la trappolina economica dietro. Una cosa che verrà chiarita, spero. Perché molti artisti locali hanno speso energia a Crotone senza ricavarci il giusto. E questo è uno dei problemi mai risolti a Crotone perché i patti chiari non sempre sono amicizie lunghe…

Opera di Jorit

Io sono convinto dell’idea che Jorit sia un’opzione necessaria. Non posso dire se sarà vincente o no, ma necessaria. Perché la città di Crotone deve essere raccontata non attraverso i crotonesi, ma tramite le esperienze di chi viene a operare.

Un artista le racconta meglio certe cose. Fidatevi. Ed è questo che serve. Altrimenti continueremo a vivere in un’isoletta sempre da soli per la gioia di chi la realtà non la vuole nemmeno guardare in faccia.

E infine una prospettiva nel mondo bisogna pur darsela. Crotone fa parte del mondo oppure no?

Ecco perché non starei a guardare il costo dell’operazione, ma piuttosto la qualità di ciò che sarò realizzato.

A patto che non sia oggetto della classica propaganda politica che ha inquinato gli ultimi anni di Crotone.

Vorrei concludere con una foto provocatoria. Che è la seguente:

Opera anonima

Ecco, la mia domanda è questa: volete un po’ di buona e sana bellezza a Crotone, anche se ha un costo, oppure volete continuare ad assistere a situazioni degradanti come questa che vedete? Volete un po’ di sano colore nelle zone grigie della città o volete che la stessa rappresentazione imbratti il muro sotto casa vostra? Volete combattere il degrado con qualche esempio di bellezza o volete che qualche artistoide nostrano continui nella sua opera di “cattiva immagine” ai danni di una città che deve provare a ripartire?

Per finire: il capitolo “cultura ed estetica cittadina” fanno parte della spesa di una città. C’è anche un obbligo legislativo su questo, per chi non lo sapesse. Il problema è da dove provengono i soldi? Io sostengo che bisogna spendere quando si può, perché il trucco del risparmio politico è sempre lo stesso: risparmiare per non investire.

E questo ovviamente non ce lo possiamo più permettere eticamente.

Un in bocca al lupo a Jorit ovviamente.

Aurélien Facente, 30 aprile 2022

Inginocchiarsi non è una moda, ma deve essere un gesto spontaneo

Sta facendo discutere una strana moda culturale contro il razzismo. Sembra che adesso inginocchiarsi per dimostrare di essere contro il razzismo sia diventata la priorità per dimostrare di non essere razzisti. Beh, la simbologia può avere un significato profondo quando il gesto è spontaneo, ma non imposto.

In occasione degli Europei calcistici, se ne stanno ascoltando di tutti i colori letteralmente. Ormai è evidente che ci sono nazionali multietniche (la Francia in primis, ma anche Inghilterra, Italia, Germania per citarne altre). Lo sport mette pace dove la politica non riesce. La storia dello sport è piena di queste imprese. Basta studiarla. Nello sport tutto deve essere all’insegna della spontaneità. L’abbraccio degli azzurri italiani in mondiali passati è stato un esempio di forza e di unione.

Eppure la moda dell’inginocchiarsi deve essere praticata per forza. Come se la cosa dimostrasse già da sola che sconfiggerà il razzismo. Mi rendo conto che ci vuole una simbologia, ma se viene imposta da qualche capopartito per fare il piacione agli occhi del mondo rasenta l’ipocrisia al massimo.

Enrico Letta, ad esempio, impera in televisione con questo tipo di pensiero, che si potrebbe condividere se la cosa fosse vista come un invito alla riflessione. Ma evidentemente Enrico Letta e simili non hanno letto André Gide o James Baldwin nel dettaglio, oppure non conoscono il cinema di Spike Lee o forse non hanno nemmeno visto il film “Mississippi Burning” di Alan Parker. Potrei andare avanti nell’elenco di autori. Doveroso ricordare Harper Lee con il suo libro “Il Buio oltre la Siepe”. Ma potrei continuare.

Sono autori che, attraverso varie forme di narrazione, hanno combattuto e parlato meglio del razzismo più di altri, ma non hanno mica chiesto agli altri di inginocchiarsi.

Il simbolo della scusa, della richiesta del perdono, del porre la mano in segno di pace è un gesto di grande discrezione semmai. Deve avere una sua spontaneità se avviene con una certa discrezionalità. Se deve avvenire perché si deve fare spettacolo, allora sarà finto. O apparirà come tale. Non sarà convincente.

Ci sono modi e modi per dimostrare di non essere razzista, caro Enrico Letta.

Educare alla lettura di opere come “La Prossima Volta il Fuoco” di James Baldwin all’interno delle scuole, oppure farlo rieditare in una collana di libri economici affinché possa raggiungere una platea.

Promuovere la visione del cinema di Spike Lee nelle università o anche nelle scuole stesse, o perché non trasmettere in prima serata su RaiUno film come “Jungle Fever” o “Fà la cosa giusta” invece di propinarci di serate a perditempo con facce come quelle dei politici attuali? Non sarebbe meglio?

Fare gesti concreti di solidarietà senza fare la continua predica, evitando determinati spettacoli.

Lasciare spazio ad una vera informazione reale, e non ad amplificazioni della realtà.

L’uomo bianco ha commesso tante porcherie in passato, ma non è l’uomo bianco di oggi. Oggi la maggior parte degli uomini bianchi sanno che ci sono anche i gialli, i rossi e i neri. I bambini già crescono insieme senza guardare il colore dell’altro. Basta farsi un giro nelle scuole per verificare. Basta vedere quando giocano insieme, e quando saranno adulti troveranno il modo di continuare a essere amici. Lo faranno spontaneamente, non perché gliel’ha detto qualcuno in televisione.

Perché qua si decanta, ma non si guarda la realtà nel dettaglio.

Ogni luogo ha una storia. Ogni luogo ha delle persone. Ogni luogo si arricchisce quando il prossimo sa di avere le stesse possibilità di crescere come l’altro, in termini lavorativi, economici e culturali. Ogni luogo si arricchisce quando questo avviene con una certa spontaneità. Ogni luogo si arricchisce quando io voglio conoscere l’altro per quello che è, non per quello che mi appare. E richiede un certo tempo tra l’altro. Non si obbliga, ma si educa. Vale per me, come vale per l’altro.

La violenza si combatte sempre. Ma non lo fai imponendo. Perché la violenza c’è sempre stata. L’essere umano è violento per natura, e solo con il tempo acquisisce la saggezza. E l’acquisisce con la conoscenza e con la voglia di stare insieme all’altro.

Le grandi trasformazioni della società non sono mai avvenute perché l’hanno voluto fare i politici, che nella storia sono stati spesso i peggiori negazionisti. Basta studiare il mondo in cui agiva Martin Luther King. O provate a chiedere ad André Gide quando andò in Congo per poi tornare a denunciare il cattivo colonialismo francese. Ci saranno purtroppo sempre sacche di violenza e di ignoranza, ma si combatteranno sempre quando la voglia di conoscere e di stare insieme saranno spontanee.

La conoscenza è la migliore arma contro il razzismo, la cultura per combatterlo, il gesto spontaneo per dimostrarlo. Non perché lo dice qualcuno in televisione.

Un gesto ha sempre bisogno della discrezionalità del cuore per essere sincero. E sarà sempre così.

Aurélien Facente, 26 giugno 2021

Corrado Augias e i Misteri della Calabria (Lettera aperta)

Dottor Augias, mi permetto di presentarmi. Mi chiamo Aurélien Facente. Abito a Crotone, Calabria. Mi definisco ex giornalista perché non credo che il giornalismo oggi possa definirsi giornalismo. Si tratta di qualcos’altro che umilia il senso dell’essere giornalista, e ci tengo a farLe sapere che questa resta una mia opinione personale perché ritengo che non cambierà nulla.

   Dottor Augias, Le aggiungo che sono un acquirente dei Suoi Libri, tanto che ad ogni uscita ne regalo un esemplare a mia madre, che la segue dai tempi di Babele, la trasmissione che difendeva e divulgava il libro. Altri tempi, vero?

   Ho avuto modo di ascoltare la sua intervista pepata, e di leggerne le parole. Tra il dire e lo scritto ci sono differenze sostanziali, ma il succo è quello.

   Lei definisce la Calabria una terra persa. Lei ha sentenziato sparando su una terra che si trova nel baratro della fragilità da decenni, eppure lei ha speso le sue parole aggiungendo una bella sceneggiatura cinematografica.

   E mi permetto di usare tale tono, dottor Augias, perché in Calabria ho scelto di viverci, oltre che obbligato. E se permette, credo di conoscerla meglio proprio perché ci vivo.

   La Calabria è una terra dai molteplici aspetti. Lei, dall’alto del suo ruolo, la vede come una terra povera, dove tra l’altro la criminalità è all’ordine del giorno. Ci condanna perché la Calabria ha preferito eleggere, attraverso un voto democratico e certificato, una persona che poi è deceduta a dispetto di un imprenditore di grosso valore, che però poi si è dimesso dall’essere capo di un’opposizione che poteva essere alquanto costruttiva.

  

Partiamo da questa storia, dottor Augias.

   Il centrodestra vinse le elezioni regionali, ma con il 56% di astensionimo.

   Non mi sembra che con questi numeri il centrosinistra capitanato dal suo imprenditore abbia fatto miracoli.

   Anzi, dopo qualche mese si è addirittura dimesso. E non sembra che qualcuno del centrosinistra si sia opposto in maniera dura.

   Non parlo di altri contendenti, perché non sono entrati nel Consiglio Regionale.

   Dottor Augias, parliamo di quel 56% di astensionismo. Siamo una terra persa perché abbiamo rinunciato a votare? Beh, sì. Ma sa perché il calabrese non vota? Per superficialità? Io direi che per decenni sacche di politica nazionale hanno ingannato le speranze dei calabresi, sacche di sinistra e sacche di destra.

   La Calabria ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile, perciò produce emigranti, che poi vanno a sistemarsi da Roma in su se decidono di stare in Italia. Devono trovare un lavoro come si suol dire, e non sempre, anzi spesso, si tratta di un lavoro stabile. Certo, c’è gente che si distingue anche bene a livello professionale. Abbiamo medici, ingegneri, avvocati e anche artisti che nel mondo fanno la differenza.

   Ma chi è rimasto qui non è solo un criminale. Semmai è nato in un sistema ipocritamente alimentato anche dalla sua amata politica dei diritti.

   Vede, dottor Augias, ho 40 anni superati. Diciamo che, tolta la fase liceale della politica dove si è più sognatori, ho saggiato con mano quello che la politica degli ultimi 25 anni è riuscita a fare ai danni della Calabria, in tutti i settori tra l’altro.

   Quando chiedevamo più medicina di qualità, ci hanno lasciato con il minimo indispensabile (secondo loro). Quando chiedevamo più studio, qui sono stati capaci di chiudere plessi scolastici e universitari. Quando chiedevamo più lavoro, ci hanno mandato la precarizzazione del lavoro con annessi sciacalli che si sono mangiati i contributi dello Stato. Uno Stato che non ha saputo essere Stato.

   E quando le sacche di povertà aumentano, caro dottor Augias, anche le sacche criminali aumentano.

   Ma in Calabria ci sono anche le brave persone, quelle vorrebbero farsi il mazzo fino a prendersi frustate sulla schiena solo per dimostrare di essere degni di essere calabresi, e che qui delle buone cose si potrebbero fare eccome.

   Queste persone meriterebbero quantomeno il Rispetto con la R maiuscola. Perché ci sono persone che hanno avviato il loro Lavoro cercando di essere il più Utile possibile alla società. Cercano di dare un segnale di positività e un esempio alle generazioni che potrebbero e dovrebbero migliorare la loro Terra.

   La Calabria è una terra strana, dottor Augias. Ricca di cultura da vendere, ma strapiena di gente che non è stata fatta crescere per come dovrebbe essere. Certo, ci considerate “persi”. Ma questo lo hanno voluto quelli di Roma, o meglio quelli che stanno a Roma a occupare poltrone. Non lo hanno mica voluto i calabresi.

   Anzi, i calabresi sono doppiamente vittime. Diciamo tre volte vittime.

   Vittime della ‘ndrangheta, perché la criminalità si è sostituita dove lo Stato non c’era o non voleva farsi vedere.

   Vittime dello Stato, perché degni rappresentanti nazionali venivano qui solo per i voti e basta. Ci avevano promesso che alcune industrie avrebbero continuato la loro attività, ma adesso ci sono gli scheletri. Certo, lo Stato non si può occupare di tutto, ma qui lo Stato non pensa, caro dottor Augias. E noto che il problema non è solo calabrese e basta.

   Poi siamo Vittime di Noi stessi. Vero. La nostra diffidenza ci ha portato a non votare più come prima. Non le elenco i perché solo per il fatto che ci servirebbe un libro a parte. Un libro che potrebbe scrivere lei, dottor Augias. Ma che non farà, perché una Persona del Suo Calibro Culturale non potrebbe scendere in Calabria per qualche periodo solo per provare a raccontare quello che c’è di buono dal quale ripartire.

   Lei ha tutta la cultura per esprimere un giudizio sulla Calabria, caro dottor Augias. Grazie di averci condannato. Ma non è della condanna di cui abbiamo bisogno.

   Abbiamo bisogno di qualcosa di più positivo.

   Abbiamo esempi positivi, sa?

   Abbiamo il Procuratore Gratteri, giusto per citare il più discusso. Ma il suo è un lavoro lungo e solitario. Abbiamo qualche scrittore, qualche musicista, qualche imprenditore, anche un premio Oscar. Abbiamo borghi bellissimi e templi da raccontare. Abbiamo ristoratori che danno lezioni a tutto il mondo nella cucina che producono. Abbiamo gente che riesce a dare il massimo pur avendo pochissimo.

   Però siamo una Terra Persa.

   Le faccio una domanda, dottor Augias, perché lei l’ha presa dal punto di vista politico. Si metta nei panni di un calabrese qualsiasi. Magari un tipo che possiede una piccola pompa di benzina sulla Statale 106. Si presentano alla sua pompa decine di candidati, di destra e di sinistra. Tutti a fare delle promesse che potrebbero essere mantenute. Uno sviluppo migliore della Statale 106, un aeroporto da realizzare non lontano dalla pompa di benzina, magari anche un porto, o anche riprendere la stazione dei treni nel paesino dove vive il benzinaio. Magari gli promettono anche un ospedale che per adesso è piccolo, ma che crescerà. Magari promettono anche investimenti mirati per avviare un’economia, così magari i figli possono pensare di potersi fare una vita nel paesino.

   Eppure gli anni passano, i candidati cambiano, e le promesse svaniscono nel nulla.

   E secondo lei, quel benzinaio ormai anziano, perché dovrebbe credere all’ennesimo candidato che si presenterà alla pompa di benzina’

   Sa, dottor Augias, la Sua Profonda Cultura è eccellente, ma la vita è anche fatta di queste storie. Da queste persone che smettono di illudersi e nel credere nei fantasmi.

   Io rispetto le sue Idee Politiche, caro dottor Augias. Ma qui queste idee sono state delle maschere usate per fare propaganda e basta il più delle volte.

   Ecco perché il suo imprenditore ha perso le elezioni. Perché non si vota una persona perché ha la sua storia imprenditoriale. Si vota una persona perché ama la sua terra. Quell’imprenditore ama la sua terra, ma anche la donna di destra amava la sua terra. Questa donna ha avuto pochi mesi per esprimersi per poi andare tra le braccia del silenzio. Nonostante avesse un male, si era messa a disposizione e voleva prendersi cura di questa terra. Certo, aveva le sue idee. Ma erano idee sulle quali si poteva quantomeno discuterne. E anche questa signora mi ha dato l’impressione che fosse sola, così come lo sono quelli che amano la loro Terra prima di tutto. Mi dispiace che lei, dottor Augias, veda il fantasma del fascismo nelle persone che abbraccino un’idea diversa. E se non è fascismo, diventa ‘ndrangheta, e se non è ‘ndrangheta diventa qualcos’altro di negativo.

   Bene, dottor Augias, io non mi ritengo offeso se in onda nazionale si parla della Calabria, anche nei suoi aspetti negativi. La Calabria è una parte fondamentale dell’Italia che produce, viste le migliaia di persone che sono state le mani sporche dell’Italia industriale e gloriosa che si è fatta valere nell’eccellenza.

   Ma è facile sentenziare da dietro uno schermo televisivo, dottor Augias.

   Mi permetto di rivolgermi così a Lei, dottor Augias, perché c’è stato un tempo che io ho odiato la mia Terra. E quell’odio si comportava come un fantasma. Mi annebbiava la vista. E ho perso tempo per lavorare a contrastare quest’odio.

   Critico la mia terra ancora oggi. Ma non la critico, condannando e basta. Cerco di farlo raccontando e proponendo una testimonianza non ipocrita, perché il lavoro da fare e tanto. Come il sottoscritto, c’è una voglia anche da parte di altri di raccontare per poi provare a ripartire e trovare nuove direzioni. I calabresi hanno bisogno che qualcuno li racconti, ma che non sia uno che li racconti da dietro uno schermo televisivo.

   Perciò la sfido in senso letterario, dottor Augias.

   Si prenda un periodo per scendere in Calabria. La venga a visitare. La racconti per quello che è. La osservi da vicino. Cerchi di sentirne gli odori. E ovviamente si faccia accompagnare dai colori della Terra di Calabria. Venga a respirarne l’aria. Si faccia un giro, magari incontrando tante persone. Venga a comprendere il male e venga a scoprirne il bene. Nessuno di noi è immune da difetti, ma qui c’è voglia di migliorare. Poi magari ne scrive un libro, e noi lo compreremo. E lo leggeremo e lo racconteremo.

   Ma ci faccia un favore.

   Non sentenzi sulla Calabria dentro una trasmissione televisiva. Non lo faccia.

   Perché la stragrande maggioranza di chi va in televisione non ha mai avuto il coraggio di raccontare la vera Calabria.

   Ovviamente le invio i miei apprezzamenti, aspettando con ansia il Suo Nuovo Libro in libreria.

Aurélien Facente, 24 gennaio 2021

Tanti auguri, Partito Comunista. C’è tanto da dirti…

Caro Partito Comunista, ci tengo tantissimo a farti gli auguri per i tuoi 100 anni portati abbastanza bene nel racconto nostalgico degli anni che furono. Già, anni pieni di gloria e di libertà e di tante bandiere rosse al vento, soprattutto nelle strade della Stalingrado del Sud, quella Crotone che oggi è di fatto un fantasma del passato che non vuole spezzare le catene del tempo passato.

   Oddio, adesso qualche nostalgico degli anni che furono mi dirà che cosa sto scrivendo e uscirà con il termine fascista e leghista e quanto altro ancora. Una commedia che non ha nessun effetto sul sottoscritto, perché in realtà vorrei chiedere a te, caro Partito Comunista, qualche delucidazione in merito, sapendo che non avrò risposte.

   Perché dovrei farti gli auguri quando ho visto Crotone smantellare la sua storia industriale e la sua forza operaia che mai più si è ripresa?

   Perché dovrei festeggiare un compleanno dove l’Italia è la nazione che ha mostrato nel tempo la maggior perdita dei diritti per quanto riguarda il lavoro?

   Perché dovrei festeggiare un Partito che di fatto rappresenta una minoranza nostalgica?

   Perché fare il brindisi con una classe di soggetti politici che ha rinunciato al freddo della piazza per stare al caldo nei salottini televisivi?

   Perché fare gli auguri quando ho visto la mia città decadere nel baratro della povertà culturale?

   Perché partecipare ad un compleanno con persone che parlano per partito preso e mai per dialogo?

   Perché farti gli auguri quando la strada del tuo miglior segretario, tale Signor Enrico, è stata disattesa da chi è venuto dopo?

   Perché con chi si vanta della tua tessera non posso parlare di autori come Gide, Camus, Oesterheld, Buzzati, Pasolini, Guareschi solo perché scopro che forse non ne hanno nemmeno letto una pagina?

   Perché devo festeggiare quando la grande Festa dell’Unità non si svolge più come una volta?

   Perché dovrei darti retta se poi tanti tuoi fan mi punterebbero il dito contro solo perché dico e sostengo che l’accoglienza verso lo straniero va fatta con maggiore attenzione, e tra l’altro con offese propagandistiche?

   Perché devo dare retta ad un grande Partito Comunista fatto a pezzi da tanti piccoli partiti dove conta il protagonismo più becero piuttosto che il coinvolgimento della comunità?

   Perché devo continuare ad ascoltare racconti nostalgici senza delineare qualche bozza per il futuro?

   Perché i tuoi rappresentanti credono di essere i migliori quando in realtà dovrebbero vedere la realtà in faccia per quella che è?

   Sono io che vedo una Crotone devastata nel sentimento e nella mancanza di lavoro e nell’impoverimento culturale in primis, oppure sono vittima della bottiglia di vino che i compagni bevono nelle loro serate a decantare la favoletta del momento?

   Ho tante domande, caro Partito Comunista.

   E pochissime risposte.

   Ho la seria impressione che quelli che festeggeranno sono vittime di un’illusione ideologica in nome di una bandiera sputata dall’ipocrisia. Perché se ci fosse stata l’unione, non si sarebbero sparpagliati in tanti piccoli pezzettini messi insieme solo dal voler stare al potere accada quel che accada, mostrando anche il peggio di sé.

   E vogliamo parlare dell’imposizione del pensiero che conviene per non venire a patti con la propria coscienza? Ecco, questo sarebbe un ottimo tema su cui dibattere, perché il pensiero è un elemento essenziale per la comprensione del mondo che cambia. L’esplorazione del pensiero è l’essenza della comprensione, eppure questo viene ostacolato in una visione univoca dell’ipocrisia.

   Caro Partito Comunista, ho visto tanti tuoi fan ragionare come i Fascisti che dicono di fronteggiare.

   Ecco perché mi limito a farti gli auguri e basta, com’è doveroso che sia. Avrei tante altre domande, ma mi fermo qui. Conoscerti è bello, sia chiaro. Ma farne parte… No, grazie. Ci tengo alla mia identità, al mio pensiero, alla possibilità di dire sì e no,  alla opportunità di parlare anche con chi la pensa diversamente da me, anche se si tratta di un pensiero storto.

   Ti faccio gli auguri, ma solo quelli. In fondo sei parte integrante di una Storia Umana che ha portato alla luce tanti temi. Ed è una grande peccato sapere che non sei credibile dai tempi di quel Signore di nome Enrico che perse la vita nel momento più inopportuno. Se fosse vivo oggi, credo che ne prenderebbe parecchi a calci.

   Stasera ricomincio la lettura di un libro: CHE di Héctor Oesterheld e Alberto Breccia ed Enrique Breccia. Lo leggerò con un buon bicchiere di amaro alla rucola. Giusto per darmi una dimensione più campagnola in questo periodo di pandemia. Sarà la sola festa per te. Perché credo nella conoscenza, credo nella Storia, credo nelle testimonianze di chi vuole parlare. Ma non credo in chi ha usato la bandiera per i suoi affarucci personali.

   E poiché adoro la libertà, non posso accompagnarmi alla catene della propaganda, soprattutto qui in Italia.

   Tanti auguri, Partito Comunista.

   Mi auguro che tu possa avere gente molto diversa da quella che c’è oggi. Perché le bandiere sono dei simboli, ma a fare la differenza nel bene e nel male sono sempre le persone.

La bandiera non tradisce i principi, le persone purtroppo sì.

Aurélien Facente, 21 gennaio 2021

Pitagora c’era già, ma qualcuno volutamente non voleva vederlo…

L’argomento “Statua di Pitagora” è un argomento spinoso a Crotone. Solo farne un riassunto è impossibile, vista l’enorme mole di materiale che forse sarebbe più utile alla scrittura di un libro.

Nel celebre consiglio comunale dove si è svolto l’argomento “Statua di Pitagora” vi è stata una clamorosa bocciatura nella discussione tra consiglieri. Con tanto di comunicati a dir poco demenziali, non perché si deve discutere dell’abbellimento di una città, ma forse perché in seno al consiglio si è dimenticato, o fatto finta di non vedere, che già un lavoro esisteva ed era una visione offerta dallo scultore Gaspare Da Brescia che, sbagli permettendo, una visione originale del filosofo Pitagora la stava dando.

Qui alcune foto del prototipo di argilla in sequenza:

Questa sequenza, fotografata dal sottoscritto, è il grande prototipo in argilla presentato in un laboratorio pubblico nel 2012 in Piazza Pitagora, Crotone.

La seguente sequenza, sempre fotografata dal sottoscritto, presenta l’artista mentre opera sulla statua in argilla (da considerare come prototipo, e non come esemplare), per dimostrare la volontà dell’artista stesso a realizzare l’opera. Ed è ovvio che il lavoro e il materiale hanno un costo.

Adesso avrete modo di ammirare l’opera in argilla attraverso un video, sempre realizzato dal sottoscritto, per mostrare in qualche modo la portata dell’opera.

Quello che segue dopo è il cortometraggio “Pythagoras is dead? (Pitagora è morto?)” realizzato un po’ di tempo dopo e che narra la distruzione di un prototipo di cera (prototipo e non esemplare), poiché a Crotone si è più interessati a fare la chiacchiera politicamente volgare piuttosto che portare a compimento un progetto sul quale si doveva almeno iniziare la discussione sull’uso culturale di una piazza. Il cortometraggio è volutamente provocatorio ed è stato realizzato dal sottoscritto con la chiara volontà di lanciare un messaggio chiaro: volete continuare con la devastazione culturale o volete rialzarvi? La distruzione del prototipo è stata, di fatto, un reset per la discussione, Qui sotto potete vedere il corto.

Ora, siccome, custodisco gran parte del materiale fotografico del primo laboratorio Pythagoras, e ne conosco ovviamente la storia, i segreti, i materiali, il vissuto…

Ecco, sapendo che basterebbe attenersi a determinate regole perché il finanziamento per la scultura esiste già, ma non è di questo che voglio parlare qui. Non è compito mio almeno, e non bisogna essere ipocriti nel dire che il lavoro deve avere il suo riconoscimento economico. Ma queste immagini devono far capire che essendo il progetto in sé già imponente, è normale dire che tra realizzazione, promozione, comunicazione, trasporto, messa in posa, racconto, e perciò all’epoca del primo step si era pensato ad un crowdfounding (ovvero raccolta fondi), ma accompagnata da un finanziamento pubblico che avrebbe dovuto coinvolgere anche le istituzioni pubbliche, tra l’altro con tanto di comitato cittadino.

Ecco, ci sarebbe stato già un gruppo di individui che avrebbe lavorato, senza contare che avrebbe riqualificato in meglio una piazza che ha bisogno tuttora di un simbolo che non sia politico, ma culturale, poiché la conformazione stessa di Piazza Pitagora è matematica se la si osserva per bene.

Questo articolo, volutamente video e fotografico, vuole dimostrare che già il cittadino aveva adottato una visione che andava bene per due motivi: la visione classica di un filosofo che sta bene dentro la cornice di una piazza storica e poi perché la percezione stessa era ex novo, ovvero qualcosa di unico e originale. Dimostrazione quest’ultima che avrebbe dato una propria identità e che nel tempo a seguire sarebbe stato un bel biglietto da visita per la città stessa. E soprattutto ci sarebbe stato un meccanismo prezioso, usato per lo più in letteratura, ed è l’autoidentificazione. Nel bene e nel male questa scultura diventerebbe un simbolo della città perché sarebbe stata scritta e realizzata proprio dentro Crotone. Si potrebbe farlo, ma ovviamente con la volontà di farlo non di discuterci solo per chiacchierare e basta,

Testo, fotografie e video di Aurélien Facente. Le foto sono state realizzate nel 2012, mentre il cortometraggio “Pythagoras is dead?” è stato realizzato nel 2016

L’opera Pythagoras è stata iniziata da Gaspare Da Brescia nel 2012.

Dieci foto per raccontare il mio amore per Crotone

Una delle accuse più stupide che mi fanno determinati soggetti è che io offenderei gratuitamente i crotonesi. Bene, a tali soggetti offro loro un album di 10 fotografie in tutto per raccontare che io amo Crotone, e se in questo blog mi permetto di raccontare fatti poco piacevoli oltre che caratteristiche che non vanno è proprio per amore di un posto che uno come me vorrebbe veder crescere.

Perciò buona visione.

Se realmente odiassi la mia città, io non avrei mai fatto queste foto cercandone di raccontare gli attimi più belli, i colori più reali, il rispetto per i colori di un posto che nel bene e nel mare mi ha ispirato. In fondo, faccio sempre parte di Crotone. E questa è la Crotone che mi piace vedere. E che mi piacerebbe scrivere.

Testo e fotografia di Aurélien Facente, gennaio 2020

Crotone tra zone rosse, arancioni e gialle e tra carenze di tanto buonsenso e di cervelli indipendenti…

Sono stato in silenzio per un po’ di tempo. Almeno qui. Ho preferito non scrivere. Tanto non serviva scrivere. Che scrivi a fare in un paese, Crotone, fatto di abitanti che non sanno leggere. Ovvero leggono, ma leggono come parlano, perciò leggono quello che vorrebbero sentirsi leggere.

   Non tutti sono così, ma una maggior parte. Lasciate stare l’introduzione.

   Qualcuno si potrebbe offendere, ma poi quando è il giornale Sole24Ore che stila la classifica annuale del miglior posto d’Italia, ecco che Crotone risulta essere l’ultima, e questa volta è stato sottolineato l’aspetto culturale del posto. E qui nessuno che si scandalizza. Già. È inutile scandalizzarsi. Tanto noi crotonesi siamo ultimi.

   E ve lo meritate, cari concittadini. Non arrabbiatevi. Il dato di fatto è questo. I crotonesi sono ultimi.

   Qualche settimana fa, ho scritto su Facebook: “Sei di Crotone se sei demenziale e pensi di essere il top.” Una cosa del genere. Non vi dico gli attacchi personali. Ovviamente la mia era una semplice provocazione. Crotone è piena di top. Ma ci sono i top dell’eccellenza, i top della demenzialità, i top della mediocrità, i top del peggio.

   Crotone ha i suoi top del meglio e del peggio.

   Ma oggi è il peggio a proliferare.

   E il bello che si pensa di essere i migliori quando tutto il mondo vede il peggio.

   Basta farsi un giro in città e solo vedere il proliferare di cartelli vendesi tra negozi e appartamenti. Una città che non vende i suoi appartamenti non è il top.

   Una città, per essere tale, deve essere un posto dove la voglia di andare a viverci c’è.

   Appartamenti solo in vendita a discapito di quelli in fitto non è un sintomo di salute.

   E appartamenti in vendita vuol dire che molto probabilmente c’è gente che se n’è andata, ed è gente che difficilmente tornerà tranne che per qualche giorno di vacanza.

   Crotone, negli ultimi due mesi, ha vissuto il festival dei colori, passando dal giallo al rosso e ogni tanto intrattenendosi con l’arancione.

   Facebook, la piazza virtuale preferita dai crotonesi, è stato (e continua) a essere un vespaio di minchiate ultragalattiche. Faccio un esempio: postano una foto dove il Corso Via Vittorio Veneto, la zona attigua al palazzo del municipio, è piena di gente.

   Piena come però? Perché essendo un fermo immagine con prospettiva falsata tra l’altro, perché nessuno si rende conto che sono persone che camminano, che vanno per i fatti loro, tutti con le mascherine (tranne due o tre), e soprattutto non stanno fermi proprio per non creare quell’assembramento proibito dal governo e dalla televisione italiana… Bene, ecco che qualcuno posta la foto e tutti a puntare il dito contro, salvo poi capire che qualcuno dei commentatori era presente in quel falso assembramento.

   Non è demenziale scoprire qualcosa del genere. No, i signorini si offendono. E se la prendono pure. Ma solo se tu glielo dici. Poi se è il Sole24Ore a farlo, tutti zitti e muti.

   Da queste piccole cose capisci lo stato di salute mentale della popolazione.

   Nella mia misera attività di scrittore ed ex giornalista, ho avuto la bontà di comprendere che denunciare con ironia un problema non vuol dire offendere, ma far presente che c’è un problema che può essere risolto anche con un po’ di buonsenso e di ironia, quest’ultima che non guasta mai.

   No, tu hai offeso…

   Allora la mia domanda è: se siete tanto preziosi, allora perché Crotone è ultima?

   Ed ecco la scusa del vittimismo perpetuo che detta al contrario nasconde la vera verità: Crotone è ultima perché l’abbiamo voluto e perché ci piace vivere un’eterna favoletta dove ci mettiamo dentro Pitagora e Milone e siamo tutti felici e contenti.

   Voi capite che questa storiella agli occhi di chi ascolta queste motivazioni andrebbero bene per un cartone animato.

   Poi se vai avanti e approfondisci il discorso, ti rendi conto che Crotone è una città diventata paese, dove il cittadino è diventato popolano, e dove il cervello libero viene soffocato da una mandria di esserini convinti di essere il top.

   Non tutti sono così, e lo sottolineo. Conosco gente che si fa il culo a quattro per sopravvivere, e c’è gente che usa il cervello con una certa indipendenza non andando dietro alle chiacchiere dei paesani.

   Crotone è un villaggio mascherato da città, e questo comporta la verità oggettiva dell’essere ultimi.

   Bene, ora che lo sapete fatevene una ragione. Per salire la classifica e trovarsi in posizioni migliori bisogna lavorare molto su se stessi e dimostrare prima di tutto di avere dei forti limiti. E poi pian piano si risale, soprattutto usando tanto olio di gomito. E cervello soprattutto.

   Già, il cervello che è mancato, perché nell’anno del signore 2020 la gente ha preferito puntare il dito contro quello che faceva la spesa, quello che faceva uscire il cane, quello che si faceva soltanto una camminata per respirare, tra l’altro rispettando perfettamente le regole di prevenzione del coronavirus.

   Invece di vedere queste cose, una condanna continua.

   Quando determinati paesani crotonesi avranno la volontà di ammettere la loro personale paura (dovuta non solo al virus), faranno un primo passo di civiltà. E se la smettessero di usare lo smartphone per vedere quello che fanno gli altri, magari mostrando comprensione allora forse comincerà a diventare cittadino.

   Ora come ora Crotone è un posto come un altro, tra pregi e difetti.

   Può essere zona rossa, zona arancione, zona gialla. Ma la sostanza non cambiano.

   Una città la fanno i cittadini. E se Crotone è ultima è perché i cittadini stessi lo hanno voluto. Ci si potrebbe scrivere un libro.

   Comunque, buon anno e che sia un anno di risalita e non di chiacchiere su Facebook.

Aurélien Facente, gennaio 2020

L’ultimo arrivederci di Jole Santelli e la mancata occasione di chi si professerebbe essere migliore…

Giuro che ho pensato tanto a quest’articolo prima di scriverlo. Ieri (15 ottobre 2020) la giornata è iniziata con una notizia che ha sconvolto il mondo calabrese e italiano, ovvero la prematura scomparsa della Governatrice della Calabria Jole Santelli.

   Avevo dato un “nomignolo” simpatico. La magica Jole. Nulla di così offensivo, ma forse quella sua voglia di sorridere all’avversario mi aveva colpito.

   Premetto che non ho mai conosciuto la signora, se non per via d’informazione. Sapevo che era un’accanita fedele di Silvio Berlusconi, e che come parlamentare vantava di un curriculum di tutto rispetto. Aveva anche i suoi difetti, ma era una delle poche che poteva vantarsi di non aver mai cambiato casacca. Cosa molto rara nella politica opportunista di oggi. Anzi, andrebbe molto rivalutata.

   Sapevo che per un periodo si era cimentata nel ruolo di vicesindaco di Cosenza.

   E poi la possibilità di vederla in prima linea con la sua prima elezione diretta come Presidente della Regione, e allora ho avuto modo di conoscerla in maniera politica attraverso le apparizioni tv dovute.

   Mi colpì la sua facilità di non cercare per forza lo scontro, ma di voler risolvere in qualche modo il tutto con un sorriso. Nel primo round televisivo con gli altri tre candidati alla presidenza della Regione Calabria, la magica Jole riuscì a sorprendermi quando invitò gli altri candidati ad un’amichevole cena per parlare della Calabria, al di là di come sarebbero andate le elezioni.

   Elezioni che vinse la magica Jole, ma con un risultato anomalo, poiché più della metà degli elettori non si recò alle urne.

   Jole entrò così ad amministrare un ente regionale che era percepito come qualcosa di lontano, accompagnata da una ciurma di liste e consiglieri che proprio non piacevano alla gente.

   Ci si mise pure il Coronavirus di mezzo, e così Jole entra nel suo ruolo facendosi conoscere come la Governatrice che emana le ordinanze.

   Ma in televisione usa spesso la seguente espressione: “Popolo Calabrese.”

   Premetto che sono lontano dalle politiche di Forza Italia, ma ho prestato attenzione alla breve amministrazione della Governatrice Santelli.

   Otto mesi sono pochi per essere giudicati politicamente parlando, ma otto mesi sono sufficienti per capire che forse Jole, al di là dello schieramento, era la Presidente di cui la Calabria aveva bisogno come momento storico.

   Una Presidente Donna in una Regione difficile. Una Donna che non ha mai fatto mistero di vivere un momento difficile perché afflitta da un male che sapeva di pistola puntata alla tempia. Una Donna che in campagna elettorale non aveva mai parlato male di nessuno, ma che era stata anche la prima a dare gli auguri sportivamente a chi magari era avversario. Una Donna che non negava il sorriso a nessuno, proprio perché lei stessa, in quanto convivente con un male, sapeva che il sorriso era una medicina potente.

   Mi colpirono molto le sue parole, quando ammise di convivere con un male: “Quando una persona subisce un attacco così violento alla propria vita, quando il dolore fisico si fa radicale e incomprimibile, allora quella persona ha due strade: deprimersi e farsi portare via dalla corrente, scegliere che il destino scelga per lei. Oppure attivarsi, concentrarsi e soprattutto ribellarsi. Io sono una persona danneggiata dalla malattia. Quel verbo e quella parola sono gli esiti della lettura del libro di Josephine Hurt (Il danno, appunto) che mi è stato di grande aiuto. Mi hanno obbligata a inquadrare l’esatta misura del dolore e di testare la capacità di replicare alla sofferenza, addirittura di resistervi e infine di dominarla.” (La seguente è tratta da un articolo del Fatto Quotidiano)

   Avendo avuto in passato perso una persona cara per un simil male, il rispetto per questa Signora divenne primario.

   La criticavano perché ballava la tarantella con i sostenitori del centrodestra, la criticavano perché aveva problemi a parlare, la criticavano perché non si vergognava di essere Calabrese, la criticavano perché forse era più propensa a dare un sorriso piuttosto che a far pesare il dramma.

   Jole era un’anomalia positiva della politica calabrese e nazionale. Una di quelle anomalie che servono però alla Storia di un Luogo. Perciò, quando ho saputo del suo ultimo arrivederci silenzioso, non nascondo di aver acceso una candela per lei.

   Ho letto le notizie scritte e ho letto le impressioni di tale evento. La maggior parte erano pensieri positivi, che ne riconoscevano in qualche modo la volontà di far valere la sua calabresità. Anche gli avversari, sportivamente, l’hanno salutata con affetto.

   Poi ci son stati gli sciacalli, quelli che non sono mai contenti. Ho letto parole di odio e parole di bulli, tutti con il dito puntato contro. Facile farlo quando l’avversario odiato non può nemmeno rispondere all’attacco moralista dello sciacallo.

   Avrei preferito di gran lunga il silenzio, e aspettare il cosiddetto processo storico. Ma certa gente, proprio perché non conosce il valore del sorriso, si prende il lusso, con la becera scusa del libero pensiero, di gettare merda e fango, come se tutto quello che è negativo in Calabria fosse proprio figlio della politica proposta dalla Santelli.

   E poi ci sono quelli che usano lo stereotipo del fascismo. Quelli avrebbero dovuto mettersi un bavaglio alla bocca, giusto per qualche giorno. Il tempo di celebrare i funerali e di permettere almeno ai famigliari e agli amici più intimi di raccogliersi nel dolore.

   Quelli sono stati i peggiori, perché nella scrittura del loro pensiero facebookkiano hanno dimostrato di essere proprio peggio dei nemici che dicono di combattere.

   Un silenzio che sarebbe valso quanto il valore di un libero pensiero. Ma si sa che certe bocche e certe mani non sanno aspettare l’onda giusta del tempo, e perciò ne vengono travolti. È pur vero che la morte si nutre di verità, ma la delicatezza appartiene a chi la Democrazia l’ama.

   Ma in quest’epoca nefasta e avversa, molto probabilmente la Jole Santelli avrebbe risposto con un sorriso, spiazzando così i cattivi.

   Riposa in Pace, Presidente Santelli. Non avrai conquistato i tuoi avversari politici, ma adesso sei nel cuore di chi riesce a vedere nel sorriso un percorso di semplice prospettiva.

  E così chiudo la mia scrittura chiedendomi se mai avrò la fortuna di poter conoscere un’altra persona politica che fa del sorriso un’opportunità di positività.

Aurélien Facente, 16 ottobre 2020