L’ipocrisia codarda dell’italiano ai tempi del Coronavirus

C’è una guerra che io personalmente non sopporto. Una litania che mi trovo ad assistere da almeno 30 anni, almeno quando ho cominciato a distinguere il bene dal male e quando ho cominciato a studiare i gravi fatti della Seconda Guerra Mondiale, e di conseguenza il male che i regimi dell’epoca hanno fatto a tante, troppe persone.

   Giusto non dimenticare, ma per tanti italiani che conosco di quella lezione dura non hanno capito nulla. Lo vedo su Facebook principalmente, ma mi ci scontro anche dal vivo.

   L’eterna guerra degli antifascisti contro i fascisti. Tutto quello che gli antifascisti (esercito formato principalmente da radical chic moralisti in primis) è una litania di odio verso quello che la pensa diversamente da loro. Un virus difficile da scacciare e con la quale non si riesce a ragionare il più delle volte. La loro fissa è quella. Tutto quello che non è partigiano è fascista e basta.

   Non è che dalle altre parti la questione è meglio, sia chiaro. Il succo è lo stesso, solo che usano l’epiteto “comunisti”.

   La cosa che hanno in comune le due tifoserie è il reciproco odio verso l’altro, e se vuoi startene per i fatti tuoi ecco che ti bollano come uno che non si vuole schierare, come se lo schierarsi per forza sia qualcosa di eccezionale.

   Quest’odio negli anni si è accresciuto sempre di più, facendomi capire che è sempre meglio restarne fuori. Li adoro, in entrambi i casi, quando predicano la tolleranza, eppure sono pronti a scannarsi.

   Con il loro modo di fare hanno infettato il web, i notiziari, i talk show e tutto quello che c’era da infettare. Quando ci si sono messi pure i 5stelle, definiti fascisti da uno schieramento e definiti ex comunisti dall’altro. Insomma l’apoteosi dell’ipocrisia assoluta. Tutto questa trasmissione di odio è diventata il cancro del pensiero libero.

   A volte, sembra di assistere ad un eterno litigio tra mamma e papà, e poi osano chiedere ad un figlio unico se è meglio la mamma o il papà. Il discorso più ipocrita che si possa fare.

   Per loro non esiste il pensiero indipendente, quello che si limita a ragionare e ad ovviare il pratico per risolvere i problemi. No, bisogna per forza essere di parte.

   Quando uno vive questa storiella per parecchi anni poi se ne allontana. Perché francamente rompe i cosiddetti, anche perché, nella maggior parte dei casi, uno vuole vivere tranquillo. Poi c’è anche chi ama il confronto. E ci sono stupendi confronti, ma lo diventano quando sono i pensieri a incontrarsi e non le bandiere.

   Fatta suddetta premessa, è bello notare il dibattito delle voci politiche su Facebook. Sempre le solite storielle. Ok. Rispettiamo le convinzioni, ma facciamo uscir fuori anche le ipocrisie.

   Primo fatto: un omicidio brutale a Minneapolis, USA, a danni di un uomo di colore da parte di alcuni poliziotti. Rivolta feroce da parte dei cittadini. Bruciano il commissariato. Nota bene: negli Stati Uniti siamo nel pieno della pandemia Coronavirus.

   Il pensiero medio italiano? Hanno fatto bene. Giustizia. Tutti insieme assembrati a condannare gli assassini.

   Pensiero personale, tanto per capirci: la brutalità, quando porta alla morte, va sempre condannata. A Minneapolis è accaduto qualcosa di estremamente grave che ha portato alla gente comune di protestare con ferocia. Molta gente si è messa insieme per realizzare una rivolta, e l’hanno fatto, in barba alla pandemia. Quindi, consegue che quando la gente si muove tutta insieme diventa una forza incontrollabile. Ovviamente questa brutta storia avrà una fine.

 

  Secondo fatto: Milano, Piazza Duomo, 30 maggio 2020. Un’enorme folla manifesta. La manifestazione è organizzata dai Gilet Arancioni, capeggiata dal generale in congedo Pappalardo. Migliaia di persone. In Lombardia siamo nel pieno epicentro della pandemia Coronavirus in territorio italiano. I manifestanti non hanno rispettato le distanze di sicurezza.

   Il pensiero medio italiano? Incoscienti, coglioni, fascisti, e quant’altro ancora. Tutti bravi a condannare una manifestazione che non ha bruciato un commissariato.

   Pensiero personale: al di là dei Gilet Arancioni, la piazza era formata anche da gente che aveva voglia di tornare a vivere in qualche modo. Da condannare? Tranne l’aspetto pittoresco, il tutto è da comprendere perché in mezzo a tutta quella gente ci sono tante persone che molto probabilmente non hanno goduto di un aiuto statale oppure si troveranno a fare i conti con un probabile fallimento o con un licenziamento. Semmai, quelli che puntano il dito dovrebbero chiedersi come ha fatto un personaggio pittoresco come il generale ad agire indisturbato e a organizzare una serie di manifestazioni in tutta Italia, e il bello è che lo stesso generale lo annunciava da giorni in diretta Facebook. Chi è che ha sottovalutato la questione?

   Obiettivamente, anche qui un’enorme folla che andava lasciata manifestare. Perché la gente non la fermi.

   Ora, ovviamente, i due eventi sono diversi per natura e motivazioni. Hanno solo in comune la massiccia partecipazione di persone che desiderano esprimere un malessere.

   Bene, in questi due eventi l’ipocrisia si è manifestata più che bene.

   Alla fine, in Italia, ho capito che forse Camillo Benso di Cavour ha fatto un errore di valutazione nel voler per forza unire l’Italia. Ma non credo che il Cavour avesse prospettato tutta quest’ipocrisia del tutto italiana.

Aurélien Facente, maggio 2020

Coronavirus KR: La massa si muove

Nell’emergenza Coronavirus ho criticato apertamente due provvedimenti in particolare. Uno era la prossimità di duecento metri da casa, liberamente interpretata da qualche signore in divisa. La seconda era il divieto di passeggiare in solitaria, seppur munito di mascherina. Aggiungiamoci pure la chiusura di alcuni luoghi ideali per passeggiare, e ci siamo tutti dovuti atteggiare.

   Un altro aspetto da criticare è il terrorismo mediatico portato avanti da tanti organi di stampa e di televisione. Un terrorismo amplificato anche da buontemponi che sui balconi filmavano persone che, magari, erano uscite per necessità.

   Questo, nell’insieme, ha portato la gente ad odiarsi.

   Pur capendo la necessità del momento, la gente, nel 95% (dato sorprendente tra l’altro), si è comportata nel migliore dei modi.

   Ma la quarantena, o meglio la prigionia forzata, alimenta anche il malessere.

   Non tutti hanno la possibilità di godersi un bel panorama. Tanti non godono nemmeno di una buona compagnia dentro casa. Tanti eroi di tastiera pronti a giudicare e condannare il prossimo perché magari si è preso cinque minuti di respiro.

   Tengo a precisare una cosa: il virus esiste ed era necessario lasciare spazio ai nostri sanitari, se non altro per permettere loro di lavorare al meglio.

   Il governo, nel suo insieme, avrebbe dovuto porre un freno serio al terrorismo mediatico.

    Non l’ha fatto. Ha lasciato la palla al Presidente del Consiglio, che si è trovato gioco forza in una situazione inedita nel dover prendere provvedimenti molto discutibili tra l’altro. Ma questa è un’altra storia.

   Nel frattempo, una pattuglia di sindaci sceriffi che ti parla in video e ti colpevolizza anche per una carezza. E non una parola d’incoraggiamento. Molti a puntare il dito contro. Un terrorismo mediatico tale da alimentare l’odio piuttosto che la solidarietà.

   E così si accende la miccia di una dinamite pronta a scoppiare in qualsiasi momento.

   Aggiungete gli epiteti “fascisti” e “comunisti” che ormai ci perseguitano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando il regno dell’incertezza non ha voluto dare spazio alla speranza, il vero sentimento che unisce.

   Già, perché se si uccide la speranza uccidi le persone, o meglio le armi di qualcosa che non lascia spazio alla ragione.

   In questi mesi, il terrorismo mediatico (e se n’è reso conto pure il Governo guarda caso) ha solo alimentato un cancro: quello della disperazione.

   E c’è chi riesce a cavalcare quell’onda. Perché tutti noi ci nutriamo della speranza. Perché molti di noi hanno bisogno di ottimismo, di sentire che c’è un domani, che possiamo costruircelo.

   Nella paura del Coronavirus si è innescata la dinamite della reazione.

   Ormai le piazze iniziano a riempirsi, alla faccia delle regole imposte e delle ideologie politiche.

   A Piazza Duomo a Milano, nel giorno 30 maggio 2020, una manifestazione con tante persone vestite di gilet arancioni, guidate da un vecchio generale. Lasciamo perdere il contenuto per un attimo. Ho letto le opinioni e ascoltato i pareri, e letto anche gli articoli della stampa. Un effetto meteorite di opinioni, senza volersi rendere conto di un fatto essenziale: la massa, quando si muove, non si ferma.

   Sulla posizione politica se ne può discutere tranquillamente. Ma in mezzo a quelle migliaia di persone, erano tutte da condannare? Erano realmente tutti fascisti? O c’erano anche persone che avevano voglia soltanto di tornare a vivere con un po’ di dignità?

   Facile condannare. Troppo facile. Tra l’altro, con una domanda non posta: ma si poteva fermare, si poteva evitare? Certo, ma solo se non sottovaluti.

   Se chiedi un sacrificio, devi dare in cambio una speranza. Se prometti aiuti economici, caro Stato, sai che devono arrivare tempestivamente. Puoi sempre controllare dopo. Invece, più di qualcuno, nella macchina governativa ha fatto il bullo burocratico.

   E così, giorno dopo giorno, tra tanta paura e tante annunciazioni di morti ecco che la miccia si accende fino a far esplodere un’altra bomba.

   Alla fine esce sempre un generale o un nuovo capo politico o qualche antieroe improbabile. La storia ne è piena di esempi. E soprattutto c’è un dato naturale incontrovertibile. Fa parte del DNA umano. Nelle epidemie e nelle pandemie di vecchia data è sempre accaduto che l’umanità, nel suo insieme, prima o poi si muove per adattarsi al male. Andrà avanti rompendo le regole perché sentirà il bisogno di rimettere in ordine il proprio ruolo. E quando lo fa, la domanda è sempre la stessa: come lo farà?

   E questa domanda non ha mai una risposta, ma solitamente spaventa i governanti, dove si troveranno anche loro davanti a una domanda inevitabile: e adesso?

   Già. E adesso?

Aurélien Facente, maggio 2020