Giuseppe Conte e la sindrome di Stoccolma

Mentre ormai stiamo aspettando la nascita di un governo che non piacerà ai miei concittadini, voglio pregare gli amici dei Cinquestelle o ai fan di Giuseppe Conte di astenersi dal leggere l’articolo, perché pur parlando di lui non parlo proprio di lui, ma di un fenomeno che si è ben sviluppato negli anni dei suoi governi, in particolare il secondo.

Io non considero Giuseppe Conte una cattiva persona, sia chiaro. Ma ho un severo giudizio sul suo secondo governo. Perché un Presidente può essere popolare quanto volete, ma è sempre attorniato da un governo fatto di ministri e circondato da parlamentari che hanno comunque un peso specifico, che nel suo caso specifico è stato un festival dell’idiozia, dell’ipocrisia e della caccia alle streghe gratuito.

Che Giuseppe Conte piaccia è fuor di dubbio. Ha un certo appeal sulle persone. Ha una ottima padronanza del linguaggio politico. Sa parlare alla gente, o meglio ad un tipo di elettorato, tanto da farlo innamorare. Si può dire che sa tenere in piedi uno spettacolo perché il talento ce l’ha, e sa riempire le piazze, il che però non si traduce in voto.

Come ampliamente dimostrato nelle elezioni regionali calabresi, dove la sua presenza ha fatto scendere in piazza tantissime persone, ma che non si è tradotto in voti per vincere. In Calabria ha pagato soprattutto l’alleanza ipocrita con il PD. che ovviamente lo appoggiò non per un vero progetto politico ma perché aveva usato un certo stile nel far fuori Salvini in uno storico scontro che ha fatto godere gli immaginari antifascisti, che lo hanno rimesso in sella proprio per fare il classico colpo del palazzo dove poter stare e regnare, ovviamente sotto la responsabilità di Conte, che per i piddini era il cucuzzaro di turno.

Ed è quello che è accaduto durante la pandemia del C-19.

Badate bene che basta rivedersi i video delle annunciazioni dei suoi DPCM, che facevano godere come matti una certa cerchia politica intorno non perché di fatto salvavano le persone (l’ipocondria è uno strumento stranissimo per affrontare un’epidemia), ma per obbligare tante persone a sottostare ad un gioco malsano che si stava approfittando di una catastrofe che senza la cosiddetta ipocondria di chi era intorno a Giuseppe Conte avrebbe avuto ben altri risultati.

Man mano che le apparizioni ufficiali proseguivano attraverso conferenze stampa dalla scenografia cinematografica, si notava quanto fosse provato e stressato. Perché il nemico, badate bene, non era l’opposizione (che altrimenti non si chiamava tale), ma proprio tutta quella gente che usava la parola “sinistra” per mascherarsi e che in realtà si comportavano come bulli televisivi.

Questo gioco è durato per più di due anni, fino alla caduta del governo Draghi (successore di Conte, ma anche lui attorniato francamente da idioti politici, che erano fgli stessi che avevano sostenuto Conte tra l’altro, con la differenza che s’erano aggiunti il Silvio e il Matteo),

Il caso di Giuseppe Conte è curioso se dovessimo fare un’analisi della sua storia politica e mediatica. Si tratta del primo soggetto nominato Presidente del Consiglio che ha presieduto due governi opposti, uno finto populista (CinqueStelle e Lega) e uno finto progressista (CinqueStelle, PD e Articolo Uno, partitino inutile e dannoso tra l’altro). Ma è stato il primo Presidente che attraverso i media è riuscito a realizzare una gigantesca sindrome di Stoccolma, inconsapevolmente; nella popolazione italiana, in particolare quella meridionale.

Una sindrome di Stoccolma che dura tuttora, e che ovviamente è anche uno dei fattori che poi ha portato all’interno della sinistra immaginaria italiana una vittoria morale di tutto rispetto. Perché la campagna elettorale dei CInquestelle nel 2022 l’ha fatta esclusivamente lui, e gli va dato merito di non aver avuto una umiliazione elettorale che era nell’aria.

Già, perché la pandemia prima e la guerra dopo hanno fatto vedere la classe insufficientemente politica proprio davanti agli occhi degli italiani.

Il che assolve in parte Giuseppe Conte, che da quando si staccò da Palazzo Chigi ha fatto, almeno lui, un bagno di realtà, ma non di verità. Perché lo sciacallaggio conseguente alla pandemia si è acclarato proprio dalle stanze dei ministeri, che avrebbero dovuto pensare ad una parola importantissima sin dall’inizio: logistica.

L’Italia (ma anche altre parti del mondo) fu messa in lockdown per una questione di logistica e non perché bisognava salvare le persone (che tra l’altro alcune, purtroppo, non potevano essere salvate poiché si trattava di una catastrofe).

Il governo dei DPCM si è mosso con molta illogicità, cambiando continuamente le direttive della prevenzione e credendo falsamente che il percorso intrapreso fosse il migliore possibile. Tanto firmava Giuseppe Conte, e il tutto fu (e vige tuttora) da una campagna mediatica contro il dissenso, creata ad arte da altri che si nascondevano dietro le chiappe dell’attuale capo politico dei CinqueStelle.

La pandemia è stato lo scenario di una vera e propria lotta politica già all’interno di maggioranze che non potevano restare insieme, e il successivo governo Draghi ne è stata la chiara dimostrazione, perché l’ex presidente della BCE fu chiamato per fare quel lavoro sporco che evidentemente Giuseppe Conte non poteva fare. Un lavoro che di fatto ha incancrenito una maggioranza bulgara molto fragile, tanto che Draghi si dimise (pur avendo la fiducia) perché anche lui era il cucuzzaro di turno, con in più la funzione da baby sitter fra soggetti politici che non hanno mai pensato a salvaguardare la comunità.

Giuseppe Conte è stato eletto e sarà protagonista di questa legislatura, seppur all’opposizione. Ma non ha vinto. E non ha preso i voti per il reddito di cittadinanza, badate bene. Li ha presi, tolti gli iscritti, per una questione di “sindrome di Stoccolma”. E me ne sono accorto proprio per le discussioni che ho personalmente avuto.

La sindrome di Stoccolma è una malattia psichiatrica. Le persone che sono state rapite fisicamente e imprigionate trovano a volte nel loro carceriere una forma di amore malsano, perché dal carceriere dipende l’esistenza del rapito. E il carceriere pur tenendo chiuso il rapito lo nutre e si occupa di lui. Nonostante il male…

Giuseppe Conte è il primo che si trova a vivere una situazione per qualsiasi soggetto politico una situazione del genere. Non a caso, la sua campagna elettorale è stata diversa, molto più incentrata a cambiare pagina e nei suoi attacchi agli ex alleati ha confermato pienamente quello che mi puzzava dall’inizio. Che c’era una dirigenza politica ben definita che ha creduto di usarlo per poi buttarlo via.

E così Giuseppe Conte diventa di fatto il boia del centrosinistra targato PD, portando alla luce il vero volto di una classe dirigente che preferisce stare piuttosto che parlare alla gente, Con buona pace degli appassionati e degli innamorati della sinistra, perché la Sinistra di oggi non è mai stata la Sinistra di ieri.

La gente lo sa e ha preferito votare altro (vedi Destra) o non votare proprio.

Già. Perché Conte è ancora visto come un presidente carceriere. Nonostante abbia chiesto scusa e in parte motivato le ragioni di determinate scelte, che però non si sono rivelate le migliori.

Già, perché l’Italia è ancora più povera, e si sa che il reddito di cittadinanza non è la misura che ridarà la vita a chi il lavoro lo ha perso, e molto probabilmente non lo riprenderà.

I risultati si vedono. E ora che Conte è più libero, dovrà dimostrare di essere degno di definirsi Politico. Perché se il popolo soffre, qualcosa non ha funzionato. Un qualcosa che ovviamente tutti vedono, ma non tutti ammettono. E credo che questo il buon Giuseppe Conte lo sa bene. Eccome se lo sa, anche se non lo ammette.

Consiglio spassionato: si liberi un po’ di tutta questa pletora di soggetti affetti da sindrome di Stoccolma. Sarebbe ora.

Aurélien Facente, 19 ottobre 2022

L’Europa ai tempi del Coronavirus

Tutti stanno toccando questo tasto. Tutti ne scrivono. C’è chi la ama e c’è chi la detesta. Di fatto, nessuno è d’accordo.

   L’Europa è un’illusione bella e buona. Sulla carta, i politici hanno firmato dei trattati, e quelli dopo si sono cullati nell’illusione che quello doveva durare per sempre. Come l’Impero Romano che credeva di essere immortale, e alla fine sappiamo come andò a finire. Giusto per un esempio ancora più lampante, perché non ricordare Alessandro Magno che cercò di costruire un larghissimo Impero, che poi si sfracellò appena il giovane imperatore perse la vita. La storia è piena di queste illusioni.

   Certo, di progressi ne abbiamo fatti tanti negli ultimi 80 anni, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. Perché dopo la fine del conflitto, la volontà di quella politica era raggiungere un grado di civiltà tale da poter mettere una pietra sopra a quella tragedia immane che racconta tuttora oggi il prezzo che l’odio comporta.

   Ed era giusto sognare l’Europa.

   Ma certi processi unitari hanno bisogno di molto tempo per realizzarsi.

   Non si sono fatti i giusti calcoli.

   Nel 1992 c’erano ben altre aspettative, però non si è capito che le cose possono cambiare da un momento all’altro.

   Le nazioni dell’Unione Europea hanno insistito tanto sul progetto economico chiamato Euro, che prima ancora si chiama ECU.

   Ci hanno voluto far credere che quel progetto avrebbe portato benessere.

   E poi, guarda caso, non hanno tenuto conto di un elemento che nella storia umana è forse il principale protagonista, ovvero il tempo che cambia le cose.

   Si è voluto far credere che quella moneta fosse la base su cui consolidare la grandezza di un’unica grande nazione.

   Nel 1992 potevi crederci. Io ero un ragazzino delle medie, e ci credevano i miei insegnanti. Si doveva dimenticare di essere italiani per sentirsi cittadini europei. Me le ricordo bene le tante frasi che si dicevano a scuola. Beh, comprensibile. All’epoca, i miei insegnanti avevano vissuto le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale. La visione di una Europa più giusta era qualcosa di nobile. E a tredici anni non potevo mica contestare quel bel sogno.

   Però poi cresci, e inizi a capire.

   Dall’entrata fattiva in vigore dell’Euro, abbiamo avuto progressi tecnologici spaventosi. Internet, smartphone, digitalizzazione. Giusto per citarne tre. Ma poi, nello stesso tempo, siamo diventati più poveri. Ci siamo tagliati le possibilità di costruirci una propria vita professionale perché le imposizioni economiche sono mutate.

   E mentre eravamo diventati più poveri, ecco che le scuse per rimandare la discussione del problema sono aumentate, sempre con lo stesso leit motiv: ce lo chiede l’Europa.

   Come se l’Europa fosse una persona, quando in realtà la verità da dire: ce lo impone lo Stato centrale europeo.

   Uno Stato che si regge solo su trattati economici, dai quali poi sono stati fatti altri trattati. Ma l’interesse economico non regge se non c’è l’interesse per i cittadini. Perché, per quanto puoi essere laureato in economia, si sa bene che la stessa economia ha bisogno dell’essere umano per essere tale. Se l’essere umano muore, l’economia non esiste. Ma l’economia deve essere il primo e unico obiettivo. Si può capire che i bilanci devono essere a posto per una questione di credibilità, ma uno Stato centrale sarebbe più credibile e civile se pensasse di più alle persone.

   L’Europa non pensa alle persone?

   Facciamo un piccolo passo indietro nel tempo. Giusto uno. La Brexit. L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa, tra l’altro votata dai cittadini inglesi in un referendum.

   La democrazia umana trionfa. Il resto dell’Europa accusa il colpo, ma non si preoccupa minimamente di dibattere, di fare un passo indietro e capire che qualcosa è cambiato inevitabilmente. Invece, si continua sulla strada dell’economia.

   Già, senza soldi non se ne cantano messe.

   Ma è anche vero che i soldi senza gli esseri umani sono carta straccia. Anzi, quando si muore il portafogli è superfluo.

   Però bisogna mantenere gonfio il portafogli in ogni caso. Bisogna solo fare i compiti e basta, tagliando i diritti delle persone che devono solo compiere i doveri.

   Poi arriva il Coronavirus, il nemico invisibile per eccellenza, quel caos che ogni tanto la natura genera, rendendolo talmente forte da far vacillare tutto il castello europeo.

   Ed è questo che succede, mettendo a nudo tutte le fragilità di chi si sentiva forte.

   Nella storia del mondo non è la prima volta che accade una pandemia.

   E le pandemie mettono a nudo i primi due schieramenti: i coraggiosi e i vigliacchi.

   In epoca Coronavirus è successo sostanzialmente questo.

   La prudenza economica contro la difesa della vita.

   E quelli che sono per la prudenza economica inveiranno sempre contro chi vuole difendere la vita, a patto che la cosa non colpisca anche loro.

   Il Coronavirus ha colpito la Germania e l’Olanda, ma per loro le persone sono sacrificabili. Un concetto totalmente diverso di concepire le politiche nazionali e internazionali. Loro non esiterebbero a sacrificare i più deboli per difendere la loro economia. Non lo hanno fatto prima, perché dovrebbero farlo adesso. Per aiutare i mafiosi italiani e gli scalmanati spagnoli? Non sia mai.

   Che strano concetto di stare insieme. Eppure gli aiuti internazionali non sono mancati all’Italia. La Cina, anche se con dovute riflessioni, è stata la prima ad intervenire. Poi Cuba. Poi Russia. Poi Albania, Polonia, e ci sarà anche qualcun altro.

   Gli amici si trovano nel momento del bisogno.

   Una parte dell’Europa non vuole essere amica con noi nel vero senso della parola.

   E qui cade il castello di carte.

   Allo stesso tavolo mi siedo con gli amici di cui mi fido, che mi spingono e mi sostengono a fare del mio meglio, e se serve mi aiutano anche. Però, quando ci sono i soldi di mezzo, succede altro.

   Si dice che chi trova un amico, trova un tesoro.

   Ma qualcun altro dice che chi trova il tesoro, se ne fotte dell’amico.

   Io aggiungerei che dietro il tesoro ci può essere sempre la spada di un pirata che ti infilza.

   Ecco forse spiegata la più grande illusione dell’Europa svelata.

   C’è sempre tempo per cambiare, a patto che si consideri l’esistenza delle persone come essenziale ai fini del meccanismo economico. Altrimenti non serve a niente.

   Per quanto mi riguarda, l’Europa è bella vederla dallo spazio, in una posizione lontana, con l’idea di un sogno.

   Perché l’Europa, ora come ora, è un vaso dannatamente fragile che rischia di rompersi in qualsiasi momento.

   Fare un passo indietro non è mai un’umiliazione, ma un vero e proprio atto di umiltà.

   E che sia ben chiara una cosa: il Coronavirus se ne sbatte ovviamente dell’economia.

Aurélien Facente, aprile 2020

La Brexit è pur sempre il diritto di un popolo, anche se non piace

L’Inghilterra esce dall’Europa, e torna a essere Inghilterra. Per l’Europa, quella di Bruxelles, è una sconfitta che brucia. Lo scenario che si presenta è inedito, ma adesso c’è il precedente. E l’Europa, quella che sta a Bruxelles, sembra che non ami parlarne, il che fa capire che forse è meglio aspettare e osservare prima di fare le dovute conclusioni.

   L’uscita dell’Inghilterra è una sconfitta o una vittoria?

   La risposta non è certa.

   Di sicuro è la vittoria di un popolo che ha votato per un referendum per uscire dall’Europa.

   È la vittoria degli euroscettici, dei critici verso l’Europa, di un mondo intellettuale messo a tacere che non voleva questa Europa burocrate e basta. È la vittoria dello scrittore francese Michel Houellebecq che, nel 1996, Maastricht era un grosso sbaglio. È un po’ la vittoria di Craxi anche, che a suo modo si auspicava una riscrittura dei trattati europei.

   Fermiamoci qui per il momento.

   È anche una sconfitta ovviamente.

   La più cocente sconfitta dell’Europa economica.

   Era chiaro che gli Stati non potevano stare insieme solo esclusivamente tenuti da una catena economica, oltre che da un modo di fare ipocrita. Basti pensare a come viene affrontato il tema dell’immigrazione. Si trova il cucuzzaro di turno e deve vedersela lui e basta. L’Italia è il cucuzzaro dell’Europa, e allora i burocrati e i tecnocrati vogliono solo tenersi pulita la coscienza, e non affrontare il problema a viso aperto, tutti insieme, come dovrebbero fare le vere civiltà.

   L’Europa, però, non è una civiltà. È un insieme di popoli che, però, non hanno chiesto di stare per forza insieme. I trattati li hanno firmati i politici, ma non sono i popoli ad aver deciso.

   La Storia è chiara in questo almeno.

   Si è voluto realizzare un’Europa per realizzare un sogno, per scrivere un racconto fantastico da raccontare ai nipoti. Ma oggi i nipoti non hanno le opportunità dei nonni. Ecco il problema.

   L’Europa si tiene legata attraverso l’economia. Ci si dimentica, però, che l’economia è fatta anche dalle persone di tutti i giorni. Se uccidi le persone, le economie cessano di esistere.

   L’Europa, così concepita, ha ucciso le persone di tutti i giorni.

   Disordini sociali, differenze tra ricchi e poveri accresciute, possibilità ridotte di arrivare alla fine del mese con un buon respiro, svalutazioni dei propri patrimoni, debiti che crescono senza controllo. E un caimano che detta le regole, senza dare modo di respirare. Stare sempre sotto il 3% in nome di che cosa poi? Di quale prospettiva? Di quale possibilità di un lavoro che mi possa permettere perlomeno di pagarmi una stanza.

   Il gioco non funziona.

   Risultato? Il popolo inglese vota il referendum e decide di uscire.

   Certo, può permetterselo.

   E fa bene. Perché il popolo ha democraticamente deciso.

   E oggi festeggia.

   Gli inglesi non sono un popolo nobile al 100%. La loro storia è macchiata di episodi controversi pagati anche con il sangue. Non hanno mai preteso di essere perfetti. Ma democraticamente hanno deciso di esistere.

   Personalmente ho fatto il tifo per la Brexit.

   Perché si doveva creare e realizzare quel precedente che basterebbe a ridiscutere lo stesso concetto di Europa.

   Perché l’Europa deve essere un continente dei popoli, e non delle economie. Deve essere un’Europa delle prospettive e delle possibilità, e non solo delle costrizioni.

   Un’Europa molto più umana e coraggiosa.

   Fosse stato così, l’Inghilterra non ne sarebbe uscita.

   Ora si è realizzato il precedente che tutti aspettavamo.

   I politici e i burocrati possono sempre teorizzare le apocalissi. Ma alla fine sono sempre i popoli a decidere del loro destino.

Aurélien Facente, febbraio 2020