E il belga disse a me: “Non è cambiato nulla a Crotone” (Un ricordo molto attuale…)

Crotone, Maggio 2016. Il Crotone è appena salito in serie A. Un festeggiamento di quelli che non si vedevano da molto, moltissimo tempo. Strade piene di bandiere e di colori rossoblù.

   Una luce in mezzo a tanto buio.

   Intanto è sera, e scendo da casa perché è importante partecipare alla festa, in mezzo alla gente. Poi è giusto mettere alla parola fine a un equivoco che è stato nella testa di molti cittadini crotonesi.

   Per via del mio nome francese, Aurélien, sono tanti anni che lotto contro certi ignorantoni per ribadire la mia appartenenza sanguigna alla città di Crotone, e continuano a dire a bassissima voce che sono un francese di Parigi, come se Parigi fosse l’unica città francese esistente. Purtroppo per loro sono un crotonese di Crotone che sta a Crotone.

   A me il rossoblù m’è sempre piaciuto, perché se poi tra il rosso e il blu ci metti il bianco ecco che ti esce la bandieruola francese. Sarebbe bello vedere qualche crotonese cantare l’inno francese: “Allons enfants de la Patrie…”

   Ovviamente è un’esagerazione. Una cosa che potrei soltanto vedere nei miei sogni.

   Adoro l’inno francese quanto quello italiano, ma se poi lo dico ecco che ritorna l’ossessione collettiva del fatto che sono francese al 100%, anche se poi i documenti dimostrano che sono nato quasi 40 anni fa all’ospedale San Giovanni di Dio che si trova a Crotone, a due passi dallo stadio Ezio Scida.

   Tra i colori rossoblù mi sento a mio agio, perché per la prima volta avverto una gioia collettiva sincera. Per la prima volta ascolto le voci di un popolo unito. Certo, il tutto è dovuto al calcio, al merito della squadra. Ma se una squadra di calcio riesce a unire una città, vuol dire che si può iniziare a sperare.

   Quindi qualsiasi sorriso diventa contagioso.

   Entro in un bar sul lungomare di Crotone, il solito. Quello in cui mi trovo meglio. Perché è il bar in cui sono cresciuto tra alti e bassi.

   È sabato sera. Il giorno ideale per osservare la gente. Non amo spiare, ma osservare è una deformazione professionale del mio lavoro. Mi piace guardare quelli che mangiano e quelli che bevono, mi piace vedere i gesti tra i loro dialoghi, gli sguardi che s’incrociano. Poi trovo sempre qualcuno che sussurra di me, oppure qualcuno che urla il mio nome e tutto contento si nasconde come se avesse avuto un orgasmo. Tendenzialmente è maschio, leggermente imbecille, tendente a fare il figo. Ne ho conosciuti tanti di questi bulletti. A volte mi avvicino e li prendo di sorpresa. Amo chiamarli vigliacchi, ma in fondo li capisco. Mica possono dire in giro che prendere in giro il mio nome li porta ad avere qualche orgasmo mentale. Poi figuriamoci se io dovessi dire questa cosa alle loro ragazze.

   Perciò mi divertono. Certo, tendono a essere monotoni. Ma che ci volete fare? Simu à Cutrone…

   Basta parlare di me. Incontro gente. Alcuni amici. Ci si mette a ridere insieme. Il tempo passa. La notte continua fino a quando la gente non inizia a tornarsene a casa.

   I festeggiamenti per la serie A continueranno anche domani, e poi per tutto il mese di maggio, tranne nel weekend dedicato alla Festa della Madonna.

   Poi tutto finirà, e comincerà la lunga campagna elettorale per il sindaco.

   9 candidati a sindaco.

   Cazzo, ragazzi, abbiamo eguagliato il record di cinque anni fa.

   Altri 9 pazzi che si vogliono nell’avventura. Ma che cavolo di pensiero mi viene in mente adesso? Oggi posso dire di trovarmi in serie A.

   Sono al bancone del bar. Un amico si avvicina a me e mi presenta un tizio biondo. Parla inglese. Nella nostra immediata conoscenza riesco a scoprire la nazionalità del tizio. È un belga. Gli propongo di parlare in francese, perché in Belgio si parla il francese. E poi è più facile, vista l’ora tarda, di restare abbastanza lucido. Parlo l’inglese anche, ma con il francese ho più dimestichezza. Lo parlo fin da piccolo.

   Il belga si complimenta per la serie A conquistata. Poi scopro che lui è arrivato qui via mare con la sua barca di proprietà, che gli piace un sacco Crotone, e che sono almeno sei anni che attracca qui e ci passa qualche giorno volentieri.

   Poi mi fa una domanda alquanto strana: “Sono almeno cinque anni e mezzo che vengo qui, signor Facente. Le posso fare una domanda?”

   “Certo.”

   “Tutte le volte che vengo qui non vedo nessun cambiamento. A parte la vostra squadra di calcio che è appena salita in serie A.”

   Già. Non è facile cambiare le cose. Ma qui la fenomenologia parte da lontano, molto lontano. Simu sempre à Cutrone…

   “Posso sapere quando parti?”

   “Domattina, signor Facente…”

   “Ok. Te lo spiego la prossima volta che tornerai a Crotone. Ora mi voglio soltanto godere la festa. Comunque benvenuto a Crotone.”

   Ci vuole più di un libro per spiegare Crotone. Ma la faccia del belga è emblematica. Mi ha fatto notare che non è cambiato un cazzo, anzi che tutto è peggiorato. Eppure lui stesso vorrebbe che noi tutti migliorassimo, che costruissimo, che possiamo essere ben altro.

   Bene, amico belga, mi hai convinto. Torno a scrivere. E mò sono cazzi!!!

(Il seguente testo è tratto da un capitolo di un libro che non ho terminato di scrivere, giusto per essere chiari).

   Questa storia è accaduta nel 2016, e la riprendo perché, oltre al fatto che oggi, in questo momento storico a Crotone, non c’è un sindaco, ma un commissario prefettizio che ancora non ha ricevuto l’okay per lasciare il comune, ci sono due punti interessanti.

   Il primo, che è del signore belga, che denuncia l’immobilismo cittadino e urbano. Non che in Belgio siano migliori di noi, ma la percezione che si dà al viaggiatore che ritorna nella stessa città è purtroppo anche questa. La volontà di restare uguali a ieri e restare uguali anche domani. Questo non aiuta la comunità a crescere, e soprattutto non aiuta la percezione esterna che qui a Crotone si possono fare determinate cose, solo se questo desiderio di rivalsa diventa collettivo (e non individuale).

   E qui arriviamo al secondo punto, il più importante.

   Nel 2016 si candidarono in nove a fare il sindaco. Vinse Ugo che nel 2019 si trovò costretto a dimettersi da sindaco, e il perché lo sapremo quando i processi saranno celebrati in tribunale. Questo ovviamente ha lasciato la città senza una guida politica, tra l’altro molto discutibile.

   Però, in attesa della decisione dello Stato, c’è fermento politico. Già si parla in questa sessione incerta di qualcosa che molto probabilmente si concretizzerà come numero di candidati tra i 6 e i 9 che si contenderanno la fascia. E non parliamo poi dei candidati a consiglieri (e qui non basterebbe nemmeno l’elenco telefonico).

   Si ripeterà insomma la storia del ballottaggio, che qui, a differenza di 4 e 10 anni prima, sarà di sicuro più incerto.

   Mi auguro, a titolo personale, che il futuro sindaco possa quantomeno rispondere alla seguente domanda, la stessa che mi ha fatto quel signore venuto dal lontano Belgio: “Perché non cambia nulla a Crotone?”

   A questa aggiungerei: “E come mai peggioriamo, tra l’altro sapendo bene anche di peggiorare?”

   Chi mi risponderà con una certa serenità… ecco, mi rincuorerà un po’…

Aurélien Facente, febbraio 2020

La storia di una Ford Orion 86’ (Storia di un prof calabrese e della sua auto)

Vorrei raccontarvi una storia. È la storia di un uomo, mio padre, che faceva il professore in una scuola media di Isola di Capo Rizzuto. Nel 1986 si innamorò di un’automobile, esattamente di una Ford Orion. Se la comprò, e con essa si mise a fare giornalmente il percorso della strada statale 106 per andare ad insegnare, a provare a educare una lunga serie di alunni per dargli un futuro.

   Papà prendeva la sua macchina tutti i giorni. Amava la sua Orion. Gli dava delle soddisfazioni che solo lui poteva provare.

   Io, invece, non l’ho mai tanto amata. Una macchina a quattro ruote ha le caratteristiche di chi la guida. Papà ci stava bene con quella Ford color marrone, e ogni mattina si alzava presto per andare a Isola di Capo Rizzuto. Una ventina di chilometri all’andata, e altrettanto al ritorno.

   Quella Ford Orion era il biglietto da visita di papà. In fondo era la sola ad aver quel colore in tutta la Calabria, forse anche in Italia.

   Durante le vacanze estive, papà non vedeva l’ora di andare in Francia (patria della mia mamma) anche solo per mostrare che un uomo del sud poteva portare la sua famiglia lontano.

   Ricordo che a Modane papà superò un’Audi targata Latina, e gli fece un saluto, dicendogli che lui era un uomo più a sud. Ci teneva a far vedere che era un uomo di Calabria.

   Non ha mai voluto cambiare la targa, e nemmeno l’auto. Quel CZ della sua auto era la sua carta d’identità.

   Papà usò la macchina anche per fare politica. Lui, segretario provinciale del PLI, andava avanti e indietro per la provincia di Crotone a trasportare manifesti e volantini dei candidati alle comunali e alle nazionali. Almeno fino a quando poi il partito non cessò di esistere.

   Papà girò gran parte dell’Italia con quel mezzo, non nascondendo mai la sua calabresità. E guai a chi toccava la sua auto. Era la sua compagna di viaggio. Una silenziosa compagna di viaggio, in verità un bel po’ rumorosa.

   Sì, perché io mi sedevo accanto a lui, quando mi accompagnava a Cosenza. Un avanti ed indietro per la Sila, a fermarci a bere l’acqua fresca oppure a fare una pausa pranzo a Camigliatello.

   Una volta glielo domandai: “Papà, perché non la cambi quell’auto?”

   Mi guardò storto, e mi rispose: “Tu non puoi capire l’amore che provo per quel volante appena lo tocco.”

   In realtà aveva mille scuse perché non voleva cambiare la sua amata Ford.

   Andò in pensione, e continuò a tornare ad Isola di Capo Rizzuto, anche solo per guardare il paese dove aveva visto crescere tanti suoi alunni, ormai uomini e donne, che magari lo riconoscevano e lo salutavano.

   In pensione, si permise ancora di farci dei viaggi per andare a trovare qualche amico, e ci ritornò anche in Francia, con il motore ormai ai limiti.

    Poi papà invecchiò.

   E la Ford Orion lo accompagnò pure durante il percorso.

   Smise di prendersene cura come prima, e l’auto cominciò a perdere qualche pezzo.

   Poi arrivò il giorno in cui papà si ammalò seriamente.

   Ebbe un cenno di ripresa, e guidò la sua Ford per andare a prendere il giornale dall’edicolante.

   Solo viaggi brevi, perché papà usava la stampella e non voleva farsi vedere in quel modo, acciaccato come la sua auto.

   Un giorno, papà ha smesso di scendere.

   E dopo un po’ smise di respirare.

   Il giorno del funerale, le forze dell’ordine, assieme al carroattrezzi, presero la sua auto, perché aveva ritardato il pagamento dell’assicurazione.

   Quel giorno del 7 agosto 2019, non dovetti solo salutare papà. Ma anche dare l’addio alla sua amata macchina.

   Dopo qualche mese, la macchina fu liberata dal verbale.

   Qualche giorno fa, sono andato in qualche modo a liberare la Ford Orion targata CZ.

   Oggi lo scrivo.

   Mi piace immaginare papà che ritrova la sua auto lassù da qualche parte, e che orgogliosamente si presenta alle porte dell’aldilà dove si lascia andare al seguente discorso: “La vedi questa macchina? Da Crotone sono arrivato fino al Nord della Francia, e lì ho beccato un napoletano, e gli ho fatto vedere un calabrese che ha saputo portare una macchina fin lassù…”

   Si chiude così la storia di un uomo che amava tanto la sua Ford Orion 1986.

Aurélien Facente, 2020

La triste storia di un piccolo palco in piazza

C’è una storia che è passata del tutto inosservata. Vale la pena raccontarla. È la storia di un palco messo in Piazza della Resistenza, Crotone. È la storia di un piccolo palco che è stato tante volte presente in quella piazza dove si trova il palazzo comunale.

   Il palco è stato usato per tante iniziative. Concerti, eventi benefici, e comizi politici. Quel palco messo lì in piazza è stato il simbolo di tanti incontri con i cittadini.

   Come in ogni avvicinarsi delle elezioni, il Comune mette a disposizione il palco per far incontrare i candidati con la cittadinanza. Il palco è uno strumento, tutto sommato, molto democratico, perché da lassù il candidato racconta il suo progetto, e regala la possibilità anche un piccolo gruppo di persone di ascoltare.

   L’essenza della democrazia al centro della piazza, la cosiddetta agorà.

   La piazza è l’incontro delle persone. La piazza è anche il simbolo del dissenso. La piazza è il luogo dove la democrazia s’individua meglio.

   Eppure, alle ultime tornate elettorali regionali, il palco è rimasto vuoto. Sì, è stato usato per un’iniziativa. Ma non era politica.

   Per giorni e sere, ho aspettato che qualcuno, nonostante il freddo, salisse sul palco per provare a raccontarsi alla città. Ho aspettato che qualcuno arrivasse con un impianto per preparare al meglio il candidato. Avevo voglia di vedere qualche faccia nuova, ma anche qualche faccia più conosciuta.

   La semplice curiosità dell’elettore fu disattesa.

   Quel palco, oggi riportato dentro i magazzini comunali, è rimasto deserto, vuoto, senza che nessun candidato lo calpestasse.

   È vero che la politica ha cambiato il suo modo di comunicare. Adesso si comunica molto con il web. Ma si tratta solo di uno strumento. La piazza deve aver il diritto di ascoltare e di dissentire.

   Nessuno dei candidati ha usato il palco.

   Vergogna? Cattiva coscienza? Paura di parlare alla gente? Paura di affrontare il popolo arrabbiato perché più povero?

   Che strani i politici/politicanti della mia Crotone. Codardi? Ipocriti? Cazzari?

   Tranne qualcuno, la maggior parte dei candidati ha preferito le sale d’albergo, le sale al chiuso, le sale dove loro potevano ergersi senza rischi di prendersi qualche fischio. Hanno preferito distanziarsi, e così la stessa gente, quella che poi ha preferito astenersi, percepisce il messaggio sbagliato: che la politica non è un qualcosa che si dovrebbe occupare di tutti, ma solo di incontrare altri elettori, quelli che hanno più soldini e che non possono camminare in piazza liberamente.

   La gente s’allontana dalla politica, perché la politica s’è allontanata prima, e paradossalmente dopo aver preso i voti della piazza.

   Si dice che ogni popolo ha il governo che si merita.

   Ma in Calabria c’è una maggioranza di persone che non ha voluto votare, soprattutto in queste ultime regionali.

   La Regione Calabria, o meglio la politica che l’ha amministrata sinora (c’è un nuovo consiglio e ci sarà una giunta, ma al momento non va processata e condannata, almeno per ora, per il passato) si è voluta allontanare, dando il messaggio che la Regione è una grande torta da ripartire in pochi.

   Normale che le persone si allontanino. La Regione non è cosa per i calabresi.

   La campagna elettorale è terminata da molti giorni. Un presidente è stato scelto, così come sono stati votati i consiglieri. C’è una maggioranza che governerà, ma è stata votata da una minoranza, non dalla maggioranza della popolazione.

   E così il palco rimase vuoto e silente.

   È vero anche che qualcun altro ha incontrato i cittadini in un’altra piazza, ma questa è un’altra storia.

   Perché adesso il piccolo palco è rientrato nella sua casa, tutto solo e triste.

   Triste perché una certa politica ha volutamente dimenticato il reale valore di una piazza.

Aurélien Facente, febbraio 2020

La devastazione del silenzio (Gres 2000)

Dovreste farvi un bel giro all’interno della zona del Passovecchio, la zona industriale di Crotone, attraversata dalla strada statale 106. Imboccate una via che vi porta all’interno della zona industriale. Prendete la direzione verso il mare. Andate in fondo. Dovete andate in fondo. Arrivate vicino la defunta Gres 2000 e fermatevi.

   E ascoltate prima di guardare.

   Ascoltate il silenzio di qualcosa che non c’è più.

   Se avvertite un brivido o una sorta di disgusto, non provate nemmeno a contrastare quella sensazione. Meglio conoscerla.

   Poi aprite gli occhi. Guardate quell’enorme manufatto industriale, completamente silente e tutto vuoto. Ascoltate quel vuoto. Fatelo e basta.

   Poi guardatevi intorno. Troverete capannoni industriali attivi, ma troverete anche capannoni mai finiti di costruire oppure lasciati all’abbandono.

   Nessuno parla della Gres 2000 oggi. Una fabbrica di mattonelle che doveva rappresentare una prima reindustrializzazione. Una storia finita male.

   Oggi c’è il silenzio.

   Il silenzio del cadavere ormai devastato. Adesso c’è solo il tempo che infierisce sulla struttura. Solo il tempo.

   Ci sono andato ieri mattina, e potrei tornarci.

   Mi ha fatto impressione.

   Un’enorme struttura lasciata all’abbandono.

   Nessuno la vuole prendere e provare a farne qualcos’altro. E intorno ci sono altri posti vuoti.

   Solo una foto e basta per oggi.

   Voglio soltanto ascoltare il silenzio.

   Il silenzio di un lavoro che non c’è più. E non ci sarà più…

Aurélien Facente, febbraio 2020

La lunga corsa riparte da Crotone, ovvero la sfida di Tansi e di Voce

La Calabria, al termine delle elezioni regionali, non aveva riservato grosse sorprese. Tutto come previsto, come si legge dai sondaggi nazionali. Il centrodestra vince. Il centrosinistra all’opposizione. Gli altri fuori dalla Regione Calabria.

  Tra gli altri, c’era un certo signor Carlo Tansi, che ha avuto tra i suoi candidati l’ingegnere Vincenzo Voce.

   Nove anni fa, l’ingegnere Vincenzo Voce (era primavera) si candidò a sindaco con un piccolo movimento. Salì sul palco di fronte al Comune di Crotone ed esplicò un proprio programma, molto rispettoso dell’ambiente, davanti ad un pubblico poco numeroso.

   Il movimento scomparve, ma lui è rimasto a lottare.

   Anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno. Tra tante difficoltà, la costanza lo ha premiato. Le sue continue denunce e il suo progetto lo hanno premiato, entrando nei cuori delle persone, tanto da poter permettersi, giustamente, di camminare a testa alta tra la gente e per le vie di Crotone.

   In questo inizio anno si è candidato per le regionali a supporto dell’altro, quel signor Carlo Tansi che ha dimostrato costanza nel proprio progetto regionale. Se non fosse stato per l’alto astensionismo, forse sarebbe entrato in consiglio regionale.

   In verità, il signor Tansi ha pagato lo scotto del debuttante, così come nove anni fa lo aveva pagato l’ingegnere Voce.

   Non me ne vogliano i signori. Un piccolo riassunto è d’obbligo per capire il discorso che il sottoscritto vuole portare avanti.

   In Calabria ho visto tante liste scomparire nel dimenticatoio, pur avendo avuto qualche risultato interessante. La costanza è un valore raro in Calabria, molto raro. Non voglio parlare di coerenza, ma di costanza, che forse è oggi il valore più importante.

   L’ingegnere Vincenzo Voce è stato il candidato a consigliere più votato a Crotone (ma non nella circoscrizione intera). Segnale che indica che c’è una parte di cittadini che vuole cambiare proprio pagina, e l’ingegnere lo sa bene.

   Stamane, domenica 2.2.2020, s’è scritta una bella pagina di democrazia e di politica.

   È una bella pagina perché è molto raro vedere una lista rimettersi in piedi dopo qualcosa che altri vogliono vedere come una sonora sconfitta (anche se la vera sconfitta è l’astensionismo calabrese).

   Che Vincenzo Voce stesse pensando di rigiocarsi la candidatura a sindaco di Crotone in questo momento storico della città era un’ipotesi prevedibile, oltre che una possibilità da cogliere al volo. Che lo facesse con Carlo Tansi era un’ipotesi azzardata, che oggi è fattivamente realtà. Bello vedere che il signor Tansi, l’altro, abbia deciso di ripartire proprio da Crotone, e di candidarsi al consiglio comunale proprio per sostenere l’ingegnere Voce, e farlo davanti ad un pubblico di cittadini che si è riunito in una piazza della città, a pochi passi dal mare.

   Io, personalmente, non ci sono stato. Non potevo esserci. Preferisco essere il blogger a debita distanza di osservazione. Però in cuor mio speravo in una soluzione del genere, perché in passato ho assistito a tante storie interrotte. Posso testimoniare tutte le persone che si sono sentite umiliate dopo aver fatto il possibile per realizzare un progetto politico all’interno dell’ente, per provare a realizzare qualcosa di diversamente onesto. La Calabria, come Crotone tra l’altro, è una terra difficile, dove ormai l’astensionismo è una regola di chi ha assistito a tanta decadenza. Una terra dove è facile abbandonare piuttosto che restare in sella. Ho visto tanta gente andare via dopo che i progetti politici erano stati umiliati. Ho visto persone che non volevano ricandidarsi dopo aver visto solo il bicchiere mezzo pieno. Sono pochissime le persone rimaste a voler combattere per un qualcosa di diverso, di un qualcosa che vada oltre la classica immagine della Calabria delle salsicce e soppressate che si vuol far continuare a far vedere al resto dell’Italia.

  Perciò speravo che Carlo Tansi ripartisse proprio da Crotone, la città abbandonata da tutta la politica che conta. Speravo che il dato politico di Vincenzo Voce non si fermasse a quei 3187 voti (meritati), simbolo proprio di quel lavoro costante che negli anni ha svolto a Crotone, tra tutte le titaniche difficoltà che l’ingegnere ha sempre prontamente denunciato e raccontato.

   E oggi Carlo Tansi e Vincenzo Voce hanno scritto una bella pagina di politica dentro una piazza di tanti cittadini normali che hanno bisogno di voltare pagina.

   Sono piccole pagine che vanno scritte e ricordate, al di là se si possa sostenere il progetto politico o no.

   Perché alla fine questa terra chiamata Crotone, al di là dei problemi ambientali e strutturali, ha prima bisogno di avere dentro di sé persone che possano dimostrare prima di tutto costanza.

   Già. La costanza. Un valore di cui si parla sempre troppo poco.

Aurélien Facente, 2 febbraio 2020

La Brexit è pur sempre il diritto di un popolo, anche se non piace

L’Inghilterra esce dall’Europa, e torna a essere Inghilterra. Per l’Europa, quella di Bruxelles, è una sconfitta che brucia. Lo scenario che si presenta è inedito, ma adesso c’è il precedente. E l’Europa, quella che sta a Bruxelles, sembra che non ami parlarne, il che fa capire che forse è meglio aspettare e osservare prima di fare le dovute conclusioni.

   L’uscita dell’Inghilterra è una sconfitta o una vittoria?

   La risposta non è certa.

   Di sicuro è la vittoria di un popolo che ha votato per un referendum per uscire dall’Europa.

   È la vittoria degli euroscettici, dei critici verso l’Europa, di un mondo intellettuale messo a tacere che non voleva questa Europa burocrate e basta. È la vittoria dello scrittore francese Michel Houellebecq che, nel 1996, Maastricht era un grosso sbaglio. È un po’ la vittoria di Craxi anche, che a suo modo si auspicava una riscrittura dei trattati europei.

   Fermiamoci qui per il momento.

   È anche una sconfitta ovviamente.

   La più cocente sconfitta dell’Europa economica.

   Era chiaro che gli Stati non potevano stare insieme solo esclusivamente tenuti da una catena economica, oltre che da un modo di fare ipocrita. Basti pensare a come viene affrontato il tema dell’immigrazione. Si trova il cucuzzaro di turno e deve vedersela lui e basta. L’Italia è il cucuzzaro dell’Europa, e allora i burocrati e i tecnocrati vogliono solo tenersi pulita la coscienza, e non affrontare il problema a viso aperto, tutti insieme, come dovrebbero fare le vere civiltà.

   L’Europa, però, non è una civiltà. È un insieme di popoli che, però, non hanno chiesto di stare per forza insieme. I trattati li hanno firmati i politici, ma non sono i popoli ad aver deciso.

   La Storia è chiara in questo almeno.

   Si è voluto realizzare un’Europa per realizzare un sogno, per scrivere un racconto fantastico da raccontare ai nipoti. Ma oggi i nipoti non hanno le opportunità dei nonni. Ecco il problema.

   L’Europa si tiene legata attraverso l’economia. Ci si dimentica, però, che l’economia è fatta anche dalle persone di tutti i giorni. Se uccidi le persone, le economie cessano di esistere.

   L’Europa, così concepita, ha ucciso le persone di tutti i giorni.

   Disordini sociali, differenze tra ricchi e poveri accresciute, possibilità ridotte di arrivare alla fine del mese con un buon respiro, svalutazioni dei propri patrimoni, debiti che crescono senza controllo. E un caimano che detta le regole, senza dare modo di respirare. Stare sempre sotto il 3% in nome di che cosa poi? Di quale prospettiva? Di quale possibilità di un lavoro che mi possa permettere perlomeno di pagarmi una stanza.

   Il gioco non funziona.

   Risultato? Il popolo inglese vota il referendum e decide di uscire.

   Certo, può permetterselo.

   E fa bene. Perché il popolo ha democraticamente deciso.

   E oggi festeggia.

   Gli inglesi non sono un popolo nobile al 100%. La loro storia è macchiata di episodi controversi pagati anche con il sangue. Non hanno mai preteso di essere perfetti. Ma democraticamente hanno deciso di esistere.

   Personalmente ho fatto il tifo per la Brexit.

   Perché si doveva creare e realizzare quel precedente che basterebbe a ridiscutere lo stesso concetto di Europa.

   Perché l’Europa deve essere un continente dei popoli, e non delle economie. Deve essere un’Europa delle prospettive e delle possibilità, e non solo delle costrizioni.

   Un’Europa molto più umana e coraggiosa.

   Fosse stato così, l’Inghilterra non ne sarebbe uscita.

   Ora si è realizzato il precedente che tutti aspettavamo.

   I politici e i burocrati possono sempre teorizzare le apocalissi. Ma alla fine sono sempre i popoli a decidere del loro destino.

Aurélien Facente, febbraio 2020

Tutti parlano del coronavirus, ma nessuno del coglionavirus

Che cosa strana l’informazione oggi. Una volta, si prestava all’attenzione della qualità della notizia, cercando di arrivare alla comprensione del fatto attraverso l’uso del buonsenso. Perché la verità andava compresa, perché il fatto potesse essere parte della storia contemporanea, perché il lettore era una risorsa e non un imbecille.

   Oggi il lettore (inteso come massa) deve essere considerato come uno scemo, allora è lecito alzare i toni giocando anche sulla paura, e creare apocalissi inesistenti, anche su fatti meno gravi di quel che vi fanno vedere.

   Oggi si parla di questo coronavirus, un virus proveniente da un angolo sperduto della Cina e già si parla di apocalisse, buttando merda sulla Cina stessa, come se i cinesi fossero tutti portatori del virus che ucciderà l’umanità, come se i cinesi stessi fossero degli incapaci totali.

   La Cina avrà anche le sue pagine buie, ma i cinesi non sono degli sprovveduti (stiamo pur parlando della terza forza militare al mondo, oltre che la più potente economia al mondo, visto che i loro capitali fanno abbastanza gola un po’ a tutti quanti).

   In Italia i mezzi d’informazione sono fantastici, senza contare gli utenti su Facebook.

   Il coronavirus è uno dei tanti virus che popolano sul pianeta. Una forma diversa di polmonite che avrà di sicuro una sua forma violenta, visto che le polmoniti sono pur sempre dolorose. Ma ogni virus ha una sua percentuale di mortalità. Anche un raffreddore mal curato può uccidere.

   Eppure si promuove l’apocalisse, si promuove l’idea di un qualcosa che ci ucciderà per forza, e allora dobbiamo evitare i cinesi (tutto quello che ha a che fare con la Cina).

   E così si promuove il panico, il razzismo, l’isteria, e quant’altro ancora. Quindi, succede che poi uno è malato di qualcos’altro, chiede magari aiuto e nessuno chiama l’ambulanza perché il malato fa schifo ed è una minaccia che non merita. Questo è uno degli effetti dell’isteria collettiva. Vi trasforma in mostri.

Volete conoscere un altro effetto dell’isteria?

   Chiudere 6000 persone dentro una nave solo perché c’è un malato sospetto. Come? Invece di fare uscire le persone per farle visitare, le chiudete con il malato che le contagerà dentro la nave? Ci si rende conto di quello che sta avvenendo? E questa è solo una delle tante notizie…

   Certo, il blogger ha parlato. Però, a differenza di tanti, cerca di usare un po’ di buonsenso e non di farsi contagiare dal coglionavirus, che è un virus molto più pericoloso. Perché proviene dal cervello di altri che vogliono convincervi a farvi più male, così loro giustificheranno la loro mancanza di buonsenso. A cominciare dalle televisioni che prima hanno giocato con le vostre paure alimentandole, e poi vi diranno di stare tranquilli. E nel frattempo la parte peggiore di voi stessi è già uscita.

   La storia del malato che viene lasciato morire perché gli altri hanno paura di chiamare un’ambulanza vi dice niente? Potrebbe toccare anche a voi una storia brutta del genere, perciò è preferibile prendere delle precauzioni, ma non di lasciarsi contagiare dal coglionavirus che ha ormai contagiato il cervello di tanti giornalisti e di alcuni statisti (presunti tali) che poi si scuseranno per aver promosso il male con qualche supercazzole delle loro.

   Ora, la Cina, giusto per parlare, è lo Stato che è cresciuto economicamente e militarmente con livelli di eccellenza da far impallidire anche gli Stati Uniti d’America (che guarda caso teme la grande Cina Rossa). E secondo voi, i cinesi si lasceranno abbattere dal virus? Stiamo parlando di un popolo che in un paio di settimane ha messo in piedi due ospedali (quando in Italia per costruire un ospedale ci vogliono almeno 30 anni, tangenti permettendo).

   Cioè vi fidate di questa gente solo per due casi sospetti, tra l’altro con bollettini medici che parlano già di discreta salute?

   Se avete sintomi particolari, ovvero vi sentite male, chiamate il vostro medico o andate al pronto soccorso per farvi visitare.

   Non si scherza con i virus. È vero anche questo.

   Ma il coronavirus è trattato mediaticamente parlando da una serie di soggetti contagiati dal coglionavirus, gli stessi che più o meno hanno fatto credere che la SARS fosse un altro virus apocalittico.

   Sapete come andò a finire? Tanti danni alle economie varie, e soprattutto una psicosi che ha fatto esaurire le scorte di vaccini antinfluenzali che hanno causato più danni del resto, proprio perché il sottoscritto, malato cronico, quando ha avuto bisogno di farsi il vaccino s’è affrontato l’inverno con una broncopolmonite assurda, e mandando a quel paese tutti i media gestiti da contagiati dal coglionavirus…

   Danni di cui nessuno vi parla (tanto che la SARS finì nel dimenticatoio, solo recuperata oggi per giustificare l’isterismo da coronavirus).

   La serietà impone ben altro. Prima di tutto, nessun virus è da sottovalutare. Ma c’è virus e virus. Ogni virus ha una sua mortalità, anche il coronavirus stesso. Ma la mortalità, vista oggi attraverso le dichiarazioni ufficiali (quelle mediche per intenderci), resta bassissima. I deceduti sono morti per altre complicazioni anche. Parliamo di malati cronici e anziani, a dire il vero, e di tutte quelle persone che hanno problemi con il sistema immunitario. Sono drammi, presi singolarmente, ma fanno parte di una casistica inevitabile. Anche l’influenza ha la sua mortalità.

  Perciò vi rifaccio la domanda?

   Vi fidate dell’efficienza della Grande Cina o delle parole di qualche contagiato dal coglionavirus? Vi fidate del vostro medico o delle parole di qualche presunto statista contagiato dal coglionavirus?

   Meglio fidarsi del proprio dottore.

   Fidatevi di un malato cronico qual è il sottoscritto. Sono diabetico. Ho avuto una polmonite giorni fa. L’ho presa con molta calma, ma ne sono uscito. Curandomi e non facendomi prendere dal panico.

E oggi vedo tanto panico e tanta paranoia. La parte peggiore di voi stessi è già uscita. Dovreste solo rileggere quello che scrivete.

Aurélien Facente, febbraio 2020

Hammamet, un film di Gianni Amelio (visto da me)

L’ho visto sabato sera. E ho atteso qualche giorno prima di scriverci qualcosa. Forse non ne valeva la pena scriverci. Si è letto di tutto su questo film. Però mi ha incuriosito il contrasto tra pareri positivi e negativi.

   Accade sempre quando esce un film controverso, figuriamoci poi se questo film parla di Craxi, dei suoi ultimi giorni da latitante in esilio in Tunisia, in una villa a pochi passi da Hammamet.

   Craxi resterà sempre un politico controverso e fastidioso per taluni, geniale e patriottico per altri. In fondo, si tratta di un personaggio che è stato protagonista, nel bene e nel male, di un importante periodo italiano.

   Ma fermiamoci qui.

   La storia di Craxi la conosciamo, o almeno crediamo di conoscerla. E forse è meglio restarne un po’ a distanza, se non altro per rispetto di un uomo politico che ha amato a modo suo l’Italia, essendone stato un rappresentante politico.

   Sono stato combattuto nel vedere il film.

   Alcuni lo vedono come un tentativo revisionista con spunti commerciali. Altri lo vedono come un film non coraggioso.

   Per vedere un film del genere è meglio non farsi influenzare. Resta da ammettere che resta un film controverso.

   Fosse stato una graphic novel, forse avrebbe reso meglio. Un fumetto rende meglio una visione revisionista, e forse avrebbe reso meglio la storia. Anzi, l’avrebbe anche giustificata in alcune visioni.

   Però il film di Gianni Amelio trova il suo perché.

   Lo trova nel suo attore, un favoloso e perfetto Pierfrancesco Favino, che riesce a essere Craxi, a essere l’Attore con la A maiuscola. In queste due ore troverete quello che è la maestria di un attore vero. Certo, il merito va forse condiviso con il regista, perché alla fine è la camera diretta da Gianni Amelio che riesce a ridare in qualche modo vita a Craxi, o almeno all’idea che ci facciamo di lui.

   Due ore e passa volutamente lente, forse perché era meglio così.

   L’idea di un esilio lontano da tutto e da tutti.

   Una mossa che non è piaciuta a tutti.

   Ma forse la sola che ci ha permesso di godere al meglio dell’’interpretazione di Favino.

   Hammamet è un film controverso. Eccede nel voler essere estremamente rispettoso e riverente nei confronti del Craxi uomo, e si ferma alla superficie del politico.

  Quasi due ore e mezzo non sarebbero mai bastate per raccontare di Bettino Craxi, e non sarebbero nemmeno bastate per raccontare la sua visione politica.

   E allora meglio provare a raccontare quella che è la sua fine. La fine di un uomo che ha amato tanto la politica come mezzo nobile per contribuire a costruire una civiltà.

   Gianni Amelio fa di tutto per non canonizzare Craxi, per non renderlo il personaggio di una fiction dimenticabile. Usa la camera in modo molto delicato per provare a raccontare con semplicità l’essere umano e basta.

   Perciò il risultato finale del film ci lascia con l’amaro in bocca.

   Perché ci troviamo davanti ad un semplice racconto di un uomo.

   Sarebbe servito un film più vicino alla verità, quando in realtà tante verità non sono mai state raccontate fino in fondo? Sarebbe servito un film crudele, che maltrattava la figura di Craxi, il fuggiasco che si è rifugiato a Hammamet?

   Un film non è il racconto del reale a tutti i costi. Un film racconta e basta.

   E il film racconta di un uomo e dei suoi ultimi giorni a Hammamet.

   Lo fa in maniera molto romanzata, certo. Usa anche qualche escamotage per rendere digeribile una storia che già parte con una sua complessità. Usa delle ingenuità narrative (che in un fumetto sarebbero più giustificabili) per rendere il film più godibile.

   Ma sono difetti che scompaiono man mano che seguiamo il percorso attoriale che si è dato Favino per interpretare Bettino Craxi.

   Hammamet mi è piaciuto perché è un racconto e basta, è la sintesi perfetta di regia e attore. E da qui trae la sua forza migliore.

   Ci sono anche le musiche del maestro Piovani. C’è un’ottima fotografia. C’è una visione di un qualcosa che ci spinge a riflettere prima di condannare.

   Un film, appunto, controverso.

   Consigliato a chi ama scoprire e godere della recitazione di un attore che si lascia guidare dalla mano narrativa di un regista che può ancora dire la sua.

   Sconsigliato di sicuro a chi ha dentro di sé profondi sentimenti politici. Lo vedreste come un film che giustifica Bettino Craxi, e vi guastereste lo stomaco.

   Hammamet è un film controverso. Piace e non piace. Ma resta comunque un lume importante sulla capacità del cinema italiano che, a volte, è capace di produrre un film che spinge sempre alla riflessione.

Aurélien Facente, gennaio 2019

Vince la magica Jole, con l’aiuto dell’astensionismo

È da stanotte che seguo con una certa attenzione quello che succede nella mia Calabria. Ieri 26 gennaio si è votato. Come piccolo blogger, ho fatto appelli di ogni genere perché la gente andasse ad esprimere il proprio voto, a prescindere dal vincitore.

   Da stanotte c’è stata la vincitrice, quella signora di nome Jole Santelli che non è, a dire il vero, straconosciuta in Calabria. Io stesso, devo ammettere, che nutrivo qualche dubbio su di lei. Li nutro ancora, politicamente parlando.

   Però il voto si è espresso, e nell’effettivo c’è stato il trionfo della magica Jole, che sbaraglia tutti con un esercito di sei liste almeno e prende una Regione Calabria molto lontana dalla visione di un comune cittadino, il che spiega il largo astensionismo.

   Già, l’astensionismo è il fenomeno che fa vincere la magica Jole, che si accomoda in Regione aiutata anche dal vento in poppa del centrodestra.

   Ha fallito il buon Callipo, che ha contato forse troppo sulla sua stessa storia imprenditoriale, pagando anche l’alleanza con il PD che sembra essere il primo partito con il 14% (attenzione, che se contate l’astensionismo va giù più della metà).

   Hanno fallito i 5stelle, che pur trovando un candidato alla presidenza interessante, e hanno sbagliato tutta la loro campagna elettorale. Una volta c’erano i banchetti in mezzo alla strada. I bei vecchi tempi. Oggi hanno contato su Facebook e social un pochino troppo. Siamo tutti belli e simpatici. Senza contare il fuoco amico del loro senatore Nicola, che con i suoi speciali interventi ha causato una serie di autogol clamorosi.

   Non ha fallito il buon Carlo Tansi tutto sommato. A Crotone almeno no. Forse entrerà, forse no. In cuor suo sapeva che sarebbe stato molto difficile. Il merito suo è di aver trovato sostegno in tante brave persone. Per lui e i suoi è arrivato il momento di costruire, ma questo soltanto il tempo lo dirà.

   Ha stravinto il partito dell’astensionismo.

   Le ragioni sono molteplici.

   Alta emigrazione giovanile (ma non solo), presunzione di determinati politici, partiti che non sanno che cosa vogliono fare (fatevi raccontare la barzelletta del PD crotonese che voleva sostenere ancora l’uscente Mario Oliverio, silurato dalla base nazionale), il disgusto delle persone verso un certo modo di fare politica. Insomma una serie di problemi che hanno portato alla disaffezione più completa. E non è una giustificazione, badate bene.

   Poi c’è un dato. I calabresi, come popolo, esistono solo sulla carta.

   Non prendetevela, cari amici.

   Ma la Calabria è una regione troppo divisa.

   CZ e CS si detestano. KR odia CZ. RC odia CZ. VV un po’ troppo sola. Una regione bellissima, ma divisa da troppe chiusure mentali. Diventa difficile uscirne.

   Certo è che il prezzo dell’astensionismo non piace.

   Potete parlare di fascisti, di comunisti, di leghisti…. Tutto quello che volete in questo delirio psicotico post elettorale.

   Ma la vera vincitrice è lei, la magica Jole.

   Perché è stata largamente sottovalutata e criticata. Perché tutti guardavano ad una certa disinformazione di cui la stessa fu protagonista (un servizio delle Iene fu rimesso in rete per schernirla), ma nessuno guardava il suo effettivo curriculum (deputata più volte e sottosegretario pure più d una volta). Tutti gli avversari a fare i moralisti contro di lei, ma eppure lei li ha affrontati, democraticamente parlando. E poi per lei sono scesi i pezzi grossi. Anche il buon Silvio è tornato a parlare in piazza per lei.

   Già, non piace ammettere che la magica Jole è stata brava in fin dei conti, nonostante il male che si porta dietro, senza nasconderlo tra l’altro.

   Jole ha vinto. Bisogna riconoscerglielo almeno.

   Ora non si può sapere che cosa farà e se sarà capace di farlo.

   A ogni vincitore bisogna pur sempre fare gli auguri, e in questo caso gli auguri sono più che dovuti. Perché la Calabria sarà gestita da una donna finalmente, ed è un fatto storico di notevole rilevanza.

   Perciò auguri.

   In quanto ai leoncini della tastiera. Scervellatevi quanto volete, sfogatevi, lamentatevi, classificatevi ancora tra fascisti e comunisti, tra delinquenti e incompetenti. Scannatevi fino all’esaurimento nervoso. Fatevi prendere dalle più basse ipocrisie. Ma prima di farlo domandatevi perché in Calabria non si vota in massa quando ci sono le regionali. Chiedetevelo e datevi una risposta, guardandovi allo specchio. Siate oggettivi e non soggettivi. Ragionate con la testa e non con lo stomaco. Di sicuro non è scrivendolo su Facebook che cambierà il mondo, soprattutto quando c’è un problema che si chiama astensionismo.

   Alla fine la democrazia si è espressa, e anche se non piace il verdetto si è espresso in tal modo.

   Che Dio ce la mandi buona.

Aurélien Facente, 27 gennaio 2020

La grande buffonata

Ultimi giorni di campagna elettorale. E il protagonista è sempre lui, quell’odiato Salvini, che usa la tragicommedia per far parlare di lui. La citofonata in un quartiere popolare emiliano per scovare qualche presunto spacciatore.

   La formula del format non è nuova. Da mesi, il Brumotti di Striscia La Notizia gira tra i quartieri italiani a fare la sua lotta/inchiesta contro lo spaccio, mostrando il degrado di alcuni pezzi della società italiana, quella di cui non si osa parlare. Perché la vergogna è meglio metterla sotto un tappeto.

   E due giorni fa, ecco che l’odiato Salvini si fa filmare e pubblicare per aver citofonato e fatto le sue domandine: “Scusi, lei è uno spacciatore?”

   Fatto da un altro, sembrerebbe un omaggio all’irriverenza e provocazione comica di quel programma “South Park” che tanti anni fa trasmettevano in seconda serata. In una cittadina, le vicissitudini di quattro bimbi che non avevano paura di dire le parolacce e ne combinavano di tutti i colori in una cittadina di nome South Park, che era il ritratto contemporaneo di un’America che si stava affacciando nella sua epoca “politically correct”. Una serie geniale realizzata da due americani, Trey Stone e Matt Parker, che non aveva paura di andare contro il pensiero ipocrita del politicaly correct.

   E l’odiato Salvini, se fosse protagonista di quella serie inserito in quell’universo narrativo molto grottesco, ci starebbe benissimo.

   Una grande buffonata che ha servito ad accendere il solito fiume di polemiche che non cambieranno nulla.

   Matteo osa, e voi parlate, anzi sparlate e continuate ad alimentare la sua esistenza.

   Fatevene una ragione. Voi che lo criticate aspramente, voi che lo accusate, voi che lo temete, e forse qualcuno tra voi lo invidia pure tutto sommato, perché alla fine lui addirittura ha toccato il citofono e ha proferito la sua ennesima provocazione.

   Sporca provocazione o un lampo di genio tremendo da sembrare proprio una gag di South Park.

   Siamo in campagna elettorale, a sua volta all’interno di uno spietato circo mediatico.

   Voi avete visto soltanto lui e basta.

   Ed era quello che voleva.

   E voi, come tanti pesci, avete abboccato alla grande.

   Eppure non vi siete domandati dove si trovava, che ci faceva lì. Non avete visto il contorno. Non avete visto lo stato del quartiere popolare. Non ve l’hanno fatto vedere. Certo, sarebbe stato più utile vederlo forse, e domandarsi dove si trovavano i suoi fieri oppositori che hanno dimenticato di parlare delle persone, ovvero della dignità delle persone. Certo, meglio prendersela con lui, il capitano che con il suo nutrito gruppo di tifosi va a fare la citofonata più stupida della storia.

   Uno scherzo di cattivo gusto.

   Una buffonata da South Park.

   E non avrei voluto scriverlo.

   Ma intanto lui è il personaggio del momento. Lo avete reso voi il personaggio del momento. E qualsiasi cosa fa voi ne parlate.

   Se dovesse trionfare alle prossime elezioni, fareste bene a prendervela con voi stessi e basta. Perché, in fondo, molti di voi hanno voluto cadere nella trappola del pescatore.

   Buona votazione, sempre che ci andiate a votare.

Aurélien Facente, gennaio 2019