E così accadde che i crotonesi si svegliarono in una città buia e malandata…

Ho preferito prendere una lunga pausa dal blog. Per due anni ho provato a dare una continuità, ma l’italiano medio non legge. Poi in epoca Covid questa caratteristica è aumentata. Per un biennio bello e buono non sono riuscito, proprio per motivi di scarsa attenzione, di raccontare bene quello che andava raccontato.

Vivo e abito a Crotone, una piccola città sul Mar Ionio, e come ogni luogo ci sono pregi e difetti. Uno dei maggiori difetti del crotonese è la profonda fede in mamma televisione. Quindi quando la tragedia Covid è cominciata, immaginate l’attaccamento alla televisione, con il suo nutrito esercito di narratori dell’apocalisse.

Ho passato due anni nella città più ipocondriaca del mondo. Raccontarne l’esperienza è come vivere un film di fantascienza vero e proprio. Immaginate un posto dove gli abitanti si credono di vivere per forza in un’isola felice lontano dagli eventi del mondo, e immaginate quando gli eventi del mondo bussano alla porta.

Uno degli effetti più balordi di questa situazione è l’effetto psicosi, tra l’altro realizzato ad arte proprio dall’infodemia nazionale.

Qualsiasi autore/blogger/scrittore avrebbe delle serie difficoltà a raccontare anche una bella favola.

E così il sottoscritto ha rinunciato fino ad un certo punto, mantenendo giusto qualche finestra narrativa, ma non continuativa come un blogger dovrebbe fare.

Crotone è la città ultima d’Italia in tutto. Lo dice la classifica economica del Sole 24Ore, che tiene conto di tutti gli aspetti. Ma non importa. Stiamo chiusi e lontani da tutti. C’è il contagio e condanniamo gli altri.

Sulla paura non discuto, ma sono abituato a leggere la Storia e a fare indagini. Esperienza vuole che quando vedi una massa che punta lo sguardo verso una direzione, ogni tanto è meglio guardare altrove. Chissà che non ci trovi qualche sciacallo che ti ruba dentro casa e tu non te ne accorgi. L’eccessiva convinzione della prudenza è credere di essere prudenti. Ed è su questo che giocano gli sciacalli.

La paura paralizza. Non hai tempo per pensare. Anzi, ti è proibito pure pensare. E ovviamente la mascherina anticontagio ti permette di mascherare bene questa situazione.

E intanto tutti a guardare la tv, da Sanremo al talk show dove al posto di esseri umani trovi un pollaio dove non si capisce niente e non si conclude niente.

E nel frattempo, tutti convinti che questi grandi eroi che si vedono in tivù saranno capaci di salvare la situazione. Tanto stiamo chiusi in casa. Meglio. E se qualcuno parla del contrario, allora è un coglione sovversivo.

Peccato che il coglione sovversivo, conoscendo la razza umana, è abituato a prendere appunti e a tenere la barca sempre direzionata nonostante le tempeste della cattiveria. Il che non vuol dire vincere, ma tenersi pronto alle brutte evenienze che possono presentarsi. Il che vuol dire già godere di un vantaggio.

Quando conosci gli sciacalli e gli avvoltoi, sai benissimo che se ci hai a che fare rischi seriamente di non avere più nulla il giorno successivo. E quando accade, ti dannerai solo per te stesso. Perché tu li hai lasciati entrare e hai guardato dall’altra parte.

La paura è normale. Ma non affrontarla no.

E poi un giorno ti svegli. E scopri che la tua città non è il paradiso fiorente di due anni fa. Povertà aumentata, disoccupazione aumentata a dismisura, incertezza e sapere che il governo se ne fotte tranquillamente della città di Crotone, tra l’altro amministrata da una compagine politica che non si rende conto nemmeno di come ha vinto e perché ha vinto, frutto di una convinzione che è più un’illusione mitologica del proprio essere o non essere politico. Ma qui il discorso merita un racconto a parte. Un brusco risveglio dove ti accorgi che Crotone (come altre città italiane) non è più il paradiso raccontato.

Lo dico subito. Non adoro questa situazione. Crotone non merita tutto questo male. Ma un pochino se l’è cercata, tra l’altro in anni pre pandemia. Il Covid ha solo scoperchiato la fragilità del sistema Crotone. E lo ha scoperchiato con estrema violenza tra l’altro. Direi anche in maniera raffinata, visto che la distrazione di massa basata sulla paura ha permesso agli sciacalli di nascondersi per bene sotto la maschera di un certo perbenismo.

Lo so che ho scritto un articolo cattivo.

Ma i fatti parlano abbastanza chiaramente nel tempo.

La situazione era precaria già prima. Se a questa ci aggiungiamo la cappa della supponenza, quella della presunzione, e infine quella della paura, allora il mix è micidiale. E la ragione si perde in questo mix salvo poi svegliarsi e accorgersi che forse il cervello andava usato ben prima.

Non offendetevi, cari cittadini. Io, nel mio piccolo, l’avevo detto che bisognava stare molto attenti. Molto, ma molto attenti. Perché uno sguardo intorno andava sempre fatto. Fermarsi a riflettere sarebbe stata una cosa già di per sé obbligata.

Ora vi ritrovate in questa piccola città buia, silenziosa, dove la gente non vivepiù con il sorriso, dove la parola futuro ormai è diventata un delitto solo pensarla, e dove nessuno ha il coraggio di prendere per mano i giovani che saranno gli adulti di domani. Già, perché ormai è meglio star fermi piuttosto che ammettere che la deriva è conclamata sotto ogni punto di vista.

In fondo al tunnel c’è sempre una luce che si avvicina man mano che si cammina.

Bisogna solo camminare.

Altrimenti dentro il tunnel ci si rimane eccome.

Io ve l’avevo detto. Ora si può solo camminare, sempre che non si voglia stare fermi per paura del contagio.

Di Covid si muore mi dirà qualcuno.

Si muore anche di fame, di mancanza di lavoro, di mancanza di prospettiva.

Alla fine, si è svegli e ci si accorge di essere in un tunnel dove la luce da raggiungere è lontana. Ma non irragiungibile.

Aurélien Facente, 8 febbraio 2022

La morte del signor Nessuno

Ciao, mi chiamo Nessuno. Sono una persona che non ha un volto. Vivo nella tua città. Ogni tanto ti vedo, sai. Magari provo a sorridere. Ma tu non ricambi mai.

Come me, ci sono tante altre persone. Persone senza volto e persone senza nome. Persone che non guarderai mai in faccia, e nemmeno vorrai ricordarle.

Non te ne faccio una colpa. Le persone sono strane. Selezionano, o meglio scelgono con chi rapportarsi. Oppure scelgono di vivere la solitudine a tal punto da voler essere invisibili.

Io sono invisibile ai tuoi occhi. Magari c’incrociamo vicino ad un supermercato, ma non mi degni di uno sguardo. Ti saluto pure, ma il tuo buongiorno è distante. Mi ricambi il saluto giusto per educazione, ma poi finisce lì.

Io sono una persona senza volto e senza nome. Ho una seria difficoltà a farmi vedere da te. Perché i tuoi occhi sono coperti da un velo che non definirei ipocrisia, e forse nemmeno paura. Sono occhi coperti dal velo della convenienza. Perché in una cittadina come Crotone l’apparenza conta eccome.

Nella mia solitudine, riesco a vedere bene le persone. Le vedo ogni giorno. E le conosco pure.

Ogni tanto trovo qualcuno che scambia parole con me. Ma si tratta di una persona senza volto e senza nome come me, magari anche senza casa. Ma ci sono anche persone senza volto che si odiano tra loro. La vita in mezzo ad una strada ci rende talvolta bestie, e a volte è solo il modo di capire che siamo umani anche noi. E quando facciamo vedere questo nostro lato allora ti giri, e ci guardi. Capisci che il signor Nessuno esiste, ma poi basta.

Preferisci lasciarci nella solitudine.

Perché è così che vuole la gente con la quale ti immischi. Meglio stare in mezzo ad una folla piuttosto che provare ad ascoltarci.

Ma non ti condanno, sai. In fondo, magari me la sono cercata. E allora mi merito di vivere questa condanna chiamata indifferenza. In fondo, anche io ci metto il mio.

Molti ne fanno una questione di pelle. Ne vedo di signor Nessuno come me che hanno la pelle diversa e provengono da luoghi lontani. Ma ognuno di noi ha una sua storia, una sua vita, una sua avventura e una sua sventura. Abbiamo la caratteristica di vivere alla giornata, quando sorge il sole iniziamo a vivere e durante la notte proviamo a cercare un riparo. Qualche signor Nessuno lo trova, ma in un posto come Crotone dove non esiste un dormitorio pubblico… Beh, allora diventa la strada la nostra principale casa. Magari mettiamo su una tenda improvvisata. Un buco lo troviamo. E appena scende il silenzio, allora proviamo a dormire anche noi.

Siamo una piccola comunità adesso. Tra noi non ci amiamo tanto, forse perché ogni signor Nessuno è uno specchio riflesso dell’altro. Ma ci facciamo compagnia. E ci chiediamo spesso perché ci troviamo qui.

C’è qualche furbastro tra noi. In fondo siamo esseri umani. Il furbastro se ne approfitta, ma non sempre è così. La società dei qualcuno è talmente egoista che preferisce vederci nella solitudine e nella povertà. Accetta la nostra esistenza. Siamo tollerati, ma non siamo considerati. In fondo, il signor Nessuno non alza la voce e se lo fa diventa un mostro agli occhi degli altri.

Ma chi è il signor Nessuno? Potrebbe anche essere un tuo vecchio amico d’infanzia, con cicatrici profonde causate dalle sventure dell’esistenza.

Per avere un nome, devo aspettare la mia morte. Che magari sopraggiunge. E mi trovano in mezzo alla strada, su una panchina, sull’erba secca di un campo, sulla spiaggia di mattina. Raccoglieranno il mio cadavere, e allora sui giornali è probabile che uscirà il mio nome, la mia provenienza, e magari qualcuno racconterà la mia sventura. E così saprai che sono esistito, e la cosa mi farà sorridere.

Perché tanti dei tuoi pari punteranno il dito contro il sistema sociale e politico nel quale si troveranno. Perché anche loro hanno paura di diventare un signor Nessuno. Per me l’ombra della morte non è evitabile. Sopraggiunge e basta. Ne sono sempre stato consapevole quando ho capito che la mia casa non aveva un tetto. Però esisterò per te quando sarò morto. Una beffa per me trasformata in tragedia da chi lo scriverà sui giornali.

Ma sarò fortunato. Perché forse in questa città ci sarà qualcuno che proverà a scrivere del signor Nessuno, e proverà a raccontare una storia, e proverà a dire che ci sono quelli come me, e proverà a raccontare che bisogna essere consapevoli della propria ipocrisia se si vuole combattere l’indifferenza.

Non sono arrabbiato con te. Tanto, ormai sono morto. Se provi ad accendere una candela per me o solo se provi a spendere un piccolo pensiero per me sarà già tanto. Ma fammi il favore di essere sincero per favore. Perché il 99% delle persone mi dimenticherà nel giro di qualche giorno, e non saprà più nemmeno il mio nome. In fondo è il meccanismo crudele dell’esistenza.

Ma da qualche parte, qualcuno proverà a scrivere del signor Nessuno. E magari gli darà un viso, e scriverà una storia. Non per il gusto di fare chissà quale morale, ma con la voglia di raccontare una storia e basta.

La storia dell’esistenza del signor Nessuno.

Aurélien Facente, 28 giugno 2021

NDA: L’ho scritto ieri, di getto. Domenica 27 giugno 2021 è stato ritrovato sulla spiaggia il corpo di un uomo. Al di là della causa del decesso, i giornali web con le loro prime uscite hanno riportato notizie contraddicenti tra di loro. Prima si trattava di uno straniero, e poi di un cittadino crotonese, e poi non s’è capito bene. Qualche fatto privato magari è fuoriuscito. Sono arrivati puntualmente commenti e condivisioni. Si continuerà a parlarne per qualche giorno, poi arriverà il silenzio. E aspetteremo il prossimo signor Nessuno.

Vi racconto un episodio curioso tutto crotonese

Mi è capitato un episodio curioso stamattina, mentre cercavo di capire come riprendere a far funzionare questo blog. Ho preso una pausa dalla scrittura perché avevo altre cose da fare, e negli ultimi tempi stavo molto riflettendo. Purtroppo è difficile scrivere quando sai che la lettura non è una cosa importante nel paese dove vivi.

Crotone è un posto dove la lettura, intesa come tale, non è una grossa prerogativa, anche se a onor del vero vedo ragazzi leggere. Basta vedere come le librerie (poche) riescono a vendere bene i cosiddetti manga. Ma questo non è un articolo sui manga.

Crotone è una ridente cittadina che ama vestire i panni della metropoli senza nemmeno esserlo. Non nascondo di vivere qualche problema culturale, ma chi è che non li vive oggi?

Sono assente da qui da parecchio tempo. Ho perso, costruttivamente, tempo a fare lo speaker su Facebook in modo preponderante. Ed è stato un esperimento fondamentale che mi ha creato molti nemici.

E già. Perché quando provi a raccontare la realtà, sembra che bisogna essere tifosi per forza di qualcosa o di qualcuno. Fare il tifo per il buonsenso è qualcosa di non totalmente obiettivo qui a Crotone. Ma tant’è che in qualche modo, da sempre in posti come Crotone, raccontare dà fastidio eccome.

Avrei potuto prendere lo smartphone e raccontare l’accaduto. Ma preferisco scriverlo. Adoro scrivere, anche se non sembra. Però scrivo. E adesso ritorno a farlo, con più lucidità.

Stamane incontro Mimmo, un parrucchiere di vecchia data. Mi rimprovera perché mi devo fare i fatti miei, perché devo stare zitto e fare in modo di tenere bassa la testa. Lo dice convinto, e afferma inoltre che ha visto un mio video dove criticavo l’amministrazione comunale che non si prendeva cura della parte inferiore di Viale Regina Margherita, dove ci stanno giardini un pochino mal messi, e un piccolo immobile deposito di biciclette (il famoso bike sharing) fermo da tempo, con tanto di biciclette lasciate all’abbandono e in balia della ruggine. Biciclette pagate con soldi pubblici, e man mano che il tempo passa il rimetterle a posto sarà lievitato nei costi.

Ma non finisce qui. Sembra che io ce l’abbia con l’assessore, che non mi devo permettere di criticare l’assessore. E che mi metterò nei guai perché non mi faccio gli affari miei.

L’ho guardato. E ho capito come sta male la gente a livello psicologico e di come il degrado sia talmente profondo nella città di Crotone che ormai è diventato un delitto dire pubblicamente che ci sono biciclette, comprate con soldi pubblici, lasciate all’abbandono. Diventa un delitto sperare che un buon progetto possa rivivere perché fattibile.

Bene, Mimmo, se a te piace essere mangiato dal degrado è un affare tuo. Ma siccome vivo in una città che è attualmente una bella donna truccata male, allora senza chiedere miracoli prego l’attenzione almeno sulle piccole cose. E non smetterò mai di farlo. Altrimenti si ritorna a commettere sempre lo stesso tipo di errore che purtroppo rende Crotone una maglia nera in senso della qualità della vita.

Dopo l’acceso confronto con il depresso Mimmo che non ha nulla da chiedere alla vita, allora mi sono fatto un piccolo esame di coscienza. Sul ruolo del narratore di una cittadina come Crotone. Serve effettivamente?

Sì, serve. Perché non si può vivere in una finzione eterna autoconvincendoci di stare nella città più bella e più sana al mondo. Questo tipo di racconto va bene a chi se ne approfitta e va bene a chi si arrende facilmente. Questo tipo di racconto va bene ai fancazzisti (e ce ne stanno). Questo tipo di racconto non gioverà all’immagine di Crotone, perché poi si nota quando una donna è truccata bene oppure no.

Purtroppo per Mimmo e per altri, mi sa che ritorno a scrivere, pure più di prima se serve. Perché in fondo è anche colpa di qualche personcina se alla fine mi riduco a scrivere quello che osservo e quel che ascolto.

Grazie, Crotone.

Un ultimo appunto: io voglio vedere una Crotone più bella. Non sono il solo a pensarla in questo modo. E per renderla ancora più bella bisogna prendere cura soprattutto delle cose più piccole. Ed è sempre bene ricordarlo a un’amministrazione comunale. Non si tratta di una critica, ma di uno stimolo, che oggi più che mai serve.

Aurélien Facente, 19 giugno 2021

22 febbraio 1991/22 febbraio 2021: del quando conobbi l’aggressione fisica dei bulli…

Ho pensato molto prima di scrivere. Avevo da pensare. Perché quando racconti la tua esperienza, ti trovi una pattuglia di soggetti che ti dice di non farlo, che fai male a passare per vittima, che tanto non interessa a nessuno.

   Può darsi, ma di sicuro non sono stato il solo a essere vittima di un bullismo a Crotone che è stato snervante. Forse mi ha aiutato a realizzare una corazza che oggi, in piena epoca Covid, mi è servita. Ma le ferite, quelle, non guariscono. Quelle restano, e quelle che fanno più male sono dentro.

   Qualche settimana fa, a Crotone, è circolato per via web un video dove s’intravede una zuffa violenta tra ragazzi. Polemiche, dibattito acceso, prese di posizione, la volontà di mettersi alle spalle l’episodio cercando di dare almeno un esempio. Ho visto il video, e per giorni sono rimasto a pensare. Perché quella zuffa mi ha riportato indietro di 30 anni, esattamente al 22 febbraio 1991.

   Avevo dodici anni. Frequentavo la scuola media Corrado Alvaro, che all’epoca si trovava all’interno di un palazzo in Via 25 Aprile, tra la scuola Ernesto Codignola e quella scuola superiore che noi chiamavamo semplicemente “Il Professionale”.

   Da ragazzo non ero il classico ragazzo sportivo che amava giocare a calcio per le strade del quartiere. Quando si è adolescenti purtroppo non si ha la coscienza di scegliere quello che si vuole essere, e soprattutto non si può avere il fisico adatto. Sono cose che ti condannano.

   A me piaceva il basket, il primo gioco di squadra che praticai con un certo entusiasmo. Il basket è uno sport molto completo, indifferentemente da quello che si dice. Equilibrio, forza, cervello. Ha tutto quello che serve per aiutare lo sviluppo caratteriale di una persona. Il campo da basket si trovava in un tendone da piscina dentro lo stadio Ezio Scida, quando il Crotone calcio era una piccola società dilettantistica. Ricordi di un periodo che pochi conoscono.

   Io non ero il migliore a basket. Pagavo il tardo sviluppo fisico, e perciò mi concentrai molto sulla disciplina. Cioè palleggiare bene per avere il pieno controllo della palla. IN realtà pagavo il mio carattere timido.

   Si faceva amicizia e c’erano anche scontri. A 12 anni gli scontri tra ragazzi hanno una ragion di esistere. Ma finiva tutto all’interno del campo da gioco.

   C’era un ragazzo più grande. Uno dei tanti. Non faceva basket, ma dava un’occhiata al fratello più piccolo. Fin qui nulla di male, ma di sicuro era stato mandato lì dai genitori che non avevano tempo di guardare entrambi. E allora il fratello baby sitter è il classico tipo che si annoia perché vorrebbe fare altro. E quando sei quattordicenne, vuoi fare altro e non il baby sitter. E quando ti annoi a Crotone, ecco che prendere in giro qualcuno diventa il primo passatempo.

   Papà e mamma m’insegnarono a non dare mai confidenza a chi non conoscevo. Ma quel ragazzo era insopportabile quando pensò di beccarmi. La cosa seccante era che lo faceva mentre mi stavo allenando. Quel pomeriggio di febbraio gli diedi una risposta istintiva, ma non volgare. Non gli dissi una parolaccia, ma gli feci capire che era indesiderato. Il tipo borbottò qualcosa, ma non me ne curai.

   Qualche giorno dopo, esattamente il 22 febbraio 1991 alle ore 13.30 all’uscita di scuola, un paio di braccia mi presero alle spalle all’improvviso e mi sbatterono con forza contro le sbarre della scuola Codignola. Venni preso a schiaffi dal tipo di qualche giorno prima ed era in compagnia di un complice, suo compagno di scuola. Mi presero a freddo, e mi ritrovai circondato da sguardi di ragazzi e ragazze che volevano solo rientrare a casa. In quel momento non mi facevano male gli schiaffi, ma gli sguardi indifferenti degli altri. Non c’era nessun adulto pronto ad intervenire.

   Quello che mi fece più male fu l’umiliazione.

   Non mi chiedete quanti schiaffi presi.

   So solo che riuscii a dimenarmi.

   I due mi avevano picchiato perché avevo osato rispondere qualche giorno prima e basta, e che non mi dovevo permettere di scherzare.

   Tornai a casa barcollante. Qualcuno mi accompagnò vedendomi piangere. Ma non erano gli schiaffi che mi fecero male. Fu l’umiliazione del momento. Sapere che nessuno aveva osato quantomeno alzare la voce. Sì, perché era una zuffa da ragazzi. Lasciamoli fare. Tanto non sono figli nostri. Che se la sistemino fra loro. E nel 1991 non c’erano i telefonini che filmavano.

   Tornai a casa con voluto ritardo. I miei si preoccuparono nel non vedermi tornare, ma a piccoli passi con lo sguardo basso tornai a casa. Solo che non volli essere abbracciato. Mi vergognavo apertamente per quello che avevo provato.

   Ci fu qualche settimana dopo un incontro risolutore. Mio padre, che era insegnante, parlò con i ragazzi davanti a me. I due non dissero esattamente che mi avevano preso alle spalle a freddo e immobilizzato alle sbarre davanti a tutti. Loro si stavano divertendo e basta, perché era un gioco che facevano spesso.

   Non dissi nulla. Ma capii che il bullo tende sempre a mentire, a sminuire, a volerti convincere che gli schiaffi sono in fondo come delle carezze affettuose. Sono rimasto zitto perché prima di quell’incontro il fratello più piccolo mi aveva pregato con estremo rispetto di non essere cattivo. E se sei in una squadra, devi fare squadra.

   Ho preferito il silenzio e non aggravare la cosa ulteriormente.

   Crotone non era pronta nel 1991 ad affrontare il bullismo per quello che era.

   A distanza di anni, quel silenzio fu una sorta di perdono sotto certi aspetti. Perché poi, dopo qualche tempo, ti vengono raccontate altre storie, forse anche più brutte della tua. Perché Crotone è una città che nasconde molto bene quello che non va. Perché quando un bambino viene picchiato in un’ora di punta come l’uscita da scuola (e su quel pezzo di via 25 Aprile ce n’erano ben tre di scuole) e nessuno interviene, allora qualche domanda te le fai.

   Mi sono rifatto la stessa domanda 30 anni dopo.

   Mi ricordo la data perfettamente perché è nel 22 febbraio 1991 che ho conosciuto sulla mia pelle gli schiaffi dei bulli. Ma nello stesso giorno ho conosciuto la vergogna causata dall’indifferenza. Ecco, quella sì che fa veramente male. E allora capisci da dove nasce la vera cattiveria. E se non calmi la rabbia, la frontiera dell’odio verso il prossimo è facilmente superabile. Mi ricordo bene di questo episodio perché per anni ho odiato Crotone e i suoi abitanti, vergognandomene anche.

   Ho deciso di uscirne appena ho maturato gli strumenti per uscirne. Un cammino lungo e complesso. E lo può capire solo chi lo ha vissuto. Oggi la storia sarebbe stata diversa, perché ci sarebbe stato sicuramente uno smartphone a riprendere. Nel 1991 era già abbastanza se avevi una macchina fotografica a pellicola.

   Mi auguro che questo racconto possa essere d’aiuto per chi ha vissuto qualche momento simile.

Aurélien Facente, febbraio 2021