Tanti auguri, Partito Comunista. C’è tanto da dirti…

Caro Partito Comunista, ci tengo tantissimo a farti gli auguri per i tuoi 100 anni portati abbastanza bene nel racconto nostalgico degli anni che furono. Già, anni pieni di gloria e di libertà e di tante bandiere rosse al vento, soprattutto nelle strade della Stalingrado del Sud, quella Crotone che oggi è di fatto un fantasma del passato che non vuole spezzare le catene del tempo passato.

   Oddio, adesso qualche nostalgico degli anni che furono mi dirà che cosa sto scrivendo e uscirà con il termine fascista e leghista e quanto altro ancora. Una commedia che non ha nessun effetto sul sottoscritto, perché in realtà vorrei chiedere a te, caro Partito Comunista, qualche delucidazione in merito, sapendo che non avrò risposte.

   Perché dovrei farti gli auguri quando ho visto Crotone smantellare la sua storia industriale e la sua forza operaia che mai più si è ripresa?

   Perché dovrei festeggiare un compleanno dove l’Italia è la nazione che ha mostrato nel tempo la maggior perdita dei diritti per quanto riguarda il lavoro?

   Perché dovrei festeggiare un Partito che di fatto rappresenta una minoranza nostalgica?

   Perché fare il brindisi con una classe di soggetti politici che ha rinunciato al freddo della piazza per stare al caldo nei salottini televisivi?

   Perché fare gli auguri quando ho visto la mia città decadere nel baratro della povertà culturale?

   Perché partecipare ad un compleanno con persone che parlano per partito preso e mai per dialogo?

   Perché farti gli auguri quando la strada del tuo miglior segretario, tale Signor Enrico, è stata disattesa da chi è venuto dopo?

   Perché con chi si vanta della tua tessera non posso parlare di autori come Gide, Camus, Oesterheld, Buzzati, Pasolini, Guareschi solo perché scopro che forse non ne hanno nemmeno letto una pagina?

   Perché devo festeggiare quando la grande Festa dell’Unità non si svolge più come una volta?

   Perché dovrei darti retta se poi tanti tuoi fan mi punterebbero il dito contro solo perché dico e sostengo che l’accoglienza verso lo straniero va fatta con maggiore attenzione, e tra l’altro con offese propagandistiche?

   Perché devo dare retta ad un grande Partito Comunista fatto a pezzi da tanti piccoli partiti dove conta il protagonismo più becero piuttosto che il coinvolgimento della comunità?

   Perché devo continuare ad ascoltare racconti nostalgici senza delineare qualche bozza per il futuro?

   Perché i tuoi rappresentanti credono di essere i migliori quando in realtà dovrebbero vedere la realtà in faccia per quella che è?

   Sono io che vedo una Crotone devastata nel sentimento e nella mancanza di lavoro e nell’impoverimento culturale in primis, oppure sono vittima della bottiglia di vino che i compagni bevono nelle loro serate a decantare la favoletta del momento?

   Ho tante domande, caro Partito Comunista.

   E pochissime risposte.

   Ho la seria impressione che quelli che festeggeranno sono vittime di un’illusione ideologica in nome di una bandiera sputata dall’ipocrisia. Perché se ci fosse stata l’unione, non si sarebbero sparpagliati in tanti piccoli pezzettini messi insieme solo dal voler stare al potere accada quel che accada, mostrando anche il peggio di sé.

   E vogliamo parlare dell’imposizione del pensiero che conviene per non venire a patti con la propria coscienza? Ecco, questo sarebbe un ottimo tema su cui dibattere, perché il pensiero è un elemento essenziale per la comprensione del mondo che cambia. L’esplorazione del pensiero è l’essenza della comprensione, eppure questo viene ostacolato in una visione univoca dell’ipocrisia.

   Caro Partito Comunista, ho visto tanti tuoi fan ragionare come i Fascisti che dicono di fronteggiare.

   Ecco perché mi limito a farti gli auguri e basta, com’è doveroso che sia. Avrei tante altre domande, ma mi fermo qui. Conoscerti è bello, sia chiaro. Ma farne parte… No, grazie. Ci tengo alla mia identità, al mio pensiero, alla possibilità di dire sì e no,  alla opportunità di parlare anche con chi la pensa diversamente da me, anche se si tratta di un pensiero storto.

   Ti faccio gli auguri, ma solo quelli. In fondo sei parte integrante di una Storia Umana che ha portato alla luce tanti temi. Ed è una grande peccato sapere che non sei credibile dai tempi di quel Signore di nome Enrico che perse la vita nel momento più inopportuno. Se fosse vivo oggi, credo che ne prenderebbe parecchi a calci.

   Stasera ricomincio la lettura di un libro: CHE di Héctor Oesterheld e Alberto Breccia ed Enrique Breccia. Lo leggerò con un buon bicchiere di amaro alla rucola. Giusto per darmi una dimensione più campagnola in questo periodo di pandemia. Sarà la sola festa per te. Perché credo nella conoscenza, credo nella Storia, credo nelle testimonianze di chi vuole parlare. Ma non credo in chi ha usato la bandiera per i suoi affarucci personali.

   E poiché adoro la libertà, non posso accompagnarmi alla catene della propaganda, soprattutto qui in Italia.

   Tanti auguri, Partito Comunista.

   Mi auguro che tu possa avere gente molto diversa da quella che c’è oggi. Perché le bandiere sono dei simboli, ma a fare la differenza nel bene e nel male sono sempre le persone.

La bandiera non tradisce i principi, le persone purtroppo sì.

Aurélien Facente, 21 gennaio 2021

Media pornografici e sadomasochisti in offerta agli spettatori spaventati dal Covid-19

Ammetto di non vedere la tv da almeno sei mesi. Ma in realtà non la vedo da oltre un anno, tranne quando c’è qualche buon film o qualche buon documentario. Prima la spegnevo, ma da quando ho cambiato abitazione non mi è venuto nemmeno la voglia di comprarla. Se voglio vedere un film, mi basta il PC. Cuffia, davanti allo schermo e via.

   Però, per motivi “istruttivi”, devo vedere lo stato dei media italiani, giornali e tv in primis. E mi rendo conto del peggioramento.

   In Italia la situazione mediatica è degenerata a livelli pornografici mai visti. Neanche le più agguerrite pornostar arrivano a tal punto. Anzi, adesso vedere un film osé è più utile che vedere tanti talk show buoni solo a urlare, urlare e fare stupida morale.

   Guardate lo scandalo in Calabria. Un commissario alla sanità che si dimette perché non fa il commissario alla sanità. Una serie di giustificazioni scritte qua e là, e il commissario (che annuncia le dimissioni, presentandole) va in televisione senza nemmeno provare vergogna e si offre in pasto al pubblico televisivo. E con che storia poi, addirittura stupefacente.

  Non parliamo poi del seguito.

  Cotticelli è il classico mostro da prima pagina da mettere al patibolo.

  Ma se uno accetta, se vogliamo affidarci al senso logico, allora vuol dire che la sa lunga. Talmente lunga che tra qualche giorno finirà nel dimenticatoio e si godrà una bella pensione (oltre alle partecipazioni televisive future) che gli permetterà di vivere bene, in faccia a chi lo ha insultato su Facebook e spernacchiato.

   Un mostro offerto così per far parlare gli altri.

   Ma nessuno si chiede se nel frattempo si sono presi provvedimenti, nel senso che magari viene messo a punto quello che manca.

   No, ai poveri spettatori (poveri non tanto, ma scemi sì perché cascano nello sfogo social) che sono tanto spaventati da questo Covid-19 che viene visto come il Virus dell’Apocalisse (e chissà perché questo virus apocalittico ci riserva giornalmente tanti guariti, che tra l’altro dovrebbero infondere fiducia proprio perché si guarisce).

   Il 2020 è un anno tragico. Gente che si ammala. Molti muoiono, ma tanti guariscono. E nel frattempo una nuova arena romana è offerta al pubblico. Panem et circenses, direbbe qualche celebre antico romano. Penem et circenses sarebbe il titolo più esaustivo.

   Sì, perché i limiti sono ovviamente superati alla grande.

   In Tv si condanna la gente perché si ammala, i politici condannano i cittadini che si infettano, trovano il fannullone di turno e lo mettono in pubblica piazza ma poi le cose, se si faranno, avanzano con lentezza. E poi sempre la stessa storia, poi soprattutto qui in Calabria con la sanità ridotta ai minimi termini assistenziali.

   Vi offriamo il commissario Cotticelli in televisione, ma poi continuerete a parlare e sparlare. E nel frattempo i responsabili si defilano e si nascondono. Sì, perché quel signore fa parte di un sistema collaudato e mai riparato, proprio perché non si voleva riparare.

   Non dare la colpa al governo. No, do la colpa a chi ha voluto questa situazione, favorendola proprio nascondendosi perché è sicuro del suo nascondiglio.

   E poi ci sono loro. Uomini e donne dei media. La Barbara che t’insegna come mettere la mascherina e ti fa le interviste al politico come se quel politico non avesse nessun tipo di responsabilità, oppure vai dal Giletti e tutti gridano e ti fanno la morale.

   In un paese normale, uno col grado di generale che si sarebbe fatto i comodi suoi sarebbe stato immediatamente arrestato e processato con l’accusa di alto tradimento, con tanto di condanna a carico. E con lui tutti i responsabili dello schifo.

   Ma intanto vanno in televisione e prendono le prime pagine, diventando divi del pubblico televisivo affamato del mostro.

   Mi ricordo che negli anni 80’ c’era una commissione per l’infanzia che ci deliziò della censura a danni di Devilman e di Ken il Guerriero, accusati di ispirare i giovani a fare i criminali.

   Oggi la commissione non interviene perché non le conviene, e poi non si tratta di Ken o Devilman, creature irreali che però poi ti parlano di onore, amicizia, rispetto paradossalmente, e nonostante la violenza mostrata fanno di tutto per porvi fine.

   Però si tratta di mettere in mostra persone che ti dicono spudoratamente che sono state lì a fregarsi lo stipendio, pagato bene dallo Stato, a sua volta pagato bene dai cittadini, che guardano ipocritamente il programmino televisivo per poi scandalizzarsi successivamente sui social.

   E nel frattempo arriva il comico che prende appunti e ne fa le imitazioni.

   E tutti a consolarci stando nel peggio, senza aver risolto nulla.

   Capisco di far parte di un mondo lontano dalla tv della merdiocrità (badate bene, ho scritto merdiocrità), e che nutre bene il popolo che si fa fregare perché attirato dalla pornografia televisiva spacciata per informazione. Un’informazione nichilista che non offre la via del ravvedimento, della seconda possibilità, della voglia del riscatto.

   Che cocktail tragico!

   Poi ti dicono che lo fanno per arrivare primi alla notizia. Conosco gente che arriva prima pure per raccontare stronzate o farle addirittura.

   E il popolo televisivo accetta lo schifo intessendo un rapporto sadomaso vero e proprio.

   Andando avanti, la gente spegnerà e non crederà più.

   L’overdose di coronavirus ha già fatto il suo.

   Io ho spento la tivù e non voglio riaccenderla e nemmeno acquistarla. Sono un essere umano e pretendo rispetto. Da chi mi governa in primis. Ma anche da chi mi offre la merda.

   Volete un amichevole consiglio: spegnetela anche voi.

Avete diritto a una dignità. Quindi, per favore, andatela a riprendere

Aurélien Facente, novembre 2020

L’ultimo arrivederci di Jole Santelli e la mancata occasione di chi si professerebbe essere migliore…

Giuro che ho pensato tanto a quest’articolo prima di scriverlo. Ieri (15 ottobre 2020) la giornata è iniziata con una notizia che ha sconvolto il mondo calabrese e italiano, ovvero la prematura scomparsa della Governatrice della Calabria Jole Santelli.

   Avevo dato un “nomignolo” simpatico. La magica Jole. Nulla di così offensivo, ma forse quella sua voglia di sorridere all’avversario mi aveva colpito.

   Premetto che non ho mai conosciuto la signora, se non per via d’informazione. Sapevo che era un’accanita fedele di Silvio Berlusconi, e che come parlamentare vantava di un curriculum di tutto rispetto. Aveva anche i suoi difetti, ma era una delle poche che poteva vantarsi di non aver mai cambiato casacca. Cosa molto rara nella politica opportunista di oggi. Anzi, andrebbe molto rivalutata.

   Sapevo che per un periodo si era cimentata nel ruolo di vicesindaco di Cosenza.

   E poi la possibilità di vederla in prima linea con la sua prima elezione diretta come Presidente della Regione, e allora ho avuto modo di conoscerla in maniera politica attraverso le apparizioni tv dovute.

   Mi colpì la sua facilità di non cercare per forza lo scontro, ma di voler risolvere in qualche modo il tutto con un sorriso. Nel primo round televisivo con gli altri tre candidati alla presidenza della Regione Calabria, la magica Jole riuscì a sorprendermi quando invitò gli altri candidati ad un’amichevole cena per parlare della Calabria, al di là di come sarebbero andate le elezioni.

   Elezioni che vinse la magica Jole, ma con un risultato anomalo, poiché più della metà degli elettori non si recò alle urne.

   Jole entrò così ad amministrare un ente regionale che era percepito come qualcosa di lontano, accompagnata da una ciurma di liste e consiglieri che proprio non piacevano alla gente.

   Ci si mise pure il Coronavirus di mezzo, e così Jole entra nel suo ruolo facendosi conoscere come la Governatrice che emana le ordinanze.

   Ma in televisione usa spesso la seguente espressione: “Popolo Calabrese.”

   Premetto che sono lontano dalle politiche di Forza Italia, ma ho prestato attenzione alla breve amministrazione della Governatrice Santelli.

   Otto mesi sono pochi per essere giudicati politicamente parlando, ma otto mesi sono sufficienti per capire che forse Jole, al di là dello schieramento, era la Presidente di cui la Calabria aveva bisogno come momento storico.

   Una Presidente Donna in una Regione difficile. Una Donna che non ha mai fatto mistero di vivere un momento difficile perché afflitta da un male che sapeva di pistola puntata alla tempia. Una Donna che in campagna elettorale non aveva mai parlato male di nessuno, ma che era stata anche la prima a dare gli auguri sportivamente a chi magari era avversario. Una Donna che non negava il sorriso a nessuno, proprio perché lei stessa, in quanto convivente con un male, sapeva che il sorriso era una medicina potente.

   Mi colpirono molto le sue parole, quando ammise di convivere con un male: “Quando una persona subisce un attacco così violento alla propria vita, quando il dolore fisico si fa radicale e incomprimibile, allora quella persona ha due strade: deprimersi e farsi portare via dalla corrente, scegliere che il destino scelga per lei. Oppure attivarsi, concentrarsi e soprattutto ribellarsi. Io sono una persona danneggiata dalla malattia. Quel verbo e quella parola sono gli esiti della lettura del libro di Josephine Hurt (Il danno, appunto) che mi è stato di grande aiuto. Mi hanno obbligata a inquadrare l’esatta misura del dolore e di testare la capacità di replicare alla sofferenza, addirittura di resistervi e infine di dominarla.” (La seguente è tratta da un articolo del Fatto Quotidiano)

   Avendo avuto in passato perso una persona cara per un simil male, il rispetto per questa Signora divenne primario.

   La criticavano perché ballava la tarantella con i sostenitori del centrodestra, la criticavano perché aveva problemi a parlare, la criticavano perché non si vergognava di essere Calabrese, la criticavano perché forse era più propensa a dare un sorriso piuttosto che a far pesare il dramma.

   Jole era un’anomalia positiva della politica calabrese e nazionale. Una di quelle anomalie che servono però alla Storia di un Luogo. Perciò, quando ho saputo del suo ultimo arrivederci silenzioso, non nascondo di aver acceso una candela per lei.

   Ho letto le notizie scritte e ho letto le impressioni di tale evento. La maggior parte erano pensieri positivi, che ne riconoscevano in qualche modo la volontà di far valere la sua calabresità. Anche gli avversari, sportivamente, l’hanno salutata con affetto.

   Poi ci son stati gli sciacalli, quelli che non sono mai contenti. Ho letto parole di odio e parole di bulli, tutti con il dito puntato contro. Facile farlo quando l’avversario odiato non può nemmeno rispondere all’attacco moralista dello sciacallo.

   Avrei preferito di gran lunga il silenzio, e aspettare il cosiddetto processo storico. Ma certa gente, proprio perché non conosce il valore del sorriso, si prende il lusso, con la becera scusa del libero pensiero, di gettare merda e fango, come se tutto quello che è negativo in Calabria fosse proprio figlio della politica proposta dalla Santelli.

   E poi ci sono quelli che usano lo stereotipo del fascismo. Quelli avrebbero dovuto mettersi un bavaglio alla bocca, giusto per qualche giorno. Il tempo di celebrare i funerali e di permettere almeno ai famigliari e agli amici più intimi di raccogliersi nel dolore.

   Quelli sono stati i peggiori, perché nella scrittura del loro pensiero facebookkiano hanno dimostrato di essere proprio peggio dei nemici che dicono di combattere.

   Un silenzio che sarebbe valso quanto il valore di un libero pensiero. Ma si sa che certe bocche e certe mani non sanno aspettare l’onda giusta del tempo, e perciò ne vengono travolti. È pur vero che la morte si nutre di verità, ma la delicatezza appartiene a chi la Democrazia l’ama.

   Ma in quest’epoca nefasta e avversa, molto probabilmente la Jole Santelli avrebbe risposto con un sorriso, spiazzando così i cattivi.

   Riposa in Pace, Presidente Santelli. Non avrai conquistato i tuoi avversari politici, ma adesso sei nel cuore di chi riesce a vedere nel sorriso un percorso di semplice prospettiva.

  E così chiudo la mia scrittura chiedendomi se mai avrò la fortuna di poter conoscere un’altra persona politica che fa del sorriso un’opportunità di positività.

Aurélien Facente, 16 ottobre 2020

Coronavirus KR: La massa si muove

Nell’emergenza Coronavirus ho criticato apertamente due provvedimenti in particolare. Uno era la prossimità di duecento metri da casa, liberamente interpretata da qualche signore in divisa. La seconda era il divieto di passeggiare in solitaria, seppur munito di mascherina. Aggiungiamoci pure la chiusura di alcuni luoghi ideali per passeggiare, e ci siamo tutti dovuti atteggiare.

   Un altro aspetto da criticare è il terrorismo mediatico portato avanti da tanti organi di stampa e di televisione. Un terrorismo amplificato anche da buontemponi che sui balconi filmavano persone che, magari, erano uscite per necessità.

   Questo, nell’insieme, ha portato la gente ad odiarsi.

   Pur capendo la necessità del momento, la gente, nel 95% (dato sorprendente tra l’altro), si è comportata nel migliore dei modi.

   Ma la quarantena, o meglio la prigionia forzata, alimenta anche il malessere.

   Non tutti hanno la possibilità di godersi un bel panorama. Tanti non godono nemmeno di una buona compagnia dentro casa. Tanti eroi di tastiera pronti a giudicare e condannare il prossimo perché magari si è preso cinque minuti di respiro.

   Tengo a precisare una cosa: il virus esiste ed era necessario lasciare spazio ai nostri sanitari, se non altro per permettere loro di lavorare al meglio.

   Il governo, nel suo insieme, avrebbe dovuto porre un freno serio al terrorismo mediatico.

    Non l’ha fatto. Ha lasciato la palla al Presidente del Consiglio, che si è trovato gioco forza in una situazione inedita nel dover prendere provvedimenti molto discutibili tra l’altro. Ma questa è un’altra storia.

   Nel frattempo, una pattuglia di sindaci sceriffi che ti parla in video e ti colpevolizza anche per una carezza. E non una parola d’incoraggiamento. Molti a puntare il dito contro. Un terrorismo mediatico tale da alimentare l’odio piuttosto che la solidarietà.

   E così si accende la miccia di una dinamite pronta a scoppiare in qualsiasi momento.

   Aggiungete gli epiteti “fascisti” e “comunisti” che ormai ci perseguitano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando il regno dell’incertezza non ha voluto dare spazio alla speranza, il vero sentimento che unisce.

   Già, perché se si uccide la speranza uccidi le persone, o meglio le armi di qualcosa che non lascia spazio alla ragione.

   In questi mesi, il terrorismo mediatico (e se n’è reso conto pure il Governo guarda caso) ha solo alimentato un cancro: quello della disperazione.

   E c’è chi riesce a cavalcare quell’onda. Perché tutti noi ci nutriamo della speranza. Perché molti di noi hanno bisogno di ottimismo, di sentire che c’è un domani, che possiamo costruircelo.

   Nella paura del Coronavirus si è innescata la dinamite della reazione.

   Ormai le piazze iniziano a riempirsi, alla faccia delle regole imposte e delle ideologie politiche.

   A Piazza Duomo a Milano, nel giorno 30 maggio 2020, una manifestazione con tante persone vestite di gilet arancioni, guidate da un vecchio generale. Lasciamo perdere il contenuto per un attimo. Ho letto le opinioni e ascoltato i pareri, e letto anche gli articoli della stampa. Un effetto meteorite di opinioni, senza volersi rendere conto di un fatto essenziale: la massa, quando si muove, non si ferma.

   Sulla posizione politica se ne può discutere tranquillamente. Ma in mezzo a quelle migliaia di persone, erano tutte da condannare? Erano realmente tutti fascisti? O c’erano anche persone che avevano voglia soltanto di tornare a vivere con un po’ di dignità?

   Facile condannare. Troppo facile. Tra l’altro, con una domanda non posta: ma si poteva fermare, si poteva evitare? Certo, ma solo se non sottovaluti.

   Se chiedi un sacrificio, devi dare in cambio una speranza. Se prometti aiuti economici, caro Stato, sai che devono arrivare tempestivamente. Puoi sempre controllare dopo. Invece, più di qualcuno, nella macchina governativa ha fatto il bullo burocratico.

   E così, giorno dopo giorno, tra tanta paura e tante annunciazioni di morti ecco che la miccia si accende fino a far esplodere un’altra bomba.

   Alla fine esce sempre un generale o un nuovo capo politico o qualche antieroe improbabile. La storia ne è piena di esempi. E soprattutto c’è un dato naturale incontrovertibile. Fa parte del DNA umano. Nelle epidemie e nelle pandemie di vecchia data è sempre accaduto che l’umanità, nel suo insieme, prima o poi si muove per adattarsi al male. Andrà avanti rompendo le regole perché sentirà il bisogno di rimettere in ordine il proprio ruolo. E quando lo fa, la domanda è sempre la stessa: come lo farà?

   E questa domanda non ha mai una risposta, ma solitamente spaventa i governanti, dove si troveranno anche loro davanti a una domanda inevitabile: e adesso?

   Già. E adesso?

Aurélien Facente, maggio 2020

Il bavaglio della censura governativa e social che si vuole usare nei confronti del libero pensiero all’epoca del Covid-19

Nella mia linea editoriale, se tale si può definire, ho sempre cercato di delineare la necessità del racconto per narrare la società. Uso la mia esperienza e i miei occhi per proporre, mai imporre, un semplice punto di vista, e quando mi sono occupato di determinati argomenti l’ho sempre fatto nella maniera più corretta possibile, avendo anche l’aiuto di qualcuno che magari ne sa più di me.

   Non sono un tuttologo, ma di sicuro ho letto e scritto tanto. So mettere insieme due frasi, e conosco abbastanza bene l’analisi logica. Sono stato educato dai miei genitori e dalla società nella quale sono cresciuto all’ascolto e a usare la testa quando serve.

   Ho praticato il giornalismo per alcuni anni, e mi piaceva. Ho abbandonato quando ho capito che il giornalismo italiano preferiva cercarsi i like piuttosto che curarsi la qualità della notizia. E così ha fatto la politica.

   Oggi politica e giornalismo vogliono il gradimento, ma non si curano della sostanza.

   Quando avviene questo binomio, la democrazia corre un grosso pericolo.

   Scrivere e raccontare non vuol dire compiacere.

   Assolutamente no.

   Però, se vuoi essere degno dello scrivere e del raccontare devi sempre farlo con la consapevolezza che parli alle persone, e parli anche di persone.

   Il mio personale approccio è forse più letterario, ma se devo denunciare prima mi devo preoccupare di raccontare e mettere insieme i dettagli. Perché la gara della notizia non deve essere a chi arriva prima per arrivare sempre primi, ma per come la racconti.

   Quando ho capito che bisognava essere superficiali, ho preferito abbandonare, spinto anche da situazioni strettamente personali.

   Dalla mia personale decisioni sono passati nove anni, e solo di recente ho deciso di ridare voce alla mia voce e alla mia scrittura. Perché essere indifferenti vale sempre fino ad un certo punto. Perché se hai la possibilità di fermare un mostro, lo devi fermare.

   Ecco perché sono tornato a scrivere, e a raccontare.

   Oggi, in Italia, si vive il Covid-19 o Sars-Cov2 o Coronavirus 24 ore su 24. Un martellamento di notizie alla rinfusa che hanno di fatto violentato le persone di tutti i giorni nella dignità, nell’economia e nella salute.

   Per oltre 50 giorni ho tenuto dirette con l’augurio che le persone di tutti i giorni riprendessero a respirare, a non farsi mangiare dalla paura. Nel frattempo, indagavo e mettevo insieme tante cose perché io non credo al cosiddetto “asino che vola”.

   Fermo restando che il sottoscritto non ha mai negato l’esistenza del virus e nemmeno che purtroppo ci sono stati tanti morti. Anche dalle mie parti è morto qualcuno per il Covid-19.

   Però ho sempre tenuto la testa vigile.

   Non ho mai creduto a quello che la tv e i media tradizionali hanno diffuso al 100%.

   Perché io sono un malato cronico, e non posso permettermi di condannare una persona infettata e asintomatica solo perché, purtroppo, non sapeva di esserlo. Il condannare persone che hanno solo avuto il desiderio di farsi una passeggiata in solitaria è uno degli orrori che questo battage politico-mediatico ha portato avanti per distogliere l’attenzione dal vero problema.

   Ritorniamo a noi.

   Bazzico i social da dodici anni ormai. Ne conosco i limiti e ne conosco i pregi, e soprattutto ne conosco il tipo di pubblico. Ho sempre rispettato le regole al 99%. Sui social applico una politica “attendista”, soprattutto quando si parla di realtà. Non ho mai promosso violenza, razzismo, pregiudizio. Ma il rispetto del pensiero sì.

   Nelle mie dirette Facebook ho sempre lasciato parlare le persone, anche quando m’insultavano. A volte, ho anche risposto. Perché il rispondere, anche se non piace, è una rassicurazione. Ho conosciuto tante persone impaurite, e alcune con il dubbio di poter aprire la finestra e respirare. Tante persone terrorizzate, quando in realtà il governo aveva la responsabilità di promuovere la prudenza, non d’imporla con una tal forza dittatoriale. Come se l’italiano medio non potesse capire.

   Gli italiani, nella Storia, hanno avuto sempre una grande forza. Non se ne rendono conto perché vivono il momento, ma quando si mettono insieme sono capaci di muovere un intero Paese, molto più della politica.

   Ho notato in questo periodo la chiara volontà di un sistema mediatico a voler fare sentire le persone in colpa, come se le stesse fossero responsabili della natura di un virus che si muove indipendente da tutte le volontà in campo. Ho notato l’umiliazione fatta a tanti cittadini, trattati come bambini capricciosi quando in realtà si fermavano per parlare. Mi è stato detto da un signore con la divisa che io avevo mentito sul mio diabete, ma non l’ho raccontato perché era una questione che riguardava me e che potevo tranquillamente dimostrare.

   Sia chiaro. Io non ho paura del Covid-19, ma lo rispetto. Così come rispetto la legge, anche se non mi piace.

   Perché la volontà di raccontare si muove sempre nella linea di confine. E se devi dare l’esempio, sul confine devi saperti muovere.

   Perciò, quando ho scoperto la notifica di Facebook che mi censurava alcuni link perché esageravano la realtà, mi è venuto da ridere.

   Due video da YouTube: uno riguarda me e riguarda la mia opinione, sorridente, sulle ordinanze del 29 aprile 2020 emanate dalla Regione Calabria, a firma della Governatrice Jole Santelli, che hanno fatto rumore sui social. Un rumore delirante, figlio dell’incertezza accumulata, delle persone che non sapevano quando uscire di casa per vedere un po’ di sole. Il video è stato bollito come una fonte di notizie esagerata. Certo, ma la paura mica la cancelli.

   Poi un video pubblicato su YouTube dalla testata Byoblu24, con una lunga intervista fatta al giornalista Giulietto Chiesa, deceduto di recente tra l’altro. La condivisi sulla mia pagina pubblica principalmente perché considero, tuttora, Giulietto Chiesa un testimone eccezionale della nostra epoca, indifferentemente dal colore politico.

   Le persone che raccontano vanno sempre ricordate.

   Perciò per due link vengo punito leggermente dal sistema Facebook. Un piccolo bavaglio, come si suole dire. Pazienza. In fondo Facebook mi ha concesso spazio abbastanza, però ho l’impressione che adesso il libero pensiero non sia tollerato.

   Perché da una parte ci sono medici che vogliono parlare, che vogliono tranquillizzare le persone, che vogliono dir loro che la speranza non è morta. Perché ci sono giornalisti narratori che, andando contro le linee del pensiero governativo e televisivo, vi dicono e continuano a ribadire che le persone devono pensare con la loro testa.

   Il bavaglio, caro Zuckerberg, non lo puoi mettere a nessuno. Capisco le regole che vanno rispettate, sia chiaro. Ma quando il tuo social comincia a essere infettato, senza aver possibilità di controbattere in privato, dallo spettro della censura governativa e politica allora mi devo un pochino ricredere.

   Facebook si può incatenare. È un sistema virtuale. Basterebbe spegnerlo ad esempio.

   Ma il pensiero libero non lo puoi incatenare. Puoi frenarlo, ma non lo puoi incatenare. Ci hanno provato i grandi tiranni per poi essere rigettati dalla loro popolazione. Perché la tirannia è sempre una pagina oscura.

   Quindi, ai signori supremi dei social dico largamente che me ne infischio del bavaglio. Anzi, prego loro di lasciare uno spazio di difesa a garanzia dell’utente. Perché nella Storia si entra quando si lascia il pensiero camminare libero. L’affermazione della verità è un processo da conquistare, mai da imporre.

   La verità imposta nasconde sempre la più grande delle bugie.

Aurélien Facente, 12 maggio 2020

Video 1 contestato da Facebook
Video 2 contestato
Ascoltate il video del direttore di Byoblu24 perché conferma bene quello che ho scritto nell’articolo, ovviamente con le dovute differenze.

Politica social e le psicosi dell’elettore su Facebook

Politica strana quella di oggi. Oggettivamente non è la politica degli anni 80’, dove comunque c’era una politica che si occupava che l’Italia facesse la sua figura agli occhi del mondo. Al tempo delle elezioni, i politici ci mettevano la faccia e chiedevano personalmente il voto.

   Poi nel 1992 Tangentopoli.

   Arrivò il Berlusconismo che segnò la politica fino al 2010 più o meno. Silvio c’è ancora, ma ora è la zampa azzoppata del centrodestra. La sua storia caratterizzò molto l’Italia. Nello stesso tempo, i suoi avversari di sinistra furono tanti, ma mai così consistenti da farsi amare oggi.

   E nel frattempo i mezzi di comunicazione sono cambiati.

   Ma anche la politica è cambiata.

   E ciò ha influenzato la gente, e di parecchio.

   Un tempo, le elezioni erano un appuntamento atteso. C’era il dibattito tra le persone anche dentro un bar. C’era il culto della libera opinione. Ci si avversava, ma alla fine si sapeva che era il voto a fare la differenza. Nel bene e nel male.

   Oggi il voto passa attraverso i social. Ognuno si fa la sua paginetta Facebook, il suo profilo Facebook, su Twitter (per chi lo sa usare), e su Instagram (per chi lo sa usare). C’è anche chi si fa il canale YouTube personalizzato (molto utile a dire il vero). Tutti hanno il sito internet personalizzato.

   Ma tutti, più o meno, ti chiedono l’amicizia su Facebook o di mettere Mi Piace alle loro paginette elettorali.

   I candidati passano al virtuale e alla stupida legge del gradimento.

   Metti mi piace così sei figo anche tu.

   Ma se provi a criticare, allora non va bene.

   Certo, la critica va saputa scrivere. Non tutti possono criticare. Ma nella democrazia, quella che tutti predicano, è ipocrita chiudere la bocca.

   Siamo in una società strana.

   Oggi viviamo un eccesso di democrazia come non era mai avvenuto negli anni precedenti. Usiamo la parola con il commento. Scriviamo come parliamo. E veniamo fraintesi. E invece di essere noi stessi, facciamo in modo di piacerci. Oppure ci offendiamo, perché ognuno di noi pensa, sbagliando, di dover piacere per forza a tutti. E censuriamo se c’è qualcosa che non ci piace.

   Siamo dentro il mondo virtuale, dimenticandoci che il vero dialogo si fa fuori il PC.

   Non ci rendiamo conto, ma nel calderone Facebook ci mostriamo come tifosi e basta. Un eterno sfottò contro l’avversario. E ci scandalizziamo quando determinati comportamenti escono. Nei social diamo peso all’istinto, e non alla ragione. Anzi, se c’è qualcuno di più intelligente (e ragionevole) lo allontaniamo. Lo definiamo pesante. Non mette in foto le vrasciole (carne macinata fritta e impanata, secondo la classica ricetta crotonese, che in ogni famiglia è cucinata con i propri usi e tradizioni), perciò non è uno di noi. Salvo poi, magari, fare un passo indietro e fermarsi un po’ a osservarne i contenuti.

   Già, i contenuti. Quelli che fanno la differenza. Contenuto. Una parola troppo pesantuccia da capire oggi. Meglio la leggerezza. Tutto deve essere leggero. Guai a parlare di profondità. Guai a parlare di differenza. Qui devi essere figo e positivo. Sei su Facebook.

   E anche la politica, così, preferisce avere i like. E così tutto naviga nel leggero, nel superficiale, nel tragicomico.

   Un tragicomico che ha fatto molto male agli italiani.

   Non c’è nulla di male se andiamo dietro a una moda.

   Ma andando dietro la moda dell’uniformarsi all’interno dei social abbiamo scoperto che non ci amiamo proprio in realtà. Facciamo uno sforzo enorme a capire l’altro oggi, e allora preferiamo allontanarci.

   Quando arriva il periodo elettorale però, ecco che esce il tifoso cattivo dentro di noi. I politici sono tutti uguali. Ladri e delinquenti. Egoisti e ignoranti. In questo aggiungeteci lo scontro tra fascisti e comunisti, con l’inadeguatezza dei cinquestelle. Poi magari ti accorgi che c’è qualche persona molto brava, ma non sai se votarla. Non sai nemmeno se ci vai a votare, perché poi hai degli amici che non votano, perché votare non serve a niente. Già, non esprimersi non serve più a niente. Meglio la leggerezza, meglio continuare a essere fighi e simpatici su Facebook. Meglio questo. Almeno qui non ti attacca nessuno. Però poi scopri che vivi male, che non stai bene, e non sai nemmeno come dirlo.

   Oddio, sono diventato negativo. Come oso riflettere in questo panorama digitale? Beh, lo faccio e basta. Anzi, lo scrivo pure e non me ne pento. Proprio perché esprimo il mio pensiero, voglio farti capire che puoi farlo anche tu. E se non piaci, pazienza. Ma meglio essere se stessi e non piacere. Perché dall’altra parte sapranno che c’è una persona e non un misero like.

   La politica è social ormai. Fa tutto per piacersi.

   Ma l’elettorato si esprime in maniera psicotico. Ci odiamo perché vorremmo un mondo migliore, ma non lo abbiamo perché ci preoccupiamo dell’essere positivi su Facebook. Quello conta.

   Già. Ma poi?

   Lo sapete che un giorno avrete bisogno di altro, e che per averlo bisognerà saper andare ben oltre le superfici?

Aurélien Facente, 2019