Alla fine saranno i bambini a dare la migliore soluzione…

Stamattina ho fatto un giro in città. Ho incontrato un amico, e abbiamo deciso di farci un giro in auto, tutti e due con la mascherina. Quindi rispettosi delle precauzioni contro il coronavirus.

Poi verso le 13, siamo arrivati alla discesa di Via Roma, Crotone. Traffico intenso. Il traffico che si ha in quella zona è tipico delle uscite da scuola. Sembrava di aver fatto un salto indietro nel tempo, di quando tutta questa follia preventiva non c’era.

Ho abitato nei pressi di una scuola per 25 anni. Per innumerevoli mattine ho visto bambini diventare adolescenti, genitori che vedevano crescere i loro bambini e lasciarli poi autonomi per andare a scuola. Ho visto vita giovane provare a diventare adulta. Ho visto anche adulti invecchiare. Ma lo sguardo dei bambini non te lo scordi, soprattutto quegli occhi pieni di quotidianità, fatta di sorrisi e talvolta di tristezza, ma con l’accettazione di voler diventare adulti.

Stamane, nonostante le mascherine, ho rivisto quei piccoli sguardi che alimentavano il loro spirito. Certo, il virus c’è. Ma non piegherà mai quello sguardo pieno di gioia e di prospettiva. I bambini cadono, ma si rialzano subito. Magari piangono, ma per loro la paura passa. Perché è così che crescono. Il bambino affronta un passo alla volta le sue paure, e tira avanti per la sua strada. Se poi c’è l’adulto ad accompagnarlo è meglio per tanti aspetti, ma i bambini non amano la paura. Piangono o urlano quando si fanno male, ma poi sempre pronti a rialzarsi. Quando accade, i genitori si tranquillizzano.

Molti genitori dovrebbero entrare in questo meccanismo e starli solo a guardare. Vedrebbero tante cose che servirebbero pure a loro. Senza nessuna ipocrisia.

Perché stamane, pur non essendo genitore, ero felice come i bambini stessi. Perché assaggiavo la libertà, mi mettevo alla prova, ero contento di saltellare come potevo. Perché i bambini non rinunciano mai a vivere, nonostante l’adulto provi paura. Una comprensibile paura, ma che un bambino non proverà mai. Perché il bambino ci tiene a voler essere forte, ed è pronto a far buon viso a cattivo gioco.

Molti adulti hanno dimenticato lo spirito dell’infanzia. Si tengono ancorati alla realtà mettendosi delle catene addosso, e si lasceranno mangiare dall’incertezza. Perché questa incertezza si nutre dello spirito umano come un cancro, e se ci si dimentica di essere stati bambini allora essa prende il sopravvento.

I bambini seguono sempre l’esempio che gli mostra il coraggio. Fateci caso. L’empatia dell’infanzia è molto particolare. Quando ero bambino, sceglievo la compagnia dell’adulto che mi dava sicurezza, ma anche allegria. Sceglievo l’adulto che provava a rispondere ai miei perché. E tra mamma e papà, ho anche il ricordo di maestri e professori che non solo mi hanno insegnato la materia, ma anche l’approccio alla vita stessa. Tra questi ci sono anche soggetti che non ho ascoltato, ma perché non erano chiaramente esempi di vita. Ma quando sei infante, tu cerchi inconsapevolmente l’esempio di vita e non l’esempio dell’insegnamento, che viene dopo perché i bambini hanno bisogno di tappe per crescere.

Il sorriso salutare dell’infanzia regala un attimo di speranza per il futuro, anche quando ci sono incidenti di percorso.

I bambini sono tornati a casa, accompagnati dai loro genitori abbastanza increduli e spaesati, ma pronti per riportarli nella propria dimora.

Poi è sopraggiunto il silenzio. Quel silenzio che addormenta la vita, ma non la uccide.

Non c’è niente da fare. Il sorriso di un bambino spegnerà sempre l’ipocrisia del mondo adulto.

Aurélien Facente, 11 gennaio 2020

Cari genitori, bisogna ammettere ai vostri figli che avete una paura matta, altrimenti non ve la perdonano

Crotone, gennaio 2021. Per fortuna non ci si può lamentare dell’inverno. La natura ci sta regalando qualche giornata piena di sole, e forse è questo che rende triste il crotonese medio. Non può passeggiare come prima, e deve stare attento. C’è il coronavirus in giro.

   Ora detta così, sembra che voglia mancare di rispetto a chi il coronavirus lo ha avuto o a chi lo ha vissuto pagandone il prezzo. Purtroppo avviene anche per altri mali, e mi stupisce il comportamento isterico dei crotonesi che hanno vissuto la strage dei tumori.

   Una delle cose più insopportabili è la litania della scuola, e qua il governo c’entra assai.

   È stato ragionevolissimo chiudere nella prima fase le scuole. Avevi a che fare con il coronavirus la prima volta e non sapevi come gestire la cosa. Il problema è che i genitori, già abbastanza preoccupati del loro destino incerto, sono stati alimentati da una comunicazione, anche governativa, fatta solo di incertezza che ha anche coinvolto gli addetti ai lavori, non offrendo garanzie e tranquillità.

   E voi pensate che siano stati i genitori a pagare tutto lo scotto?

   No, sono stati i bambini e i ragazzi ovviamente.

   Con un prezzo fatto di egoismo puro e crudo pur di nascondere la fifa.

   Sia chiaro. Non vado contro la patria potestà genitoriale, ma mi piacerebbe ascoltare le opinioni dei bambini e dei ragazzi. In fondo si tratta della loro possibilità di costruirsi un futuro, eppure cadono vittima di un sistema che ha soltanto prodotto isterismi ed incertezze.

   Qualcuno mi direbbe: “Tu non sei un genitore e non sai che cosa significa.”

   Io rispondo: “So però che cosa vuol dire essere figlio e so che cosa vuol dire quando un genitore usa il bavaglio della paura pur di sentirsi dire che ha ragione, pur sbagliando clamorosamente.”

   Crotone, ma non solo, ha offerto il peggio sulla tematica scuola, proprio cominciando dai genitori.

   Il governo, nell’incertezza, ha dato delle concessioni, pur promuovendo la didattica a distanza, detta DAD (il che mi preoccupa perché la sigla è l’appellativo di papà in inglese, dad appunto). Ma la DAD ha bisogno almeno dell’acquisto di un buon PC. Certo, c’è lo smartphone, ma i ragazzi mica si possono rovinare la vista per stare dietro a lezioni che non sono lezioni. Meglio leggere direttamente qualche buon libro o visionare documentari. Più efficaci, se permettete.

   Ma ovviamente non sono io a decidere.

   Credo fermamente che la scuola e i genitori abbiano perso, almeno parlo per Crotone, la voglia di parlarsi, quindi di avere un’occasione per dibattere sul futuro. Perché dopo sessanta giorni di lockdown si poteva tranquillamente giungere ad una prima conclusione sull’efficacia della didattica a distanza, o almeno provare nuove strade lecite. Basta usare l’ingegno, che fa parte dell’intelligenza o del buonsenso.

  E invece la litania dell’esistenza del virus e basta, senza neanche domandarsi se i propri figli avessero qualche domanda da fare, poiché si tratta di un dibattito che riguarda il loro futuro. Ma no. Meglio crepare di paura e continuare a distruggere, piuttosto che provare ad avviare una discussione fatta di idee (ma si sa che è meglio andare dove porta l’istinto, piuttosto che provare a usare l’intelletto).

   Una brutta pagina di egoismo.

   Fermo restando che sono per la decisione libera del genitore per quanto riguarda la gestione e l’educazione del proprio pargolo, delle quali però se ne deve assumere anche la responsabilità.

   Sono fioccate ordinanze regionali e comunali, seguite a loro volta da ricorsi presso la giustizia. Genitori che hanno espresso legalmente il loro dubbio e ognuno adducendo una propria motivazione legittima. E così accadde il massacro mediatico su Facebook, una delle pagine più vergognose della vita cittadina crotonese.

   Invece di provare a comprendere (almeno per iniziare un dibattito), meglio massacrare e insultare genitori che volevano alquanto capire (oltre al fatto che ognuno presenta una problematica diversa, e almeno in quella andavano quantomeno rispettati).

   Ora il governo italiano ha deciso di riaprire le scuole, usando un misto tra presenza e didattica a distanza. La scuola deve riaprire perché bisogna dare prima di tutto un segnale di coraggio e di ripartenza, e poi sia i bambini sia i ragazzi sapranno dare la migliore risposta in ogni caso, quella risposta che il mondo adulto non ha saputo e nemmeno provato a dar loro.

   Io sono stato bambino e ragazzo, e in più sono stato figlio di insegnanti. Ma conosco anche il mondo dei malati per questioni strettamente personali. Sono stato abituato a rispettare la malattia, ma non a farmi soggiogare dalla paura. La malattia può anche essere un ottimo motivo di discussione sul futuro, mentre nel presente lasciamo che gli addetti ai lavori trovino una soluzione terapeutica.

   Provare a non avere paura è la migliore risposta che si possa dare al mondo medico, oltre ovviamente al rispetto delle precauzioni fin dove è possibile.

   Tanto poi la storia umana prima o poi prenderà la sua risposta migliore. Che lo faccia socialmente o a livello medico poco importa. L’essere umano è stato capace di convivere anche con peggio.

   Però vorrei chiedere qualcosa ai genitori, che più o meno fanno parte della mia generazione (ho 42 anni). Ma al di là delle vostre legittime preoccupazioni, non temete il giudizio che avranno i vostri figli vedendovi così fragili e incerti (oltre che un poco fifoni)? Sapete perché vi faccio questa domanda? Perché credo nell’opportunità del dialogo. Ed è in momenti come questi che la famiglia e la scuola dovrebbero parlarsi, piuttosto che dare peso alle paure. Perciò fate un bel respiro, abbattete la vostra paura egoistica, e iniziate adesso a parlare. Altrimenti sarete voi che avrete bisogno di tornare a scuola, magari in compagnia dei vostri figli più piccoli.

   La vita, dopotutto, è fatta per essere vissuta. E non esiste solo il virus, dannazione!

Aurelien Facente, gennaio 2021

Cultura da Virus: Doomsday di Neil Marshall

Mentre impazza in Italia ormai la fobia del coronavirus, vi consiglio di recuperare il film Doomsday di Neil Marshall, uscito nel 2008. Lo troverete in dvd, e forse su qualche emittente Mediaset (visto che fu Medusa a distribuirlo in Italia), ma guardatelo solo se avete lo stomaco forte. Il film è violento, tamarro, esagerato. Ma dannatamente fatto bene.

   La trama? Scozia, 2008. Un virus mortale impazza in una Scozia contemporanea, e la madre Inghilterra costruisce un enorme muro per imporre una quarantena con la forza. Si scatena la guerriglia. Una bimba riesce a fuggire, non senza difficoltà e perdendo anche un occhio. Ma la Scozia resta condannata a se stessa, e l’Inghilterra, in questa storia, costruisce la sua pagina più sanguinosa pur di contenere il virus.

   Passano gli anni. La bimba diventa adulta, e scopriamo che è una specie di super agente segreto, interpretata da una brava Rhona Mitra, al servizio del governo inglese. Adottata e cresciuta da un super commissario, interpretato ottimamente da Bob Hoskins, le sarà affidata la missione di andare in Scozia, perché un focolaio del virus mortale si è sviluppato a Londra, e pare che oltre il muro ci siano dei sopravvissuti, il che li rende ideali per sviluppare un vaccino.

   La super agente quindi ha l’occasione di tornare nella sua terra natia, dove scoprirà che dopo tanta morte si è eretta una società anarchica e violenta, molto medioevale nella crudeltà, e il viaggio la porterà ad incontrarne addirittura il re, interpretato da un ottimo Malcolm McDowell in uno dei suoi ruoli più nichilisti.

   E nel frattempo a Londra la pandemia scoppia.

   Vi ho raccontato il film, ma la fine no.

   Non serve. Tanto è prevedibile.

   Il film di Neil Marshall è un multigenere. Inizia come un film apocalittico, prosegue come una sorta di “Fuga da New York”, diventa un film horror barbarico per poi addirittura inglobare una corsa automobilistica da rivaleggiare benissimo con l’ultimo Mad Max (che uscirà anni dopo).

   Un mix che potrebbe risultare indigesto, anche perché il ritmo è indiavolato, il che è un pregio per un qualcosa che ha dei déjà-vu. Ma al di là di ciò, il film è importante riscoprirlo per due motivi principali.

   C’è un discorso fantapolitico, ma molto politico. Dinanzi a un’emergenza, i politici non temono di sporcarsi le mani. Anzi, usano la storia del virus e del probabile vaccino per rilanciare la propria campagna elettorale, a discapito della verità. Il che fa sembrare Doomsday, visto oggi in pieno periodo coronavirus, come un qualcosa di terribilmente profetico. Sì, perché poi c’è l’excursus sociale. La quarantena imposta, la zona chiusa, le regole ferree della cosiddetta zona rossa, ovviamente in un contesto più violento e più esagerato.

   Basta solo questo elemento per rendere appetibile il film, che però ha il difetto di essere estremamente violento, perciò pubblico avvertito: il film non è per bambini.

   Neil Marshall si era fatto conoscere per un horror spaventosissimo e notevole come “The Descent”, e in questo film mostra di saper usare bene la telecamera, soprattutto nelle numerose scene violente.

   Poi c’è il ritratto di una società disgregata, con i sopravvissuti lasciati nel più completo abbandono dalla madre Inghilterra, ma anche dal resto del mondo.

   In effetti, se uno ci riflette bene, l’indifferenza può essere un focolaio di un virus chiamato violenza.

   E poi c’è lei, l’eroina senza macchia interpretata da un’affascinante Rhona Mitra, che qualche anno più tardi interpreterà una serie tv che ha a che fare con un virus distruttivo, ovvero “The Last Ship”, ma qui ci si ferma.

   Doomsday è un film disturbante. Ecco, questo sì. Ma molto probabilmente è il solo che riesce a farci vedere l’estremismo di determinate scelte.

   E oggi, in periodo coronavirus, sembra proprio di vivere qualcosa di simile a Doomsday, solo che in questo film chiamato realtà non abbiamo ancora trovato l’eroe che possa farci dormire sonni tranquilli.

Aurélien Facente, marzo 2020