Falcone e Borsellino non avrebbero voluto vivere questa Italia

Trent’anni sono passati da quel maledetto periodo del 1992. Ero poco più che adolescente quando vidi la notizia sul TG5 di Enrico Mentana. La strage di Capaci. La morte del giudice Falcone con tutta la sua scorta. La nascita tragica di un mito che avrebbe fatto vedere quello che era la criminalità nella sua massima barbarie.

Io avevo visto Giovanni Falcone ad un’intervista famosissima al Maurizio Costanzo Show. Una persona rassicurante che sapeva quello che faceva, e che non aveva peli sulla lingua. Il racconto della verità era disturbante. Stavamo iniziando a conoscere il mondo descritto da Leonardo Sciascia che molti percepivano come un film.

Quell’attentato sul ponte cambiò le carte in tavola.

La risposta politica dell’allora Presidente della Repubblica Scalfaro non fu potente a dire il vero. La strage aveva creato sgomento, ma la politica lo percepì più come un attentato che come una strage di eroi che preferivano essere persone che compivano il loro dovere.

Qualche mese dopo, proprio a luglio, toccò a questo signore, il giudice Paolo Borsellino, di cadere vittima con i suoi uomini in un altro attentato di rara crudeltà. Anche con lui morì la scorta.

Paolo Borsellino era più discreto rispetto a Falcone. Non ebbe il piacere di essere protagonista di una bella intervista come accadde per il collega. Ma era un uomo tutto d’un pezzo. Il suo sacrificio fu determinante a farci vedere l’orrore che osava nascondersi e osava a non essere raccontato.

Vidi la notizia della sua morte anche sul TG5, sempre diretto da Mentana. Fu un colpo diverso, ma altrettanto forte. Si aveva l’impressione che erano stati portati via dei fratelli. Fratelli che volevano che l’Italia fosse più giusta e più consapevole.

Su questi due signori si è scritto e raccontato di tutto. Si sono prodotti anche dei film. Vengono venerati da eroi e come dei. Ma spesso si dimentica che loro erano persone prima di tutto. Persone che credevano in una nazione che doveva migliorare.

I media li celebrano come martiri, ma dimenticano spesso e volentieri che questi martiri lottavano per qualcosa che andava oltre il loro nemico, la mafia come abbiamo imparato a chiamarla. Volevano di sicuro un Paese migliore dove la stessa politica trovasse la decenza di essere sincera con i propri cittadini, dove il lavoro della giustizia non fosse visto come una colpa o una celebrazione ma di un’espressione di lavoro, dove l’espressione del dissenso e della denuncia non fossero visti come capricci di una moda ma come l’inizio di una terapia che avrebbe aiutato a costruire esempi.

L’Italia li venera, ma non è una nazione di giustizia e di equità. L’Italia li celebra, ma non ha una politica sincera con i cittadini. L’Italia è un paese che è diventato ambiguo e oggi lo Stato non aiuta il cittadino, ma lo bullizza.

Non credo che Falcone e Borsellino vivrebbero bene questa Italia.

In fondo il male che loro combattevano continua ad esistere, ed è diventato molto più ambiguo. Talmente ambiguo da essere stato realmente bravo ad affondare ancora di più le sue mani nei posti che contano.

Il loro sacrificio è servito per farci vedere il male, ma oggi questo non viene detto a sufficienza. Sì, perché il male in Italia è mutato preferendo altri luoghi.

Oggi l’Italia è più ipocrita, più maligna, più ambigua, più tendente alla propaganda e non alla verità.

Questa Italia non è la nazione che sarebbe piaciuta a Falcone e Borsellino, così come tutte alle persone che hanno combattuto con loro.

Si canonizzano gli eroi in Italia, ma la verità è che il male continua a esistere eccome.

Aurelien Facente, 19 luglio 2022

L’omicidio del voto rappresentato dai referendum sulla giustizia

Che cos’è il voto oggi? Si tratta realmente di un simbolo di libertà di pensiero oppure è un atto di sottomissione? E se è un atto di sottomissione, chi ci sta?

L’ultimo referendum sulla giustizia con 5 domande (di cui almeno due importanti) meritava la riflessione, la discussione, la promozione. Tranne qualche faccia nota, la indifferenza istituzionale prima e quella mediatica dopo hanno influito molto sull’andamento della indifferenza al voto, sancendo ancora di più la separazione tra la politica e il pubblico, inteso come gente.

Non arrivare al 20% solo nella storia elettorale della città di Crotone, posto dove vivo, è sintomo ormai di una frattura multi scomposta che ormai sarà difficile risanare, se non tramite una lunga terapia di franchezza e chiarezza, cosa difficilissima per la generazione politica che ama il sotterfugio e la codardia, usando anche maschere di destra e di sinistra che non appartengono loro minimamente. E quelli che dovevano rompere il sistema, come Lega e Cinquestelle, danno il colpo del KO definitivo proprio con l’anomalia del governo Draghi che tutto è tranne il governo che serviva all’Italia, con buona pace del Presidente Mattarella cui forse (anzi è probabile) il bis non giova per nulla.

Non prendiamoci in giro. Ormai, vista anche l’affluenza alle comunali, la gente non crede più a questa generazione politica. Vota chi ci crede e chi s’illude di crederci. Il resto no. Un dato di fatto ormai incontestabile.

Si tira troppo la corda? Inevitabile che si spezzi se la corda è mal curata. Sembra un esempio banale, ma in Italia e a Crotone è accaduto proprio questo. Si pensa che la leggerezza e la propaganda tenessero lontana la pesantezza dell’esistenza. Non è così.

Ora capire le ragioni di questo massacro elettorale è lungo e complicato perché le origini partono da lontano, e la malattia è conclamata su tutti i livelli.

Una malattia di marcio che viene percepita proprio attraverso i media, che preferiscono raccontare verità assurde pur di non andare al centro del problema. Ci sono sacche numerose di persone che non credono più alla politica. Li hanno chiamati in tutti i modi: populisti, fascisti, no vax, putiniani.

Hanno puntato il dito contro senza mezza misura e senza mezzo ascolto.

Le élite politiche hanno preferito questo gioco di elevazione sulla testa delle persone, condannandole anche nel non aver avuto l’opportunità di avere un percorso di studi sufficiente.

Un comportamento disgustoso. E ovviamente recepito in silenzio dal pubblico, che poco alla volta si allontana. Un pubblico che non recuperi più. Perché semplicemente non ti crede, e non trova l’utilità nel voto. Perché il voto è un credo, e il credere si basa sulla fiducia. Se tradisci la mia fiducia, io non ti voto.

E il referendum, seppur tecnico e complesso, è stata la prova del fuoco.

Ci troviamo inevitabilmente in una deriva senza precedenti. I giornaloni possono prendere in giro chi vogliono, ma le redazioni farebbero bene a farsi un’altra domanda: perché la gente non vota?

Sempre colpa dei fascisti, populisti, no vax, putiniani e quanto altro ancora?

O mera incapacità di una politica generale che non guarda più ai cittadini, ma solo a propri interessi di chissà quale natura?

La pandemia e la guerra in Ucraina, con le loro narrazioni esageratissime, sono state usate chiaramente da una politica non coraggiosa e non sincera per mantenersi alto, e i media hanno appoggiato l’idea di un governo eroico, che in realtà sulle scelte non fatte c’è da scriverci un libro.

Il tempo, poi, fa il resto.

Viviamo un’epoca che Andy Warhol sarebbe felice di vivere, perché è l’apparenza dell’immagine a dominare, e non la sostanza dell’individuo.

Questa generazione politica (e il fenomeno è molto più europeo di quel che si pensi) ha preferito l’immagine alla sostanza. Anzi, al fermoimmagine. Allo screenshot.

Quello deve essere e basta. Chi contesta è solo da mettere in pubblica piazza in pubblica esecuzione e pubblica umiliazione. Un comportamento da bullo sostanzialmente.

E nel frattempo lasciamo perdere i referendum, e stiamo nella macchina della giustizia sempre più burocratica che costa e produce pochi effetti giusti.

Questo ormai la popolazione lo recepisce. Perché è dalla giustizia che passa il senso dell’uguaglianza sociale, cosa che ovviamente è stata calpestata negli anni. Con buona complicità di un sistema che secondo Costituzione prevedrebbe la separazione dei poteri, ma in realtà sappiamo che non è così al 100%.

E poi c’è la mia Crotone. Affluenza bassissima. Ma in un posto dove non sono stati nemmeno affissi i manifesti del referendum, cosa si poteva credere?

Diciamoci la verità. Il referendum è stata la vittoria a supercazzola di un certo potere e ne gioisce.

Peccato che non si rendano conto che un piede nella fossa ce lo stanno mettendo proprio loro. E lo scopriranno nel 2023, sempre che si vada a votare. Perché qui, mi dispiace dirlo, sono abbastanza scettico.

Anche io non credo a questa generazione politica.

Aurelien Facente, 13 giugno 2022