L’ultimo arrivederci di Jole Santelli e la mancata occasione di chi si professerebbe essere migliore…

Giuro che ho pensato tanto a quest’articolo prima di scriverlo. Ieri (15 ottobre 2020) la giornata è iniziata con una notizia che ha sconvolto il mondo calabrese e italiano, ovvero la prematura scomparsa della Governatrice della Calabria Jole Santelli.

   Avevo dato un “nomignolo” simpatico. La magica Jole. Nulla di così offensivo, ma forse quella sua voglia di sorridere all’avversario mi aveva colpito.

   Premetto che non ho mai conosciuto la signora, se non per via d’informazione. Sapevo che era un’accanita fedele di Silvio Berlusconi, e che come parlamentare vantava di un curriculum di tutto rispetto. Aveva anche i suoi difetti, ma era una delle poche che poteva vantarsi di non aver mai cambiato casacca. Cosa molto rara nella politica opportunista di oggi. Anzi, andrebbe molto rivalutata.

   Sapevo che per un periodo si era cimentata nel ruolo di vicesindaco di Cosenza.

   E poi la possibilità di vederla in prima linea con la sua prima elezione diretta come Presidente della Regione, e allora ho avuto modo di conoscerla in maniera politica attraverso le apparizioni tv dovute.

   Mi colpì la sua facilità di non cercare per forza lo scontro, ma di voler risolvere in qualche modo il tutto con un sorriso. Nel primo round televisivo con gli altri tre candidati alla presidenza della Regione Calabria, la magica Jole riuscì a sorprendermi quando invitò gli altri candidati ad un’amichevole cena per parlare della Calabria, al di là di come sarebbero andate le elezioni.

   Elezioni che vinse la magica Jole, ma con un risultato anomalo, poiché più della metà degli elettori non si recò alle urne.

   Jole entrò così ad amministrare un ente regionale che era percepito come qualcosa di lontano, accompagnata da una ciurma di liste e consiglieri che proprio non piacevano alla gente.

   Ci si mise pure il Coronavirus di mezzo, e così Jole entra nel suo ruolo facendosi conoscere come la Governatrice che emana le ordinanze.

   Ma in televisione usa spesso la seguente espressione: “Popolo Calabrese.”

   Premetto che sono lontano dalle politiche di Forza Italia, ma ho prestato attenzione alla breve amministrazione della Governatrice Santelli.

   Otto mesi sono pochi per essere giudicati politicamente parlando, ma otto mesi sono sufficienti per capire che forse Jole, al di là dello schieramento, era la Presidente di cui la Calabria aveva bisogno come momento storico.

   Una Presidente Donna in una Regione difficile. Una Donna che non ha mai fatto mistero di vivere un momento difficile perché afflitta da un male che sapeva di pistola puntata alla tempia. Una Donna che in campagna elettorale non aveva mai parlato male di nessuno, ma che era stata anche la prima a dare gli auguri sportivamente a chi magari era avversario. Una Donna che non negava il sorriso a nessuno, proprio perché lei stessa, in quanto convivente con un male, sapeva che il sorriso era una medicina potente.

   Mi colpirono molto le sue parole, quando ammise di convivere con un male: “Quando una persona subisce un attacco così violento alla propria vita, quando il dolore fisico si fa radicale e incomprimibile, allora quella persona ha due strade: deprimersi e farsi portare via dalla corrente, scegliere che il destino scelga per lei. Oppure attivarsi, concentrarsi e soprattutto ribellarsi. Io sono una persona danneggiata dalla malattia. Quel verbo e quella parola sono gli esiti della lettura del libro di Josephine Hurt (Il danno, appunto) che mi è stato di grande aiuto. Mi hanno obbligata a inquadrare l’esatta misura del dolore e di testare la capacità di replicare alla sofferenza, addirittura di resistervi e infine di dominarla.” (La seguente è tratta da un articolo del Fatto Quotidiano)

   Avendo avuto in passato perso una persona cara per un simil male, il rispetto per questa Signora divenne primario.

   La criticavano perché ballava la tarantella con i sostenitori del centrodestra, la criticavano perché aveva problemi a parlare, la criticavano perché non si vergognava di essere Calabrese, la criticavano perché forse era più propensa a dare un sorriso piuttosto che a far pesare il dramma.

   Jole era un’anomalia positiva della politica calabrese e nazionale. Una di quelle anomalie che servono però alla Storia di un Luogo. Perciò, quando ho saputo del suo ultimo arrivederci silenzioso, non nascondo di aver acceso una candela per lei.

   Ho letto le notizie scritte e ho letto le impressioni di tale evento. La maggior parte erano pensieri positivi, che ne riconoscevano in qualche modo la volontà di far valere la sua calabresità. Anche gli avversari, sportivamente, l’hanno salutata con affetto.

   Poi ci son stati gli sciacalli, quelli che non sono mai contenti. Ho letto parole di odio e parole di bulli, tutti con il dito puntato contro. Facile farlo quando l’avversario odiato non può nemmeno rispondere all’attacco moralista dello sciacallo.

   Avrei preferito di gran lunga il silenzio, e aspettare il cosiddetto processo storico. Ma certa gente, proprio perché non conosce il valore del sorriso, si prende il lusso, con la becera scusa del libero pensiero, di gettare merda e fango, come se tutto quello che è negativo in Calabria fosse proprio figlio della politica proposta dalla Santelli.

   E poi ci sono quelli che usano lo stereotipo del fascismo. Quelli avrebbero dovuto mettersi un bavaglio alla bocca, giusto per qualche giorno. Il tempo di celebrare i funerali e di permettere almeno ai famigliari e agli amici più intimi di raccogliersi nel dolore.

   Quelli sono stati i peggiori, perché nella scrittura del loro pensiero facebookkiano hanno dimostrato di essere proprio peggio dei nemici che dicono di combattere.

   Un silenzio che sarebbe valso quanto il valore di un libero pensiero. Ma si sa che certe bocche e certe mani non sanno aspettare l’onda giusta del tempo, e perciò ne vengono travolti. È pur vero che la morte si nutre di verità, ma la delicatezza appartiene a chi la Democrazia l’ama.

   Ma in quest’epoca nefasta e avversa, molto probabilmente la Jole Santelli avrebbe risposto con un sorriso, spiazzando così i cattivi.

   Riposa in Pace, Presidente Santelli. Non avrai conquistato i tuoi avversari politici, ma adesso sei nel cuore di chi riesce a vedere nel sorriso un percorso di semplice prospettiva.

  E così chiudo la mia scrittura chiedendomi se mai avrò la fortuna di poter conoscere un’altra persona politica che fa del sorriso un’opportunità di positività.

Aurélien Facente, 16 ottobre 2020

Le avventure del professor Vincenzo perseguitato dalle teorie strampalate di Fantapall

Il mio Whatsapp ogni tanto salta. Alcuni mi inviano articoli che sembrano più delle barzellette che pezzi inerenti l’attualità. Una della testate più condivise in città è Fantapol, che io definisco affettuosamente Fantapall.

   Sì, perché a raccontar palle è abbastanza abile. In piena emergenza coronavirus, standosene bene a casa, il giornalista racconta di risse violente nei supermercati, risse mai avvenute. Giusto per fare un esempio.

   Però è divertente, devo ammettere.

   Ogni tanto un sorriso ci vuole, ma poi la cosa è seccante quando si vuol far credere di essere padroni della verità.

   Bene, Fantapall in questo periodo è ossessionata dal denigrare e delegittimare il professor Vincenzo, un noto candidato a sindaco che in questi giorni è impegnato a portare avanti il proprio progetto politico.

   Ora, se io fossi il giornalista di Fantapoll mi preoccuperei di capire perché il professor Vincenzo si presenta, quali sarebbero i suoi candidati, quali sono i programmi che propone, quali obiezioni da fargli sui contenuti che non mi convincerebbero, e magari fargli una critica politica onesta, anche se mi è antipatico. Mi preoccuperei di capire perché tanta gente ha partecipato alla presentazione delle liste. Cercherei di capire perché questo signore è popolare. Senza fare neanche tanti pronostici.

   Ecco, seguire il buon professore dal punto di vista sociale sarebbe un reportage abbastanza interessante, anche perché i lettori vorrebbero capirci di più.

   Io, ad esempio, sono un lettore che ama approfondire. Mi piace farmi un’idea dei candidati, vedere che cosa propongono, capire il loro grado culturale e verificare la loro idea di dimensione di uno spazio cittadino.

   Voi pensate che leggerete tutte queste cose che richiederebbero tra l’altro un lavoro accurato e obiettivo? No.

   Mi mandano un articolo dove il professor Vincenzo è al bar a incontrare qualche conoscente, e magari a questi signori dichiara di candidarsi. E ci sta. Quanti candidati vanno al bar per proporsi agli amici e ai conoscenti? No, secondo Fantapall gli amici son pochi, come se il bar stesso potesse riempirsi di migliaia di persone all’istante così per magia.

   Un articoletto senza logica, ma molto divertente.

   Ieri (29 agosto 2020) la pubblicazione di un altro articoletto divertente. Una macchina parcheggiata all’angolo con tanto di morale sul codice della strada. E indovinate a chi appartiene la macchina? Proprio al professor Vincenzo.

   Ora, prima di scrivere l’articolo, mi chiederei almeno se la macchina non si fosse guastata e per necessità si è parcheggiata lì. No, ci si inventa che la macchina blocca il passaggio alle carrozzine per disabili, che è in divieto di sosta e fermata e quant’altro ancora. E anche se fosse, magari sarebbe utile chiamare qualcuno delle forze dell’ordine prima di scrivere l’articolo. Così, giusto per avere un chiarimento. No, neanche questo.

   E allora via con la pubblicazione.

   E così mi inondano il Whatsapp per leggere questa roba demenziale.

   Ora il professor Vincenzo non ha bisogno della mia difesa. Però adesso ho paura che il professor Vincenzo sarò protagonista di un articolo dove magari vola su un asino volante, oppure un altro articolo dove magari si metterà a parlare con Pinocchio, oppure un altro dove magari si scriverà che vorrà andare a farsi un pellegrinaggio fino a Serra San Bruno.

   Insomma, la demenzialità più pura.

   E così continua la triste narrazione del giornalismo crotonese, che va sempre più giù pur di raccontare barzellette.

   È vero che siamo in regime di par condicio.

   Allora aggiungiamo che Fantapall non è il solo a raccontare felicemente delle palle.

   Mi hanno inviato qualche giorno fa il link di un blog dedicato ai Vichinghi, e poi vedi il blog e vedi tanti articoletti fantasiosi su un noto segretario della Lega, come se quelle pubblicazioni illuminanti acchiappassero lettori.

   Caro professor Vincenzo, come può ben vedere ogni esponente politico è perseguitato da qualcuno che ama raccontare palle. Lei almeno ha Fantapall. Pensi che c’è chi è addirittura stalkerizzato dai Vichinghi…

   E poi dicono che i blogger sono fabbricanti di fake news…

   Detto da chi racconta e pubblica palle tra l’altro sembra addirittura un complimento…

Aurélien Facente, agosto 2020

Il bavaglio della censura governativa e social che si vuole usare nei confronti del libero pensiero all’epoca del Covid-19

Nella mia linea editoriale, se tale si può definire, ho sempre cercato di delineare la necessità del racconto per narrare la società. Uso la mia esperienza e i miei occhi per proporre, mai imporre, un semplice punto di vista, e quando mi sono occupato di determinati argomenti l’ho sempre fatto nella maniera più corretta possibile, avendo anche l’aiuto di qualcuno che magari ne sa più di me.

   Non sono un tuttologo, ma di sicuro ho letto e scritto tanto. So mettere insieme due frasi, e conosco abbastanza bene l’analisi logica. Sono stato educato dai miei genitori e dalla società nella quale sono cresciuto all’ascolto e a usare la testa quando serve.

   Ho praticato il giornalismo per alcuni anni, e mi piaceva. Ho abbandonato quando ho capito che il giornalismo italiano preferiva cercarsi i like piuttosto che curarsi la qualità della notizia. E così ha fatto la politica.

   Oggi politica e giornalismo vogliono il gradimento, ma non si curano della sostanza.

   Quando avviene questo binomio, la democrazia corre un grosso pericolo.

   Scrivere e raccontare non vuol dire compiacere.

   Assolutamente no.

   Però, se vuoi essere degno dello scrivere e del raccontare devi sempre farlo con la consapevolezza che parli alle persone, e parli anche di persone.

   Il mio personale approccio è forse più letterario, ma se devo denunciare prima mi devo preoccupare di raccontare e mettere insieme i dettagli. Perché la gara della notizia non deve essere a chi arriva prima per arrivare sempre primi, ma per come la racconti.

   Quando ho capito che bisognava essere superficiali, ho preferito abbandonare, spinto anche da situazioni strettamente personali.

   Dalla mia personale decisioni sono passati nove anni, e solo di recente ho deciso di ridare voce alla mia voce e alla mia scrittura. Perché essere indifferenti vale sempre fino ad un certo punto. Perché se hai la possibilità di fermare un mostro, lo devi fermare.

   Ecco perché sono tornato a scrivere, e a raccontare.

   Oggi, in Italia, si vive il Covid-19 o Sars-Cov2 o Coronavirus 24 ore su 24. Un martellamento di notizie alla rinfusa che hanno di fatto violentato le persone di tutti i giorni nella dignità, nell’economia e nella salute.

   Per oltre 50 giorni ho tenuto dirette con l’augurio che le persone di tutti i giorni riprendessero a respirare, a non farsi mangiare dalla paura. Nel frattempo, indagavo e mettevo insieme tante cose perché io non credo al cosiddetto “asino che vola”.

   Fermo restando che il sottoscritto non ha mai negato l’esistenza del virus e nemmeno che purtroppo ci sono stati tanti morti. Anche dalle mie parti è morto qualcuno per il Covid-19.

   Però ho sempre tenuto la testa vigile.

   Non ho mai creduto a quello che la tv e i media tradizionali hanno diffuso al 100%.

   Perché io sono un malato cronico, e non posso permettermi di condannare una persona infettata e asintomatica solo perché, purtroppo, non sapeva di esserlo. Il condannare persone che hanno solo avuto il desiderio di farsi una passeggiata in solitaria è uno degli orrori che questo battage politico-mediatico ha portato avanti per distogliere l’attenzione dal vero problema.

   Ritorniamo a noi.

   Bazzico i social da dodici anni ormai. Ne conosco i limiti e ne conosco i pregi, e soprattutto ne conosco il tipo di pubblico. Ho sempre rispettato le regole al 99%. Sui social applico una politica “attendista”, soprattutto quando si parla di realtà. Non ho mai promosso violenza, razzismo, pregiudizio. Ma il rispetto del pensiero sì.

   Nelle mie dirette Facebook ho sempre lasciato parlare le persone, anche quando m’insultavano. A volte, ho anche risposto. Perché il rispondere, anche se non piace, è una rassicurazione. Ho conosciuto tante persone impaurite, e alcune con il dubbio di poter aprire la finestra e respirare. Tante persone terrorizzate, quando in realtà il governo aveva la responsabilità di promuovere la prudenza, non d’imporla con una tal forza dittatoriale. Come se l’italiano medio non potesse capire.

   Gli italiani, nella Storia, hanno avuto sempre una grande forza. Non se ne rendono conto perché vivono il momento, ma quando si mettono insieme sono capaci di muovere un intero Paese, molto più della politica.

   Ho notato in questo periodo la chiara volontà di un sistema mediatico a voler fare sentire le persone in colpa, come se le stesse fossero responsabili della natura di un virus che si muove indipendente da tutte le volontà in campo. Ho notato l’umiliazione fatta a tanti cittadini, trattati come bambini capricciosi quando in realtà si fermavano per parlare. Mi è stato detto da un signore con la divisa che io avevo mentito sul mio diabete, ma non l’ho raccontato perché era una questione che riguardava me e che potevo tranquillamente dimostrare.

   Sia chiaro. Io non ho paura del Covid-19, ma lo rispetto. Così come rispetto la legge, anche se non mi piace.

   Perché la volontà di raccontare si muove sempre nella linea di confine. E se devi dare l’esempio, sul confine devi saperti muovere.

   Perciò, quando ho scoperto la notifica di Facebook che mi censurava alcuni link perché esageravano la realtà, mi è venuto da ridere.

   Due video da YouTube: uno riguarda me e riguarda la mia opinione, sorridente, sulle ordinanze del 29 aprile 2020 emanate dalla Regione Calabria, a firma della Governatrice Jole Santelli, che hanno fatto rumore sui social. Un rumore delirante, figlio dell’incertezza accumulata, delle persone che non sapevano quando uscire di casa per vedere un po’ di sole. Il video è stato bollito come una fonte di notizie esagerata. Certo, ma la paura mica la cancelli.

   Poi un video pubblicato su YouTube dalla testata Byoblu24, con una lunga intervista fatta al giornalista Giulietto Chiesa, deceduto di recente tra l’altro. La condivisi sulla mia pagina pubblica principalmente perché considero, tuttora, Giulietto Chiesa un testimone eccezionale della nostra epoca, indifferentemente dal colore politico.

   Le persone che raccontano vanno sempre ricordate.

   Perciò per due link vengo punito leggermente dal sistema Facebook. Un piccolo bavaglio, come si suole dire. Pazienza. In fondo Facebook mi ha concesso spazio abbastanza, però ho l’impressione che adesso il libero pensiero non sia tollerato.

   Perché da una parte ci sono medici che vogliono parlare, che vogliono tranquillizzare le persone, che vogliono dir loro che la speranza non è morta. Perché ci sono giornalisti narratori che, andando contro le linee del pensiero governativo e televisivo, vi dicono e continuano a ribadire che le persone devono pensare con la loro testa.

   Il bavaglio, caro Zuckerberg, non lo puoi mettere a nessuno. Capisco le regole che vanno rispettate, sia chiaro. Ma quando il tuo social comincia a essere infettato, senza aver possibilità di controbattere in privato, dallo spettro della censura governativa e politica allora mi devo un pochino ricredere.

   Facebook si può incatenare. È un sistema virtuale. Basterebbe spegnerlo ad esempio.

   Ma il pensiero libero non lo puoi incatenare. Puoi frenarlo, ma non lo puoi incatenare. Ci hanno provato i grandi tiranni per poi essere rigettati dalla loro popolazione. Perché la tirannia è sempre una pagina oscura.

   Quindi, ai signori supremi dei social dico largamente che me ne infischio del bavaglio. Anzi, prego loro di lasciare uno spazio di difesa a garanzia dell’utente. Perché nella Storia si entra quando si lascia il pensiero camminare libero. L’affermazione della verità è un processo da conquistare, mai da imporre.

   La verità imposta nasconde sempre la più grande delle bugie.

Aurélien Facente, 12 maggio 2020

Video 1 contestato da Facebook
Video 2 contestato
Ascoltate il video del direttore di Byoblu24 perché conferma bene quello che ho scritto nell’articolo, ovviamente con le dovute differenze.

Tutti parlano del coronavirus, ma nessuno del coglionavirus

Che cosa strana l’informazione oggi. Una volta, si prestava all’attenzione della qualità della notizia, cercando di arrivare alla comprensione del fatto attraverso l’uso del buonsenso. Perché la verità andava compresa, perché il fatto potesse essere parte della storia contemporanea, perché il lettore era una risorsa e non un imbecille.

   Oggi il lettore (inteso come massa) deve essere considerato come uno scemo, allora è lecito alzare i toni giocando anche sulla paura, e creare apocalissi inesistenti, anche su fatti meno gravi di quel che vi fanno vedere.

   Oggi si parla di questo coronavirus, un virus proveniente da un angolo sperduto della Cina e già si parla di apocalisse, buttando merda sulla Cina stessa, come se i cinesi fossero tutti portatori del virus che ucciderà l’umanità, come se i cinesi stessi fossero degli incapaci totali.

   La Cina avrà anche le sue pagine buie, ma i cinesi non sono degli sprovveduti (stiamo pur parlando della terza forza militare al mondo, oltre che la più potente economia al mondo, visto che i loro capitali fanno abbastanza gola un po’ a tutti quanti).

   In Italia i mezzi d’informazione sono fantastici, senza contare gli utenti su Facebook.

   Il coronavirus è uno dei tanti virus che popolano sul pianeta. Una forma diversa di polmonite che avrà di sicuro una sua forma violenta, visto che le polmoniti sono pur sempre dolorose. Ma ogni virus ha una sua percentuale di mortalità. Anche un raffreddore mal curato può uccidere.

   Eppure si promuove l’apocalisse, si promuove l’idea di un qualcosa che ci ucciderà per forza, e allora dobbiamo evitare i cinesi (tutto quello che ha a che fare con la Cina).

   E così si promuove il panico, il razzismo, l’isteria, e quant’altro ancora. Quindi, succede che poi uno è malato di qualcos’altro, chiede magari aiuto e nessuno chiama l’ambulanza perché il malato fa schifo ed è una minaccia che non merita. Questo è uno degli effetti dell’isteria collettiva. Vi trasforma in mostri.

Volete conoscere un altro effetto dell’isteria?

   Chiudere 6000 persone dentro una nave solo perché c’è un malato sospetto. Come? Invece di fare uscire le persone per farle visitare, le chiudete con il malato che le contagerà dentro la nave? Ci si rende conto di quello che sta avvenendo? E questa è solo una delle tante notizie…

   Certo, il blogger ha parlato. Però, a differenza di tanti, cerca di usare un po’ di buonsenso e non di farsi contagiare dal coglionavirus, che è un virus molto più pericoloso. Perché proviene dal cervello di altri che vogliono convincervi a farvi più male, così loro giustificheranno la loro mancanza di buonsenso. A cominciare dalle televisioni che prima hanno giocato con le vostre paure alimentandole, e poi vi diranno di stare tranquilli. E nel frattempo la parte peggiore di voi stessi è già uscita.

   La storia del malato che viene lasciato morire perché gli altri hanno paura di chiamare un’ambulanza vi dice niente? Potrebbe toccare anche a voi una storia brutta del genere, perciò è preferibile prendere delle precauzioni, ma non di lasciarsi contagiare dal coglionavirus che ha ormai contagiato il cervello di tanti giornalisti e di alcuni statisti (presunti tali) che poi si scuseranno per aver promosso il male con qualche supercazzole delle loro.

   Ora, la Cina, giusto per parlare, è lo Stato che è cresciuto economicamente e militarmente con livelli di eccellenza da far impallidire anche gli Stati Uniti d’America (che guarda caso teme la grande Cina Rossa). E secondo voi, i cinesi si lasceranno abbattere dal virus? Stiamo parlando di un popolo che in un paio di settimane ha messo in piedi due ospedali (quando in Italia per costruire un ospedale ci vogliono almeno 30 anni, tangenti permettendo).

   Cioè vi fidate di questa gente solo per due casi sospetti, tra l’altro con bollettini medici che parlano già di discreta salute?

   Se avete sintomi particolari, ovvero vi sentite male, chiamate il vostro medico o andate al pronto soccorso per farvi visitare.

   Non si scherza con i virus. È vero anche questo.

   Ma il coronavirus è trattato mediaticamente parlando da una serie di soggetti contagiati dal coglionavirus, gli stessi che più o meno hanno fatto credere che la SARS fosse un altro virus apocalittico.

   Sapete come andò a finire? Tanti danni alle economie varie, e soprattutto una psicosi che ha fatto esaurire le scorte di vaccini antinfluenzali che hanno causato più danni del resto, proprio perché il sottoscritto, malato cronico, quando ha avuto bisogno di farsi il vaccino s’è affrontato l’inverno con una broncopolmonite assurda, e mandando a quel paese tutti i media gestiti da contagiati dal coglionavirus…

   Danni di cui nessuno vi parla (tanto che la SARS finì nel dimenticatoio, solo recuperata oggi per giustificare l’isterismo da coronavirus).

   La serietà impone ben altro. Prima di tutto, nessun virus è da sottovalutare. Ma c’è virus e virus. Ogni virus ha una sua mortalità, anche il coronavirus stesso. Ma la mortalità, vista oggi attraverso le dichiarazioni ufficiali (quelle mediche per intenderci), resta bassissima. I deceduti sono morti per altre complicazioni anche. Parliamo di malati cronici e anziani, a dire il vero, e di tutte quelle persone che hanno problemi con il sistema immunitario. Sono drammi, presi singolarmente, ma fanno parte di una casistica inevitabile. Anche l’influenza ha la sua mortalità.

  Perciò vi rifaccio la domanda?

   Vi fidate dell’efficienza della Grande Cina o delle parole di qualche contagiato dal coglionavirus? Vi fidate del vostro medico o delle parole di qualche presunto statista contagiato dal coglionavirus?

   Meglio fidarsi del proprio dottore.

   Fidatevi di un malato cronico qual è il sottoscritto. Sono diabetico. Ho avuto una polmonite giorni fa. L’ho presa con molta calma, ma ne sono uscito. Curandomi e non facendomi prendere dal panico.

E oggi vedo tanto panico e tanta paranoia. La parte peggiore di voi stessi è già uscita. Dovreste solo rileggere quello che scrivete.

Aurélien Facente, febbraio 2020

La grande buffonata

Ultimi giorni di campagna elettorale. E il protagonista è sempre lui, quell’odiato Salvini, che usa la tragicommedia per far parlare di lui. La citofonata in un quartiere popolare emiliano per scovare qualche presunto spacciatore.

   La formula del format non è nuova. Da mesi, il Brumotti di Striscia La Notizia gira tra i quartieri italiani a fare la sua lotta/inchiesta contro lo spaccio, mostrando il degrado di alcuni pezzi della società italiana, quella di cui non si osa parlare. Perché la vergogna è meglio metterla sotto un tappeto.

   E due giorni fa, ecco che l’odiato Salvini si fa filmare e pubblicare per aver citofonato e fatto le sue domandine: “Scusi, lei è uno spacciatore?”

   Fatto da un altro, sembrerebbe un omaggio all’irriverenza e provocazione comica di quel programma “South Park” che tanti anni fa trasmettevano in seconda serata. In una cittadina, le vicissitudini di quattro bimbi che non avevano paura di dire le parolacce e ne combinavano di tutti i colori in una cittadina di nome South Park, che era il ritratto contemporaneo di un’America che si stava affacciando nella sua epoca “politically correct”. Una serie geniale realizzata da due americani, Trey Stone e Matt Parker, che non aveva paura di andare contro il pensiero ipocrita del politicaly correct.

   E l’odiato Salvini, se fosse protagonista di quella serie inserito in quell’universo narrativo molto grottesco, ci starebbe benissimo.

   Una grande buffonata che ha servito ad accendere il solito fiume di polemiche che non cambieranno nulla.

   Matteo osa, e voi parlate, anzi sparlate e continuate ad alimentare la sua esistenza.

   Fatevene una ragione. Voi che lo criticate aspramente, voi che lo accusate, voi che lo temete, e forse qualcuno tra voi lo invidia pure tutto sommato, perché alla fine lui addirittura ha toccato il citofono e ha proferito la sua ennesima provocazione.

   Sporca provocazione o un lampo di genio tremendo da sembrare proprio una gag di South Park.

   Siamo in campagna elettorale, a sua volta all’interno di uno spietato circo mediatico.

   Voi avete visto soltanto lui e basta.

   Ed era quello che voleva.

   E voi, come tanti pesci, avete abboccato alla grande.

   Eppure non vi siete domandati dove si trovava, che ci faceva lì. Non avete visto il contorno. Non avete visto lo stato del quartiere popolare. Non ve l’hanno fatto vedere. Certo, sarebbe stato più utile vederlo forse, e domandarsi dove si trovavano i suoi fieri oppositori che hanno dimenticato di parlare delle persone, ovvero della dignità delle persone. Certo, meglio prendersela con lui, il capitano che con il suo nutrito gruppo di tifosi va a fare la citofonata più stupida della storia.

   Uno scherzo di cattivo gusto.

   Una buffonata da South Park.

   E non avrei voluto scriverlo.

   Ma intanto lui è il personaggio del momento. Lo avete reso voi il personaggio del momento. E qualsiasi cosa fa voi ne parlate.

   Se dovesse trionfare alle prossime elezioni, fareste bene a prendervela con voi stessi e basta. Perché, in fondo, molti di voi hanno voluto cadere nella trappola del pescatore.

   Buona votazione, sempre che ci andiate a votare.

Aurélien Facente, gennaio 2019

Politica social e le psicosi dell’elettore su Facebook

Politica strana quella di oggi. Oggettivamente non è la politica degli anni 80’, dove comunque c’era una politica che si occupava che l’Italia facesse la sua figura agli occhi del mondo. Al tempo delle elezioni, i politici ci mettevano la faccia e chiedevano personalmente il voto.

   Poi nel 1992 Tangentopoli.

   Arrivò il Berlusconismo che segnò la politica fino al 2010 più o meno. Silvio c’è ancora, ma ora è la zampa azzoppata del centrodestra. La sua storia caratterizzò molto l’Italia. Nello stesso tempo, i suoi avversari di sinistra furono tanti, ma mai così consistenti da farsi amare oggi.

   E nel frattempo i mezzi di comunicazione sono cambiati.

   Ma anche la politica è cambiata.

   E ciò ha influenzato la gente, e di parecchio.

   Un tempo, le elezioni erano un appuntamento atteso. C’era il dibattito tra le persone anche dentro un bar. C’era il culto della libera opinione. Ci si avversava, ma alla fine si sapeva che era il voto a fare la differenza. Nel bene e nel male.

   Oggi il voto passa attraverso i social. Ognuno si fa la sua paginetta Facebook, il suo profilo Facebook, su Twitter (per chi lo sa usare), e su Instagram (per chi lo sa usare). C’è anche chi si fa il canale YouTube personalizzato (molto utile a dire il vero). Tutti hanno il sito internet personalizzato.

   Ma tutti, più o meno, ti chiedono l’amicizia su Facebook o di mettere Mi Piace alle loro paginette elettorali.

   I candidati passano al virtuale e alla stupida legge del gradimento.

   Metti mi piace così sei figo anche tu.

   Ma se provi a criticare, allora non va bene.

   Certo, la critica va saputa scrivere. Non tutti possono criticare. Ma nella democrazia, quella che tutti predicano, è ipocrita chiudere la bocca.

   Siamo in una società strana.

   Oggi viviamo un eccesso di democrazia come non era mai avvenuto negli anni precedenti. Usiamo la parola con il commento. Scriviamo come parliamo. E veniamo fraintesi. E invece di essere noi stessi, facciamo in modo di piacerci. Oppure ci offendiamo, perché ognuno di noi pensa, sbagliando, di dover piacere per forza a tutti. E censuriamo se c’è qualcosa che non ci piace.

   Siamo dentro il mondo virtuale, dimenticandoci che il vero dialogo si fa fuori il PC.

   Non ci rendiamo conto, ma nel calderone Facebook ci mostriamo come tifosi e basta. Un eterno sfottò contro l’avversario. E ci scandalizziamo quando determinati comportamenti escono. Nei social diamo peso all’istinto, e non alla ragione. Anzi, se c’è qualcuno di più intelligente (e ragionevole) lo allontaniamo. Lo definiamo pesante. Non mette in foto le vrasciole (carne macinata fritta e impanata, secondo la classica ricetta crotonese, che in ogni famiglia è cucinata con i propri usi e tradizioni), perciò non è uno di noi. Salvo poi, magari, fare un passo indietro e fermarsi un po’ a osservarne i contenuti.

   Già, i contenuti. Quelli che fanno la differenza. Contenuto. Una parola troppo pesantuccia da capire oggi. Meglio la leggerezza. Tutto deve essere leggero. Guai a parlare di profondità. Guai a parlare di differenza. Qui devi essere figo e positivo. Sei su Facebook.

   E anche la politica, così, preferisce avere i like. E così tutto naviga nel leggero, nel superficiale, nel tragicomico.

   Un tragicomico che ha fatto molto male agli italiani.

   Non c’è nulla di male se andiamo dietro a una moda.

   Ma andando dietro la moda dell’uniformarsi all’interno dei social abbiamo scoperto che non ci amiamo proprio in realtà. Facciamo uno sforzo enorme a capire l’altro oggi, e allora preferiamo allontanarci.

   Quando arriva il periodo elettorale però, ecco che esce il tifoso cattivo dentro di noi. I politici sono tutti uguali. Ladri e delinquenti. Egoisti e ignoranti. In questo aggiungeteci lo scontro tra fascisti e comunisti, con l’inadeguatezza dei cinquestelle. Poi magari ti accorgi che c’è qualche persona molto brava, ma non sai se votarla. Non sai nemmeno se ci vai a votare, perché poi hai degli amici che non votano, perché votare non serve a niente. Già, non esprimersi non serve più a niente. Meglio la leggerezza, meglio continuare a essere fighi e simpatici su Facebook. Meglio questo. Almeno qui non ti attacca nessuno. Però poi scopri che vivi male, che non stai bene, e non sai nemmeno come dirlo.

   Oddio, sono diventato negativo. Come oso riflettere in questo panorama digitale? Beh, lo faccio e basta. Anzi, lo scrivo pure e non me ne pento. Proprio perché esprimo il mio pensiero, voglio farti capire che puoi farlo anche tu. E se non piaci, pazienza. Ma meglio essere se stessi e non piacere. Perché dall’altra parte sapranno che c’è una persona e non un misero like.

   La politica è social ormai. Fa tutto per piacersi.

   Ma l’elettorato si esprime in maniera psicotico. Ci odiamo perché vorremmo un mondo migliore, ma non lo abbiamo perché ci preoccupiamo dell’essere positivi su Facebook. Quello conta.

   Già. Ma poi?

   Lo sapete che un giorno avrete bisogno di altro, e che per averlo bisognerà saper andare ben oltre le superfici?

Aurélien Facente, 2019

Il dolce scherzo di Frog

C’è un artista che si firma Frog, Sta lasciando in giro per la città di Crotone una serie di opere disegnate e attaccate come poster nei muri degradati della città. Di notte Frog installa e come per magia il mattino dopo il muro degradato s’incanta di bellezza e contenuti.

   Un gesto puramente artistico e semplice.

   Almeno per chi è abituato a vivere con concetti d’arte.

   Sono tanti gli artisti che hanno usato i muri per esprimere la propria arte.

   Pittori che hanno dipinti affreschi, i writers dei muri in giro per il mondo, e adesso la cosiddetta poster art.

   In Calabria abbiamo un nobile predecessore di Frog. Un certo signor Mimmo Rotella di Catanzaro. Anche lui si è occupato di abbellire i muri della sua Catanzaro tantissimi anni fa.

   Erano anni dove la strada era il principale mezzo di comunicazione dell’arte. Un concetto che oggi Frog ripresenta a modo suo.

   A Crotone impazza la Frog mania.

   Tutti a chiedersi chi è, perché lo fa, perché proprio a Crotone. La notizia rimbalza tra i social attraverso le varie testate, tanto che ti fa capire che forse il giornalismo crotonese in primis ha bisogno proprio di contenuti.

   Poi ci sono le persone. Certo, qualcuno s’è trovato l’opera sotto casa. L’ha fotografata e postata su Facebook. Tutti a ringraziarlo.

   C’è un estremo bisogno di bellezza a Crotone, così come c’è un estremo bisogno di ascoltare una favola, di viverla.

   Crotone, la città che si fa tanto vanto del suo lontano e glorioso passato, eppure ha bisogno di vivere il presente con colori vivaci, visto che oggi è una cittadina molto grigia, rassegnata, lasciata all’abbandono dalle stesse anime che la popolano.

   Non offendetevi, cari crotonesi.

   Perché in fondo sapete che questa città vive un degrado continuo con colpe molto condivise. Una città dove è più facile chiudere un posto piuttosto che aprirlo.

   Frog è un artista contemporaneo, testimone del suo tempo.

   Ovviamente che vive a Crotone e in Calabria.

   Lascia le sue opere in giro, attaccate a muri ben scelti.

   Pezzi di carta attaccati come manifesti, e disegni molto comics.

   Il bisogno di bellezza nelle strade rifiorisce nei cuori dei cittadini.

   Me ne sono occupato in video un po’ di tempo fa.

   Ho studiato il suo profilo artistico, tenendo conto che alla fine Frog ha iniziato un giorno artistico.

   Non c’è da seguire la sua vera identità. Non al momento. Perché è lui/lei che troverà il momento di farsi vedere, sempre che voglia farlo. Non è uscito allo scoperto quando quel genio dell’ex vicesindaco di Crotone addirittura voleva affidargli tutto un muro, come se Frog si manifestasse per assecondare un gioco abbastanza volgare da parte della politica, che poteva e doveva tener conto già di altri artisti esistenti.

   Frog non imbratta i muri.

   Attacca le sue opere, raccontando i suoi stati d’animo del momento. Ogni lavoro è un indizio sulla sua anima, sensibile e attenta.

   Opere semplici e mirate.

   Opere di carta che affrontano gli imprevisti del quotidiano. Un disgraziato che strappa un pezzo di disegno per portarselo a casa, un giorno di pioggia che inumidisce il muro che non può tenere il disegno (già, l’umidità dà molto fastidio alla colla), poi magari scopri che è un bambino a strappare e non te la puoi prendere, oppure scopri che su quel muro dovevano farci una nuova colorazione, e allora si sbarazzano dell’opera, che è già concepita per essere sbarazzata.

   E la gente parla.

   Il deturpamento fa parte del giorno, anche se voi non lo volete.

   Frog è quel tipo di artista che gioca con il dissenso, e di certo non piange se qualcuno o qualcosa deturpa l’opera. Per lui è più importante il messaggio piuttosto che l’opera in sé. Perché Frog concepisce un concetto di arte che ha più bisogno del contenuto piuttosto che della forma. L’arte è rivolta a tutti e deve essere in qualche modo fruibile a tutti. Un concetto simile pensato da Keith Haring, l’artista concettuale che aveva capito il bisogno di arte nelle persone più semplici. Perché tutti hanno bisogno della bellezza. Almeno sotto casa, perché oggi la gente difficilmente compra un dipinto, o una fotografia, o un disegno.

   L’arte in strada stimola la persona normale. L’arte crea dissenso. Guai se non fosse così. Frog funziona perché crea dissenso. Il dissenso è importante perché è alla base della libertà del pensiero che si muove.

   E il pensiero che si muove è il primo atto per il miglioramento di tutto ciò che è intorno a noi.

   Frog ha di recente realizzato un ritratto del procuratore Gratteri.

   Un lavoro abbastanza semplice.

   Notizia sui giornali.

   L’opera viene deturpata.

   Notizia sui giornali.

   Dissenso generale.

   Frog si nasconde tra le ombre di una città grigia, e tutti s’indignano per un deturpare che già faceva parte del gioco.

   L’importante è il dissenso, il sapere di avere una coscienza pensante.

   Lo seguo nei suoi percorsi. Ma non mi ossessiono a capire chi è. Capisco il suo progetto. Lo rispetto. Ne parlo come se fosse un ragazzo.

   Frog è un’idea, e tale resterà per il momento.

   Sarà lui/lei a rivelarsi un giorno.

   Però, intanto, aspettate con pazienza.

   E giocate anche voi a questo dolce scherzo.

Aurélien Facente, gennaio 2019

Quel fenomeno di Matteo Salvini che molti si ostinano a non capire e a non vedere…

Da oltre un anno, chiuso nel mio antro, mi capita di vedere e ascoltare spesso Matteo Salvini, soprattutto nei video che fa e nelle interviste che rilascia. Osservo i suoi movimenti, ascolto il suo modo di parlare, sono un mezzo meridionale (la mia altra metà è francese) e non mi lascio trascinare dalle offese del passato.

   Conosco le provocazioni leghiste da quando andavo alle elementari. Pensate un po’. La maestra ne parlò apertamente una volta, definendo la Lega (che allora si chiamava Lega Lombarda) come pericolosamente razzista. Ne parlammo in quinta elementare, e correva l’anno 1989. Ma a dieci anni non ne capisci di politica.

   Poi negli anni 90’ fu Umberto Bossi il nemico da abbattere. Divenne protagonista antipatico del primo governo Berlusconi, e poi negli anni ne abbiamo viste di tutte, tra cui la celebrazione secessionista con tanto di bandiere nel Nord Italia.

   Poi, in pieni anni duemila, il terremoto giudiziario che di fatto distrusse il partito, riducendolo ai minimi termini. E infine iniziò l’era di Matteo Salvini.

   Un breve sunto di un soggetto che oggi fa pianta stabile in maniera preponderante del panorama politico italiano.

   Chi mi ha fatto guardare con occhi diversi Matteo Salvini è lo scrittore Mauro Corona, che occupa ogni martedì uno spazio televisivo nel salotto del programma “Carta Bianca” condotto da Bianca Berlinguer. Il buon Corona, noto per essere un uomo di montagna e un artista abbastanza poliedrico (non scrive solo libri, ha il suo pensiero da intellettuale tendente a sinistra, ma molto più indipendente. Ascoltare Mauro Corona è indicativo, anche perché è l’unico scrittore che dialoga con Salvini. E quando si accende il dialogo tra i due, ecco che la strategia del politico Salvini lascia spazio all’uomo.

   Sostanzialmente, in questa fase, è più utile ascoltare questo dialogo piuttosto che andare ad ascoltare o leggere uno come Saviano, che con Salvini vive una guerra mediatica che sa più di altro, ottenendo l’effetto che Salvini si è prefissato, ovvero maggior consenso.

   Ascolto Salvini, così come ascolto tanti altri figuri della politica contemporanea. Ascolto, osservo, imparo, e soprattutto non mi lascio condizionare dal pettegolezzo del web. Io ho amici che odiano Salvini. Lo scrivono su Facebook ogni santissimo giorno (neanche a Natale prendono una pausa). Al Sud Salvini è diventato un’ossessione.

   Ed è qui che Salvini gioca la sua partita.

   Se fosse un allenatore di calcio, Salvini entrerebbe di diritto nella storia dello sport.

   Il paragone sembra azzardato, ma l’esempio è chiaro.

   Ha preso un partito ridotto allo zero, spaccato, maltrattato. In pochissimi anni è diventato il primo partito del cosiddetto centrodestra. Anche Berlusconi ha dovuto mollare la presa (stiamo parlando di quel Silvio che in politica amava primeggiare a costo di far fuori i suoi migliori alleati).

   Se al posto della parola “partito” mettete l’espressione “squadra di calcio”, si capirebbe che sarebbe un allenatore di ottimo livello.

   Quindi, attenzione a definirlo “ignorante” o altro. È la tipica persona che sa incassare ogni genere d’insulto. Non si lascia impressionare. Anzi, addirittura risponde a tono. Nelle interviste, soprattutto quando l’avversario lo provoca, lui risponde a tono e nella maniera più democratica possibile. Anzi, a volte è pure fastidiosamente ironico. Però, centra il bersaglio. Lui forse non offre idee, ma gli altri nemmeno ne offrono di migliori. I suoi avversari più accesi usano lo scontro verbale con parole come “fascista”, “razzista”, “ladro” e altri epiteti, cadendo nella trappola. Sì, perché Salvini (con tutta la sua squadra) usa il web come non mai. Parla alla gente usando un linguaggio rassicurante. Usa spesso la parola “lavoro”. E soprattutto mantiene davanti al video sempre il controllo.

   Gli avversari lo denigrano, ma alla fine sono loro che devono rincorrere il primo in classifica.

   Ma nessuno risponde alla domanda? Come ha fatto la Lega a essere il primo partito del centrodestra in così poco tempo?

   La Lega nasce con un intento di realizzare un sistema federale all’interno dell’Italia, e nel passato non ha avuto paura di parlare di secessionismo federale. Ma questo poteva funzionare all’interno dell’Italia stessa.

   Quando l’Italia entra a far parte dell’Europa, lo scenario cambia totalmente.

   L’Europa è un insieme di Stati, ma non è una federazione. Questa caratterista è il vero limite dell’Europa. I primi a capirlo sono i leghisti, seguiti anche dai 5stelle (in Italia) quando erano all’opposizione del governo italiano. Tutto questo antieuropeismo nasce da come viene trattata la Grecia (altra situazione complicata), e da un blocco inglese che non le manda a dire (tanto che adesso c’è la Brexit).

   Quindi la Lega Nord diventa Lega perché per staccarsi da questa Europa e riportare l’indipendenza all’Italia, l’unica strada è proporre proprio il federalismo europeo (proposta interessante, a dire il vero) e per farlo bisogna prendere i voti dal nord al sud, e andare di persona a prendersi questi tanti voti.

   E cosa fa Matteo, eletto segretario generale della Lega?

   Inizia a viaggiare, e prende nota. Trasmette tutto sulla sua pagina Facebook e sugli altri canali social.

   All’inizio lo sottovalutavano, ma lui predica e ostenta pazienza (quella che non hanno i suoi avversari, e forse nemmeno i suoi alleati). Lui insegue la strada del consenso, e usa internet per farlo, tenendo conto che anche la televisione gioca un ruolo importante. Va in tutti i programmi televisivi e immaginabili, anche quelli dove Berlusconi (che un tempo era il primo riferimento del centrodestra) non andrebbe.

   Incassa, incassa, incassa. Ma non si abbatte. Anzi, addirittura la sfida è stimolante. E soprattutto dialoga. Eccome se dialoga. Non perde mai il controllo, anche quando lo scontro si accende.

   È come colpire un campione di boxe. Per essere campioni di boxe, non bisogna saper soltanto colpire, ma bisogna anche saper incassare. E il buon Matteo sa incassare. Anzi, lui si fa vedere mentre incassa gli insulti, e così facendo inizia la sua scalata verso il consenso, giocando proprio sul bisogno di semplicità che oggi l’italiano medio ha tanto bisogno.

   Gli altri si agitano. Lui non si scompone.

   Voi lo condannate? A lui non gliene frega niente, perché il dissenso fa parte del gioco.

   Lo chiamate fascista? Eppure lui usa i mezzi e non rifiuta le interviste scomode (oddio, rifiuta quelle che sono fattivamente inutili e ripetitive, e qui posso umanamente comprenderlo). Anzi, addirittura vuole che si parli di lui, perché aumenta il consenso.

   Lo chiamate pazzo? In politica come in guerra non esistono regole di fair play. O sai incassare e colpire, oppure è meglio stare zitti. Oggi la politica si semplifica così, e la vera politica non trova più spazi televisivi perché l’editoria varia non la concede.

   Quella la trovate in libreria, alla radio, forse in qualche programma notturno, e in qualche filmato via internet. Per il resto tutta la politica parla ormai un  linguaggio internet, e qui Matteo eccelle in materia. Lui, come la sua squadra, perché il Capitano è sorretto da una squadra che voi non vedete, ma c’è. Una squadra di comunicazione fatta apposta per lavorare per lui e con lui. Quindi non credete che sia solo. Lui è il segretario, ma non è solo.

   Dietro di lui, i sostenitori, i membri, gli attivisti… Tutta gente che sa come organizzarsi, e che può vantarsi di aver amministrato bene in alcune realtà (sempre a discapito del Sud, si sa). Quindi sa come andare a conquistarsi un Comune o una Regione. Ma il Capitano ha preso di balzo la volontà di conquistare la nazione, e per farlo ha capito (o gli hanno fatto capire) come immettersi nei posti non più frequentati dalla Sinistra perché preferisce sentirsi eletta oppure al sicuro di un caldo salottino da VIP.

   Guardate dov’è andato in Calabria.

   A Crotone venne quasi da solo. Non si mostrò in pubblico come altri leader, ma si fece intervistare. Con lui c’era la squadra che non vedevate. Andarono alla stazione dei treni di Crotone, e denunciarono il degrado della bidon ville che si era creata in quella zona perché le persone “extracomunitarie” erano in attesa di un documento, e non potevano muoversi. E aspettavano giorni e giorni alla stazione, abbandonati da un sistema che si definiva “accogliente”, ma che nelle vicinanze di un ufficio dei documenti non aveva previsto la costruzione di un dormitorio.

   Ecco, Matteo sarà pazzo e folle. Qualcuno lo vede come il diavolo, ma è innegabile il suo talento per guardare in faccia i problemi e portarli sul piatto del dibattito. Lui non avrà la soluzione (tranne quella drastica e forte), ma neanche gli altri hanno la soluzione pronta a dire il vero.

   Matteo è il Capitano della sua squadra. Ha fatto quello che qualsiasi segretario deve fare. Metterci la faccia e andare nei posti, e saggiare la realtà.

   Ma oggi Matteo è senza dubbio diverso. Ha fatto il ministro dell’interno in un governo ibrido con i 5stelle. È andato volutamente all’opposizione, scatenando una crisi politica pesante. Ha incassato il colpo, ma poi ha ripreso a fare quello che gli riesce meglio, ovvero parlare alle masse.

   In fondo lui è stato scelto dalla Lega per essere il segretario vincente.

   Punti deboli?

   Pochissimi, addirittura comici.

   Ma uno forte c’è. Un punto debole pesante.

   Un punto debole artistico, a dire il vero.

   Una scultura provocatrice, qualche tempo fa, che lo ritraeva come un assassino che sparava con i migranti lo ha fatto vacillare. C’è il video su YouTube. Quindi lui ha una sensibilità evidente per il dissenso che l’arte provoca. Una cosa che lui stesso non si aspettava. Provate a guardare e ascoltare i suoi dialoghi con Mauro Corona, uno scrittore con idee lontane dalle sue. Aprite le orecchie, e lì vedrete i limiti reali del Capitano. Ma solo se siete bravi e pazienti ad ascoltarlo.

   Ma ora il Capitano sta giocando la sua partita più grossa. Sta provando a prendersi l’Emilia Romagna per scardinare quel centrosinistra che, paradossalmente per tradizione, offriva una società funzionante. L’unica sacca di centrosinistra che funziona, ma che ha perso il consenso. Perché la sinistra si è mutata nel tempo, e lui, Matteo, lo sa bene.

   Dieci anni fa, nessuno avrebbe mai pensato che la Lega potesse candidarsi in Calabria. Oggi succede, e sta accadendo. La Lega ha preso voti importanti alle scorse europee, nella regione che si sente “più orgogliosamente terrona”.

   Conquistare la Calabria è importante per la Lega. Perché da qui parte la conquista per l’Italia. Conquistare l’Emilia sarebbe storico, ma conquistare la Calabria è strategicamente importante. Per una questione d’immagine, ma soprattutto per una questione di potere.

   Il popolo calabrese è chiamato a votare adesso.

   Su Facebook mi rendo conto delle spaccature anche tra persone che si conoscono. Addirittura un professore ha scritto una lettera personale perché le persone vadano a votare PD perché la Lega ha sempre insultato il Sud. Ma è anche vero che il Sud è stato maltrattato da politiche insane, approssimative, superficiali e clientelari. La gente, quella che va a votare, ha voglia di assaggiare il veleno che non ha assaggiato. È un fenomeno democratico del voto, e quando si tratta di mettere una ics la gente non esita a farlo.

   Però quanta gente andrà a votare? Cinque anni fa il 45% degli aventi diritto ha votato. Una minoranza ha votato. E sappiamo com’è andata a finire…

   Il Capitano ha letto questo dato, e da qui è partita la costruzione del partito in Calabria. Tutti a sfotterlo, ma intanto ha costruito e adesso si presenta all’esame del voto. Il primo vero voto importante a livello nazionale. Ha preso qualche Comune nel frattempo, ma sulle regionali sono caduti i migliori segretari di partito. E il Capitano non vuole cadere. Potrà anche perdere, ma a lui interessa impensierire, giocarsela, perché tanto il trofeo è vicino. E sa che a deciderlo saranno ovviamente gli elettori che andranno a votare.

   Perciò, caro professore, forse sarebbe meglio invitare le persone a esercitare la libertà del voto, senza indicare il PD. Lasciare che si esprima, perché il primo nemico della Calabria non si chiama Matteo Salvini, che è una conseguenza delle pessime politiche del passato. Perché queste politiche pessime hanno snervato l’elettore, portandolo a restarsene a casa e ad accettare passivamente.

   Il Capitano lo sa questo, e guarda caso si è fatto vedere in posti, compresa Crotone, fino a poco tempo fa impensabili.

   La partita è iniziata.

   Il Capitano ha portato la sua squadra dove voleva, ovvero a giocare una finale.

   Allora la domanda è: l’elettorato saprà parare il rigore del novantesimo minuto?

Aurélien Facente, gennaio 2019