IL MONDO DELLA SINISTRA ITALIANA OGGI, TRA CENSURE, SOLDI E ISTERISMI ANTIFASCISTI.

Monologhi censurati che poi vengono letti in altre piattaforme è il controsenso di questo periodo storico. Tanto che spuntano come funghi tanti censurati e per i motivi più disparati. Tutto avviene in un periodo storico dalle mille contraddizioni, a cominciare dal fatto che ormai l’elettorato non ne vuole sapere più di una certa propaganda politica che non si capisce dove voglia andare a parare, quando il problema principale è chiaramente l’economia della vecchia classe media (quella che stava a sinistra una volta idealmente),

La vecchia classe media tra astensioni varie e voto di protesta abiura la sinistra di oggi, che nelle sue tante incarnazioni preferisce la telenovela nei tanti e troppi talk show piuttosto che parlare con la sua gente a tu per tu.

E allora un disaccordo su base economica viene tradotto in censura. Un testo passabile (la storia di Matteotti, da ricordare sempre, nell’ennesima salsa), finti partigiani che si credono essere i grandi eroi di oggi ma che con la donna che vende la frutta la mattina non ci parlano.

Mentre tentano il rigurgito sulla cancellazione di un programma che molto probabilmente non avrebbe fatto gli ascolti (in tv conta la cassetta, soprattutto in tempi di magra), dimenticandosi volutamente che la lottizzazione della Rai odierna è frutto di una legge del fulminante governo Renzi a propensione PD , giusto per ricordarlo.

Quelli del governo di adesso fanno semplicemente quello che i loro predecessori hanno fatto prima di loro, ovvero non si preoccupano della qualità del programma in sé, ma decidono cosa è meglio trasmettere, prendendo di fatto i posti di autori e produttori che non sono più di razza, ma di etichettatura.

Oggi lo scrittore, vuoi o non vuoi, è una creatura mediatica, ma ha pochi lettori di fatto. Rispetto alla maggioranza di pubblico che non legge, forse perché non ha i venti euro per pagarsi il libro ben curato dallo Scurati di turno, il quale si eleva a vittima sacrificale e perseguitata, quando è riuscito nella magica impresa a entrare a far parte della letteratura popolare delle poche lirette, trasmettendo gratis il suo testo, delle quali qualche agenzia aveva interesse a vendere nonostante la banalità demagogica.

Una commedia del controsenso intrisa di farsa e di frustrazione personale di chi crede di avere ragione, salvo poi scontrarsi con una realtà di isterici da una parte e di menefreghisti dall’altra.

E poi su Facebook ci stanno gli utenti, quelli di sinistra che giocano a fare gli antifascisti. Ce ne sono parecchi. Li riconosci perché come pappagalli ripetono la stessa cosa, trascurando il lato commerciale della questione.

Mi hanno accusato di essere fan di Pino Insegno, che tra l’altro è un ottimo doppiatore per chi non lo sapesse, e di non girare le biblioteche. Beh, io mi servo spesso alla Mondadori della mia città. I libri li sfoglio. Ho letto Sartre, Camus, Fenoglio, Silone, Guareschi, e altri che non cito. L’ultimo libro efficace contro il pensiero nazista l’ho letto pochi mesi fa,. La Maschera di Marmo, scritto da Jean-CHristophe Grangé, uno dei giallisti più audaci che conosca. Ecco, quello è un libro che nel suo intrigo fa riflettere sul periodo storico dove è ambientato. Ma poco importa se in Italia non ha venduto, e poco importa se è passato inosservato.

Però il popolo di Facebook riesce a giudicarti attraverso l’icona del tuo avatar e ti giudica quando metti in risalto la contraddizione.

Il fantasma che loro decantano tanto in realtà non può tornare perché c’è un elettorato che vota ben altro, se vota, ed è un elettorato molto liquido, dalle mille contraddizioni. Cercano rappresentanti calati nel presente perché sanno che di nostalgia non ci si nutre proprio, e quando la fame prende il sopravvento col cavolo che vanno a pensare alle grandi imprese di quasi un secolo prima, anche perchè quelli che si spacciano per nuovi partigiani sono spesso demagoghi che non sanno accendere un fuoco in alta montagna.

Di fatto, il ritratto che ne sussegue è impietoso, volutamente votato verso il trash. S’inventano espressione mitologiche, e poi perdono miserevolmente le elezioni senza aver fatto i conti con l’oste. Allora vanno alla ricerca perenne del nemico da mostrare in prima pagina, quando il vero nemico è dentro di loro. Un nemico che si chiama presunzione (e non sta solo a Sinistra), della quale ci siamo nutriti fin troppo negli ultimi anni.

Loro invincibili ed eterni e migliori degli altri, Certo, a raccontare favolette che non hanno nulla di pragmatico, aggettivo questo che andrebbe accompagnato all’azione politica in sè.

I periodi storici iniziano e finiscono. Non durano in eterno, Passano attraverso anche anni di sofferenze.

Per me, che sia destra o sinistra, il politico più pericoloso è quello che crede di conoscere senza sporcarsi mai le mani come fa il contadino quando coglie i pomodori. Perché il politico che crede di conoscere il futuro è il primo degli idioti. Sempre. Magari poi si ravvede, ma lo fa quando l’elettorato sparisce.

A Crotone c”è un vecchio detto: “A gatta si frica nà vota sula (lsi inganna la gatta una volta sola)”.

Ecco, la gatta è l’elettorato.

E se non siete pratici di gatti, potete stare giorni a cercare di accarezzarli. Ma si sa che i gatti graffiano e fanno male.

Intanto, il dato di fatto è che il campo largo sa molto di masturbazione mentale, giusto per citare Giulio Cesare Giacobbe che su tale argomento psicologico ci ha scritto un saggio utile e divertente che oggi si trova in edizione economica tra l’altro.

Glielo regalerei personalmente al signor Scurati giusto per farsi un sorriso. Ma poi si offenderebbe quasi di sicuro.

Purtroppo è un dato di fatto che oggi quello che propone la multi task force della sinistra italiana è un mondo paralleto senza capo nè coda. Se dovessimo definirlo in maniera colta ed educata lo chiameremo film mentale, ma nella sostanza resta sempre una masturbazione mentale.

E la gente comune non voterà mai in queste condizioni.

Aurelien Facente, 23 aprile 2024

Fabrizio Corona e la verità che ci fa vedere… ma che non vogliamo ammettere

Preciso. Non sono un fan di Fabrizio Corona, ma lo rispetto. Perché lui è quello che non vogliamo vedere realmente, ovvero la rappresentazione di quello che il male della società italiana si è trascinato negli ultimi anni.

Ho avuto modo di visionare alcuni filmati di Corona che, qualche giorno addietro, ha presenziato l’inaugurazione di un negozio di vestiario in centro a Crotone, e badate che non è la prima volta che si fa vedere nella città di Pitagora.

Ebbi modo di notarne la presenza in un noto ristorante sul lungomare crotonese anni fa. Era il periodo dei primi problemi giudiziari mediatici che il personaggio viveva. Non entro nel privato e non entro nei dettagli, ma mi meravigliò un dettaglio. Aveva terminato di cenare, e si è prestato con estrema gentilezza a farsi dei selfie con il personale del ristorante. In maniera serena e tranquilla. La cosa mi stupì molto (ma fa parte del mestiere, mi dirà qualcuno), e in qualche modo ci rimuginai un po’ su. Non seguo la televisione e francamente sono molto contrario a un certo modo di mostrarsi. Ma questo lato umano del Corona mi aveva in qualche modo frastornato.

Qualche giorno fa, lo rivedo. Ero passato in lontananza e avevo visto la gente che entrava in questo nuovo negozio di vestiario sotto i portici. Non sono un amante delle inaugurazioni, soprattutto quando c’è folla. E, in effetti, la risposta non tarda ad arrivare, anche perché i filmati su Facebook e WhatsApp girano.

Anche in questa occasione mi stupisce, non tanto la voglia di vip di tanti crotonesi, la disarmante disponibilità del Corona a farsi immortalare con le persone. Qualcuno mi dirà che è il suo mestiere. Appunto, ma non lo fai solo perché è il tuo mestiere.

Corona oggi è quello che l’Italia rifiuta di vedere.

Un artista come Andy Warhol lo avrebbe applaudito, perché l’arte di Corona sta nel vendere la sua celebrità.

Proviene dal mondo dei paparazzi, la cui funzione è smerciare merce fotografica. Lui ne è maestro, e glielo riconosco, anche se eticamente può sembrare sbagliato. Ma il mestiere di paparazzo non lo fa chiunque, e devi essere molto scavezzacollo per praticarlo e venderlo. E questo ovviamente dà molto fastidio, soprattutto se becchi con certezza i bersagli dei tuoi scoop. Poi commetti l’errore e…

Corona ha saputo trasformare l’errore fatale in un’opportunità.

Lui è per l’immaginario collettivo una persona discutibilmente folle, eppure le sue inaugurazioni sono zeppe di persone. Te lo dipingono come un cattivo, ma lui si mostra disponibile (secondo me, se ci sai parlare, è pure simpatico) e amichevole. Lui ha commesso tante di quelle cavolate che avrebbe dovuto almeno restare chiuso per decenni in una comunità di recupero, ma lui è lì. Non me ne volere, Fabrizio. Ma il perché me lo sono chiesto, e sono arrivato ad una conclusione.

In Italia Fabrizio Corona è definito nel peggiore dei modi come star del trash.

Invece la commercializzazione del suo personaggio è solo l’opportunità di mostrare la deriva nazionale di un sistema politico e mediatico dell’Italia. Lui sarebbe benissimo un personaggio dei fumetti stile Diabolik o Kriminal, ma le sue avventure, vere o presunte, le leggiamo sui giornali.

Leggiamo la sua apparenza, ma dentro di lui non riusciamo a scorgere nulla, tranne quello che la tivù ci fa vedere.

Andy Warhol avrebbe ammirato questa estremizzazione delle sue teorie artistiche.

In verità, o quasi, il mutamento del Corona avviene nello stesso momento in cui il giornalismo comincia a decadere. Le riviste del pettegolezzo chiudono una dopo l’altra, tranne le storiche. Fare giornalismo in Italia è obiettivamente rischioso dal punto di vista economico. E oggi, effettivamente, un Fabrizio Corona paparazzo non renderebbe in Italia. E lui ha giocato di anticipo, mostrando quello che i media vogliono far vedere: uno spettacolo dove la gente si inorridisce, ma che nello stesso tempo ne rimane affascinata.

Lo scrittore J.G. Ballard lo avrebbe incluso volentieri nel suo romanzo sperimentale di fantascienza “La Mostra delle Atrocità”, perché di questo si tratta: della mostra di un’atrocità mediatica.

E davanti all’atrocità mediatica si sviluppa il concetto del dissenso.

Che se ne possa parlare bene o male, il Corona continuerà a vendere finché lo potrà fare. Perché è così che qualcuno ha voluto, e lui ha solo colto l’occasione di trasformare l’odio per lui in una macchina economica. Non tutti ci sarebbero riusciti, ma in una società che si appresta a glorificare la mostra delle atrocità è ben permesso e accettato.

Alla fine Corona, paradossalmente, diventa utile. Perché ti fa vedere quello che gli altri fanno finta di non vedere perché preferiscono l’illusione dell’apparenza.

Perciò ho trovato il dibattito crotonese avvilente. Perché tutti sono cascati nel gioco dell’apparenza. E per tale motivo non posso purtroppo nascondere un rispetto per Corona. Mi fa rivivere il romando di Ballard, che tra l’altro è tra i miei autori preferiti.

Aurélien Facente, 3 luglio 2022

L’omicidio del voto rappresentato dai referendum sulla giustizia

Che cos’è il voto oggi? Si tratta realmente di un simbolo di libertà di pensiero oppure è un atto di sottomissione? E se è un atto di sottomissione, chi ci sta?

L’ultimo referendum sulla giustizia con 5 domande (di cui almeno due importanti) meritava la riflessione, la discussione, la promozione. Tranne qualche faccia nota, la indifferenza istituzionale prima e quella mediatica dopo hanno influito molto sull’andamento della indifferenza al voto, sancendo ancora di più la separazione tra la politica e il pubblico, inteso come gente.

Non arrivare al 20% solo nella storia elettorale della città di Crotone, posto dove vivo, è sintomo ormai di una frattura multi scomposta che ormai sarà difficile risanare, se non tramite una lunga terapia di franchezza e chiarezza, cosa difficilissima per la generazione politica che ama il sotterfugio e la codardia, usando anche maschere di destra e di sinistra che non appartengono loro minimamente. E quelli che dovevano rompere il sistema, come Lega e Cinquestelle, danno il colpo del KO definitivo proprio con l’anomalia del governo Draghi che tutto è tranne il governo che serviva all’Italia, con buona pace del Presidente Mattarella cui forse (anzi è probabile) il bis non giova per nulla.

Non prendiamoci in giro. Ormai, vista anche l’affluenza alle comunali, la gente non crede più a questa generazione politica. Vota chi ci crede e chi s’illude di crederci. Il resto no. Un dato di fatto ormai incontestabile.

Si tira troppo la corda? Inevitabile che si spezzi se la corda è mal curata. Sembra un esempio banale, ma in Italia e a Crotone è accaduto proprio questo. Si pensa che la leggerezza e la propaganda tenessero lontana la pesantezza dell’esistenza. Non è così.

Ora capire le ragioni di questo massacro elettorale è lungo e complicato perché le origini partono da lontano, e la malattia è conclamata su tutti i livelli.

Una malattia di marcio che viene percepita proprio attraverso i media, che preferiscono raccontare verità assurde pur di non andare al centro del problema. Ci sono sacche numerose di persone che non credono più alla politica. Li hanno chiamati in tutti i modi: populisti, fascisti, no vax, putiniani.

Hanno puntato il dito contro senza mezza misura e senza mezzo ascolto.

Le élite politiche hanno preferito questo gioco di elevazione sulla testa delle persone, condannandole anche nel non aver avuto l’opportunità di avere un percorso di studi sufficiente.

Un comportamento disgustoso. E ovviamente recepito in silenzio dal pubblico, che poco alla volta si allontana. Un pubblico che non recuperi più. Perché semplicemente non ti crede, e non trova l’utilità nel voto. Perché il voto è un credo, e il credere si basa sulla fiducia. Se tradisci la mia fiducia, io non ti voto.

E il referendum, seppur tecnico e complesso, è stata la prova del fuoco.

Ci troviamo inevitabilmente in una deriva senza precedenti. I giornaloni possono prendere in giro chi vogliono, ma le redazioni farebbero bene a farsi un’altra domanda: perché la gente non vota?

Sempre colpa dei fascisti, populisti, no vax, putiniani e quanto altro ancora?

O mera incapacità di una politica generale che non guarda più ai cittadini, ma solo a propri interessi di chissà quale natura?

La pandemia e la guerra in Ucraina, con le loro narrazioni esageratissime, sono state usate chiaramente da una politica non coraggiosa e non sincera per mantenersi alto, e i media hanno appoggiato l’idea di un governo eroico, che in realtà sulle scelte non fatte c’è da scriverci un libro.

Il tempo, poi, fa il resto.

Viviamo un’epoca che Andy Warhol sarebbe felice di vivere, perché è l’apparenza dell’immagine a dominare, e non la sostanza dell’individuo.

Questa generazione politica (e il fenomeno è molto più europeo di quel che si pensi) ha preferito l’immagine alla sostanza. Anzi, al fermoimmagine. Allo screenshot.

Quello deve essere e basta. Chi contesta è solo da mettere in pubblica piazza in pubblica esecuzione e pubblica umiliazione. Un comportamento da bullo sostanzialmente.

E nel frattempo lasciamo perdere i referendum, e stiamo nella macchina della giustizia sempre più burocratica che costa e produce pochi effetti giusti.

Questo ormai la popolazione lo recepisce. Perché è dalla giustizia che passa il senso dell’uguaglianza sociale, cosa che ovviamente è stata calpestata negli anni. Con buona complicità di un sistema che secondo Costituzione prevedrebbe la separazione dei poteri, ma in realtà sappiamo che non è così al 100%.

E poi c’è la mia Crotone. Affluenza bassissima. Ma in un posto dove non sono stati nemmeno affissi i manifesti del referendum, cosa si poteva credere?

Diciamoci la verità. Il referendum è stata la vittoria a supercazzola di un certo potere e ne gioisce.

Peccato che non si rendano conto che un piede nella fossa ce lo stanno mettendo proprio loro. E lo scopriranno nel 2023, sempre che si vada a votare. Perché qui, mi dispiace dirlo, sono abbastanza scettico.

Anche io non credo a questa generazione politica.

Aurelien Facente, 13 giugno 2022

L’insostenibile pesantezza del sindaco Voce mediatico

C’è un curioso fenomeno mediatico nella città di Crotone. Si chiama Vincenzo Voce, e di professione fa il sindaco da almeno un anno buono. Questo simpatico signore ha deciso di avventurarsi in un’avventura scapestrata e complicata, e non c’è giorno che non se ne parli. Mi trovo costretto il più delle volte a parlarne anche io nei miei “live” perché almeno non mi annoia.

   Ma a volte bisogna fermarsi. La tua vita non può sempre passare dal parlare giorno e notte del sindaco della città maglia nera d’Italia. Mi piacerebbe parlare di altro a volte. Ci provo. Ma in una cittadina come Crotone dove la pandemia ha chiuso teatri, cinema e qualche museo (ma qui non è stata la pandemia) e dove la disoccupazione dilaga che è una bellezza, si è portati a concentrare il discorso sull’unico argomento che tiene viva la comunità: il sindaco Voce.

   Ci sarebbe il calcio, ma attualmente il Crotone Calcio non sembra di poter ammazzare il campionato. E siccome una squadra che non va bene non è argomento di entusiasmo, ecco che il principale argomento resta il sindaco con tutta la sua ciurma tra giunta e consiglio comunale.

   In questo articolo non darò un giudizio politico su Voce (anche se in un anno non è che mi sono tanto annoiato), ma proverò a capire lo strano fenomeno mediatico che si chiama Voce.

   Finisce sui giornali (è il sindaco) un giorno sì e un giorno no. Poi diventa oggetto di opinioni anche piuttosto accese. Se togliamo gli oppositori diretti (politici e mediatici), quello che lo fa diventare popolare è ovviamente la gente di tutti i giorni. Quella stessa gente che lo votò un anno senza neanche capire tanto il perché, poiché adesso ci pensa.

   Devo ammettere che a me questo tipo di fenomeno mediatico non piace assai. Perché da fenomeno mediatico diventa poi fenomeno sui social, al quale i suoi stessi alleati di governo non si sottraggono. E allora, come il 13 novembre 2021, rischi di passare un pomeriggio e una serata a trovarti immerso in una storia senza né capo e né coda, senza nessun nesso logico, e dove francamente è difficile prendere una posizione perché l’argomento è talmente basso culturalmente che fai fatica solo a dargli un senso.

   L’oggetto del contendere è una candidatura di Vincenzo Voce alla presidenza della Provincia di Crotone, un ente che serve giusto per servire. Un ente al quale è stato tolto qualsiasi coinvolgimento di voto popolare, e questo ha portato l’ente a essere uno scaricabarile. Può essere eletto anche un consigliere di misera opposizione come Presidente della Provincia. E da quando quel fenomeno politico dell’ex ministro Del Rio ci ha lasciato questo ente ridotto a colabrodo a causa di una schiforma azzardata, al suddetto ente hanno eletto (consiglieri e sindaci) sempre il sindaco della città capoluogo, così come è stato testimoniato dalle elezioni degli ex sindaci Peppino e Ugo.

   Ora toccherà a Vincenzo Voce confrontarsi, e sembra che ad accompagnarlo ci sarà il PD, un partito molto schizofrenico in questo momento storico, tanto schizofrenico che alle scorse comunali non era nemmeno presente. E il sindaco fu eletto proprio perché era distaccato, quasi, da questo partito in crisi d’identità.

   Esce la notizia di questa, quasi, improbabile alleanza. E si scatena il finimondo.

   Ieri, 13 novembre, si è raggiunta l’apoteosi dell’aspetto più trash della vicenda.

   E già la settimana era stata trash.

   Commenti su commenti, colpi di scena, comunicati stampa che arrivavano uno dietro l’altro, prese di posizione non richieste, minacce di denunce in tribunale.

   Non c’era motivo proprio di annoiarsi.

   Ma d’infastidirsi parecchio sì.

   Non prendo le difese di nessuno, tranne che del singolo utente.

   Va bene la satira, va bene approfondire la notizia, va bene la discussione da calciomercato. Ma l’ossessionarsi no. O almeno immergersi in questo mare acido su un’elezione che non coinvolge nemmeno la gente di tutti i giorni non è meritevole di dibattito pubblico.

   Vincenzo Voce, come tutti i politici al centro dell’attenzione, suscita dissenso. Ovvio. Ma mai avrei immaginato che diventasse un soggetto mediatico di immani proporzioni. Un’insostenibile pesantezza mediatica molto irritante.

   Io non me la prendo con Vincenzo Voce per questo. Ha tutta la mia comprensione umana (non politica, badate bene). Ho la seria impressione che a Crotone, dal punto di vista storico, stiamo vivendo qualcosa di inedito e che va osservato con una certa attenzione, senza farsi coinvolgere troppo dal lato emotivo.

   In una città piccola come Crotone ormai il sindaco è diventato il VIP d’eccezione. Non abbiamo altro VIP all’infuori di lui. Questo va al di là di qualsiasi discorso politico elettorale. Vincenzo Voce è riuscito in un’impresa mediatica, senza volerlo tra l’altro, che forse è riuscita solo a Silvio Berlusconi. Essere sempre sulla bocca di tanti.

   Di sicuro c’è una cosa: è grazie a questo genere di fenomeno mediatico che capisci perché Crotone è in fondo alla classifica delle città vivibili.

   Con tutto il rispetto che si può avere delle opinioni più contrastanti. Ovviamente.

Aurélien Facente, 14 novembre 2021

Vignette realizzate da Indifferente, che potete trovare al seguente link: https://www.facebook.com/InDifferente-100702875603017

Lo sapete come pensa la vittima di un bullo?

Scenario. Crotone. Lungomare. Sabato sera. Ritrovo dei giovani in prevalenza. Periodo: in pausa pandemica, la gente tende ad uscire. I giovani, quelli che la politica decanta spesso e male, sono come bestie incattivite uscite dalla gabbia. Gli episodi di risse e litigi ormai sono una consuetudine, e il fenomeno negativo è affrontato male sotto tanti fronti, a cominciare da quello politico e giornalistico.

Vi spiego come funziona. Due soggetti litigano e vanno alle mani. Le urla e i gesti attirano e si forma la cosiddetta ruota. Andiamo a vedere che succede è la frase che si alterna con le urla dei protagonisti. La rissa non viene solo tra giovani. Capita anche agli adulti.

Sono decenni che questa è una triste tradizione degli usi e costumi crotonesi. I motivi possono essere i più svariati, ma la prima causa è sempre il cervello scollegato dalla realtà, seguita da un certo machismo che deve dimostrare la legge del più forte nella giungla.

Già, perché le bestie incattivite si sentono forti, e soprattutto autorizzate a farsi valere.

Capita anche al ragazzo gracile di uscire e di voler passare la sua serata. Già, perché non tutti hanno il cosiddetto fisico del lupo. C’è anche chi nasce più gattino, diciamo. Mi scuso se uso termini di animali, ma non voglio offendere. Voglio provare a descrivere il fenomeno per come è, senza mettere in ballo razzismo, fascismo e omofobia. Il bullismo, quando si manifesta, se ne sbatte di questi termini.

All’inizio avviene con una battuta. Il bullo, da lontano, fa la sua battuta infelice. A Crotone si usa spesso la parola “ricchione” quando si vede un ragazzo gracile. Se poi si veste in modo non tradizionale o magari ha un nome non comune, allora il bersaglio entra nella mente del bullo, che si autorizza da solo a colpire.

All’inizio lo fa per attirare l’attenzione. Ma la risposta del ragazzo è timida, e sarà sempre mal tollerata. Nelle serate che passano (susseguiti dai giorni) il bullo si rende conto che può continuare a colpire, e ogni volta che colpisce si sente più forte. Non esiste un perché a quello che fa. Per il bullo accanirsi sul prossimo fa parte del rito animale del predatore più forte. Ma mentre un predatore uccide per nutrirsi, il bullo lo fa per altre motivazioni.

Spesso coinvolge il suo branco di amici lupi. Sì, perché si coprono a vicenda e quando il malcapitato prova ad accusare, il gruppo si unisce definendo l’altro come un folle, e che loro magari avevano solo scherzato. All’inizio tutti giocano la carta del fraintendimento, ma non è così. Il loro scopo è sempre passare il tempo per portare avanti la loro supremazia. E sono talmente abili da scegliersi il bersaglio, perché sanno di agire in un contesto dove lo stesso bersaglio difficilmente parlerà e dove l’omertà si tramuta in facili moralismi da Facebook.

E poi capita il sabato sera. Qualche bottiglia di alcol in più, magari accomunata a qualche tipo di droga in alcuni casi. Ma il contesto rende più feroce il bullo. Perché lui si sente forte in mezzo al pubblico. E succede che la provocazione si tramuta in offesa sistematica. La vittima, spesso, si allontana. Sì, perché è meglio ignorare, usare l’indifferenza, piegare la testa. Ma l’indifferenza alimenta la ferocia del lupo, che si sente sempre più autorizzato a perseguitare la vittima. E allora lo segue con la macchina, si procura il numero di telefono per fargli qualche dispetto, si crea un profilo ad hoc su Facebook per disturbarlo.

All’inizio è difficile che le vittime parlino. Perché per loro significa ammettere di essere deboli e inadeguati, e la maggior parte delle volte temono di non essere credute. Perché magari un chiarimento lo hanno chiesto, ma si sono trovati una platea di persone cui non gliene fregava un cazzo di niente. Oppure gli tirano la scusa che è un bravo ragazzo che ha qualche problema e va compreso.

Se accade questo, per la vittima è finita. Perché l’immagine del bravo ragazzo è la perfetta maschera del bullo. E allora si rassegna. E tenderà a subire, senza avere la protezione adeguata. Perché il suo silenzio sarà il prezzo da pagare.

Così gli insulti e gli abusi aumentano. E la vittima continua a soffrire in silenzio. Per un tempo senza tempo. Deve provare a mantenere la pazienza, perché è quello che gli dicono gli altri, tra cui forse anche il genitore. Ma il tempo della sofferenza si allunga e schiaccia.

Quindi arriva il sabato sera. E scatta qualcosa. Magari la vittima si è stancata e risponde al bullo in un modo che non possa essere uno scambio di battute. Inizia l’aggressione fisica e si forma la ruota. C’è anche chi filma. Il circo delle belve si esibisce sul lungomare. Non ci sono tifosi, ma spettatori di uno spettacolo penoso.

Alla vittima non gli farà male il sangue che gli esce dal naso, ma dello sguardo degli altri. Quello sguardo che lo perseguiterà più del pugno. Perché sa che con quel gesto il bullo, il più delle volte, smette di tormentare e andrà per la sua strada. Ma lo sguardo degli altri resta. Perché puoi ammettere di essere più debole, ma non potrai mai farlo se l’umiliazione assomiglia ad un’esecuzione in pubblica piazza.

Il danno è fatto.

Il giorno dopo è sempre il peggiore. Perché dalle botte ti puoi rimettere, ma delle ferite dell’anima no. Non subito almeno. Ci vuole tempo per quelle. E il non sapere quando finirà ti farà ancora più male. L’unica consolazione è che adesso si sa che c’è un bullo che ti ha picchiato e che ha fatto la sua figura. Ma non risponderà alla domanda che ti affligge: perché tu?

Per la tua diversità? Per la tua fragilità? Per la tua unicità? Per la tua debolezza? Perché tu? Sono solo alcune tra le mille domande che ti tortureranno l’anima, mentre proverai a mettere un po’ di ordine in un conflitto emozionale strettamente personale.

Ma il giorno dopo è sempre il peggiore. Perché finisci sulla bolla degli altri, sulle tastiere degli smartphone, diventi il titolo di qualche giornale. La speculazione del pettegolezzo arriverà a farsi passare per solidarietà, e per te sarà il ritratto dell’ipocrisia. Perché tu non crederai a una comunità che è rimasta guardarti, e magari l’aiuto è venuto proprio da chi non ti aspettavi. Sai benissimo che c’è qualcuno di buono, ma sai anche che c’è tanta indifferenza di comodo.

Adesso ti trovi all’interno di un labirinto emozionale, e per trovare l’uscita dovrai fare piccoli passi alla volta. Diventerai più forte, ma sarai anche molto diffidente. Lo so perché ci sono passato anche io.

Ho letto anche io tante parole su Facebook e tanti articoli. Molti a usare il termine omofobia. No, non si chiama omofobia. Si chiama cattiveria. Perché quando un individuo ti perseguita lo fa per cattiveria. Un bullo non conosce volutamente determinati termini perché vuole il passatempo e basta. Lui avrà al sua condanna, ma non sarà facile strappargli il perché delle sue azioni cattive. Perché il bullo lo fa e basta. Puoi provare a parlargli, ma il bullo non ragiona perché non vuole passare per un debole. Potete incolpargli la famiglia per come lo ha cresciuto, ma in realtà il bullo indossa una maschera di crudeltà, e per sfilargliela bisogna che il tempo passi o che almeno provi almeno un po’ di quello che la sua vittima ha provato. E allora capirà, e forse si redimerà.

Crotone, mia amata e odiata Crotone. Il paradiso è soltanto la maschera che i tuoi abitanti indossano per non guardare il lato oscuro della società. Voi, cari concittadini, non avete idea di quante storie come questa siano presenti da decenni. Di sicuro non si affrontano con qualche post su Facebook.

Aurélien Facente, 30 giugno 2021

Inginocchiarsi non è una moda, ma deve essere un gesto spontaneo

Sta facendo discutere una strana moda culturale contro il razzismo. Sembra che adesso inginocchiarsi per dimostrare di essere contro il razzismo sia diventata la priorità per dimostrare di non essere razzisti. Beh, la simbologia può avere un significato profondo quando il gesto è spontaneo, ma non imposto.

In occasione degli Europei calcistici, se ne stanno ascoltando di tutti i colori letteralmente. Ormai è evidente che ci sono nazionali multietniche (la Francia in primis, ma anche Inghilterra, Italia, Germania per citarne altre). Lo sport mette pace dove la politica non riesce. La storia dello sport è piena di queste imprese. Basta studiarla. Nello sport tutto deve essere all’insegna della spontaneità. L’abbraccio degli azzurri italiani in mondiali passati è stato un esempio di forza e di unione.

Eppure la moda dell’inginocchiarsi deve essere praticata per forza. Come se la cosa dimostrasse già da sola che sconfiggerà il razzismo. Mi rendo conto che ci vuole una simbologia, ma se viene imposta da qualche capopartito per fare il piacione agli occhi del mondo rasenta l’ipocrisia al massimo.

Enrico Letta, ad esempio, impera in televisione con questo tipo di pensiero, che si potrebbe condividere se la cosa fosse vista come un invito alla riflessione. Ma evidentemente Enrico Letta e simili non hanno letto André Gide o James Baldwin nel dettaglio, oppure non conoscono il cinema di Spike Lee o forse non hanno nemmeno visto il film “Mississippi Burning” di Alan Parker. Potrei andare avanti nell’elenco di autori. Doveroso ricordare Harper Lee con il suo libro “Il Buio oltre la Siepe”. Ma potrei continuare.

Sono autori che, attraverso varie forme di narrazione, hanno combattuto e parlato meglio del razzismo più di altri, ma non hanno mica chiesto agli altri di inginocchiarsi.

Il simbolo della scusa, della richiesta del perdono, del porre la mano in segno di pace è un gesto di grande discrezione semmai. Deve avere una sua spontaneità se avviene con una certa discrezionalità. Se deve avvenire perché si deve fare spettacolo, allora sarà finto. O apparirà come tale. Non sarà convincente.

Ci sono modi e modi per dimostrare di non essere razzista, caro Enrico Letta.

Educare alla lettura di opere come “La Prossima Volta il Fuoco” di James Baldwin all’interno delle scuole, oppure farlo rieditare in una collana di libri economici affinché possa raggiungere una platea.

Promuovere la visione del cinema di Spike Lee nelle università o anche nelle scuole stesse, o perché non trasmettere in prima serata su RaiUno film come “Jungle Fever” o “Fà la cosa giusta” invece di propinarci di serate a perditempo con facce come quelle dei politici attuali? Non sarebbe meglio?

Fare gesti concreti di solidarietà senza fare la continua predica, evitando determinati spettacoli.

Lasciare spazio ad una vera informazione reale, e non ad amplificazioni della realtà.

L’uomo bianco ha commesso tante porcherie in passato, ma non è l’uomo bianco di oggi. Oggi la maggior parte degli uomini bianchi sanno che ci sono anche i gialli, i rossi e i neri. I bambini già crescono insieme senza guardare il colore dell’altro. Basta farsi un giro nelle scuole per verificare. Basta vedere quando giocano insieme, e quando saranno adulti troveranno il modo di continuare a essere amici. Lo faranno spontaneamente, non perché gliel’ha detto qualcuno in televisione.

Perché qua si decanta, ma non si guarda la realtà nel dettaglio.

Ogni luogo ha una storia. Ogni luogo ha delle persone. Ogni luogo si arricchisce quando il prossimo sa di avere le stesse possibilità di crescere come l’altro, in termini lavorativi, economici e culturali. Ogni luogo si arricchisce quando questo avviene con una certa spontaneità. Ogni luogo si arricchisce quando io voglio conoscere l’altro per quello che è, non per quello che mi appare. E richiede un certo tempo tra l’altro. Non si obbliga, ma si educa. Vale per me, come vale per l’altro.

La violenza si combatte sempre. Ma non lo fai imponendo. Perché la violenza c’è sempre stata. L’essere umano è violento per natura, e solo con il tempo acquisisce la saggezza. E l’acquisisce con la conoscenza e con la voglia di stare insieme all’altro.

Le grandi trasformazioni della società non sono mai avvenute perché l’hanno voluto fare i politici, che nella storia sono stati spesso i peggiori negazionisti. Basta studiare il mondo in cui agiva Martin Luther King. O provate a chiedere ad André Gide quando andò in Congo per poi tornare a denunciare il cattivo colonialismo francese. Ci saranno purtroppo sempre sacche di violenza e di ignoranza, ma si combatteranno sempre quando la voglia di conoscere e di stare insieme saranno spontanee.

La conoscenza è la migliore arma contro il razzismo, la cultura per combatterlo, il gesto spontaneo per dimostrarlo. Non perché lo dice qualcuno in televisione.

Un gesto ha sempre bisogno della discrezionalità del cuore per essere sincero. E sarà sempre così.

Aurélien Facente, 26 giugno 2021

Cari genitori, bisogna ammettere ai vostri figli che avete una paura matta, altrimenti non ve la perdonano

Crotone, gennaio 2021. Per fortuna non ci si può lamentare dell’inverno. La natura ci sta regalando qualche giornata piena di sole, e forse è questo che rende triste il crotonese medio. Non può passeggiare come prima, e deve stare attento. C’è il coronavirus in giro.

   Ora detta così, sembra che voglia mancare di rispetto a chi il coronavirus lo ha avuto o a chi lo ha vissuto pagandone il prezzo. Purtroppo avviene anche per altri mali, e mi stupisce il comportamento isterico dei crotonesi che hanno vissuto la strage dei tumori.

   Una delle cose più insopportabili è la litania della scuola, e qua il governo c’entra assai.

   È stato ragionevolissimo chiudere nella prima fase le scuole. Avevi a che fare con il coronavirus la prima volta e non sapevi come gestire la cosa. Il problema è che i genitori, già abbastanza preoccupati del loro destino incerto, sono stati alimentati da una comunicazione, anche governativa, fatta solo di incertezza che ha anche coinvolto gli addetti ai lavori, non offrendo garanzie e tranquillità.

   E voi pensate che siano stati i genitori a pagare tutto lo scotto?

   No, sono stati i bambini e i ragazzi ovviamente.

   Con un prezzo fatto di egoismo puro e crudo pur di nascondere la fifa.

   Sia chiaro. Non vado contro la patria potestà genitoriale, ma mi piacerebbe ascoltare le opinioni dei bambini e dei ragazzi. In fondo si tratta della loro possibilità di costruirsi un futuro, eppure cadono vittima di un sistema che ha soltanto prodotto isterismi ed incertezze.

   Qualcuno mi direbbe: “Tu non sei un genitore e non sai che cosa significa.”

   Io rispondo: “So però che cosa vuol dire essere figlio e so che cosa vuol dire quando un genitore usa il bavaglio della paura pur di sentirsi dire che ha ragione, pur sbagliando clamorosamente.”

   Crotone, ma non solo, ha offerto il peggio sulla tematica scuola, proprio cominciando dai genitori.

   Il governo, nell’incertezza, ha dato delle concessioni, pur promuovendo la didattica a distanza, detta DAD (il che mi preoccupa perché la sigla è l’appellativo di papà in inglese, dad appunto). Ma la DAD ha bisogno almeno dell’acquisto di un buon PC. Certo, c’è lo smartphone, ma i ragazzi mica si possono rovinare la vista per stare dietro a lezioni che non sono lezioni. Meglio leggere direttamente qualche buon libro o visionare documentari. Più efficaci, se permettete.

   Ma ovviamente non sono io a decidere.

   Credo fermamente che la scuola e i genitori abbiano perso, almeno parlo per Crotone, la voglia di parlarsi, quindi di avere un’occasione per dibattere sul futuro. Perché dopo sessanta giorni di lockdown si poteva tranquillamente giungere ad una prima conclusione sull’efficacia della didattica a distanza, o almeno provare nuove strade lecite. Basta usare l’ingegno, che fa parte dell’intelligenza o del buonsenso.

  E invece la litania dell’esistenza del virus e basta, senza neanche domandarsi se i propri figli avessero qualche domanda da fare, poiché si tratta di un dibattito che riguarda il loro futuro. Ma no. Meglio crepare di paura e continuare a distruggere, piuttosto che provare ad avviare una discussione fatta di idee (ma si sa che è meglio andare dove porta l’istinto, piuttosto che provare a usare l’intelletto).

   Una brutta pagina di egoismo.

   Fermo restando che sono per la decisione libera del genitore per quanto riguarda la gestione e l’educazione del proprio pargolo, delle quali però se ne deve assumere anche la responsabilità.

   Sono fioccate ordinanze regionali e comunali, seguite a loro volta da ricorsi presso la giustizia. Genitori che hanno espresso legalmente il loro dubbio e ognuno adducendo una propria motivazione legittima. E così accadde il massacro mediatico su Facebook, una delle pagine più vergognose della vita cittadina crotonese.

   Invece di provare a comprendere (almeno per iniziare un dibattito), meglio massacrare e insultare genitori che volevano alquanto capire (oltre al fatto che ognuno presenta una problematica diversa, e almeno in quella andavano quantomeno rispettati).

   Ora il governo italiano ha deciso di riaprire le scuole, usando un misto tra presenza e didattica a distanza. La scuola deve riaprire perché bisogna dare prima di tutto un segnale di coraggio e di ripartenza, e poi sia i bambini sia i ragazzi sapranno dare la migliore risposta in ogni caso, quella risposta che il mondo adulto non ha saputo e nemmeno provato a dar loro.

   Io sono stato bambino e ragazzo, e in più sono stato figlio di insegnanti. Ma conosco anche il mondo dei malati per questioni strettamente personali. Sono stato abituato a rispettare la malattia, ma non a farmi soggiogare dalla paura. La malattia può anche essere un ottimo motivo di discussione sul futuro, mentre nel presente lasciamo che gli addetti ai lavori trovino una soluzione terapeutica.

   Provare a non avere paura è la migliore risposta che si possa dare al mondo medico, oltre ovviamente al rispetto delle precauzioni fin dove è possibile.

   Tanto poi la storia umana prima o poi prenderà la sua risposta migliore. Che lo faccia socialmente o a livello medico poco importa. L’essere umano è stato capace di convivere anche con peggio.

   Però vorrei chiedere qualcosa ai genitori, che più o meno fanno parte della mia generazione (ho 42 anni). Ma al di là delle vostre legittime preoccupazioni, non temete il giudizio che avranno i vostri figli vedendovi così fragili e incerti (oltre che un poco fifoni)? Sapete perché vi faccio questa domanda? Perché credo nell’opportunità del dialogo. Ed è in momenti come questi che la famiglia e la scuola dovrebbero parlarsi, piuttosto che dare peso alle paure. Perciò fate un bel respiro, abbattete la vostra paura egoistica, e iniziate adesso a parlare. Altrimenti sarete voi che avrete bisogno di tornare a scuola, magari in compagnia dei vostri figli più piccoli.

   La vita, dopotutto, è fatta per essere vissuta. E non esiste solo il virus, dannazione!

Aurelien Facente, gennaio 2021

Crotone tra zone rosse, arancioni e gialle e tra carenze di tanto buonsenso e di cervelli indipendenti…

Sono stato in silenzio per un po’ di tempo. Almeno qui. Ho preferito non scrivere. Tanto non serviva scrivere. Che scrivi a fare in un paese, Crotone, fatto di abitanti che non sanno leggere. Ovvero leggono, ma leggono come parlano, perciò leggono quello che vorrebbero sentirsi leggere.

   Non tutti sono così, ma una maggior parte. Lasciate stare l’introduzione.

   Qualcuno si potrebbe offendere, ma poi quando è il giornale Sole24Ore che stila la classifica annuale del miglior posto d’Italia, ecco che Crotone risulta essere l’ultima, e questa volta è stato sottolineato l’aspetto culturale del posto. E qui nessuno che si scandalizza. Già. È inutile scandalizzarsi. Tanto noi crotonesi siamo ultimi.

   E ve lo meritate, cari concittadini. Non arrabbiatevi. Il dato di fatto è questo. I crotonesi sono ultimi.

   Qualche settimana fa, ho scritto su Facebook: “Sei di Crotone se sei demenziale e pensi di essere il top.” Una cosa del genere. Non vi dico gli attacchi personali. Ovviamente la mia era una semplice provocazione. Crotone è piena di top. Ma ci sono i top dell’eccellenza, i top della demenzialità, i top della mediocrità, i top del peggio.

   Crotone ha i suoi top del meglio e del peggio.

   Ma oggi è il peggio a proliferare.

   E il bello che si pensa di essere i migliori quando tutto il mondo vede il peggio.

   Basta farsi un giro in città e solo vedere il proliferare di cartelli vendesi tra negozi e appartamenti. Una città che non vende i suoi appartamenti non è il top.

   Una città, per essere tale, deve essere un posto dove la voglia di andare a viverci c’è.

   Appartamenti solo in vendita a discapito di quelli in fitto non è un sintomo di salute.

   E appartamenti in vendita vuol dire che molto probabilmente c’è gente che se n’è andata, ed è gente che difficilmente tornerà tranne che per qualche giorno di vacanza.

   Crotone, negli ultimi due mesi, ha vissuto il festival dei colori, passando dal giallo al rosso e ogni tanto intrattenendosi con l’arancione.

   Facebook, la piazza virtuale preferita dai crotonesi, è stato (e continua) a essere un vespaio di minchiate ultragalattiche. Faccio un esempio: postano una foto dove il Corso Via Vittorio Veneto, la zona attigua al palazzo del municipio, è piena di gente.

   Piena come però? Perché essendo un fermo immagine con prospettiva falsata tra l’altro, perché nessuno si rende conto che sono persone che camminano, che vanno per i fatti loro, tutti con le mascherine (tranne due o tre), e soprattutto non stanno fermi proprio per non creare quell’assembramento proibito dal governo e dalla televisione italiana… Bene, ecco che qualcuno posta la foto e tutti a puntare il dito contro, salvo poi capire che qualcuno dei commentatori era presente in quel falso assembramento.

   Non è demenziale scoprire qualcosa del genere. No, i signorini si offendono. E se la prendono pure. Ma solo se tu glielo dici. Poi se è il Sole24Ore a farlo, tutti zitti e muti.

   Da queste piccole cose capisci lo stato di salute mentale della popolazione.

   Nella mia misera attività di scrittore ed ex giornalista, ho avuto la bontà di comprendere che denunciare con ironia un problema non vuol dire offendere, ma far presente che c’è un problema che può essere risolto anche con un po’ di buonsenso e di ironia, quest’ultima che non guasta mai.

   No, tu hai offeso…

   Allora la mia domanda è: se siete tanto preziosi, allora perché Crotone è ultima?

   Ed ecco la scusa del vittimismo perpetuo che detta al contrario nasconde la vera verità: Crotone è ultima perché l’abbiamo voluto e perché ci piace vivere un’eterna favoletta dove ci mettiamo dentro Pitagora e Milone e siamo tutti felici e contenti.

   Voi capite che questa storiella agli occhi di chi ascolta queste motivazioni andrebbero bene per un cartone animato.

   Poi se vai avanti e approfondisci il discorso, ti rendi conto che Crotone è una città diventata paese, dove il cittadino è diventato popolano, e dove il cervello libero viene soffocato da una mandria di esserini convinti di essere il top.

   Non tutti sono così, e lo sottolineo. Conosco gente che si fa il culo a quattro per sopravvivere, e c’è gente che usa il cervello con una certa indipendenza non andando dietro alle chiacchiere dei paesani.

   Crotone è un villaggio mascherato da città, e questo comporta la verità oggettiva dell’essere ultimi.

   Bene, ora che lo sapete fatevene una ragione. Per salire la classifica e trovarsi in posizioni migliori bisogna lavorare molto su se stessi e dimostrare prima di tutto di avere dei forti limiti. E poi pian piano si risale, soprattutto usando tanto olio di gomito. E cervello soprattutto.

   Già, il cervello che è mancato, perché nell’anno del signore 2020 la gente ha preferito puntare il dito contro quello che faceva la spesa, quello che faceva uscire il cane, quello che si faceva soltanto una camminata per respirare, tra l’altro rispettando perfettamente le regole di prevenzione del coronavirus.

   Invece di vedere queste cose, una condanna continua.

   Quando determinati paesani crotonesi avranno la volontà di ammettere la loro personale paura (dovuta non solo al virus), faranno un primo passo di civiltà. E se la smettessero di usare lo smartphone per vedere quello che fanno gli altri, magari mostrando comprensione allora forse comincerà a diventare cittadino.

   Ora come ora Crotone è un posto come un altro, tra pregi e difetti.

   Può essere zona rossa, zona arancione, zona gialla. Ma la sostanza non cambiano.

   Una città la fanno i cittadini. E se Crotone è ultima è perché i cittadini stessi lo hanno voluto. Ci si potrebbe scrivere un libro.

   Comunque, buon anno e che sia un anno di risalita e non di chiacchiere su Facebook.

Aurélien Facente, gennaio 2020

Media pornografici e sadomasochisti in offerta agli spettatori spaventati dal Covid-19

Ammetto di non vedere la tv da almeno sei mesi. Ma in realtà non la vedo da oltre un anno, tranne quando c’è qualche buon film o qualche buon documentario. Prima la spegnevo, ma da quando ho cambiato abitazione non mi è venuto nemmeno la voglia di comprarla. Se voglio vedere un film, mi basta il PC. Cuffia, davanti allo schermo e via.

   Però, per motivi “istruttivi”, devo vedere lo stato dei media italiani, giornali e tv in primis. E mi rendo conto del peggioramento.

   In Italia la situazione mediatica è degenerata a livelli pornografici mai visti. Neanche le più agguerrite pornostar arrivano a tal punto. Anzi, adesso vedere un film osé è più utile che vedere tanti talk show buoni solo a urlare, urlare e fare stupida morale.

   Guardate lo scandalo in Calabria. Un commissario alla sanità che si dimette perché non fa il commissario alla sanità. Una serie di giustificazioni scritte qua e là, e il commissario (che annuncia le dimissioni, presentandole) va in televisione senza nemmeno provare vergogna e si offre in pasto al pubblico televisivo. E con che storia poi, addirittura stupefacente.

  Non parliamo poi del seguito.

  Cotticelli è il classico mostro da prima pagina da mettere al patibolo.

  Ma se uno accetta, se vogliamo affidarci al senso logico, allora vuol dire che la sa lunga. Talmente lunga che tra qualche giorno finirà nel dimenticatoio e si godrà una bella pensione (oltre alle partecipazioni televisive future) che gli permetterà di vivere bene, in faccia a chi lo ha insultato su Facebook e spernacchiato.

   Un mostro offerto così per far parlare gli altri.

   Ma nessuno si chiede se nel frattempo si sono presi provvedimenti, nel senso che magari viene messo a punto quello che manca.

   No, ai poveri spettatori (poveri non tanto, ma scemi sì perché cascano nello sfogo social) che sono tanto spaventati da questo Covid-19 che viene visto come il Virus dell’Apocalisse (e chissà perché questo virus apocalittico ci riserva giornalmente tanti guariti, che tra l’altro dovrebbero infondere fiducia proprio perché si guarisce).

   Il 2020 è un anno tragico. Gente che si ammala. Molti muoiono, ma tanti guariscono. E nel frattempo una nuova arena romana è offerta al pubblico. Panem et circenses, direbbe qualche celebre antico romano. Penem et circenses sarebbe il titolo più esaustivo.

   Sì, perché i limiti sono ovviamente superati alla grande.

   In Tv si condanna la gente perché si ammala, i politici condannano i cittadini che si infettano, trovano il fannullone di turno e lo mettono in pubblica piazza ma poi le cose, se si faranno, avanzano con lentezza. E poi sempre la stessa storia, poi soprattutto qui in Calabria con la sanità ridotta ai minimi termini assistenziali.

   Vi offriamo il commissario Cotticelli in televisione, ma poi continuerete a parlare e sparlare. E nel frattempo i responsabili si defilano e si nascondono. Sì, perché quel signore fa parte di un sistema collaudato e mai riparato, proprio perché non si voleva riparare.

   Non dare la colpa al governo. No, do la colpa a chi ha voluto questa situazione, favorendola proprio nascondendosi perché è sicuro del suo nascondiglio.

   E poi ci sono loro. Uomini e donne dei media. La Barbara che t’insegna come mettere la mascherina e ti fa le interviste al politico come se quel politico non avesse nessun tipo di responsabilità, oppure vai dal Giletti e tutti gridano e ti fanno la morale.

   In un paese normale, uno col grado di generale che si sarebbe fatto i comodi suoi sarebbe stato immediatamente arrestato e processato con l’accusa di alto tradimento, con tanto di condanna a carico. E con lui tutti i responsabili dello schifo.

   Ma intanto vanno in televisione e prendono le prime pagine, diventando divi del pubblico televisivo affamato del mostro.

   Mi ricordo che negli anni 80’ c’era una commissione per l’infanzia che ci deliziò della censura a danni di Devilman e di Ken il Guerriero, accusati di ispirare i giovani a fare i criminali.

   Oggi la commissione non interviene perché non le conviene, e poi non si tratta di Ken o Devilman, creature irreali che però poi ti parlano di onore, amicizia, rispetto paradossalmente, e nonostante la violenza mostrata fanno di tutto per porvi fine.

   Però si tratta di mettere in mostra persone che ti dicono spudoratamente che sono state lì a fregarsi lo stipendio, pagato bene dallo Stato, a sua volta pagato bene dai cittadini, che guardano ipocritamente il programmino televisivo per poi scandalizzarsi successivamente sui social.

   E nel frattempo arriva il comico che prende appunti e ne fa le imitazioni.

   E tutti a consolarci stando nel peggio, senza aver risolto nulla.

   Capisco di far parte di un mondo lontano dalla tv della merdiocrità (badate bene, ho scritto merdiocrità), e che nutre bene il popolo che si fa fregare perché attirato dalla pornografia televisiva spacciata per informazione. Un’informazione nichilista che non offre la via del ravvedimento, della seconda possibilità, della voglia del riscatto.

   Che cocktail tragico!

   Poi ti dicono che lo fanno per arrivare primi alla notizia. Conosco gente che arriva prima pure per raccontare stronzate o farle addirittura.

   E il popolo televisivo accetta lo schifo intessendo un rapporto sadomaso vero e proprio.

   Andando avanti, la gente spegnerà e non crederà più.

   L’overdose di coronavirus ha già fatto il suo.

   Io ho spento la tivù e non voglio riaccenderla e nemmeno acquistarla. Sono un essere umano e pretendo rispetto. Da chi mi governa in primis. Ma anche da chi mi offre la merda.

   Volete un amichevole consiglio: spegnetela anche voi.

Avete diritto a una dignità. Quindi, per favore, andatela a riprendere

Aurélien Facente, novembre 2020

Coronavirus KR – Diario dalla Zona Rossa, giorno 2 e 3

   Giorno 2, sabato mattina.

   Mi sveglio un po’ tardi. Dormo bene. Molto bene. Mi sto riprendendo la forma. La solita routine. Ti lavi e fai colazione. A casa si usa la cucina uno alla volta. Tra poco esco, e poiché in famiglia sono io quello che esce, allora le precauzioni vanno prese al massimo, anche se può costare un bacio o un abbraccio.

   Le notizie dicono che il virus sia in giro, ma ci sono parecchi asintomatici. Il che potrebbe anche essere positivo a pensarci. Ma la paura regna sovrana. Troppa paranoia in giro.

   Apro Facebook. Circola un video preso dalla tv. Un’intervista surreale a un certo generale Cottarelli. Quante condivisioni. Credo che ben presto sarà offerto alla pubblica piazza televisiva. Chissà chi si aggiudicherà l’esclusiva…

   Giorno 2, sabato pomeriggio

   Si legge. Un libro che parla di comunicazione. Non ho mai terminato gli studi, a dire il vero. Io non conosco nulla ancora. Non conosco proprio niente. Ma il mio niente è tanto rispetto al pensiero unico dominante. Non mi si perdona di non provare paura e preoccupazione. Lo so che è un comportamento odiato. Ci si allontana dal singolo per abbracciare il gruppo. Girano voci di un’altra protesta. Vogliamo scommettere che non ci sarà? Crotone non è Cosenza, non è Catanzaro, non è Reggio. Evito di leggere i commenti su Facebook sugli eventi calabresi. C’è un dato di fatto, però: la gente ha cominciato a parlare. Troverà presto la sua dimensione. Benvenuti nella realtà, calabresi.

   Giorno 2, sabato sera

   Mi manca il cinema. Mi manca sedermi sulla poltrona della sala, e stare in silenzio a guardare il film. Mi manca stare in mezzo agli altri in silenzio. Mi resta solo uscire discretamente la sera con il cane. Poi torni a casa. Mangi. Non puoi permetterti di sognare più di tanto. Devi solo badare al sodo. È iniziato il daily direct. Ogni giorno una diretta, per far vedere che sono vivo almeno. La mia sopravvivenza può essere una rassicurazione per qualcun altro.

   Giorno 3, domenica sera

   Tutti incollati allo schermo. Non io. Mi bastano le testimonianze altrui mentre sparlano della tragicommedia del generale. Io non ho mai capito a pieno il giornalismo di Giletti. Un giornalismo che fa la morale e dà ospitalità a qualcuno che tenta di uscirne fuori da qualcosa di bollente. Si vede da lontano che è costretto a trattenersi, e a dare peso alla commedia. La storia delle immediate dimissioni per poi sbarcare alla tv nazionale e darsi in pasto al pubblico può convincere la massa. Una persona sana di mente non lo fa se prima non ha il culo coperto. E nonostante la presenza di Lino Polimeni che si lancia alla ricerca di scuse ipocrite, l’effetto è quello di un brutto film comico. E la gente che ci casca pienamente perché è quello che vuole. Un bel giochino delle apparenze. Con la fabbricazione di un mostro da mettere sullo schermo, la gente dimentica il vero succo della situazione: che al governo centrale non gliene frega un cazzo dei calabresi, e che farà ben poco al momento. E offrendo il mostro in pubblica piazza, il governo si defila e non ti chiede nemmeno scusa. Non so se la gente si preoccupa di quest’elemento. Intanto lo show è solo iniziato.

   Provo a fare una diretta. Ma alla gente non gliene frega di vedere il trucco che gli hanno combinato…

Aurélien Facente, novembre 2020