Oggi viviamo in Italia le conseguenze del Porcellum, il vero assassino della democrazia

Ogni storia ha un inizio. Inizia con l’attuale Presidente della Repubblica, l’On. Sergio Mattarella. Fu artefice di una legge elettorale nazionale definita “Mattarellum”, nella quale era possibile scrivere nome e cognome del candidato alla Camera o al Senato da parte dell’elettore, il che implicava un voto riflessivo e convinto. Non perfetta come legge (non esiste la legge perfetta), ma almeno uno votava qualcuno che conosceva. C’era un fondo di merito, il che la rendeva abbastanza democratica.

Poi arrivò il signor Silvio Berlusconi negli anni 90′ che sconvolse la vita parlamentare italiana, e dopo un primo tentativo di governo nel 1994, qualche anno dopo riuscì a governare per cinque anni consecutivi insieme ai soci di Alleanza Nazionale, la Lega Nord, e l’UDC con il suo partito Forza Italia. E una delle cose che gli riuscì fu di cambiare la legge elettorale.

L’ideatore di questa legge elettorale, definita “porcata” proprio dal suo stesso ideatore, ha un nome e cognome: Roberto Calderoli, un navigato della Lega Nord. La legge prevedeva la non possibilità di conoscere i candidati a favore del simbolo. Cioé una ics sul simbolo mentre si vota, e nessun contatto con la rappresentanza locale.

Si può dire una bella legge a favore dell’oligarchia, nel senso che tanto ci siamo noi e noi ci voterete senza discutere.

Questo bel giochino è andato avanti per almeno 15 anni e passa, senza calcolarne le conseguenze nel periodo lungo a venire.

Il signor Mario Monti fu una brutta conseguenza di questa legge. Perché dentro il Parlamento, grazie alla cosiddetta garanzia dell’anonimato sulla scheda elettorale, ci siamo trovati tanti soggetti passare da destra a sinistra e vice versa senza il benché minimo senso del pudore, portando alla sopravvivenza di parlamenti ma con il prezzo di non incidere sulla scelta politica del primo ministro, poiché uno come Mario Monti fu scelto proprio dall’allora Presidente della Repubblica Napolitano, con il chiaro scopo di non andare ad elezioni, nonostante il Paese ne avesse bisogno.

Un’altra conseguenza della legge fu la scelta dei candidati. Non più persone che potevano prestarsi alla politica per costruire la società, ma una lunga serie di Yes Man e Yes Woman messi lì solo ad eseguire la linea del partito o del capobanda. Garantendosi così il posto per le successive elezioni. A Crotone ne abbiamo un esempio chiaro con la Maga Dorina, che passò da destra a sinistra, con la scusa di essere moderata, e vice versa con la sola motivazione che i moderati (termine politico molto idiota) si spostavano così.

Con una legge come il Porcellum questa fu la più grave delle conseguenze. Perché la politica non era più un’opportunità per la società, bensì un’occasione di mantenere quei privilegi, anche economici, che piacevano e piacciono a tutti.

Ovviamente con la complicità di un popolino italiano che man mano che il tempo passava si trovava sempre più povero.

Poi arrivò il Grillo urlante. Con i Cinquestelle. Fu un momento storico il suo arrivo in politica, perché trovò la falla nel porcellum. Il simbolo dei Cinquestelle divenne il dissenso democratico contro i nuovi signorotti del Parlamento Italiano. Arrivando ad entrare di prepotenza nel Parlamento Italiano, con un’energia necessaria.

Attenzione, però, perché il Cinquestelle è la testimonianza diretta di come l’Italia politica era sprofondata in un sistema oligarchico mascherato da democrazia. Perché il Porcellum fu dichiarato poi dalla Corte Costituzionale come una legge illegittima che non garantiva la conoscenza diretta del candidato.

L’ultima legge elettorale nazionale, definita Italicum (che è una versione riveduta e corretta della precedente), la si deve al governo Matteo Renzi, oggi il politico più detestato d’Italia. Ma anche lui aveva visto chiaramente che il Porcellum non era buona come legge, tanto che il suo ingresso dentro le sacre stanze del Parlamento fu non dovuto ad una crisi politica (che c’era già prima), ma da un’occasione causata ed avvallata dalle conseguenze del Porcellum.

Curioso il fatto che per una quindicina d’anni sono stati eletti parlamenti con una legge poi dichiarata non valevole, ma è proprio grazie a questa stortura che ci ritroviamo nella peggiore Italia.

Sì, perché, di fatto, l’Italicum non ha riparato un bel niente.

Oggi ci ritroviamo questo signore, Mario Draghi, con la complicità di una politica quasi tutta accondiscendente. Certo, perché i candidati al Parlamento non li hanno scelti i cittadini, ma i capobanda dei vari partiti. Yes Man e Yes Woman pronti a cambiare casacca qualora la situazione lo richieda. Il caso recente del giovine ministro Luigi Di Maio, addirittura eletto Cinquestelle, sta a dimostrare come le stanze parlamentari siano oligarchiche a danno proprio della cittadinanza.

Ad oggi, nonostante il Parlamento avrà meno deputati e senatori per via di una riforma proprio voluta dai Cinquestelle, non si sa con che razza di legge elettorale si voterà. Certo è che ormai è chiaro che il Parlamento è pieno di attori buoni per un reality show, ma non adatti (ma molto indifferenti) sul vero vissuto del Paese, che con grossa probabilità non voterà in massa. Questo andrà a vantaggio di una politica sempre più oligarchica e non democratica.

Il caso di Luigi Di Maio è lampante. Rivoluzionario con i Cinquestelle, omologato non appena ha avuto un ruolo in governi di maggioranza. Seguendo il costume già presente durante il Porcellum, ha cambiato strategia per assicurarsi la sua posizioncina politica, dichiarando tutto il contrario di tutto. Non una questione di crescita personale, ma di sporca opportunità. I Cinquestelle si trovano in momento di basso gradimento, quando è in realtà tutta la politica nazionale a essere corrotta nell’anima. E questo la gente lo sa. Tranne gli innamorati. Ma la gente di tutti i giorni lo sa, e questo creerà un altro distacco tra la politica e l’elettorato.

Il voto è una questione di fiducia. Se tradisci la mia fiducia, io non ti considero nemmeno per un voto, che oggi più di ieri, in regime di grosso astensionismo, risulterà essere determinante.

Sta di fatto che l’Italia è sempre più povera. Proprio per colpa di tutti questi Yes Man e Yes Woman figli della politica del Porcellum.

Una brutta pagina di storia dell’Italia.

Aurelien Facente, 26 giugno 2022

Ritratto di Gigino ovvero l’impotenza al potere giustificata dalla menzogna

Giggino Di Maio. Un uomo comune che è riuscito a essere scaltro nella sua roccaforte politica. Questo va detto. Ma non è stato sincero. Forse all’inizio, ma dal primo incarico di ministro qualcosa è cambiato.

Giggino Di Maio è l’essenza del potere che corrompe il brav’uomo. Tutti quelli che si autodefiniscono rivoluzionari prima o poi cadono nella corruzione del potere. Perché per cambiare le cose ci vuole volontà, intelligenza, anche un certo credo religioso. E soprattutto devi avere contenuti. Perché se non hai quelli, sei demagogo. E i demagoghi al potere non si prendono nessuna responsabilità, se non la volontà ferrea di non cambiare il beneficio del proprio portafogli.

Giggino si è rivelato, cadendo nella trappola costruita dallo stesso Movimento che lo ha reso politico prima e politicante dopo. Non offenderti, Giggino. Per me non sei un buon ministro degli esteri. Non hai la cultura e soprattutto non hai la testa adatta per farlo.

Giggino abbandona il Movimento. Già, perché ormai il Movimento affonda come il Titanic e ovviamente prende la migliore scialuppa per salvaguarsi le chiappe, ma non l’onore. Quella è un’altra cosa. Giggino ha l’onore corrotto dal potere, e ha preferito salvaguardarsi le chiappe.

Un anno di tempo, caro Giggino. Poi anche tu dovrai andare a raccattare voti per ritornare al dolce scranno del Parlamento. Sempre che la tua generazione politica non decida di mandare a puttane la Costituzione Italiana, e a quel punto si completa la verità della corruzione in nome della bugia del potere.

Già, caro Giggino. Lo so di essere duro con queste parole. Ma è una lettera aperta di chi ha osservato la crescita del Movimento. Pensa, l’ho pure votato perché credevo che ci fosse un reale bisogno di scuotere un bel po’ di politica italiana. Era necessario scuoterla perché il periodo lo richiedeva.

E alla fine?

A pochi mesi del compiere il fatto rivoluzionario, ovvero mettersi da parte dopo il secondo mandato, il potere che corrompe ti ha posseduto e con un discorso imbarazzante hai rivelato la tua reale natura.

I governi (sei al terzo) di cui hai fatto parte hanno gravi responsabilità storiche, e non mi va di elencarle tutte. Tanto sarà il popolo a giudicarti quando ci saranno le elezioni, ma di sicuro compi la più stupida delle mosse nel momento in cui la stessa politica dovrebbe preoccuparsi di ricucire il rapporto con la gente, perché se governi un Paese dove la metà della gente non ti considera nemmeno allora l’autorevolezza della politica perde. E si continua a raccontare la menzogna. Cosa che ovviamente hai ben fatto in tutti questi anni.

Certo, c’erano le regole della politica. Ma di quale politica, Giggino? La tua? Quella che offre la rivoluzione e poi la fa diventare l’ennesima illusione. Hai scelto tu, caro Giggino, di farti sedurre dal potere. Non è stata la gente a chiedertelo.

Peppino Conte se ne farà una ragione. Ma lui almeno in questi mesi un giro per l’Italia se lo sta facendo, cercando di promuovere una rivoluzione che è diventata un’illusione.

Ma era inevitabile che finisse così. Perché è il destino dei demagoghi al potere. Sguazzano come sanguisughe sulle spalle dei cittadini e amano restarci. Ma quando si tratta di cambiare, mostrano tutta la debolezza della loro corruzione.

Non parlo di corruzione in danaro, caro Giggino. Ma della corruzione che è dentro la tua anima adesso. Hai fatto una scelta rischiosa e azzardata. Ti sei dato troppa importanza. E quell’uno che valeva uno è diventato io esisto sopra di voi.

Che illusione! Eppure quasi ci credevo in un meridionale che potesse cambiare qualcosina. Sottolineo il quasi. Perché i “rivoluzionari” li conosco in Italia. Pronti a raccontare di tutto e di più, salvo poi gettare la maschera quando il gioco gli torna contro. Avrai anche ridotto i parlamentari, ma sei diventato il più obsoleto dei parlamentari. Alla fine ti sei rivelato per quello che sei. Libero di farlo, ma a discapito della tua credibilità elettorale.

Capisco l’ambizione e forse anche la passione per la politica. Ma la tua non è più politica. Si chiama opportunismo. E si tratta della peggiore malattia degli ultimi anni in politica. Quello stesso opportunismo che tu denunciasti e condannasti. Alla fine, hai parlato talmente male di loro che sei come loro.

Avevi un’altra chance, caro Giggino. Una chance azzardata, ma che ti avrebbe reso protagonista di una storia ancora migliore. Le tue dimissioni da ministro e da parlamentare. Un atto forte che avrebbe spaccato il Movimento comunque, ma che ti avrebbe dato quella credibilità che cercano i cittadini. Una scommessa azzardata dunque. Ma coraggiosa e non vile.

Ti ho seguito, Giggino, in tutto questo tempo pensando che un meridionale mi avrebbe reso orgoglioso di essere tale. Invece hai gettato la maschera mostrando quella che è una triste verità: quella di essere un bluff.

Buon proseguimento, Giggino. Prima o dopo anche tu farai i conti con la realtà, quella vera però. Quella di cui anche tu un tempo facevi parte. E non credo che sarà tenera con te. Il destino dei falsi rivoluzionari non è mai tenero. Staremo a vedere, ma di sicuro il tuo gesto contribuirà ancora di più al grande astensionismo che macchierà di disonore la storia della Repubblica Italiana.

Aurélien Facente, 22 giugno 2022

Comincia la caduta del mito politico europeo attraverso le elezioni francesi.

Bisogna guardare al proprio vicino con curiosità. I cugini francesi sono diventati pestiferi. Elezioni legislative, che tradotto in Italia sarebbero le elezioni per il rinnovo della Camera e del Senato. Guai a non guardare quello che succede lì, perché succederà anche in Italia.

C’era una volta un presidente di nome Emmanuel Macron.

Governava la Francia con un nuovo partito politico (che ha cambiato già nome) per dimostrare che la politica europea fosse la migliore. Apprezzamenti da vari media italiani, a cominciare dal PD.

Macron, in realtà, era l’ultima possibilità per credere alla grandeur dell’Europa unita.

Arriva la pandemia, e tutta la politica europea mostra il peggio di sé. Altro che destra e sinistra, o fascismo e comunismo. Il festival della follia tra gli scranni del potere.

Poi è arrivata la misteriosa guerra tra ucraini e russi.

E allora l’occasione diventa ghiotta. Tutto il mondo pseudomoderato di sinistra e simili alzano la cresta. Tutti a fare gli eroi e a combattere contro il cattivo russo.

Macron, intelligentemente, prende una posizione leggermente più moderata. Ma dimentica qualcosa. Che la sua politica comincia a non essere più creduta. Senza contare che il partito dell’astensionismo cresce. Ma se vuoi restare in piedi, allora meglio ridicolizzare gli altri.

Il nemico numero 1 da abbattere è la signora Marine Le Pen, la fascistona del Front National. La signora è di destra, per alcuni fascista. Non prova vergogna a candidarsi alla presidenza dell’Eliseo, ma nonostante sia la cattiva il suo elettorato cresce. Ma nessuno si chiede perché.

E già. Perché quelli che appoggiano Macron sono i migliori, sanno tutto, risolveranno tutto. A patto che i cittadini stiano zitti e digeriscano gli orrori economici e sociali che li faranno stare bene.

La Francia assomiglia molto all’Italia in questo momento storico.

Economia al ribasso, povertà in vistoso aumento, carovita eccessivo, tassazione alta e non giustificata da fatti (anche il ministero della salute francese doveva rendere eccellenti gli ospedali), degrado a più non posso. Questo è quello che la gente vive, ma viene smentito anche da molti media (quelli allineati al pensiero governativo),

Beh, l’Italia somiglia molto alla Francia. La differenza a questo punto sta nella razza, aggiungerei.

Alle presidenziali Macron vince con affanno. Ma con un astensionismo monstre.

Ma in Italia è preferibile non vedere queste cose. Anzi, qui in tv tutti eroi di guerra, ma non di economia giornaliera.

La fortuna vuole che subito dopo le presidenziali, arrivano le nazionali in Francia.

E qui c’è il signor Melenchon, noto agitatore comunista. In Italia se ne parla poco, ma è adesso il primo partito di opposizione. Anche lui è brutto e cattivo perché non vuole essere schiavo delle scelte dell’Europa. In Italia non si deve parlare di lui, ma stranamente questo gentile signore ha il merito di riprendere un po’ di quella sinistra che tutti amano, e non a caso il risultato gli da ragione.

Ieri, 19 giugno 2022, si sono svolte le elezioni francesi. E il signor Macron perde la cosiddetta maggioranza assoluta. Per la prima volta nella storia della République Française un Presidente perde la maggioranza in Parlamento.

E ovviamente adesso capiremo dove si andrà a svoltare.

Ma c’è un dato che nessuno considera, e in questo ci arriverà pure l’Italia (nella mia Crotone lo conosciamo già).

Oltre il 54% di astensionismo, ovvero oltre un elettore su due ha preferito non votare. Decretando la fine della propria democrazia, ma decretando anche la mancanza di credibilità dell’europeismo estremo e convinto che, di fatto, ha aumentato a dismisura gli orrori sociali.

Un brutto problema che si dovrebbe considerare eccome.

Perché se un elettore su due non vota e non mostra sensibilità nei confronti della democrazia, vuol dire che qualcosa non va.

In Francia la signora Le Pen e il signor Melenchon vincono relativamente, ma perché conquistano quel poco di voto che resta, andando in netta crescita. A discapito del Macron che perde miserabilmente, anche perché il Presidente sarò anche una persona capace, ma attorno a lui non è che ci siano persone simpatiche ed amabili. Tutt’altro. Mezzo governo è stato bocciato già al primo turno (in Francia si vota in due turni per le nazionali), il che vuol dire che i migliori magari saranno migliori solo a blaterare e fare chiacchiere.

Comunque qualcosa di simile avverrà anche in Italia nel 2023.

Ormai l’insieme della politica italiana (e già nelle comunali recenti si è visto) racchiude un elettorato super diviso e molto incline a fregarsene di avere una rappresentanza. E se la premessa è questa, sarà una tragedia enorme. Non per chi non ha votato. Non a questo giro almeno. Perché il non voto è diventata la sola arma di dissenso al degrado e alla menzogna politica degli ultimi anni. A Crotone, giusto per fare un esempio pratico, l’astensionismo ha raggiunto quota 70% alle regionali calabresi, un dato che dovrebbe far riflettere.

In Francia quelli che votano la Le Pen lo hanno fatto per disperazione.

E succederà anche qui.

Non si è migliori nei confronti dell’avversario deridendolo e schifandolo.

Si è migliori quando la tua gente vive.

Quando dentro l’Italia politica si arriverà a capire questa regola semplice, forse riuscirà a riprendere un po’ di credibilità. Sì, perché se non credo nella politica non credo nella repubblica, e se non credo nella repubblica non credo nemmeno nella legge. E questo dovrà per forza di cosa essere uno degli argomenti che dovrebbero alimentare il dibattito.

Ma in Italia sbatteremo contro un muro, fidatevi. Ma tanto dobbiamo ascoltare solo gli specialisti, come disse qualcuno che conosco.

Aurélien Facente, 20 giugno 2022

Gli americani scelgono sempre il loro destino, anche quando non piace

E così il buon Joe Biden ce l’ha fatta. Diventa il Presidente numero 46 degli Stati Uniti, succedendo a quel cattivo di Donald Trump, sconfitto e capriccioso.

   Facciamo gli auguri al grande Joe. Ha vinto. Ha convinto. Giusto che diventi il Presidente.

   Curioso però che in Italia ci sia tanta tifoseria accanita. Non mi sembra che gli italiani, in particolar modo giornalisti e politici, avessero la possibilità di votare per Biden negli Stati Uniti.

   Certo, il cattivo Trump se n’è andato.

   Ma non canterei vittoria prima del tempo. Non me ne voglia il grande Joe.

   Gli Stati Uniti d’America sono un enorme Stato. Non hanno bisogno dei complimenti dell’Italia figa e politica. A livello di voto sono sempre stati autonomi, e sempre lo saranno. Sarà, semmai, il tempo a decidere della bontà di questo nuovo Presidente, e sarà sempre il tempo a decidere se Trump è il vero cattivo.

   E saranno sempre gli americani, in genere, a essere premiati o a pagare per il loro destino.

   Biden ha vinto. Giusto che governi. Ma nessuna esultazione o festeggiamento. Tutto è ancora da scrivere. Quello che si scrive adesso equivale a una masturbazione mentale pazzesca. E ipocrita, bisogna aggiungere.

   Perché gli Stati Uniti d’America sono una grandissima nazione che per capirla bene bisogna viverla al di dentro, cercando di carpirne lo spirito d’appartenenza almeno.

   Lì non ci sono centinaia di partiti come in Italia. Lì ci sono due grossi partiti nazionali, e non si considerano né di destra né di sinistra. Repubblicani non vuol dire fascisti, come Democratici non vuol dire essere di sinistra. È solo una misera credenza della stampa italiana targata sinistra, che vuol farci convincere che un Presidente sia meglio dell’altro.

   Oggettivamente su che base poi?

   Gli Stati Uniti sono un grande Paese perché lo dimostrano in tanti campi. Sul piano politico si può discuterne, ma sul piano della ricerca dell’eccellenza no. Soprattutto quella tecnologica, visto che hanno sempre lavorato per il meglio.

   Certo, è un paese contraddittorio, ma è un enorme paese vasto. L’Italia è una regione a confronto, e non può nemmeno permettersi di fare la morale o di suggerire cosa l’americano medio dovrebbe votare. Non ne ha la capacità semmai.

   Biden ha vinto sul suo avversario perché ha convinto gli elettori. Non ci sono altre spiegazioni. Certo, si potrebbe parlare di lobby e quanto altro ancora. Ma toccava sempre a Biden dimostrare di poter essere affidabile.

   Il Presidente degli Stati Uniti è visto come un sicuro investimento per la tenuta della Nazione. La mentalità dell’americano in genere è quello di essere eccelso nel proprio campo. Perciò tendenzialmente non perdona il fallimento. Il lavoro va di pari passo con il merito.

   Certo, c’è anche l’altra faccia della medaglia. La parte negativa degli Stati Uniti. Ogni Paese ha un lato positivo e uno negativo. Non c’è mica da fare una morale su questo.

   Però Biden ha vinto sul cattivo Trump.

   Fra quattro anni si rischia di raccontare una storia totalmente diversa.

   In fondo stiamo sempre parlando della Grande America.

   Intanto, tanti auguri, caro Joe.

   Dio benedica l’America.

Aurélien Facente, novembre 2020

La triste storia di un piccolo palco in piazza

C’è una storia che è passata del tutto inosservata. Vale la pena raccontarla. È la storia di un palco messo in Piazza della Resistenza, Crotone. È la storia di un piccolo palco che è stato tante volte presente in quella piazza dove si trova il palazzo comunale.

   Il palco è stato usato per tante iniziative. Concerti, eventi benefici, e comizi politici. Quel palco messo lì in piazza è stato il simbolo di tanti incontri con i cittadini.

   Come in ogni avvicinarsi delle elezioni, il Comune mette a disposizione il palco per far incontrare i candidati con la cittadinanza. Il palco è uno strumento, tutto sommato, molto democratico, perché da lassù il candidato racconta il suo progetto, e regala la possibilità anche un piccolo gruppo di persone di ascoltare.

   L’essenza della democrazia al centro della piazza, la cosiddetta agorà.

   La piazza è l’incontro delle persone. La piazza è anche il simbolo del dissenso. La piazza è il luogo dove la democrazia s’individua meglio.

   Eppure, alle ultime tornate elettorali regionali, il palco è rimasto vuoto. Sì, è stato usato per un’iniziativa. Ma non era politica.

   Per giorni e sere, ho aspettato che qualcuno, nonostante il freddo, salisse sul palco per provare a raccontarsi alla città. Ho aspettato che qualcuno arrivasse con un impianto per preparare al meglio il candidato. Avevo voglia di vedere qualche faccia nuova, ma anche qualche faccia più conosciuta.

   La semplice curiosità dell’elettore fu disattesa.

   Quel palco, oggi riportato dentro i magazzini comunali, è rimasto deserto, vuoto, senza che nessun candidato lo calpestasse.

   È vero che la politica ha cambiato il suo modo di comunicare. Adesso si comunica molto con il web. Ma si tratta solo di uno strumento. La piazza deve aver il diritto di ascoltare e di dissentire.

   Nessuno dei candidati ha usato il palco.

   Vergogna? Cattiva coscienza? Paura di parlare alla gente? Paura di affrontare il popolo arrabbiato perché più povero?

   Che strani i politici/politicanti della mia Crotone. Codardi? Ipocriti? Cazzari?

   Tranne qualcuno, la maggior parte dei candidati ha preferito le sale d’albergo, le sale al chiuso, le sale dove loro potevano ergersi senza rischi di prendersi qualche fischio. Hanno preferito distanziarsi, e così la stessa gente, quella che poi ha preferito astenersi, percepisce il messaggio sbagliato: che la politica non è un qualcosa che si dovrebbe occupare di tutti, ma solo di incontrare altri elettori, quelli che hanno più soldini e che non possono camminare in piazza liberamente.

   La gente s’allontana dalla politica, perché la politica s’è allontanata prima, e paradossalmente dopo aver preso i voti della piazza.

   Si dice che ogni popolo ha il governo che si merita.

   Ma in Calabria c’è una maggioranza di persone che non ha voluto votare, soprattutto in queste ultime regionali.

   La Regione Calabria, o meglio la politica che l’ha amministrata sinora (c’è un nuovo consiglio e ci sarà una giunta, ma al momento non va processata e condannata, almeno per ora, per il passato) si è voluta allontanare, dando il messaggio che la Regione è una grande torta da ripartire in pochi.

   Normale che le persone si allontanino. La Regione non è cosa per i calabresi.

   La campagna elettorale è terminata da molti giorni. Un presidente è stato scelto, così come sono stati votati i consiglieri. C’è una maggioranza che governerà, ma è stata votata da una minoranza, non dalla maggioranza della popolazione.

   E così il palco rimase vuoto e silente.

   È vero anche che qualcun altro ha incontrato i cittadini in un’altra piazza, ma questa è un’altra storia.

   Perché adesso il piccolo palco è rientrato nella sua casa, tutto solo e triste.

   Triste perché una certa politica ha volutamente dimenticato il reale valore di una piazza.

Aurélien Facente, febbraio 2020

La lunga corsa riparte da Crotone, ovvero la sfida di Tansi e di Voce

La Calabria, al termine delle elezioni regionali, non aveva riservato grosse sorprese. Tutto come previsto, come si legge dai sondaggi nazionali. Il centrodestra vince. Il centrosinistra all’opposizione. Gli altri fuori dalla Regione Calabria.

  Tra gli altri, c’era un certo signor Carlo Tansi, che ha avuto tra i suoi candidati l’ingegnere Vincenzo Voce.

   Nove anni fa, l’ingegnere Vincenzo Voce (era primavera) si candidò a sindaco con un piccolo movimento. Salì sul palco di fronte al Comune di Crotone ed esplicò un proprio programma, molto rispettoso dell’ambiente, davanti ad un pubblico poco numeroso.

   Il movimento scomparve, ma lui è rimasto a lottare.

   Anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno. Tra tante difficoltà, la costanza lo ha premiato. Le sue continue denunce e il suo progetto lo hanno premiato, entrando nei cuori delle persone, tanto da poter permettersi, giustamente, di camminare a testa alta tra la gente e per le vie di Crotone.

   In questo inizio anno si è candidato per le regionali a supporto dell’altro, quel signor Carlo Tansi che ha dimostrato costanza nel proprio progetto regionale. Se non fosse stato per l’alto astensionismo, forse sarebbe entrato in consiglio regionale.

   In verità, il signor Tansi ha pagato lo scotto del debuttante, così come nove anni fa lo aveva pagato l’ingegnere Voce.

   Non me ne vogliano i signori. Un piccolo riassunto è d’obbligo per capire il discorso che il sottoscritto vuole portare avanti.

   In Calabria ho visto tante liste scomparire nel dimenticatoio, pur avendo avuto qualche risultato interessante. La costanza è un valore raro in Calabria, molto raro. Non voglio parlare di coerenza, ma di costanza, che forse è oggi il valore più importante.

   L’ingegnere Vincenzo Voce è stato il candidato a consigliere più votato a Crotone (ma non nella circoscrizione intera). Segnale che indica che c’è una parte di cittadini che vuole cambiare proprio pagina, e l’ingegnere lo sa bene.

   Stamane, domenica 2.2.2020, s’è scritta una bella pagina di democrazia e di politica.

   È una bella pagina perché è molto raro vedere una lista rimettersi in piedi dopo qualcosa che altri vogliono vedere come una sonora sconfitta (anche se la vera sconfitta è l’astensionismo calabrese).

   Che Vincenzo Voce stesse pensando di rigiocarsi la candidatura a sindaco di Crotone in questo momento storico della città era un’ipotesi prevedibile, oltre che una possibilità da cogliere al volo. Che lo facesse con Carlo Tansi era un’ipotesi azzardata, che oggi è fattivamente realtà. Bello vedere che il signor Tansi, l’altro, abbia deciso di ripartire proprio da Crotone, e di candidarsi al consiglio comunale proprio per sostenere l’ingegnere Voce, e farlo davanti ad un pubblico di cittadini che si è riunito in una piazza della città, a pochi passi dal mare.

   Io, personalmente, non ci sono stato. Non potevo esserci. Preferisco essere il blogger a debita distanza di osservazione. Però in cuor mio speravo in una soluzione del genere, perché in passato ho assistito a tante storie interrotte. Posso testimoniare tutte le persone che si sono sentite umiliate dopo aver fatto il possibile per realizzare un progetto politico all’interno dell’ente, per provare a realizzare qualcosa di diversamente onesto. La Calabria, come Crotone tra l’altro, è una terra difficile, dove ormai l’astensionismo è una regola di chi ha assistito a tanta decadenza. Una terra dove è facile abbandonare piuttosto che restare in sella. Ho visto tanta gente andare via dopo che i progetti politici erano stati umiliati. Ho visto persone che non volevano ricandidarsi dopo aver visto solo il bicchiere mezzo pieno. Sono pochissime le persone rimaste a voler combattere per un qualcosa di diverso, di un qualcosa che vada oltre la classica immagine della Calabria delle salsicce e soppressate che si vuol far continuare a far vedere al resto dell’Italia.

  Perciò speravo che Carlo Tansi ripartisse proprio da Crotone, la città abbandonata da tutta la politica che conta. Speravo che il dato politico di Vincenzo Voce non si fermasse a quei 3187 voti (meritati), simbolo proprio di quel lavoro costante che negli anni ha svolto a Crotone, tra tutte le titaniche difficoltà che l’ingegnere ha sempre prontamente denunciato e raccontato.

   E oggi Carlo Tansi e Vincenzo Voce hanno scritto una bella pagina di politica dentro una piazza di tanti cittadini normali che hanno bisogno di voltare pagina.

   Sono piccole pagine che vanno scritte e ricordate, al di là se si possa sostenere il progetto politico o no.

   Perché alla fine questa terra chiamata Crotone, al di là dei problemi ambientali e strutturali, ha prima bisogno di avere dentro di sé persone che possano dimostrare prima di tutto costanza.

   Già. La costanza. Un valore di cui si parla sempre troppo poco.

Aurélien Facente, 2 febbraio 2020

Vince la magica Jole, con l’aiuto dell’astensionismo

È da stanotte che seguo con una certa attenzione quello che succede nella mia Calabria. Ieri 26 gennaio si è votato. Come piccolo blogger, ho fatto appelli di ogni genere perché la gente andasse ad esprimere il proprio voto, a prescindere dal vincitore.

   Da stanotte c’è stata la vincitrice, quella signora di nome Jole Santelli che non è, a dire il vero, straconosciuta in Calabria. Io stesso, devo ammettere, che nutrivo qualche dubbio su di lei. Li nutro ancora, politicamente parlando.

   Però il voto si è espresso, e nell’effettivo c’è stato il trionfo della magica Jole, che sbaraglia tutti con un esercito di sei liste almeno e prende una Regione Calabria molto lontana dalla visione di un comune cittadino, il che spiega il largo astensionismo.

   Già, l’astensionismo è il fenomeno che fa vincere la magica Jole, che si accomoda in Regione aiutata anche dal vento in poppa del centrodestra.

   Ha fallito il buon Callipo, che ha contato forse troppo sulla sua stessa storia imprenditoriale, pagando anche l’alleanza con il PD che sembra essere il primo partito con il 14% (attenzione, che se contate l’astensionismo va giù più della metà).

   Hanno fallito i 5stelle, che pur trovando un candidato alla presidenza interessante, e hanno sbagliato tutta la loro campagna elettorale. Una volta c’erano i banchetti in mezzo alla strada. I bei vecchi tempi. Oggi hanno contato su Facebook e social un pochino troppo. Siamo tutti belli e simpatici. Senza contare il fuoco amico del loro senatore Nicola, che con i suoi speciali interventi ha causato una serie di autogol clamorosi.

   Non ha fallito il buon Carlo Tansi tutto sommato. A Crotone almeno no. Forse entrerà, forse no. In cuor suo sapeva che sarebbe stato molto difficile. Il merito suo è di aver trovato sostegno in tante brave persone. Per lui e i suoi è arrivato il momento di costruire, ma questo soltanto il tempo lo dirà.

   Ha stravinto il partito dell’astensionismo.

   Le ragioni sono molteplici.

   Alta emigrazione giovanile (ma non solo), presunzione di determinati politici, partiti che non sanno che cosa vogliono fare (fatevi raccontare la barzelletta del PD crotonese che voleva sostenere ancora l’uscente Mario Oliverio, silurato dalla base nazionale), il disgusto delle persone verso un certo modo di fare politica. Insomma una serie di problemi che hanno portato alla disaffezione più completa. E non è una giustificazione, badate bene.

   Poi c’è un dato. I calabresi, come popolo, esistono solo sulla carta.

   Non prendetevela, cari amici.

   Ma la Calabria è una regione troppo divisa.

   CZ e CS si detestano. KR odia CZ. RC odia CZ. VV un po’ troppo sola. Una regione bellissima, ma divisa da troppe chiusure mentali. Diventa difficile uscirne.

   Certo è che il prezzo dell’astensionismo non piace.

   Potete parlare di fascisti, di comunisti, di leghisti…. Tutto quello che volete in questo delirio psicotico post elettorale.

   Ma la vera vincitrice è lei, la magica Jole.

   Perché è stata largamente sottovalutata e criticata. Perché tutti guardavano ad una certa disinformazione di cui la stessa fu protagonista (un servizio delle Iene fu rimesso in rete per schernirla), ma nessuno guardava il suo effettivo curriculum (deputata più volte e sottosegretario pure più d una volta). Tutti gli avversari a fare i moralisti contro di lei, ma eppure lei li ha affrontati, democraticamente parlando. E poi per lei sono scesi i pezzi grossi. Anche il buon Silvio è tornato a parlare in piazza per lei.

   Già, non piace ammettere che la magica Jole è stata brava in fin dei conti, nonostante il male che si porta dietro, senza nasconderlo tra l’altro.

   Jole ha vinto. Bisogna riconoscerglielo almeno.

   Ora non si può sapere che cosa farà e se sarà capace di farlo.

   A ogni vincitore bisogna pur sempre fare gli auguri, e in questo caso gli auguri sono più che dovuti. Perché la Calabria sarà gestita da una donna finalmente, ed è un fatto storico di notevole rilevanza.

   Perciò auguri.

   In quanto ai leoncini della tastiera. Scervellatevi quanto volete, sfogatevi, lamentatevi, classificatevi ancora tra fascisti e comunisti, tra delinquenti e incompetenti. Scannatevi fino all’esaurimento nervoso. Fatevi prendere dalle più basse ipocrisie. Ma prima di farlo domandatevi perché in Calabria non si vota in massa quando ci sono le regionali. Chiedetevelo e datevi una risposta, guardandovi allo specchio. Siate oggettivi e non soggettivi. Ragionate con la testa e non con lo stomaco. Di sicuro non è scrivendolo su Facebook che cambierà il mondo, soprattutto quando c’è un problema che si chiama astensionismo.

   Alla fine la democrazia si è espressa, e anche se non piace il verdetto si è espresso in tal modo.

   Che Dio ce la mandi buona.

Aurélien Facente, 27 gennaio 2020

Politica social e le psicosi dell’elettore su Facebook

Politica strana quella di oggi. Oggettivamente non è la politica degli anni 80’, dove comunque c’era una politica che si occupava che l’Italia facesse la sua figura agli occhi del mondo. Al tempo delle elezioni, i politici ci mettevano la faccia e chiedevano personalmente il voto.

   Poi nel 1992 Tangentopoli.

   Arrivò il Berlusconismo che segnò la politica fino al 2010 più o meno. Silvio c’è ancora, ma ora è la zampa azzoppata del centrodestra. La sua storia caratterizzò molto l’Italia. Nello stesso tempo, i suoi avversari di sinistra furono tanti, ma mai così consistenti da farsi amare oggi.

   E nel frattempo i mezzi di comunicazione sono cambiati.

   Ma anche la politica è cambiata.

   E ciò ha influenzato la gente, e di parecchio.

   Un tempo, le elezioni erano un appuntamento atteso. C’era il dibattito tra le persone anche dentro un bar. C’era il culto della libera opinione. Ci si avversava, ma alla fine si sapeva che era il voto a fare la differenza. Nel bene e nel male.

   Oggi il voto passa attraverso i social. Ognuno si fa la sua paginetta Facebook, il suo profilo Facebook, su Twitter (per chi lo sa usare), e su Instagram (per chi lo sa usare). C’è anche chi si fa il canale YouTube personalizzato (molto utile a dire il vero). Tutti hanno il sito internet personalizzato.

   Ma tutti, più o meno, ti chiedono l’amicizia su Facebook o di mettere Mi Piace alle loro paginette elettorali.

   I candidati passano al virtuale e alla stupida legge del gradimento.

   Metti mi piace così sei figo anche tu.

   Ma se provi a criticare, allora non va bene.

   Certo, la critica va saputa scrivere. Non tutti possono criticare. Ma nella democrazia, quella che tutti predicano, è ipocrita chiudere la bocca.

   Siamo in una società strana.

   Oggi viviamo un eccesso di democrazia come non era mai avvenuto negli anni precedenti. Usiamo la parola con il commento. Scriviamo come parliamo. E veniamo fraintesi. E invece di essere noi stessi, facciamo in modo di piacerci. Oppure ci offendiamo, perché ognuno di noi pensa, sbagliando, di dover piacere per forza a tutti. E censuriamo se c’è qualcosa che non ci piace.

   Siamo dentro il mondo virtuale, dimenticandoci che il vero dialogo si fa fuori il PC.

   Non ci rendiamo conto, ma nel calderone Facebook ci mostriamo come tifosi e basta. Un eterno sfottò contro l’avversario. E ci scandalizziamo quando determinati comportamenti escono. Nei social diamo peso all’istinto, e non alla ragione. Anzi, se c’è qualcuno di più intelligente (e ragionevole) lo allontaniamo. Lo definiamo pesante. Non mette in foto le vrasciole (carne macinata fritta e impanata, secondo la classica ricetta crotonese, che in ogni famiglia è cucinata con i propri usi e tradizioni), perciò non è uno di noi. Salvo poi, magari, fare un passo indietro e fermarsi un po’ a osservarne i contenuti.

   Già, i contenuti. Quelli che fanno la differenza. Contenuto. Una parola troppo pesantuccia da capire oggi. Meglio la leggerezza. Tutto deve essere leggero. Guai a parlare di profondità. Guai a parlare di differenza. Qui devi essere figo e positivo. Sei su Facebook.

   E anche la politica, così, preferisce avere i like. E così tutto naviga nel leggero, nel superficiale, nel tragicomico.

   Un tragicomico che ha fatto molto male agli italiani.

   Non c’è nulla di male se andiamo dietro a una moda.

   Ma andando dietro la moda dell’uniformarsi all’interno dei social abbiamo scoperto che non ci amiamo proprio in realtà. Facciamo uno sforzo enorme a capire l’altro oggi, e allora preferiamo allontanarci.

   Quando arriva il periodo elettorale però, ecco che esce il tifoso cattivo dentro di noi. I politici sono tutti uguali. Ladri e delinquenti. Egoisti e ignoranti. In questo aggiungeteci lo scontro tra fascisti e comunisti, con l’inadeguatezza dei cinquestelle. Poi magari ti accorgi che c’è qualche persona molto brava, ma non sai se votarla. Non sai nemmeno se ci vai a votare, perché poi hai degli amici che non votano, perché votare non serve a niente. Già, non esprimersi non serve più a niente. Meglio la leggerezza, meglio continuare a essere fighi e simpatici su Facebook. Meglio questo. Almeno qui non ti attacca nessuno. Però poi scopri che vivi male, che non stai bene, e non sai nemmeno come dirlo.

   Oddio, sono diventato negativo. Come oso riflettere in questo panorama digitale? Beh, lo faccio e basta. Anzi, lo scrivo pure e non me ne pento. Proprio perché esprimo il mio pensiero, voglio farti capire che puoi farlo anche tu. E se non piaci, pazienza. Ma meglio essere se stessi e non piacere. Perché dall’altra parte sapranno che c’è una persona e non un misero like.

   La politica è social ormai. Fa tutto per piacersi.

   Ma l’elettorato si esprime in maniera psicotico. Ci odiamo perché vorremmo un mondo migliore, ma non lo abbiamo perché ci preoccupiamo dell’essere positivi su Facebook. Quello conta.

   Già. Ma poi?

   Lo sapete che un giorno avrete bisogno di altro, e che per averlo bisognerà saper andare ben oltre le superfici?

Aurélien Facente, 2019