Ritratto di Gigino ovvero l’impotenza al potere giustificata dalla menzogna

Giggino Di Maio. Un uomo comune che è riuscito a essere scaltro nella sua roccaforte politica. Questo va detto. Ma non è stato sincero. Forse all’inizio, ma dal primo incarico di ministro qualcosa è cambiato.

Giggino Di Maio è l’essenza del potere che corrompe il brav’uomo. Tutti quelli che si autodefiniscono rivoluzionari prima o poi cadono nella corruzione del potere. Perché per cambiare le cose ci vuole volontà, intelligenza, anche un certo credo religioso. E soprattutto devi avere contenuti. Perché se non hai quelli, sei demagogo. E i demagoghi al potere non si prendono nessuna responsabilità, se non la volontà ferrea di non cambiare il beneficio del proprio portafogli.

Giggino si è rivelato, cadendo nella trappola costruita dallo stesso Movimento che lo ha reso politico prima e politicante dopo. Non offenderti, Giggino. Per me non sei un buon ministro degli esteri. Non hai la cultura e soprattutto non hai la testa adatta per farlo.

Giggino abbandona il Movimento. Già, perché ormai il Movimento affonda come il Titanic e ovviamente prende la migliore scialuppa per salvaguarsi le chiappe, ma non l’onore. Quella è un’altra cosa. Giggino ha l’onore corrotto dal potere, e ha preferito salvaguardarsi le chiappe.

Un anno di tempo, caro Giggino. Poi anche tu dovrai andare a raccattare voti per ritornare al dolce scranno del Parlamento. Sempre che la tua generazione politica non decida di mandare a puttane la Costituzione Italiana, e a quel punto si completa la verità della corruzione in nome della bugia del potere.

Già, caro Giggino. Lo so di essere duro con queste parole. Ma è una lettera aperta di chi ha osservato la crescita del Movimento. Pensa, l’ho pure votato perché credevo che ci fosse un reale bisogno di scuotere un bel po’ di politica italiana. Era necessario scuoterla perché il periodo lo richiedeva.

E alla fine?

A pochi mesi del compiere il fatto rivoluzionario, ovvero mettersi da parte dopo il secondo mandato, il potere che corrompe ti ha posseduto e con un discorso imbarazzante hai rivelato la tua reale natura.

I governi (sei al terzo) di cui hai fatto parte hanno gravi responsabilità storiche, e non mi va di elencarle tutte. Tanto sarà il popolo a giudicarti quando ci saranno le elezioni, ma di sicuro compi la più stupida delle mosse nel momento in cui la stessa politica dovrebbe preoccuparsi di ricucire il rapporto con la gente, perché se governi un Paese dove la metà della gente non ti considera nemmeno allora l’autorevolezza della politica perde. E si continua a raccontare la menzogna. Cosa che ovviamente hai ben fatto in tutti questi anni.

Certo, c’erano le regole della politica. Ma di quale politica, Giggino? La tua? Quella che offre la rivoluzione e poi la fa diventare l’ennesima illusione. Hai scelto tu, caro Giggino, di farti sedurre dal potere. Non è stata la gente a chiedertelo.

Peppino Conte se ne farà una ragione. Ma lui almeno in questi mesi un giro per l’Italia se lo sta facendo, cercando di promuovere una rivoluzione che è diventata un’illusione.

Ma era inevitabile che finisse così. Perché è il destino dei demagoghi al potere. Sguazzano come sanguisughe sulle spalle dei cittadini e amano restarci. Ma quando si tratta di cambiare, mostrano tutta la debolezza della loro corruzione.

Non parlo di corruzione in danaro, caro Giggino. Ma della corruzione che è dentro la tua anima adesso. Hai fatto una scelta rischiosa e azzardata. Ti sei dato troppa importanza. E quell’uno che valeva uno è diventato io esisto sopra di voi.

Che illusione! Eppure quasi ci credevo in un meridionale che potesse cambiare qualcosina. Sottolineo il quasi. Perché i “rivoluzionari” li conosco in Italia. Pronti a raccontare di tutto e di più, salvo poi gettare la maschera quando il gioco gli torna contro. Avrai anche ridotto i parlamentari, ma sei diventato il più obsoleto dei parlamentari. Alla fine ti sei rivelato per quello che sei. Libero di farlo, ma a discapito della tua credibilità elettorale.

Capisco l’ambizione e forse anche la passione per la politica. Ma la tua non è più politica. Si chiama opportunismo. E si tratta della peggiore malattia degli ultimi anni in politica. Quello stesso opportunismo che tu denunciasti e condannasti. Alla fine, hai parlato talmente male di loro che sei come loro.

Avevi un’altra chance, caro Giggino. Una chance azzardata, ma che ti avrebbe reso protagonista di una storia ancora migliore. Le tue dimissioni da ministro e da parlamentare. Un atto forte che avrebbe spaccato il Movimento comunque, ma che ti avrebbe dato quella credibilità che cercano i cittadini. Una scommessa azzardata dunque. Ma coraggiosa e non vile.

Ti ho seguito, Giggino, in tutto questo tempo pensando che un meridionale mi avrebbe reso orgoglioso di essere tale. Invece hai gettato la maschera mostrando quella che è una triste verità: quella di essere un bluff.

Buon proseguimento, Giggino. Prima o dopo anche tu farai i conti con la realtà, quella vera però. Quella di cui anche tu un tempo facevi parte. E non credo che sarà tenera con te. Il destino dei falsi rivoluzionari non è mai tenero. Staremo a vedere, ma di sicuro il tuo gesto contribuirà ancora di più al grande astensionismo che macchierà di disonore la storia della Repubblica Italiana.

Aurélien Facente, 22 giugno 2022

Corrado Augias e i Misteri della Calabria (Lettera aperta)

Dottor Augias, mi permetto di presentarmi. Mi chiamo Aurélien Facente. Abito a Crotone, Calabria. Mi definisco ex giornalista perché non credo che il giornalismo oggi possa definirsi giornalismo. Si tratta di qualcos’altro che umilia il senso dell’essere giornalista, e ci tengo a farLe sapere che questa resta una mia opinione personale perché ritengo che non cambierà nulla.

   Dottor Augias, Le aggiungo che sono un acquirente dei Suoi Libri, tanto che ad ogni uscita ne regalo un esemplare a mia madre, che la segue dai tempi di Babele, la trasmissione che difendeva e divulgava il libro. Altri tempi, vero?

   Ho avuto modo di ascoltare la sua intervista pepata, e di leggerne le parole. Tra il dire e lo scritto ci sono differenze sostanziali, ma il succo è quello.

   Lei definisce la Calabria una terra persa. Lei ha sentenziato sparando su una terra che si trova nel baratro della fragilità da decenni, eppure lei ha speso le sue parole aggiungendo una bella sceneggiatura cinematografica.

   E mi permetto di usare tale tono, dottor Augias, perché in Calabria ho scelto di viverci, oltre che obbligato. E se permette, credo di conoscerla meglio proprio perché ci vivo.

   La Calabria è una terra dai molteplici aspetti. Lei, dall’alto del suo ruolo, la vede come una terra povera, dove tra l’altro la criminalità è all’ordine del giorno. Ci condanna perché la Calabria ha preferito eleggere, attraverso un voto democratico e certificato, una persona che poi è deceduta a dispetto di un imprenditore di grosso valore, che però poi si è dimesso dall’essere capo di un’opposizione che poteva essere alquanto costruttiva.

  

Partiamo da questa storia, dottor Augias.

   Il centrodestra vinse le elezioni regionali, ma con il 56% di astensionimo.

   Non mi sembra che con questi numeri il centrosinistra capitanato dal suo imprenditore abbia fatto miracoli.

   Anzi, dopo qualche mese si è addirittura dimesso. E non sembra che qualcuno del centrosinistra si sia opposto in maniera dura.

   Non parlo di altri contendenti, perché non sono entrati nel Consiglio Regionale.

   Dottor Augias, parliamo di quel 56% di astensionismo. Siamo una terra persa perché abbiamo rinunciato a votare? Beh, sì. Ma sa perché il calabrese non vota? Per superficialità? Io direi che per decenni sacche di politica nazionale hanno ingannato le speranze dei calabresi, sacche di sinistra e sacche di destra.

   La Calabria ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile, perciò produce emigranti, che poi vanno a sistemarsi da Roma in su se decidono di stare in Italia. Devono trovare un lavoro come si suol dire, e non sempre, anzi spesso, si tratta di un lavoro stabile. Certo, c’è gente che si distingue anche bene a livello professionale. Abbiamo medici, ingegneri, avvocati e anche artisti che nel mondo fanno la differenza.

   Ma chi è rimasto qui non è solo un criminale. Semmai è nato in un sistema ipocritamente alimentato anche dalla sua amata politica dei diritti.

   Vede, dottor Augias, ho 40 anni superati. Diciamo che, tolta la fase liceale della politica dove si è più sognatori, ho saggiato con mano quello che la politica degli ultimi 25 anni è riuscita a fare ai danni della Calabria, in tutti i settori tra l’altro.

   Quando chiedevamo più medicina di qualità, ci hanno lasciato con il minimo indispensabile (secondo loro). Quando chiedevamo più studio, qui sono stati capaci di chiudere plessi scolastici e universitari. Quando chiedevamo più lavoro, ci hanno mandato la precarizzazione del lavoro con annessi sciacalli che si sono mangiati i contributi dello Stato. Uno Stato che non ha saputo essere Stato.

   E quando le sacche di povertà aumentano, caro dottor Augias, anche le sacche criminali aumentano.

   Ma in Calabria ci sono anche le brave persone, quelle vorrebbero farsi il mazzo fino a prendersi frustate sulla schiena solo per dimostrare di essere degni di essere calabresi, e che qui delle buone cose si potrebbero fare eccome.

   Queste persone meriterebbero quantomeno il Rispetto con la R maiuscola. Perché ci sono persone che hanno avviato il loro Lavoro cercando di essere il più Utile possibile alla società. Cercano di dare un segnale di positività e un esempio alle generazioni che potrebbero e dovrebbero migliorare la loro Terra.

   La Calabria è una terra strana, dottor Augias. Ricca di cultura da vendere, ma strapiena di gente che non è stata fatta crescere per come dovrebbe essere. Certo, ci considerate “persi”. Ma questo lo hanno voluto quelli di Roma, o meglio quelli che stanno a Roma a occupare poltrone. Non lo hanno mica voluto i calabresi.

   Anzi, i calabresi sono doppiamente vittime. Diciamo tre volte vittime.

   Vittime della ‘ndrangheta, perché la criminalità si è sostituita dove lo Stato non c’era o non voleva farsi vedere.

   Vittime dello Stato, perché degni rappresentanti nazionali venivano qui solo per i voti e basta. Ci avevano promesso che alcune industrie avrebbero continuato la loro attività, ma adesso ci sono gli scheletri. Certo, lo Stato non si può occupare di tutto, ma qui lo Stato non pensa, caro dottor Augias. E noto che il problema non è solo calabrese e basta.

   Poi siamo Vittime di Noi stessi. Vero. La nostra diffidenza ci ha portato a non votare più come prima. Non le elenco i perché solo per il fatto che ci servirebbe un libro a parte. Un libro che potrebbe scrivere lei, dottor Augias. Ma che non farà, perché una Persona del Suo Calibro Culturale non potrebbe scendere in Calabria per qualche periodo solo per provare a raccontare quello che c’è di buono dal quale ripartire.

   Lei ha tutta la cultura per esprimere un giudizio sulla Calabria, caro dottor Augias. Grazie di averci condannato. Ma non è della condanna di cui abbiamo bisogno.

   Abbiamo bisogno di qualcosa di più positivo.

   Abbiamo esempi positivi, sa?

   Abbiamo il Procuratore Gratteri, giusto per citare il più discusso. Ma il suo è un lavoro lungo e solitario. Abbiamo qualche scrittore, qualche musicista, qualche imprenditore, anche un premio Oscar. Abbiamo borghi bellissimi e templi da raccontare. Abbiamo ristoratori che danno lezioni a tutto il mondo nella cucina che producono. Abbiamo gente che riesce a dare il massimo pur avendo pochissimo.

   Però siamo una Terra Persa.

   Le faccio una domanda, dottor Augias, perché lei l’ha presa dal punto di vista politico. Si metta nei panni di un calabrese qualsiasi. Magari un tipo che possiede una piccola pompa di benzina sulla Statale 106. Si presentano alla sua pompa decine di candidati, di destra e di sinistra. Tutti a fare delle promesse che potrebbero essere mantenute. Uno sviluppo migliore della Statale 106, un aeroporto da realizzare non lontano dalla pompa di benzina, magari anche un porto, o anche riprendere la stazione dei treni nel paesino dove vive il benzinaio. Magari gli promettono anche un ospedale che per adesso è piccolo, ma che crescerà. Magari promettono anche investimenti mirati per avviare un’economia, così magari i figli possono pensare di potersi fare una vita nel paesino.

   Eppure gli anni passano, i candidati cambiano, e le promesse svaniscono nel nulla.

   E secondo lei, quel benzinaio ormai anziano, perché dovrebbe credere all’ennesimo candidato che si presenterà alla pompa di benzina’

   Sa, dottor Augias, la Sua Profonda Cultura è eccellente, ma la vita è anche fatta di queste storie. Da queste persone che smettono di illudersi e nel credere nei fantasmi.

   Io rispetto le sue Idee Politiche, caro dottor Augias. Ma qui queste idee sono state delle maschere usate per fare propaganda e basta il più delle volte.

   Ecco perché il suo imprenditore ha perso le elezioni. Perché non si vota una persona perché ha la sua storia imprenditoriale. Si vota una persona perché ama la sua terra. Quell’imprenditore ama la sua terra, ma anche la donna di destra amava la sua terra. Questa donna ha avuto pochi mesi per esprimersi per poi andare tra le braccia del silenzio. Nonostante avesse un male, si era messa a disposizione e voleva prendersi cura di questa terra. Certo, aveva le sue idee. Ma erano idee sulle quali si poteva quantomeno discuterne. E anche questa signora mi ha dato l’impressione che fosse sola, così come lo sono quelli che amano la loro Terra prima di tutto. Mi dispiace che lei, dottor Augias, veda il fantasma del fascismo nelle persone che abbraccino un’idea diversa. E se non è fascismo, diventa ‘ndrangheta, e se non è ‘ndrangheta diventa qualcos’altro di negativo.

   Bene, dottor Augias, io non mi ritengo offeso se in onda nazionale si parla della Calabria, anche nei suoi aspetti negativi. La Calabria è una parte fondamentale dell’Italia che produce, viste le migliaia di persone che sono state le mani sporche dell’Italia industriale e gloriosa che si è fatta valere nell’eccellenza.

   Ma è facile sentenziare da dietro uno schermo televisivo, dottor Augias.

   Mi permetto di rivolgermi così a Lei, dottor Augias, perché c’è stato un tempo che io ho odiato la mia Terra. E quell’odio si comportava come un fantasma. Mi annebbiava la vista. E ho perso tempo per lavorare a contrastare quest’odio.

   Critico la mia terra ancora oggi. Ma non la critico, condannando e basta. Cerco di farlo raccontando e proponendo una testimonianza non ipocrita, perché il lavoro da fare e tanto. Come il sottoscritto, c’è una voglia anche da parte di altri di raccontare per poi provare a ripartire e trovare nuove direzioni. I calabresi hanno bisogno che qualcuno li racconti, ma che non sia uno che li racconti da dietro uno schermo televisivo.

   Perciò la sfido in senso letterario, dottor Augias.

   Si prenda un periodo per scendere in Calabria. La venga a visitare. La racconti per quello che è. La osservi da vicino. Cerchi di sentirne gli odori. E ovviamente si faccia accompagnare dai colori della Terra di Calabria. Venga a respirarne l’aria. Si faccia un giro, magari incontrando tante persone. Venga a comprendere il male e venga a scoprirne il bene. Nessuno di noi è immune da difetti, ma qui c’è voglia di migliorare. Poi magari ne scrive un libro, e noi lo compreremo. E lo leggeremo e lo racconteremo.

   Ma ci faccia un favore.

   Non sentenzi sulla Calabria dentro una trasmissione televisiva. Non lo faccia.

   Perché la stragrande maggioranza di chi va in televisione non ha mai avuto il coraggio di raccontare la vera Calabria.

   Ovviamente le invio i miei apprezzamenti, aspettando con ansia il Suo Nuovo Libro in libreria.

Aurélien Facente, 24 gennaio 2021

Una lettera inaspettata da uno che faceva il bullo…

Nel 2016, via mail, mi ègiunse questa lunga lettera. Ve la propongo perché l’autore ci teneva tantissimo a scrivermi, ma soprattutto a divulgare il suo pensiero. Dopo una lunga telefonata che lui ebbe con me per convincermi, mi convinsi a pubblicarla e a trasmetterla. Alla fine di questa lettera, troverete la mia risposta. E oggi la ripubblico volentieri.

Aurélien Facente è nato a Crotone, e per via del suo nome francese e del suo aspetto non propriamente fico (o figo) è stato vittima di bullismo. Con l’avvento dei social network, Aurélien ha dimostrato di essere una persona che esiste e che nel tempo si è costruito qualche capacità, come quella fotografica, che gli hanno permesso di affrontare al meglio le avversità: mentre gli altri parlavano male di lui, Aurélien in silenzio affinava e studiava. Poi un giorno è uscito fuori, e la gente ha cominciato a scoprire che è un buon fotografo, che sa scrivere, che prova a fare video, ma che soprattutto non è l’imbecille che molti suoi compaesani crotonesi sostenevano. Ho visto i suoi tanti contenuti, e nella Crotone che lui fotografa vedi che vuole trasmettere bellezza, ma soprattutto testimoniare le capacità di persone valide che vogliono fare la differenza in questo modo. Certo, Aurélien ha i suoi difetti, ma non li nega. Magari ti puoi scontrare con lui, lo puoi prendere come uno che non ascolta, come un testardo. Ma è la stessa persona che pretende il meglio dagli altri, che pretende di fotografare il meglio. Ho visto tante sue foto, tanti suoi attimi, tanta vita, e tanta cultura. Non è facile conoscerlo perché è tante cose. Aurélien è indubbiamente figlio delle sue sofferenze, ma continua a camminare cercando di dare il meglio di sé, anche sbagliando a volte ma sempre pronto per darti quella foto giusta che ti permette di essere te stesso. Si raccontano tante cose su di lui a Crotone, e molte sono sbagliate.  Anche io sbagliavo a vederlo con la bocca degli altri. Un pomeriggio, andai a vedere otto foto esposte in un bar. Una serie di paesaggi con gabbiani e il mare della mia Crotone. Io amo Crotone, ma sono fuggito da questa realtà 20 anni fa. Anche io ero tra quelli che prendeva in giro Aurélien. In cuor mio, credevo che lui se ne fosse andato e che sarebbe stato uno di quelli che non sarebbe mai tornato. Eppure lui è rimasto, e con quelle foto invidiavo come un’anima tormentata e maltrattata riuscisse a farci vedere la bellezza. Andai a casa, e sul computer di mia moglie mi misi a cercare Aurélien, e a vedere le sue tante fotografie e a leggere anche qualcosa di suo. Lo contattai con il Facebook di mia moglie, e lui fu molto cortese, rispondendo alle mie domande e provocandomi anche. Mi colpì un suo pensiero: “La gente pensa che mi dia delle arie, che io sia un vanitoso. La mia arte parla abbastanza per me, e si sa che non mi limito solo alla forma. Cerco sempre di andare oltre, perché a me manca un pezzo di vita che altri hanno e che io non avrò mai. Ho il terribile difetto di essere sincero, di essere a volte duro con gli altri perché io voglio il contenuto e non la superficie. Sì, amico mio, ho sofferto tantissimo la mia condizione, ed è lì dentro che è nato un qualcosa che mi ha permesso di essere creativo. Se non ci fosse stato il social network, forse non sarei uscito dalla mia condizione. Io ho semplicemente colto l’occasione di proporre quelli che sono i miei contenuti e basta, e so bene che sono visti, e tanto pure. Non m’importa se sarò tacciato di essere chissà che cosa. Nessuno mi conosce intimamente parlando. Loro pensavano e credevano che io fossi un volgare passatempo, e di questo ne soffrii tanto. Ma ero giovane all’epoca, e soffrivo perché chiedevo egoisticamente solo un po’ di rispetto, di comprensione, di amore. Ma in me è scattato qualcosa. Ho odiato Crotone, ma non potevo odiare il luogo. Sono tornato, e un giorno ho ripreso la macchina fotografica. Ho iniziato e basta. E continuerò a fare quello che so fare. Qualcuno non mi sopporta? Beh, normale perché non si può essere simpatici a tutti.”

   Un lungo messaggio che mi ha impressionato per la tranquillità espressa nelle parole. Mi sono pentito del mio passato da “bullo”, e anche se ero giovane all’epoca degli scherzi crudeli fatti ad Aurélien, ma non solo, io mi rammarico delle mie azioni. Purtroppo a Crotone il buono viene preso sempre in giro. Ti insegnano a essere duri, fighi, stronzi. Come se tutto questo fosse la qualità principale. Non si vive così. Perché è pur vero che la natura mi ha dotato di un corpo forte e robusto, ma per tutti non accade così. Infatti, mio figlio Luca non ha un corpo come il mio. È fragile. È un bimbo che soffre di diabete. E mi ha sorpreso scoprire che anche Aurélien ne soffre. Con mia moglie ne parliamo spesso perché è ovvio che vuoi proteggere tuo figlio, poi dentro di me mi auguro che mio figlio possa avere una porzione di dignità e di tenacia che hanno spinto Aurélien ad andare avanti tra alti e bassi.

   Ti chiedo perdono, Aurélien, per le cose che ti ho fatto in passato. Non so se otterrò il tuo perdono, ma voglio chiederti scusa. Da quando sono padre (ma anche da quando sono marito) ho capito che bisogna apprezzare tanto quel poco che hai, e che è giusto difenderlo. Ma difendersi non vuol dire attaccare per controbattere. Difendersi vuol dire anche cercare una risposta. Avevi tutti i motivi per non rispondermi. Infatti, non siamo mai stati grandi amici e dubito che lo saremo. Ma ci tengo a chiederti scusa, e se ritieni opportuno pubblica la lettera. Perché io voglio testimoniare che dietro quella macchina fotografica c’è una persona con relativi pregi e relativi difetti che cerca di dare un contenuto, e che il più delle volte ci riesce perché non ha paura di sbagliare.

   Ho imparato a conoscerti meglio sul web attraverso quello che scrivi e quello che fotografi. Ho visto alcuni tuoi video. Ho saputo delle tue ferite personali. Ho seguito le tue tappe. E alla fine mi rendo conto di quanto io sia stato cattivo con te.

   Mio figlio è qualcosa di prezioso. L’ho accettato, e non nascondo che a volte soffro nel non poterlo vedere come altri bambini. Mio figlio mi ricorda te, Aurélien, perché tu quand’eri adolescente non entravi in pizzeria o in una pasticceria. Mi sembrava strano che un ragazzino non potesse mangiarsi la pizza perché soffriva di allergia al glutine. Vent’anni fa c’erano cose che non si sapevano, e noi le sottovalutavamo.

   In questi mesi, abbiamo instaurato un dialogo costruttivo. Ti voglio dire grazie per i suggerimenti e per la pazienza che mi hai dimostrato. Non voglio che ti arrabbi perché ti ho voluto scrivere una lettera così lunga e appassionata, ma è che la vita è una sola e abbiamo poche occasioni per vederci e parlarci. Poi succede che magari ci stacchiamo, e magari non ci potrebbero essere altre occasioni. Perciò ho voluto scrivere e farti trasmettere il mio rispetto e la mia ammirazione.

   Non servirà forse ad aggiustarti la vita, ma dirti che hai in mano un percorso valido mi allieta il cuore.

   Mi hai insegnato a non aver paura di combattere per i propri sentimenti e per le proprie fragilità. Mi hai fatto capire che devo guardare oltre, perché questa è una delle regole che un genitore deve sempre applicarsi per essere un punto di riferimento per il proprio figlio.

   Adesso, dopo aver scritto tutto questo, mi sento più sereno e posso guardare meglio mio figlio. Non so come crescerà e che cosa farà da grande. Non so che cosa mi riserva il futuro in questi tempi incerti. Ma una cosa è certa: cercherò di essere una persona migliore. Per questo insisto nel chiederti scusa.

Gianni

Che dire? La lettera mi ha commosso, ma francamente non meritavo tanto. Vuol dire che m’impegno a spedirti una mia foto di grande formato. La vita è piena di sorprese ed è sempre imprevedibile. Per quello che posso fare, caro Gianni, il perdonarti dalle tue malefatte è il minimo. Perché l’essere padre e marito ti ha reso più responsabile, e ha permesso di aprire il tuo cuore. Fai bene a combattere per i tuoi sentimenti. Non c’è nulla di ridicolo nel farlo, anche perché i sentimenti sono l’unica cosa vera su cui puoi contare se vuoi sentirti qualcuno.

La tua lettera arriva in un momento dove sto riflettendo sul confessare e denunciare una mia parte del passato, ma le tue parole tolgono ogni dubbio.

Mi chiamo Aurélien Facente. Sono nato, e tuttora vivo, a Crotone. In passato sono stato vittima di gravi episodi di bullismo, e l’arte è stata il mio primo rifugio per reggere psicologicamente al terribile gioco psicologico dei bulli. Mi ritengo fortunato perché ho avuto indubbiamente una valvola di sfogo, e purtroppo ci sono tanti ragazzi e tante ragazze che sono scomparsi e che magari potevano dare il meglio. Non tutti hanno la fortuna di decidere e di accettare il proprio destino.

Il mio non è stato un percorso facile, e ancora oggi vivo delle conseguenze. Ma cerco di correggerle. Non sempre mi riesce, ma non mi arrendo.

Oggi, però, sono contento di essere me stesso. Mi accetto per come sono, e non ho paura del domani. Scrivo, fotografo, filmo, mi pongo degli obiettivi. Combatto così la facile cattiveria, la facile diceria, il facile pregiudizio, l’invidia, la codardia. Perché il mio essere vivo prevale e vince contro queste avversità. Un discorso egoistico forse, ma sono convinto che se produco il mio lavoro riesco in qualche modo ad essere un esempio per chi, come me, è stato vittima del bullismo.

Se ne esce, ma il primo passo da fare è accettare se stessi in tutto e per tutto.

Mi chiamo Aurélien Facente. Sono stato vittima del bullismo.

Oggi voglio solo dire che accetto me stesso per chi sono e per come sono.

Aurélien Facente, dicembre 2016

Caro Roberto, a fare il bullo è facile…

Nota dell’autore: per precisazione, la seguente lettera era stata già pubblicata, ma il contenuto tematico (bullismo) resta lo stesso. Buona lettura.

Ti chiamerò Roberto. Un nome generico. Non ti preoccupare. Non farò il tuo nome, né il tuo cognome, e cercherò di evitare allusioni al tuo aspetto fisico e alla tua vita privata. Però qualcuno capirà chi sei, caro Roberto, e magari te lo riferirà. Ti potrai arrabbiare quanto vuoi, ma se sono arrivato a scriverti una lettera pubblica, beh… ti prego… Non prenderla come un atto di guerra, ma nemmeno come un atto di pace. Ti voglio solo invitare a riflettere sulle tue azioni, sulle tue parole, sul tuo modo di atteggiarti con me.

Devo essere sincero. Sono settimane che ci penso, però è doveroso farlo, perché io quello che voglio, mio caro Roberto, è solo godermi un’esistenza tranquilla e basta.

In verità, caro Roberto, ho deciso di scriverti e di rendere pubblica questa mia lettera perché c’è una cosa che mi ha colpito di te.

Mi è stata mostrata una foto di te con tua nonna. Una foto tenerissima, a dire il vero. Mi ha fatto piacere che dietro la tua scorzetta da bullo si nasconda un essere umano, il che è già qualcosa di straordinario. Io sono felice che tu abbia la fortuna di goderti la tua amata nonna. Non tutti hanno la fortuna, vista la tua età anagrafica adulta, di godersela. Ed è bello che tu lo abbia testimoniato questo enorme affetto.

Ma vedi, caro Roberto, poi succede che m’immagino che magari un giorno tua nonna veda il tuo comportamento di te nei miei confronti… e allora mi domando che cosa proverebbe nel vederti mentre mi segui con la macchinina a gridare che io sono frocio, ricchione, coglione, cretino? Che cosa proverebbe nel vederti mentre punti il laser di un giocattolino comprato alla fiera contro la mia faccia? Secondo te, sarebbe orgogliosa di vedere il nipote a fare queste cose?

Vedi, caro Roberto, io credo proprio di no.

Magari non te lo dirà, ma il suo sguardo cambierebbe verso la delusione, e non credo che la voglia vedere delusa, anche perché è una donna che ha dimostrato nel tempo di essere molto forte e paziente, e sai che non merita questo.

Oddio, caro Roberto, mi rendo conto che questo discorso non potrebbe essere opportuno, perché magari alimenta il tuo elemento di rivalsa nei miei confronti, e rischio di peggiorare la situazione. Ma tu non sei un ragazzino. Sei un adulto, cazzo! E perciò mi appello alla tua parte umana, chiedendoti di smetterla di credere di passare il tempo sulla mia pelle, solo perché tu e qualche tuo amico vi annoiate…

Vedi, caro Roberto, non sei il primo bullo che conosco, e credo che non sarai nemmeno l’ultimo. Non rientri nemmeno nella classifica dei migliori “bulli” con cui ho avuto a che fare nei miei miseri 38 anni di vita. NdA: la lettera è stata scritta nel 2017.

Tu, come tutti i bulli, pensi che io sia una persona incapace di reagire, una persona da prendere in giro e offendere solo perché devi passare il tempo o addirittura per dimostrare la tua superiorità o per farti figo. Il discorso è sempre lo stesso alla fine dei conti. Tu, forse, non lo sai e nemmeno vorrai saperlo, ma io il bullismo lo conosco molto bene. L’ho subìto per anni a Crotone, a causa di mentalità ristrette e ottuse. Tu non conosci i danni che mi ha fatto quando lo subivo, e non ti racconto le conseguenze emotive e fisiche che mi sono trascinato per anni. Certo, diventi strano agli occhi degli altri, e allora poi un bullo trascina l’altro, come se tutti foste autorizzati a massacrare una persona che non sa perché è condannata.

Poi un giorno qualcosa cambia. Anche la vittima può reagire. E se lo fa con una certa intelligenza, magari ribalta i ruoli. Oppure un giorno ti accorgi che tu hai un problema che non riesci a risolvere, e la vittima delle tue brutte parole è la sola persona che potrebbe aiutarti. Sai come di solito finisce? Che non riceverai quell’aiuto, perché ogni volta che mi prendi di mira è un colpo che ferisce la mia fiducia.

Perché dovrei fidarmi di te? Perché dovrei aiutarti, soprattutto se mi vedi dall’alto del tuo piedistallo e mi definisci “frocio” solo perché ti va di passare il tempo? E nelle tue imprese dove vuoi giocare a essere il “the best” ti trascini tanti amici diversi… e c’è qualcuno che ti regge il gioco. Lo so perché lo vedo, e ascolto.

Tu pensi che non reagirò, ma intanto sto prendendo appunti… e poi arriverà quel giorno dove tu avrai bisogno… perché poi un giorno potrebbe capitare che la vittima del bullo possa essere un tuo nipote o forse tuo figlio… e allora che farai? Gli dirai di sfidare una banda di bulli a mani nude pur non avendo il fisico adatto per farlo? Perché quando questo bimbo nascerà, a te non importerà come sarà fisicamente perché sarà tuo figlio, sarà parte di te, della tua anima. Sarà quella gioia che ti darà forza nei momenti difficili della tua esistenza, e farai di tutto per dargli quelle possibilità che tu non hai mai avuto.

Roberto, io questi sentimenti li conosco bene e un giorno magari ti spiegherò perché li conosco bene.

Io non ti sfiderò nel dirti che sono migliore di te, caro Roberto.

Io ti sfido nel dimostrarmi che tu puoi essere migliore di quello che sei adesso, mascherato da un orgoglio stupido che ti rende mediocre ai miei occhi.

Roberto, non pretendo di essere capito. Pretendo di essere rispettato nello stesso modo in cui tu rispetti gli altri.

Io lo so perché mi hai scelto come vittima. Perché hai sentito parlare di questo Aurélien molto strano che non si sa bene quello che fa, e siccome è strano allora bisogna massacrarlo d’insulti.

Bene, Roberto, vuoi che ammetta le mie debolezze?

Devo vergognarmi del nome che mi ha dato mia mamma?

Devo vergognarmi perché non posso bere una birra Peroni in quanto celiaco?

Devo vergognarmi perché mi faccio quattro punture al giorno d’insulina causa diabete?

Devo vergognarmi di chi ho amato e di chi amo?

Devo vergognarmi perché scrivo queste cose, con la consapevolezza che le mie parole scritte serviranno a ben poco…

Sottovaluta, Roberto. Ne ho visti passare bulletti prima di te. Tutti poi a vergognarsi di quello che hanno detto. Dopo un po’ se ne stanno in silenzio, oppure mormorano a voce bassa. Perché poi arriva un momento dove la vita ti prende e ti porterà a fare la scelta che non vorresti fare o ad affrontare quello che non auguri nemmeno alla persona che ami di più.

E allora che fai, Roberto? Continui a fare il bulletto? Continui a voler passare il tempo insultando e sbeffeggiando il prossimo?

Io sono cresciuto in una città che amo e che odio. Amo i colori della mia terra, ma odio le persone che si comportano come te pronte a prendersele con il prossimo solo perché appaiono più deboli, o solo perché hanno fatto una scelta diversa dalla tua.

Io lo so perché mi sfidi certe volte, caro Roberto. E mica te lo dirò qui, caro Bob. Perché se lo dico poi ti dovrai guardare allo specchio e vederti per quello che sei adesso agli occhi miei.

Vedi, caro Roberto, tu e i tuoi compagnucci avete urlato che faccio schifo perché scrivo… Non la prendo come un’offesa perché voi riconoscete che io scrivo, e mi basta quello per urlare la mia misera vittoria, una vittoria della quale nemmeno m’interessa più di tanto.

Perché la mia vittoria, caro Roberto, è farti vedere che alla fine dei conti sono una persona capace di pensare e di risponderti, anche a tono visto che poi copi apertamente le mie battute, e questo mi fa capire che tu, dentro la tua parte più intima, in qualche modo provi ammirazione per me. E sai perché? Perché mi dai importanza? M’insulti, e sai che non ti ascolto… eppure ti prendi il lusso di far fare all’amichetto di turno il giro dell’isolato per dimostrare che cosa?

Che sono “gay”, “frocio”, “coglione” o altro? È questo il passatempo che insegnerai a un tuo eventuale figlio? È questo che vuoi far vedere alla tua splendida nonna?

Non fare agli altri quello che non vorresti che fosse fatto a te.

È una legge che vale sempre.

Roberto, vedi… Io ho imparato che cos’è toccare il fondo dell’abisso… Potrai picchiarmi, insultarmi, offendermi… ma niente di quello che potrai farmi mi farà male… perché sono cose già vissute, e già superate… Continuerò la mia strada come sempre, e fischietterò anche…

Io forse faccio schifo perché scrivo, ma tu fai più schifo di me ogni volta che ti mostri nella tua misera mediocrità, sapendo che puoi essere migliore quando vuoi.

Con stima e rispetto,

Il tuo amico di quartiere Aurélien Facente

Coronavirus KR – La lettera di una mamma

Mi è arrivata stamane la lettera di una signora che ha in famiglia una persona affetta da autismo. L’ho letta con molta attenzione, e credo sia giusto trasmetterla per un solo e valido motivo: anche queste persone esistono, e vanno dunque ascoltate. Per questo concedo il mio spazio alla signora Angela che ha condiviso con me questo messaggio breve, ma che denuncia un chiaro concetto istituzionale: il diritto all’esistenza. Ci sono tante voci che non vengono ascoltate e che avrebbero bisogno di conforto, di qualche parola d’incoraggiamento. Sono le voci di persone che respirano, che hanno un battito nel cuore, che hanno diritto di avere puro e semplice rispetto. Ho letto la lettera della signora con molta attenzione. E perciò la trasmetto. Perché tutti possano leggere, sperando che la stessa possa in qualche modo essere trasmessa al Presidente Conte, con il solo intento di dirgli che anche queste persone meritano che il loro diritto di esistere sia considerato.

Aurélien Facente, aprile 2020

La Lettera di una mamma

   Terapie, giri, scuola e famiglia, la vita di un genitore con bisogni speciali, gira intorno alla disperata ricerca di una vita normale.

   Ma una mattina questa normalità viene a mancare, perché un virus nato in Cina, si è diffuso a macchia d’olio prima in tutta la stessa Cina e in seguito sul resto del pianeta, fermando tutto: il tempo, la vita e la speranza.

   La speranza di ogni genitore di dare una vita normale, migliore al proprio figlio.

   Tutto si è fermato lasciandoci soli ad aspettare, aspettare la fine della quarantena, con la speranza di non venire contagiati e con la ferma volontà di far vivere nel modo più sereno possibile tutto questo ai nostri figli.

   Non è semplice, perché in una mamma e papà, in un periodo storico come questo, si sono scatenate tante cose: la paura, la rabbia e una doppia preoccupazione per i nostri figli, doppia sì, perché chi ha un figlio autistico o con altre problematiche, oltre alla paura di vedere il proprio figlio sul letto di un ospedale, ha anche la paura che tutti i piccoli miglioramenti raggiunti cadano nel nulla.

   Ci siamo ritrovati ancora più soli, perché un bel giorno, ci è solo stato ordinato di stare a casa, senza pensare a cosa ci fosse dietro quella porta, così siamo stati semplicemente abbandonati a noi stessi e alle nostre lotte.

   Ogni giorno è una lotta, e l’unica cosa che ci è stata concessa è una passeggiata, per contenere gli stati aggressivi della patologia dei nostri figli.

   L’unica realtà che ci è venuta in soccorso è stata la Casa di Iulia, una ludoteca inclusiva, nata per volontà di un papà che voleva di più per la propria bambina, e ha allargato questa possibilità ad altri bambini con la stessa patologia della figlia o con altre problematiche; la Casa di Iulia ci ha accolti a braccia aperte e senza riserve, a differenza di altri centri che hanno addirittura definito i nostri figli  come dei mostri ingestibili, non pensando che loro sono i primi che soffrono e mettendo l’umanità e la sensibilità sotto la suola delle scarpe.

   La Casa di Iulia non lo ha fatto, ha accolto ogni bambino, non facendolo sentire un altro numero, un altro paziente, ma prendendosi a cuore quella creatura e creando per i genitori, una famiglia, perché ogni genitore è così che si sente, anche in questa circostanza, perché non hanno abbandonato nessuno, in virtù del fatto che ogni bambino ormai è diventato come un figlio, nipote, fratellino.

   La Casa di Iulia è una realtà che dovrebbe essere presa ad esempio da tanti centri e che dovrebbe crescere sempre di più, perché possa aiutare tanti altri bambini e famiglie.

Ci sono stati innumerevoli decreti, tanto che ormai la gente ironizzava sul fatto di aspettare una diretta del Presidente del Consiglio Conte all’orario di cena.

   Tutte queste dirette avevano un comune denominatore: la parola autismo non veniva mai pronunciata.

   Nessuno ha mai pensato a questi bambini e alle loro famiglie, che in questa circostanza sono diventati ancora più invisibili.

   L’Italia farà di tutto per rialzarsi, ma il lavoro più grosso lo faranno, come sempre, questi genitori per i propri figli, per vedere in loro qualche miglioramento e qualche sorriso che gli doni di nuovo la speranza, la speranza di un futuro meraviglioso per loro e la speranza che prima o poi lo stato si accorga di noi, con o senza Covid 19.

Angela Corace