Coronavirus KR: Qui Londra

Quando è iniziata l’emergenza, in una diretta Facebook, ho pregato di mandarmi delle testimonianze, racconti, materiale fotografico con i quali condividere e classificare una serie di resoconti sull’impatto sociale che l’emergenza Coronavirus sta avendo in Italia e non solo. Le foto che seguiranno vi faranno capire in sequenza quello che sta avvenendo a Londra, da dove sta operando un mio “inviato” che qui si firmerà come Sirdomek, che per questioni di privacy preferisce firmarsi con un nickname. Le foto che seguiranno sono dunque di Sirdomek.

In questa prima foto potete vedere un attimo di vita di Londra, una foto comune fatta da cellulare, ed è uno scatto abbastanza comune. Siamo nel mese di febbraio. La foto è datata appena dopo le regionali avvenute in Calabria. Fin qui nulla di strano.

Poi da noi inizia l’emergenza Coronavirus. Noi italiani ci ritroviamo prigionieri delle restrizioni per causa maggione, ma nel frattempo a Londra (e in Inghilterra), senza passare dalle restrizioni nostre, si adegua subito alla sua emergenza.

La serie di foto che vedrete adesso sono state scattate in posti abitualmente frequentati di Londra. Sirdomek abita in centro a Londra, perciò lui stesso, italiano, si è stupito della prontezza del popolo inglese a prepararsi al piano d’emergenza.

Notato nulla? Se ci fate caso, manca la gente. Le foto sono state prese in diversi momenti della giornata, in vie sostanzialmente frequentate da tanta gente. Ricordatevi che Londra è una delle città capitali che si possono definire metropoli, essendo che ci abitano quasi nove milioni di persone (un’enormità quindi).

Tutte queste foto vi fanno notare che subito il popolo londinese si è adattato. Di solito sono affollatissime di gente, ma stavolta si esce solo il necessario, senza aspettare gli ordini del Primo Ministro inglese, Boris Johnson, che ha fatto capire direttamente di voler agire anche in termini “estremi” in rapporto alla pandemia del Coronavirus. Ma prima che si pronunciasse, già gli inglesi si sono adeguati volontariamente, aspettando in qualche modo il nemico invisibile.

Perché vi mostro questo primo reportage fotografico?

Sirdomek è un italiano del Sud che vive a Londra, e mi ha rilasciato altro materiale che pubblicherò sotto un’altra forma, appena le acque, diciamo, si calmeranno un po’. E naturalmente gli auguro ovviamente tutto il meglio e lo ringrazio per l’apporto che sta dando.

Rispondiamo però alla domanda.

In Inghilterra sono abituati a fare simulazioni di catastrofi sin dall’età scolastica, perciò in età adulta si comportano di conseguenza, preparandosi al peggio e senza aspettare gli ordini della politica. La consapevolezza rende migliore l’organizzazione, e stiamo parlando di un popolo che è abituato, nonostante i difetti, ad affrontare le emergenze a viso aperto, e senza discutere più di tanto.

Il traffico a Londra in questi giorni è molto meno caotico, e la gente circola solo il giusto, ossia per acquistare provviste principalmente, forse cinque minuti d’aria, e ovviamente per sbrigare faccende burocratiche che toccano anche a noi.

Qui in Italia non siamo abituati all’emergenza, perché sin dalle scuole non impariamo che cos’è una situazione d’emergenza. La Calabria è una terra sismica, e nelle scuole sarebbe doveroso impartire lezioni di comportamento in caso di catastrofe. Perché questo tipo di lezione impara a organizzarsi nei momenti in cui è necessario, e salverebbe tante vite.

Gli italiani, per quanto possa essere storicamente un vero popolo quando serve, devono ripensare la prevenzione, partendo proprio dalle scuole. Perché, mai come adesso, bisogna ripensare culturalmente il nostro sistema, prima di darci delle istruzioni politiche ed economiche.

Testo di Aurélien Facente, marzo 2020

Foto di Sirdomek, 2020

Cultura da Virus: 28 giorni dopo, di Danny Boyle

Un film che non passa in televisione da qualche anno è “28 giorni dopo”, il film che ha ridato freschezza e regia al versatile Danny Boyle, che mette in immagine una sceneggiatura di Alex Garland.

   Siamo a Londra. Un’epidemia devasta la Grande Inghilterra. Un virus sconosciuto partito da un animale. Un uomo che si risveglia dal coma, e rimettendosi insieme gira per le strade abbandonate di una spettrale e illuminata Londra di primo mattino. Ma la verità là fuori non è così illuminante.

   I contagiati sono in agguato pronti ad aggredire il prossimo, e così il protagonista, interpretato da un efficace Cillian Murphy, si trova all’interno di un incubo che ha distrutto e spopolato l’Inghilterra.

   La prima parte del film è dedicata all’esplorazione della Londra spettrale. Il protagonista incontrerà altri sopravvissuti. Si confronterà con realtà violente. Cercherà di capire dov’è finita la vera umanità.

   Poi inizia la seconda parte. Quella che ci rivelerà che forse c’è qualcosa di peggio dei contagiati del virus sconosciuto.

   Quella che riguarda la reale essenza dell’umanità, forse l’orrore più violento del virus stesso. E Jim, alias Cillian Murphy, affronterà deciso il tutto, tra militari impazziti e infetti simil zombie.

   Altri interpreti sono Naomie Harris, Brendan Gleeson, Christopher Eccleston. Un cast sconosciuto all’epoca del film (che uscì nel 2002).

   Non parliamo di incassi, ma parliamo del film in sé.

   Coraggioso e creativo. Parte come un film horror apocalittico, ma poi prende una direzione totalmente diversa.

   È un film, che nonostante la mole di scene violente (tutte logiche), non rinuncia mai a trovare speranza nella vita.

   Jim, il protagonista interpretato da Cillian Murphy, è forse uno dei più originali in un film del genere.

   Ci sono varie scene nel film che mettono a dura prova la psiche di Jim, già provata dal fatto di essere stato per giorni in coma. Eppure, nei suoi silenzi e nella sua consapevolezza, riesce a restare lucido e amante della vita in un mondo apparentemente finito, o quasi, come lui stesso scoprirà.

   Danny Boyle è un regista coraggioso. Sa essere delicato come pochi, ma sa anche essere crudele quando serve. Qui è accompagnato da una sceneggiatura di Alex Garland, autore alquanto geniale, cinematograficamente parlando.

   “28 giorni dopo” è film che vale la pena vederlo, anche se bisogna avere uno stomaco duro. Non tanto per le scene di violenza, ma per il fatto che ad un certo punto cambia registro. Diventa un film di odio, quell’odio umano che rende irrazionale una persona, soprattutto quando è mangiata dalla paura e dalla psicosi di dover sopravvivere.

   Film quindi estremo sotto tanti aspetti, ma il ritorno all’umanità, al voler tornare a vivere una vita è ciò che rende la storia unica.

   Perché il vero male, come scopriremo attraverso il viaggio di Jim, non sta nella natura ribelle di un virus, ma si annida nel cuore di un essere umano. E sta proprio a noi fare la differenza per ritornare ad un concetto di umanità vera.

   “28 giorni dopo” è presente nel mercato del dvd.

Aurélien Facente, 28 febbraio 2020