La Madonna, i fuochi e la guerra

Il decennio tra il 2020 e il 2030 sarà ricordato nella storia come il decennio dell’ipocrisia travestita da perbenismo. Non credo che ci possano essere altre conclusioni per quello che si sta vivendo. Inutile nascondersi dietro facciate immaginarie, usando tra l’altro la scusa di una guerra, tragica, che non è l’oggetto del contendere.

Il dibattito sarebbe stupido, direbbe qualcuno con superficialità.

Tutto si basa dalla notizia che a Crotone, per il ritorno di una festa sentita come quella della Madonna di Capo Colonna, non ci sarà il rito dei fuochi d’artificio che erano il simbolo dell’arrivo di Maria dal mare (o dalla terra trainata dai buoi, che avviene ogni sette anni).

La scusa ufficiale: la guerra in Ucraina perché a Crotone ci sono profughi che non vorrebbero ascoltare il suono dei fuochi.

Sui fuochi d’artificio si sono fatti dibattiti anche in nome della difesa degli animali, ma non è questo il succo dell’argomento.

C’è un discorso d’insieme. La domenica della Madonna di Capo Colonna è la sera dove tutta la città si sente tutt’una. Il lungomare strapieno è un’occasione per stare insieme. I fuochi d’artificio sono la scusa per rivedersi. Al di là del materialismo, è un momento dove nessuno è nemico e tutti aspettano con gioia l’arrivo della Madonna.

C’è il discorso economico pure. Certo, perché negli anni pandemici l’economia è stata parecchio frenata. La vita stessa è stata frenata.

La Madonna è la figura cristiana che celebra la nascita, la vita.

Festeggiarla nel migliore dei modi possibile avrebbe di sicuro guarito una comunità che in questi due anni si è tremendamente ferita. Quanto odio è passato per i social nei due anni pandemici, dove conterranei si accusavano l’uno contro l’altro, anche con epiteti violenti, solo perché dovevano fare la spesa? E chi ha pensato a tutte quelle attività che sono rimaste aperte al minimo, perché lo Stato Italiano s’era inventato con il CTS una serie di norme limitative che andavano anche contro la logica del virus stesso? E chi ha pensato a tutte quelle persone che sono state buttate dentro casa con un’estrema violenza ad aspettare nell’angoscia che quell’incubo in qualche modo finisse?

Ed ecco che quando la normalità di una festa sentita diventa il desiderio di una speranza cercata, arriva un qualcosa che ovviamente fa rizzare le antenne.

A Crotone non ci sarà il festeggiamento previsto con i fuochi. Meglio una festa più spirituale all’insegna del pensiero per quei poveri ucraini che combattono la guerra contro i russi, e per quei profughi che sono qui che potrebbero risentirne.

Niente di più falso e ipocrita.

Chi fugge dalla guerra, lo fa per vivere. Chi fugge dalla guerra ha piacere a vivere qualche sprazzo di normalità. Figuriamoci se poi si trova dentro una città che si riaccende tra i colori. Magari potrà provare un po’ di risentimento per via della lontananza. Ma chi fugge dalla guerra ha bisogno di speranza, non di essere la scusa che la vita non deve continuare, soprattutto per i padroni di casa che lo ospitano.

La pace è simboleggiata dal colore.

La morte dal silenzio.

E la festa della Madonna di Capo Colonna è una festa che celebra la vita, ovvero il miglior messaggio della Pace.

Puoi accettare il discorso spirituale, ma non la menzogna. Anche se sembra una scusa apparentemente plausibile.

Perché poi qualcuno si pone delle domande. E magari scopre che nei paesi vicini i festeggiamenti ci stanno eccome. I paesi limitrofi a Crotone sì e la città capoluogo no? Che contraddizione!

La verità dove sta?

Non parliamo di verità, ma di oggettività.

La Chiesa, si sa, non si è opposta alla politica italiana durante la fase pandemica. Ma anche la stessa ha dovuto fare i conti con i budget. Perché anche per loro non è circolato il denaro abituale. Meno messe, meno matrimoni, meno funerali, meno momenti di carità, meno momenti di donazione. Anche la Chiesa ha subìto gli effetti del governo italiano. Quindi si trova in ristrettezze economiche, e allora deve fare delle scelte obbligate. Tutto qui.

Un problema di budget annuale.

Non la guerra in Ucraina.

Una bugia di comodo usata pensando che questo non alimentasse un dibattito. Niente di più sbagliato.

Sì, perché la gente ha preso più consapevolezza dopo il trauma delle chiusure. Forse non arriverà ad ammettere a se stessa alcune cose, ma alla speranza non può rinunciare. La fede senza la speranza non è fede. E la speranza è rappresentata anche da simboli rumorosi come i fuochi d’artificio, ma oggi esistono anche le alternativi, come i droni o anche i palloncini da lanciare in aria. E poiché esistono alternative che non vengono considerate, allora ecco la verità logica: non c’è il budget e si devono fare delle scelte che chiameranno sacrifici.

Però dietro il sacrificio ci deve essere la speranza, altrimenti il sacrificio non vale la pena.

Vale per tutto.

Io sono d’accordo se per una volta si deve accettare la scelta di un’organizzazione. Sono d’accordo nel provarla a viverla più spiritualmente. Sono d’accordo a vedere ristretta ulteriormente una festa.

Ma di sicuro non sono d’accordo di vivere una festa annunciata con l’ipocrisia di una menzogna.

La Festa della Madonna di Capo Colonna è una festa di pace e di vita. E solo per questo sarebbe bene essere sinceri una buona per tutte. Perché la sincerità è la vera chiave della fede. Quella vera, s’intende.

Aurélien Facente, 27 aprile 2022

Lo sapete come pensa la vittima di un bullo?

Scenario. Crotone. Lungomare. Sabato sera. Ritrovo dei giovani in prevalenza. Periodo: in pausa pandemica, la gente tende ad uscire. I giovani, quelli che la politica decanta spesso e male, sono come bestie incattivite uscite dalla gabbia. Gli episodi di risse e litigi ormai sono una consuetudine, e il fenomeno negativo è affrontato male sotto tanti fronti, a cominciare da quello politico e giornalistico.

Vi spiego come funziona. Due soggetti litigano e vanno alle mani. Le urla e i gesti attirano e si forma la cosiddetta ruota. Andiamo a vedere che succede è la frase che si alterna con le urla dei protagonisti. La rissa non viene solo tra giovani. Capita anche agli adulti.

Sono decenni che questa è una triste tradizione degli usi e costumi crotonesi. I motivi possono essere i più svariati, ma la prima causa è sempre il cervello scollegato dalla realtà, seguita da un certo machismo che deve dimostrare la legge del più forte nella giungla.

Già, perché le bestie incattivite si sentono forti, e soprattutto autorizzate a farsi valere.

Capita anche al ragazzo gracile di uscire e di voler passare la sua serata. Già, perché non tutti hanno il cosiddetto fisico del lupo. C’è anche chi nasce più gattino, diciamo. Mi scuso se uso termini di animali, ma non voglio offendere. Voglio provare a descrivere il fenomeno per come è, senza mettere in ballo razzismo, fascismo e omofobia. Il bullismo, quando si manifesta, se ne sbatte di questi termini.

All’inizio avviene con una battuta. Il bullo, da lontano, fa la sua battuta infelice. A Crotone si usa spesso la parola “ricchione” quando si vede un ragazzo gracile. Se poi si veste in modo non tradizionale o magari ha un nome non comune, allora il bersaglio entra nella mente del bullo, che si autorizza da solo a colpire.

All’inizio lo fa per attirare l’attenzione. Ma la risposta del ragazzo è timida, e sarà sempre mal tollerata. Nelle serate che passano (susseguiti dai giorni) il bullo si rende conto che può continuare a colpire, e ogni volta che colpisce si sente più forte. Non esiste un perché a quello che fa. Per il bullo accanirsi sul prossimo fa parte del rito animale del predatore più forte. Ma mentre un predatore uccide per nutrirsi, il bullo lo fa per altre motivazioni.

Spesso coinvolge il suo branco di amici lupi. Sì, perché si coprono a vicenda e quando il malcapitato prova ad accusare, il gruppo si unisce definendo l’altro come un folle, e che loro magari avevano solo scherzato. All’inizio tutti giocano la carta del fraintendimento, ma non è così. Il loro scopo è sempre passare il tempo per portare avanti la loro supremazia. E sono talmente abili da scegliersi il bersaglio, perché sanno di agire in un contesto dove lo stesso bersaglio difficilmente parlerà e dove l’omertà si tramuta in facili moralismi da Facebook.

E poi capita il sabato sera. Qualche bottiglia di alcol in più, magari accomunata a qualche tipo di droga in alcuni casi. Ma il contesto rende più feroce il bullo. Perché lui si sente forte in mezzo al pubblico. E succede che la provocazione si tramuta in offesa sistematica. La vittima, spesso, si allontana. Sì, perché è meglio ignorare, usare l’indifferenza, piegare la testa. Ma l’indifferenza alimenta la ferocia del lupo, che si sente sempre più autorizzato a perseguitare la vittima. E allora lo segue con la macchina, si procura il numero di telefono per fargli qualche dispetto, si crea un profilo ad hoc su Facebook per disturbarlo.

All’inizio è difficile che le vittime parlino. Perché per loro significa ammettere di essere deboli e inadeguati, e la maggior parte delle volte temono di non essere credute. Perché magari un chiarimento lo hanno chiesto, ma si sono trovati una platea di persone cui non gliene fregava un cazzo di niente. Oppure gli tirano la scusa che è un bravo ragazzo che ha qualche problema e va compreso.

Se accade questo, per la vittima è finita. Perché l’immagine del bravo ragazzo è la perfetta maschera del bullo. E allora si rassegna. E tenderà a subire, senza avere la protezione adeguata. Perché il suo silenzio sarà il prezzo da pagare.

Così gli insulti e gli abusi aumentano. E la vittima continua a soffrire in silenzio. Per un tempo senza tempo. Deve provare a mantenere la pazienza, perché è quello che gli dicono gli altri, tra cui forse anche il genitore. Ma il tempo della sofferenza si allunga e schiaccia.

Quindi arriva il sabato sera. E scatta qualcosa. Magari la vittima si è stancata e risponde al bullo in un modo che non possa essere uno scambio di battute. Inizia l’aggressione fisica e si forma la ruota. C’è anche chi filma. Il circo delle belve si esibisce sul lungomare. Non ci sono tifosi, ma spettatori di uno spettacolo penoso.

Alla vittima non gli farà male il sangue che gli esce dal naso, ma dello sguardo degli altri. Quello sguardo che lo perseguiterà più del pugno. Perché sa che con quel gesto il bullo, il più delle volte, smette di tormentare e andrà per la sua strada. Ma lo sguardo degli altri resta. Perché puoi ammettere di essere più debole, ma non potrai mai farlo se l’umiliazione assomiglia ad un’esecuzione in pubblica piazza.

Il danno è fatto.

Il giorno dopo è sempre il peggiore. Perché dalle botte ti puoi rimettere, ma delle ferite dell’anima no. Non subito almeno. Ci vuole tempo per quelle. E il non sapere quando finirà ti farà ancora più male. L’unica consolazione è che adesso si sa che c’è un bullo che ti ha picchiato e che ha fatto la sua figura. Ma non risponderà alla domanda che ti affligge: perché tu?

Per la tua diversità? Per la tua fragilità? Per la tua unicità? Per la tua debolezza? Perché tu? Sono solo alcune tra le mille domande che ti tortureranno l’anima, mentre proverai a mettere un po’ di ordine in un conflitto emozionale strettamente personale.

Ma il giorno dopo è sempre il peggiore. Perché finisci sulla bolla degli altri, sulle tastiere degli smartphone, diventi il titolo di qualche giornale. La speculazione del pettegolezzo arriverà a farsi passare per solidarietà, e per te sarà il ritratto dell’ipocrisia. Perché tu non crederai a una comunità che è rimasta guardarti, e magari l’aiuto è venuto proprio da chi non ti aspettavi. Sai benissimo che c’è qualcuno di buono, ma sai anche che c’è tanta indifferenza di comodo.

Adesso ti trovi all’interno di un labirinto emozionale, e per trovare l’uscita dovrai fare piccoli passi alla volta. Diventerai più forte, ma sarai anche molto diffidente. Lo so perché ci sono passato anche io.

Ho letto anche io tante parole su Facebook e tanti articoli. Molti a usare il termine omofobia. No, non si chiama omofobia. Si chiama cattiveria. Perché quando un individuo ti perseguita lo fa per cattiveria. Un bullo non conosce volutamente determinati termini perché vuole il passatempo e basta. Lui avrà al sua condanna, ma non sarà facile strappargli il perché delle sue azioni cattive. Perché il bullo lo fa e basta. Puoi provare a parlargli, ma il bullo non ragiona perché non vuole passare per un debole. Potete incolpargli la famiglia per come lo ha cresciuto, ma in realtà il bullo indossa una maschera di crudeltà, e per sfilargliela bisogna che il tempo passi o che almeno provi almeno un po’ di quello che la sua vittima ha provato. E allora capirà, e forse si redimerà.

Crotone, mia amata e odiata Crotone. Il paradiso è soltanto la maschera che i tuoi abitanti indossano per non guardare il lato oscuro della società. Voi, cari concittadini, non avete idea di quante storie come questa siano presenti da decenni. Di sicuro non si affrontano con qualche post su Facebook.

Aurélien Facente, 30 giugno 2021

L’ipocrisia codarda dell’italiano ai tempi del Coronavirus

C’è una guerra che io personalmente non sopporto. Una litania che mi trovo ad assistere da almeno 30 anni, almeno quando ho cominciato a distinguere il bene dal male e quando ho cominciato a studiare i gravi fatti della Seconda Guerra Mondiale, e di conseguenza il male che i regimi dell’epoca hanno fatto a tante, troppe persone.

   Giusto non dimenticare, ma per tanti italiani che conosco di quella lezione dura non hanno capito nulla. Lo vedo su Facebook principalmente, ma mi ci scontro anche dal vivo.

   L’eterna guerra degli antifascisti contro i fascisti. Tutto quello che gli antifascisti (esercito formato principalmente da radical chic moralisti in primis) è una litania di odio verso quello che la pensa diversamente da loro. Un virus difficile da scacciare e con la quale non si riesce a ragionare il più delle volte. La loro fissa è quella. Tutto quello che non è partigiano è fascista e basta.

   Non è che dalle altre parti la questione è meglio, sia chiaro. Il succo è lo stesso, solo che usano l’epiteto “comunisti”.

   La cosa che hanno in comune le due tifoserie è il reciproco odio verso l’altro, e se vuoi startene per i fatti tuoi ecco che ti bollano come uno che non si vuole schierare, come se lo schierarsi per forza sia qualcosa di eccezionale.

   Quest’odio negli anni si è accresciuto sempre di più, facendomi capire che è sempre meglio restarne fuori. Li adoro, in entrambi i casi, quando predicano la tolleranza, eppure sono pronti a scannarsi.

   Con il loro modo di fare hanno infettato il web, i notiziari, i talk show e tutto quello che c’era da infettare. Quando ci si sono messi pure i 5stelle, definiti fascisti da uno schieramento e definiti ex comunisti dall’altro. Insomma l’apoteosi dell’ipocrisia assoluta. Tutto questa trasmissione di odio è diventata il cancro del pensiero libero.

   A volte, sembra di assistere ad un eterno litigio tra mamma e papà, e poi osano chiedere ad un figlio unico se è meglio la mamma o il papà. Il discorso più ipocrita che si possa fare.

   Per loro non esiste il pensiero indipendente, quello che si limita a ragionare e ad ovviare il pratico per risolvere i problemi. No, bisogna per forza essere di parte.

   Quando uno vive questa storiella per parecchi anni poi se ne allontana. Perché francamente rompe i cosiddetti, anche perché, nella maggior parte dei casi, uno vuole vivere tranquillo. Poi c’è anche chi ama il confronto. E ci sono stupendi confronti, ma lo diventano quando sono i pensieri a incontrarsi e non le bandiere.

   Fatta suddetta premessa, è bello notare il dibattito delle voci politiche su Facebook. Sempre le solite storielle. Ok. Rispettiamo le convinzioni, ma facciamo uscir fuori anche le ipocrisie.

   Primo fatto: un omicidio brutale a Minneapolis, USA, a danni di un uomo di colore da parte di alcuni poliziotti. Rivolta feroce da parte dei cittadini. Bruciano il commissariato. Nota bene: negli Stati Uniti siamo nel pieno della pandemia Coronavirus.

   Il pensiero medio italiano? Hanno fatto bene. Giustizia. Tutti insieme assembrati a condannare gli assassini.

   Pensiero personale, tanto per capirci: la brutalità, quando porta alla morte, va sempre condannata. A Minneapolis è accaduto qualcosa di estremamente grave che ha portato alla gente comune di protestare con ferocia. Molta gente si è messa insieme per realizzare una rivolta, e l’hanno fatto, in barba alla pandemia. Quindi, consegue che quando la gente si muove tutta insieme diventa una forza incontrollabile. Ovviamente questa brutta storia avrà una fine.

 

  Secondo fatto: Milano, Piazza Duomo, 30 maggio 2020. Un’enorme folla manifesta. La manifestazione è organizzata dai Gilet Arancioni, capeggiata dal generale in congedo Pappalardo. Migliaia di persone. In Lombardia siamo nel pieno epicentro della pandemia Coronavirus in territorio italiano. I manifestanti non hanno rispettato le distanze di sicurezza.

   Il pensiero medio italiano? Incoscienti, coglioni, fascisti, e quant’altro ancora. Tutti bravi a condannare una manifestazione che non ha bruciato un commissariato.

   Pensiero personale: al di là dei Gilet Arancioni, la piazza era formata anche da gente che aveva voglia di tornare a vivere in qualche modo. Da condannare? Tranne l’aspetto pittoresco, il tutto è da comprendere perché in mezzo a tutta quella gente ci sono tante persone che molto probabilmente non hanno goduto di un aiuto statale oppure si troveranno a fare i conti con un probabile fallimento o con un licenziamento. Semmai, quelli che puntano il dito dovrebbero chiedersi come ha fatto un personaggio pittoresco come il generale ad agire indisturbato e a organizzare una serie di manifestazioni in tutta Italia, e il bello è che lo stesso generale lo annunciava da giorni in diretta Facebook. Chi è che ha sottovalutato la questione?

   Obiettivamente, anche qui un’enorme folla che andava lasciata manifestare. Perché la gente non la fermi.

   Ora, ovviamente, i due eventi sono diversi per natura e motivazioni. Hanno solo in comune la massiccia partecipazione di persone che desiderano esprimere un malessere.

   Bene, in questi due eventi l’ipocrisia si è manifestata più che bene.

   Alla fine, in Italia, ho capito che forse Camillo Benso di Cavour ha fatto un errore di valutazione nel voler per forza unire l’Italia. Ma non credo che il Cavour avesse prospettato tutta quest’ipocrisia del tutto italiana.

Aurélien Facente, maggio 2020

Coronavirus KR: Volete essere umani o preferite essere sciacalli?

Nell’ultima settimana a Crotone ne sono successe di cose, di cui alcune molto brutte, che in una situazione di emergenza nazionale purtroppo fanno parte del bollettino giornaliero.

   Non voglio parlare di morti, di guariti, di contagiati, ma di come si sta comportando l’essere umano comune dinanzi a tutto questo.

   Se da una parte c’è un continuo bombardamento di notizie (tra l’altro con titoli a effetto che contribuiscono al panico delle persone), dall’altra non abbiamo un’organizzazione statale tale da garantire regole uguali e chiare (tanto che ogni giorno cambiano regolamenti) e soprattutto non garantisce nemmeno una comunicazione chiara, netta, sincera. E diciamoci la verità: va bene il bollettino di guerra, ma una parola dolce per chi sta dimostrando di rispettare le regole? Niente? Non esiste il rincuorarsi un po’?

   Certo, le priorità sarebbero altre.

   La prima priorità è combattere il Coronavirus. Giusto. Tutti in prima linea a cantare per i medici, gli infermieri e le tante forze dell’ordine che si sacrificano.

   Ma c’è un ma.

   Perché semmai lo avete dimenticato, è giusto ricordarlo.

   Ci sono le persone di tutti i giorni. Operatori di supermercato, fruttivendoli, macellai, pescivendoli, operai, camionisti, autisti, avvocati, e l’elenco continua per un bel po’. Ci sono anche i disoccupati e i senzatetto. Si chiama popolo, e ognuno ha le sue esigenze.

   Ma la critica qui non va al governo, che sta giocando una terribile partita a scacchi con il tempo e l’organizzazione (il processo si fa alla fine di questa brutta pagina storica, mai durante), ma con una piccola classifica di episodi che non vanno per niente bene.

   Cominciamo subito dal primo episodio: rimbalza la notizia di 300 operatori sanitari in malattia? Pane per i sciacalli dell’informazione, che subito ci costruisce la storia del secolo.

   Tutti poi a condannare, senza aspettare che la storia, seppur anomale, ha bisogno di chiarimenti. Al momento in cui si scrive è intervenuta la Procura, e le carte sono state acquisite dalla Guardia di Finanza. Lo Stato quindi funziona perché verifica, ma intanto quanto veleno addosso si è buttato e si butta in questa situazione?

   Ci scandalizziamo. Ci inorridiamo. Ma non sappiamo più aspettare, e come sciacalli ci nutriamo del cadavere che non c’è. Leggiamo la letterina che qualche operatore si fa pubblicare da qualche giornale, ma noi non vogliamo credere al fatto che dietro un camice bianco c’è un essere umano come noi.

   Non esiste l’eroe invincibile e imbattibile. Oddio, ci sarebbe. Ma si tratterebbe di una rarità. Il resto sono esseri umani che, per quanto condannati per ruolo professionali, saranno costretti a scendere in prima linea se servirà. E se succederà, vuol dire che nel territorio crotonese allora il controllo sul contagio è perso. E continueremo ad avvelenarci.

   Capita una barchetta di pochi migranti che attracca sulla passerella di Crotone. E vai con le foto e le parole di fuoco. Altro veleno. Dimentichiamo che sono esseri umani come noi, respirano come noi. Magari non avrebbero dovuto partire, ma intanto sono partiti. E noi sappiamo da dove scappano? Magari scappano da alcune raffiche di mitra dal loro paese di origine. Però non lo vogliamo accettare. E diventiamo sciacalli.

   Poi ci sono le amicizie che si spezzano inevitabilmente. Oggi si spezzano via social, perché nel proprio profilo tutti devono apparire forti e invincibili. Quando sarebbe meglio ammettere la propria fragilità davanti a qualcosa che non possiamo vedere, né toccare. Ripetiamo tutti bravi nel dire che dobbiamo stare a casa.

   Ma nessuno ha la forza di fare i conti con se stesso.

   Si condanna la persona che va a piedi a fare la spesa, o solo perché fa uscire il cane, e si allontana il giusto per non sporcare il marciapiede. E allora qualcuno ti scrive anche che faresti meglio a uccidere il cane.

   E devi sopportarlo. Anzi, devi proprio fregartene.

   Tu devi stare a casa e devi stare zitto.

   Noi possiamo fare ironia.

   Tu no.

   Anzi, devi metterti a piangere come noi. Devi sentirti prigioniero come noi. Devi sentirti debole come noi, devi essere sciacallo come noi.

   La mia risposta è no.

   Preferisco essere umano. Continuare ad apparire in video ogni giorno e più volte al giorno. So che non piace, ma se la mia presenza rincuora qualcuno e lo spinge a fare meglio nel proprio piccolo allora so che si tratta di un pezzo di umanità che si rimette in funzione. Perché io so che ci sono persone che stanno peggio di me e non sanno a chi rivolgersi anche solo per un bicchiere di acqua. Voi non li vedere, non li sentite, perché in fondo chi è debole si vergogna a volte di chiedere aiuto. Perché sa che in questo mondo di sciacalli tutti punterebbero il dito contro il più debole, anche solo per vederlo piangere. Già, perché condannare il debole vi rende più puri e più forti. All’apparenza, visto che siete chiusi in casa a puntare il dito.

   E così vi comportate da sciacalli.

   Quando in verità dovreste ammettere la vostra umanità.

   La rabbia può servire, ma l’odio no.

   Ognuno di noi legge la paura a modo suo.

   Chi crede di essere forte, non ammetterà mai di essere fragile. Anzi, la fragilità fa orrore. E quando ti fa orrore, la verità è che tu stai vedendo in faccia la fragilità, e ti si piazza davanti il prezzo che serve perché tal fragilità diventi un punto di forza.

   Non c’è nulla di male nell’ammettere di essere fragili.

   Ma lo sciacallo non l’ammetterà mai, e perciò trasmette il suo veleno, contagiando anche gli altri. Altro che Coronavirus.

   Mi dispiace, cari sciacalli.

   Preferisco essere umano. Preferisco provare a capire. Preferisco riconoscere che nell’altro, anche se ha una divisa, ci sia dell’umanità, e che come me può avere attimi di fragilità. Gli parlo da umano e basta se serve a rincuorarlo.

   Non punterò mai il dito addosso ad un altro come me solo perché si rivela nella sua fragilità. Gli dirò sempre: “Reagisci.”

   Perché c’è un momento in cui bisogna reagire alla paura.

   Perché quella stessa paura, se non l’affronti, ti farà diventare uno sciacallo.

   Ecco perché ogni giorno la mia miglior vendetta è quella di vivere bene. Magari con poco, ma vivo bene ugualmente.

Aurélien Facente, marzo 2020