Lo sapete come pensa la vittima di un bullo?

Scenario. Crotone. Lungomare. Sabato sera. Ritrovo dei giovani in prevalenza. Periodo: in pausa pandemica, la gente tende ad uscire. I giovani, quelli che la politica decanta spesso e male, sono come bestie incattivite uscite dalla gabbia. Gli episodi di risse e litigi ormai sono una consuetudine, e il fenomeno negativo è affrontato male sotto tanti fronti, a cominciare da quello politico e giornalistico.

Vi spiego come funziona. Due soggetti litigano e vanno alle mani. Le urla e i gesti attirano e si forma la cosiddetta ruota. Andiamo a vedere che succede è la frase che si alterna con le urla dei protagonisti. La rissa non viene solo tra giovani. Capita anche agli adulti.

Sono decenni che questa è una triste tradizione degli usi e costumi crotonesi. I motivi possono essere i più svariati, ma la prima causa è sempre il cervello scollegato dalla realtà, seguita da un certo machismo che deve dimostrare la legge del più forte nella giungla.

Già, perché le bestie incattivite si sentono forti, e soprattutto autorizzate a farsi valere.

Capita anche al ragazzo gracile di uscire e di voler passare la sua serata. Già, perché non tutti hanno il cosiddetto fisico del lupo. C’è anche chi nasce più gattino, diciamo. Mi scuso se uso termini di animali, ma non voglio offendere. Voglio provare a descrivere il fenomeno per come è, senza mettere in ballo razzismo, fascismo e omofobia. Il bullismo, quando si manifesta, se ne sbatte di questi termini.

All’inizio avviene con una battuta. Il bullo, da lontano, fa la sua battuta infelice. A Crotone si usa spesso la parola “ricchione” quando si vede un ragazzo gracile. Se poi si veste in modo non tradizionale o magari ha un nome non comune, allora il bersaglio entra nella mente del bullo, che si autorizza da solo a colpire.

All’inizio lo fa per attirare l’attenzione. Ma la risposta del ragazzo è timida, e sarà sempre mal tollerata. Nelle serate che passano (susseguiti dai giorni) il bullo si rende conto che può continuare a colpire, e ogni volta che colpisce si sente più forte. Non esiste un perché a quello che fa. Per il bullo accanirsi sul prossimo fa parte del rito animale del predatore più forte. Ma mentre un predatore uccide per nutrirsi, il bullo lo fa per altre motivazioni.

Spesso coinvolge il suo branco di amici lupi. Sì, perché si coprono a vicenda e quando il malcapitato prova ad accusare, il gruppo si unisce definendo l’altro come un folle, e che loro magari avevano solo scherzato. All’inizio tutti giocano la carta del fraintendimento, ma non è così. Il loro scopo è sempre passare il tempo per portare avanti la loro supremazia. E sono talmente abili da scegliersi il bersaglio, perché sanno di agire in un contesto dove lo stesso bersaglio difficilmente parlerà e dove l’omertà si tramuta in facili moralismi da Facebook.

E poi capita il sabato sera. Qualche bottiglia di alcol in più, magari accomunata a qualche tipo di droga in alcuni casi. Ma il contesto rende più feroce il bullo. Perché lui si sente forte in mezzo al pubblico. E succede che la provocazione si tramuta in offesa sistematica. La vittima, spesso, si allontana. Sì, perché è meglio ignorare, usare l’indifferenza, piegare la testa. Ma l’indifferenza alimenta la ferocia del lupo, che si sente sempre più autorizzato a perseguitare la vittima. E allora lo segue con la macchina, si procura il numero di telefono per fargli qualche dispetto, si crea un profilo ad hoc su Facebook per disturbarlo.

All’inizio è difficile che le vittime parlino. Perché per loro significa ammettere di essere deboli e inadeguati, e la maggior parte delle volte temono di non essere credute. Perché magari un chiarimento lo hanno chiesto, ma si sono trovati una platea di persone cui non gliene fregava un cazzo di niente. Oppure gli tirano la scusa che è un bravo ragazzo che ha qualche problema e va compreso.

Se accade questo, per la vittima è finita. Perché l’immagine del bravo ragazzo è la perfetta maschera del bullo. E allora si rassegna. E tenderà a subire, senza avere la protezione adeguata. Perché il suo silenzio sarà il prezzo da pagare.

Così gli insulti e gli abusi aumentano. E la vittima continua a soffrire in silenzio. Per un tempo senza tempo. Deve provare a mantenere la pazienza, perché è quello che gli dicono gli altri, tra cui forse anche il genitore. Ma il tempo della sofferenza si allunga e schiaccia.

Quindi arriva il sabato sera. E scatta qualcosa. Magari la vittima si è stancata e risponde al bullo in un modo che non possa essere uno scambio di battute. Inizia l’aggressione fisica e si forma la ruota. C’è anche chi filma. Il circo delle belve si esibisce sul lungomare. Non ci sono tifosi, ma spettatori di uno spettacolo penoso.

Alla vittima non gli farà male il sangue che gli esce dal naso, ma dello sguardo degli altri. Quello sguardo che lo perseguiterà più del pugno. Perché sa che con quel gesto il bullo, il più delle volte, smette di tormentare e andrà per la sua strada. Ma lo sguardo degli altri resta. Perché puoi ammettere di essere più debole, ma non potrai mai farlo se l’umiliazione assomiglia ad un’esecuzione in pubblica piazza.

Il danno è fatto.

Il giorno dopo è sempre il peggiore. Perché dalle botte ti puoi rimettere, ma delle ferite dell’anima no. Non subito almeno. Ci vuole tempo per quelle. E il non sapere quando finirà ti farà ancora più male. L’unica consolazione è che adesso si sa che c’è un bullo che ti ha picchiato e che ha fatto la sua figura. Ma non risponderà alla domanda che ti affligge: perché tu?

Per la tua diversità? Per la tua fragilità? Per la tua unicità? Per la tua debolezza? Perché tu? Sono solo alcune tra le mille domande che ti tortureranno l’anima, mentre proverai a mettere un po’ di ordine in un conflitto emozionale strettamente personale.

Ma il giorno dopo è sempre il peggiore. Perché finisci sulla bolla degli altri, sulle tastiere degli smartphone, diventi il titolo di qualche giornale. La speculazione del pettegolezzo arriverà a farsi passare per solidarietà, e per te sarà il ritratto dell’ipocrisia. Perché tu non crederai a una comunità che è rimasta guardarti, e magari l’aiuto è venuto proprio da chi non ti aspettavi. Sai benissimo che c’è qualcuno di buono, ma sai anche che c’è tanta indifferenza di comodo.

Adesso ti trovi all’interno di un labirinto emozionale, e per trovare l’uscita dovrai fare piccoli passi alla volta. Diventerai più forte, ma sarai anche molto diffidente. Lo so perché ci sono passato anche io.

Ho letto anche io tante parole su Facebook e tanti articoli. Molti a usare il termine omofobia. No, non si chiama omofobia. Si chiama cattiveria. Perché quando un individuo ti perseguita lo fa per cattiveria. Un bullo non conosce volutamente determinati termini perché vuole il passatempo e basta. Lui avrà al sua condanna, ma non sarà facile strappargli il perché delle sue azioni cattive. Perché il bullo lo fa e basta. Puoi provare a parlargli, ma il bullo non ragiona perché non vuole passare per un debole. Potete incolpargli la famiglia per come lo ha cresciuto, ma in realtà il bullo indossa una maschera di crudeltà, e per sfilargliela bisogna che il tempo passi o che almeno provi almeno un po’ di quello che la sua vittima ha provato. E allora capirà, e forse si redimerà.

Crotone, mia amata e odiata Crotone. Il paradiso è soltanto la maschera che i tuoi abitanti indossano per non guardare il lato oscuro della società. Voi, cari concittadini, non avete idea di quante storie come questa siano presenti da decenni. Di sicuro non si affrontano con qualche post su Facebook.

Aurélien Facente, 30 giugno 2021

Media pornografici e sadomasochisti in offerta agli spettatori spaventati dal Covid-19

Ammetto di non vedere la tv da almeno sei mesi. Ma in realtà non la vedo da oltre un anno, tranne quando c’è qualche buon film o qualche buon documentario. Prima la spegnevo, ma da quando ho cambiato abitazione non mi è venuto nemmeno la voglia di comprarla. Se voglio vedere un film, mi basta il PC. Cuffia, davanti allo schermo e via.

   Però, per motivi “istruttivi”, devo vedere lo stato dei media italiani, giornali e tv in primis. E mi rendo conto del peggioramento.

   In Italia la situazione mediatica è degenerata a livelli pornografici mai visti. Neanche le più agguerrite pornostar arrivano a tal punto. Anzi, adesso vedere un film osé è più utile che vedere tanti talk show buoni solo a urlare, urlare e fare stupida morale.

   Guardate lo scandalo in Calabria. Un commissario alla sanità che si dimette perché non fa il commissario alla sanità. Una serie di giustificazioni scritte qua e là, e il commissario (che annuncia le dimissioni, presentandole) va in televisione senza nemmeno provare vergogna e si offre in pasto al pubblico televisivo. E con che storia poi, addirittura stupefacente.

  Non parliamo poi del seguito.

  Cotticelli è il classico mostro da prima pagina da mettere al patibolo.

  Ma se uno accetta, se vogliamo affidarci al senso logico, allora vuol dire che la sa lunga. Talmente lunga che tra qualche giorno finirà nel dimenticatoio e si godrà una bella pensione (oltre alle partecipazioni televisive future) che gli permetterà di vivere bene, in faccia a chi lo ha insultato su Facebook e spernacchiato.

   Un mostro offerto così per far parlare gli altri.

   Ma nessuno si chiede se nel frattempo si sono presi provvedimenti, nel senso che magari viene messo a punto quello che manca.

   No, ai poveri spettatori (poveri non tanto, ma scemi sì perché cascano nello sfogo social) che sono tanto spaventati da questo Covid-19 che viene visto come il Virus dell’Apocalisse (e chissà perché questo virus apocalittico ci riserva giornalmente tanti guariti, che tra l’altro dovrebbero infondere fiducia proprio perché si guarisce).

   Il 2020 è un anno tragico. Gente che si ammala. Molti muoiono, ma tanti guariscono. E nel frattempo una nuova arena romana è offerta al pubblico. Panem et circenses, direbbe qualche celebre antico romano. Penem et circenses sarebbe il titolo più esaustivo.

   Sì, perché i limiti sono ovviamente superati alla grande.

   In Tv si condanna la gente perché si ammala, i politici condannano i cittadini che si infettano, trovano il fannullone di turno e lo mettono in pubblica piazza ma poi le cose, se si faranno, avanzano con lentezza. E poi sempre la stessa storia, poi soprattutto qui in Calabria con la sanità ridotta ai minimi termini assistenziali.

   Vi offriamo il commissario Cotticelli in televisione, ma poi continuerete a parlare e sparlare. E nel frattempo i responsabili si defilano e si nascondono. Sì, perché quel signore fa parte di un sistema collaudato e mai riparato, proprio perché non si voleva riparare.

   Non dare la colpa al governo. No, do la colpa a chi ha voluto questa situazione, favorendola proprio nascondendosi perché è sicuro del suo nascondiglio.

   E poi ci sono loro. Uomini e donne dei media. La Barbara che t’insegna come mettere la mascherina e ti fa le interviste al politico come se quel politico non avesse nessun tipo di responsabilità, oppure vai dal Giletti e tutti gridano e ti fanno la morale.

   In un paese normale, uno col grado di generale che si sarebbe fatto i comodi suoi sarebbe stato immediatamente arrestato e processato con l’accusa di alto tradimento, con tanto di condanna a carico. E con lui tutti i responsabili dello schifo.

   Ma intanto vanno in televisione e prendono le prime pagine, diventando divi del pubblico televisivo affamato del mostro.

   Mi ricordo che negli anni 80’ c’era una commissione per l’infanzia che ci deliziò della censura a danni di Devilman e di Ken il Guerriero, accusati di ispirare i giovani a fare i criminali.

   Oggi la commissione non interviene perché non le conviene, e poi non si tratta di Ken o Devilman, creature irreali che però poi ti parlano di onore, amicizia, rispetto paradossalmente, e nonostante la violenza mostrata fanno di tutto per porvi fine.

   Però si tratta di mettere in mostra persone che ti dicono spudoratamente che sono state lì a fregarsi lo stipendio, pagato bene dallo Stato, a sua volta pagato bene dai cittadini, che guardano ipocritamente il programmino televisivo per poi scandalizzarsi successivamente sui social.

   E nel frattempo arriva il comico che prende appunti e ne fa le imitazioni.

   E tutti a consolarci stando nel peggio, senza aver risolto nulla.

   Capisco di far parte di un mondo lontano dalla tv della merdiocrità (badate bene, ho scritto merdiocrità), e che nutre bene il popolo che si fa fregare perché attirato dalla pornografia televisiva spacciata per informazione. Un’informazione nichilista che non offre la via del ravvedimento, della seconda possibilità, della voglia del riscatto.

   Che cocktail tragico!

   Poi ti dicono che lo fanno per arrivare primi alla notizia. Conosco gente che arriva prima pure per raccontare stronzate o farle addirittura.

   E il popolo televisivo accetta lo schifo intessendo un rapporto sadomaso vero e proprio.

   Andando avanti, la gente spegnerà e non crederà più.

   L’overdose di coronavirus ha già fatto il suo.

   Io ho spento la tivù e non voglio riaccenderla e nemmeno acquistarla. Sono un essere umano e pretendo rispetto. Da chi mi governa in primis. Ma anche da chi mi offre la merda.

   Volete un amichevole consiglio: spegnetela anche voi.

Avete diritto a una dignità. Quindi, per favore, andatela a riprendere

Aurélien Facente, novembre 2020

Coronavirus KR – Diario dalla Zona Rossa, giorno 2 e 3

   Giorno 2, sabato mattina.

   Mi sveglio un po’ tardi. Dormo bene. Molto bene. Mi sto riprendendo la forma. La solita routine. Ti lavi e fai colazione. A casa si usa la cucina uno alla volta. Tra poco esco, e poiché in famiglia sono io quello che esce, allora le precauzioni vanno prese al massimo, anche se può costare un bacio o un abbraccio.

   Le notizie dicono che il virus sia in giro, ma ci sono parecchi asintomatici. Il che potrebbe anche essere positivo a pensarci. Ma la paura regna sovrana. Troppa paranoia in giro.

   Apro Facebook. Circola un video preso dalla tv. Un’intervista surreale a un certo generale Cottarelli. Quante condivisioni. Credo che ben presto sarà offerto alla pubblica piazza televisiva. Chissà chi si aggiudicherà l’esclusiva…

   Giorno 2, sabato pomeriggio

   Si legge. Un libro che parla di comunicazione. Non ho mai terminato gli studi, a dire il vero. Io non conosco nulla ancora. Non conosco proprio niente. Ma il mio niente è tanto rispetto al pensiero unico dominante. Non mi si perdona di non provare paura e preoccupazione. Lo so che è un comportamento odiato. Ci si allontana dal singolo per abbracciare il gruppo. Girano voci di un’altra protesta. Vogliamo scommettere che non ci sarà? Crotone non è Cosenza, non è Catanzaro, non è Reggio. Evito di leggere i commenti su Facebook sugli eventi calabresi. C’è un dato di fatto, però: la gente ha cominciato a parlare. Troverà presto la sua dimensione. Benvenuti nella realtà, calabresi.

   Giorno 2, sabato sera

   Mi manca il cinema. Mi manca sedermi sulla poltrona della sala, e stare in silenzio a guardare il film. Mi manca stare in mezzo agli altri in silenzio. Mi resta solo uscire discretamente la sera con il cane. Poi torni a casa. Mangi. Non puoi permetterti di sognare più di tanto. Devi solo badare al sodo. È iniziato il daily direct. Ogni giorno una diretta, per far vedere che sono vivo almeno. La mia sopravvivenza può essere una rassicurazione per qualcun altro.

   Giorno 3, domenica sera

   Tutti incollati allo schermo. Non io. Mi bastano le testimonianze altrui mentre sparlano della tragicommedia del generale. Io non ho mai capito a pieno il giornalismo di Giletti. Un giornalismo che fa la morale e dà ospitalità a qualcuno che tenta di uscirne fuori da qualcosa di bollente. Si vede da lontano che è costretto a trattenersi, e a dare peso alla commedia. La storia delle immediate dimissioni per poi sbarcare alla tv nazionale e darsi in pasto al pubblico può convincere la massa. Una persona sana di mente non lo fa se prima non ha il culo coperto. E nonostante la presenza di Lino Polimeni che si lancia alla ricerca di scuse ipocrite, l’effetto è quello di un brutto film comico. E la gente che ci casca pienamente perché è quello che vuole. Un bel giochino delle apparenze. Con la fabbricazione di un mostro da mettere sullo schermo, la gente dimentica il vero succo della situazione: che al governo centrale non gliene frega un cazzo dei calabresi, e che farà ben poco al momento. E offrendo il mostro in pubblica piazza, il governo si defila e non ti chiede nemmeno scusa. Non so se la gente si preoccupa di quest’elemento. Intanto lo show è solo iniziato.

   Provo a fare una diretta. Ma alla gente non gliene frega di vedere il trucco che gli hanno combinato…

Aurélien Facente, novembre 2020

Le avventure del professor Vincenzo perseguitato dalle teorie strampalate di Fantapall

Il mio Whatsapp ogni tanto salta. Alcuni mi inviano articoli che sembrano più delle barzellette che pezzi inerenti l’attualità. Una della testate più condivise in città è Fantapol, che io definisco affettuosamente Fantapall.

   Sì, perché a raccontar palle è abbastanza abile. In piena emergenza coronavirus, standosene bene a casa, il giornalista racconta di risse violente nei supermercati, risse mai avvenute. Giusto per fare un esempio.

   Però è divertente, devo ammettere.

   Ogni tanto un sorriso ci vuole, ma poi la cosa è seccante quando si vuol far credere di essere padroni della verità.

   Bene, Fantapall in questo periodo è ossessionata dal denigrare e delegittimare il professor Vincenzo, un noto candidato a sindaco che in questi giorni è impegnato a portare avanti il proprio progetto politico.

   Ora, se io fossi il giornalista di Fantapoll mi preoccuperei di capire perché il professor Vincenzo si presenta, quali sarebbero i suoi candidati, quali sono i programmi che propone, quali obiezioni da fargli sui contenuti che non mi convincerebbero, e magari fargli una critica politica onesta, anche se mi è antipatico. Mi preoccuperei di capire perché tanta gente ha partecipato alla presentazione delle liste. Cercherei di capire perché questo signore è popolare. Senza fare neanche tanti pronostici.

   Ecco, seguire il buon professore dal punto di vista sociale sarebbe un reportage abbastanza interessante, anche perché i lettori vorrebbero capirci di più.

   Io, ad esempio, sono un lettore che ama approfondire. Mi piace farmi un’idea dei candidati, vedere che cosa propongono, capire il loro grado culturale e verificare la loro idea di dimensione di uno spazio cittadino.

   Voi pensate che leggerete tutte queste cose che richiederebbero tra l’altro un lavoro accurato e obiettivo? No.

   Mi mandano un articolo dove il professor Vincenzo è al bar a incontrare qualche conoscente, e magari a questi signori dichiara di candidarsi. E ci sta. Quanti candidati vanno al bar per proporsi agli amici e ai conoscenti? No, secondo Fantapall gli amici son pochi, come se il bar stesso potesse riempirsi di migliaia di persone all’istante così per magia.

   Un articoletto senza logica, ma molto divertente.

   Ieri (29 agosto 2020) la pubblicazione di un altro articoletto divertente. Una macchina parcheggiata all’angolo con tanto di morale sul codice della strada. E indovinate a chi appartiene la macchina? Proprio al professor Vincenzo.

   Ora, prima di scrivere l’articolo, mi chiederei almeno se la macchina non si fosse guastata e per necessità si è parcheggiata lì. No, ci si inventa che la macchina blocca il passaggio alle carrozzine per disabili, che è in divieto di sosta e fermata e quant’altro ancora. E anche se fosse, magari sarebbe utile chiamare qualcuno delle forze dell’ordine prima di scrivere l’articolo. Così, giusto per avere un chiarimento. No, neanche questo.

   E allora via con la pubblicazione.

   E così mi inondano il Whatsapp per leggere questa roba demenziale.

   Ora il professor Vincenzo non ha bisogno della mia difesa. Però adesso ho paura che il professor Vincenzo sarò protagonista di un articolo dove magari vola su un asino volante, oppure un altro articolo dove magari si metterà a parlare con Pinocchio, oppure un altro dove magari si scriverà che vorrà andare a farsi un pellegrinaggio fino a Serra San Bruno.

   Insomma, la demenzialità più pura.

   E così continua la triste narrazione del giornalismo crotonese, che va sempre più giù pur di raccontare barzellette.

   È vero che siamo in regime di par condicio.

   Allora aggiungiamo che Fantapall non è il solo a raccontare felicemente delle palle.

   Mi hanno inviato qualche giorno fa il link di un blog dedicato ai Vichinghi, e poi vedi il blog e vedi tanti articoletti fantasiosi su un noto segretario della Lega, come se quelle pubblicazioni illuminanti acchiappassero lettori.

   Caro professor Vincenzo, come può ben vedere ogni esponente politico è perseguitato da qualcuno che ama raccontare palle. Lei almeno ha Fantapall. Pensi che c’è chi è addirittura stalkerizzato dai Vichinghi…

   E poi dicono che i blogger sono fabbricanti di fake news…

   Detto da chi racconta e pubblica palle tra l’altro sembra addirittura un complimento…

Aurélien Facente, agosto 2020

Il bavaglio della censura governativa e social che si vuole usare nei confronti del libero pensiero all’epoca del Covid-19

Nella mia linea editoriale, se tale si può definire, ho sempre cercato di delineare la necessità del racconto per narrare la società. Uso la mia esperienza e i miei occhi per proporre, mai imporre, un semplice punto di vista, e quando mi sono occupato di determinati argomenti l’ho sempre fatto nella maniera più corretta possibile, avendo anche l’aiuto di qualcuno che magari ne sa più di me.

   Non sono un tuttologo, ma di sicuro ho letto e scritto tanto. So mettere insieme due frasi, e conosco abbastanza bene l’analisi logica. Sono stato educato dai miei genitori e dalla società nella quale sono cresciuto all’ascolto e a usare la testa quando serve.

   Ho praticato il giornalismo per alcuni anni, e mi piaceva. Ho abbandonato quando ho capito che il giornalismo italiano preferiva cercarsi i like piuttosto che curarsi la qualità della notizia. E così ha fatto la politica.

   Oggi politica e giornalismo vogliono il gradimento, ma non si curano della sostanza.

   Quando avviene questo binomio, la democrazia corre un grosso pericolo.

   Scrivere e raccontare non vuol dire compiacere.

   Assolutamente no.

   Però, se vuoi essere degno dello scrivere e del raccontare devi sempre farlo con la consapevolezza che parli alle persone, e parli anche di persone.

   Il mio personale approccio è forse più letterario, ma se devo denunciare prima mi devo preoccupare di raccontare e mettere insieme i dettagli. Perché la gara della notizia non deve essere a chi arriva prima per arrivare sempre primi, ma per come la racconti.

   Quando ho capito che bisognava essere superficiali, ho preferito abbandonare, spinto anche da situazioni strettamente personali.

   Dalla mia personale decisioni sono passati nove anni, e solo di recente ho deciso di ridare voce alla mia voce e alla mia scrittura. Perché essere indifferenti vale sempre fino ad un certo punto. Perché se hai la possibilità di fermare un mostro, lo devi fermare.

   Ecco perché sono tornato a scrivere, e a raccontare.

   Oggi, in Italia, si vive il Covid-19 o Sars-Cov2 o Coronavirus 24 ore su 24. Un martellamento di notizie alla rinfusa che hanno di fatto violentato le persone di tutti i giorni nella dignità, nell’economia e nella salute.

   Per oltre 50 giorni ho tenuto dirette con l’augurio che le persone di tutti i giorni riprendessero a respirare, a non farsi mangiare dalla paura. Nel frattempo, indagavo e mettevo insieme tante cose perché io non credo al cosiddetto “asino che vola”.

   Fermo restando che il sottoscritto non ha mai negato l’esistenza del virus e nemmeno che purtroppo ci sono stati tanti morti. Anche dalle mie parti è morto qualcuno per il Covid-19.

   Però ho sempre tenuto la testa vigile.

   Non ho mai creduto a quello che la tv e i media tradizionali hanno diffuso al 100%.

   Perché io sono un malato cronico, e non posso permettermi di condannare una persona infettata e asintomatica solo perché, purtroppo, non sapeva di esserlo. Il condannare persone che hanno solo avuto il desiderio di farsi una passeggiata in solitaria è uno degli orrori che questo battage politico-mediatico ha portato avanti per distogliere l’attenzione dal vero problema.

   Ritorniamo a noi.

   Bazzico i social da dodici anni ormai. Ne conosco i limiti e ne conosco i pregi, e soprattutto ne conosco il tipo di pubblico. Ho sempre rispettato le regole al 99%. Sui social applico una politica “attendista”, soprattutto quando si parla di realtà. Non ho mai promosso violenza, razzismo, pregiudizio. Ma il rispetto del pensiero sì.

   Nelle mie dirette Facebook ho sempre lasciato parlare le persone, anche quando m’insultavano. A volte, ho anche risposto. Perché il rispondere, anche se non piace, è una rassicurazione. Ho conosciuto tante persone impaurite, e alcune con il dubbio di poter aprire la finestra e respirare. Tante persone terrorizzate, quando in realtà il governo aveva la responsabilità di promuovere la prudenza, non d’imporla con una tal forza dittatoriale. Come se l’italiano medio non potesse capire.

   Gli italiani, nella Storia, hanno avuto sempre una grande forza. Non se ne rendono conto perché vivono il momento, ma quando si mettono insieme sono capaci di muovere un intero Paese, molto più della politica.

   Ho notato in questo periodo la chiara volontà di un sistema mediatico a voler fare sentire le persone in colpa, come se le stesse fossero responsabili della natura di un virus che si muove indipendente da tutte le volontà in campo. Ho notato l’umiliazione fatta a tanti cittadini, trattati come bambini capricciosi quando in realtà si fermavano per parlare. Mi è stato detto da un signore con la divisa che io avevo mentito sul mio diabete, ma non l’ho raccontato perché era una questione che riguardava me e che potevo tranquillamente dimostrare.

   Sia chiaro. Io non ho paura del Covid-19, ma lo rispetto. Così come rispetto la legge, anche se non mi piace.

   Perché la volontà di raccontare si muove sempre nella linea di confine. E se devi dare l’esempio, sul confine devi saperti muovere.

   Perciò, quando ho scoperto la notifica di Facebook che mi censurava alcuni link perché esageravano la realtà, mi è venuto da ridere.

   Due video da YouTube: uno riguarda me e riguarda la mia opinione, sorridente, sulle ordinanze del 29 aprile 2020 emanate dalla Regione Calabria, a firma della Governatrice Jole Santelli, che hanno fatto rumore sui social. Un rumore delirante, figlio dell’incertezza accumulata, delle persone che non sapevano quando uscire di casa per vedere un po’ di sole. Il video è stato bollito come una fonte di notizie esagerata. Certo, ma la paura mica la cancelli.

   Poi un video pubblicato su YouTube dalla testata Byoblu24, con una lunga intervista fatta al giornalista Giulietto Chiesa, deceduto di recente tra l’altro. La condivisi sulla mia pagina pubblica principalmente perché considero, tuttora, Giulietto Chiesa un testimone eccezionale della nostra epoca, indifferentemente dal colore politico.

   Le persone che raccontano vanno sempre ricordate.

   Perciò per due link vengo punito leggermente dal sistema Facebook. Un piccolo bavaglio, come si suole dire. Pazienza. In fondo Facebook mi ha concesso spazio abbastanza, però ho l’impressione che adesso il libero pensiero non sia tollerato.

   Perché da una parte ci sono medici che vogliono parlare, che vogliono tranquillizzare le persone, che vogliono dir loro che la speranza non è morta. Perché ci sono giornalisti narratori che, andando contro le linee del pensiero governativo e televisivo, vi dicono e continuano a ribadire che le persone devono pensare con la loro testa.

   Il bavaglio, caro Zuckerberg, non lo puoi mettere a nessuno. Capisco le regole che vanno rispettate, sia chiaro. Ma quando il tuo social comincia a essere infettato, senza aver possibilità di controbattere in privato, dallo spettro della censura governativa e politica allora mi devo un pochino ricredere.

   Facebook si può incatenare. È un sistema virtuale. Basterebbe spegnerlo ad esempio.

   Ma il pensiero libero non lo puoi incatenare. Puoi frenarlo, ma non lo puoi incatenare. Ci hanno provato i grandi tiranni per poi essere rigettati dalla loro popolazione. Perché la tirannia è sempre una pagina oscura.

   Quindi, ai signori supremi dei social dico largamente che me ne infischio del bavaglio. Anzi, prego loro di lasciare uno spazio di difesa a garanzia dell’utente. Perché nella Storia si entra quando si lascia il pensiero camminare libero. L’affermazione della verità è un processo da conquistare, mai da imporre.

   La verità imposta nasconde sempre la più grande delle bugie.

Aurélien Facente, 12 maggio 2020

Video 1 contestato da Facebook
Video 2 contestato
Ascoltate il video del direttore di Byoblu24 perché conferma bene quello che ho scritto nell’articolo, ovviamente con le dovute differenze.