Ciao, Joe (in ricordo di Joe Amoruso)

Non si è mai scritto tanto sui pianisti. Sulle vite dei pianisti. Certo, conosciamo la vita di talenti come Mozart, oppure come quel talento di David Helfgot, che conosciamo grazie al film Shine del 1996. Ma ogni pianista riesce a scrivere una storia, una vera storia.

   Io ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e fotografare Joe Amoruso, quel pianista che si fece notare per aver contribuito al successo del ben più famoso Pino Daniele.

   Però non era solo il pianista di Pino Daniele.

   Joe era un artista di straordinario talento, e di sensibilità.

   Tanta sensibilità.

   Lo fotografai nel 2009 e nel 2010, e in quest’occasione era in compagnia di un altro musicista, Antonio Onorato, che gli riconosceva il grande talento e l’enorme preparazione musicale.

   Poi all’improvviso un male, e un percorso di lunga sofferenza.

   E oggi la triste notizia.

   Gli altri articoli che usciranno vi parleranno della carriera di Joe Amoruso. Ve ne parleranno, e qualcuno vi ricorderà la sua grandezza nella scena musicale di Napoli.

   Ma io ho conosciuto l’uomo, la persona.

   Ho visto una persona che, quando era venuta a Crotone, già usciva da un suo periodo buio. Ma le sue mani sui tasti del pianoforte elettrico vibravano di grande energia, di vivacità. Non si lasciava sconfiggere, tanto che poi non si fermava.

   Joe e il suo pianoforte.

   Anche in duetto con Antonio Onorato, gli veniva concesso uno spazio dove si esprimeva solo lui con la sua sensibilità.

   Poi magari il concerto finiva. E, ospitato da un amico a Capo Colonna, aveva fretta di andare a letto. Mi colpì molto questo suo particolare. Già, perché Joe non era uno che aveva voglia di dormire perché stanco. Aveva voglia di svegliarsi molto presto perché voleva vedere l’alba di Capo Colonna.

   Joe, continuerai a vedere l’alba adesso.

   Ciao, ci vediamo presto.

Aurélien Facente, 24 marzo 2020

Quell’Acido che ci riempiva le giornate all’università (Un ricordo dei Prozac +)

Oggi la testa si riempie di bei ricordi. Cosenza, correva l’anno 1998. Avevo 20 anni, e frequentavo l’università. L’appartamento dove alloggiavo si trovava nelle vicinanze del tribunale, a due passi dalla sopraelevata che ti portava sulla strada statale 107.

   Allora internet era agli albori. I social erano qualcosa di sconosciuto. Però noi giovanotti avevamo i nostri mezzi per socializzare.

  Allora dividevo l’appartamento con altri 4 ragazzi, e ognuno aveva la sua stanza, e ognuno aveva la propria radio, o il proprio walkman. I cd erano un piccolo bene di lusso, e facevamo incetta di musicassette. Certe volte, le nostre stanze si riempivano di musica ad alto volume, per sovrastare quella sala giochi frequentata da ragazzi che parlavano di pallone dalla mattina alla sera, mentre noi cercavamo di studiare e vivere la vita.

   A 20 anni, vivere l’università era la prima vera esperienza libera. Nessun controllo famigliare intorno. Ti crei un feeling con i nostri coinquilini. E se non è il calcio ad unirti, di sicuro è la musica.

   Già. A quell’epoca, per me che ero appassionato di fumetti (la Marvel era considerata qualcosa per adolescenti con problemi infantili) non era facile socializzare. Non ero (e non sono) un grande appassionato di pallone. Nel 1998 il Crotone Calcio giocava in C1, e vivevo la serie B del Cosenza. Ma non era tanto la mia passione.

   Però la musica, in qualche modo, fu il linguaggio che tutti parlavamo, e ci unì, noi ragazzi del sud in quell’appartamento non lontano dal tribunale.

   Io ascoltavo molto il rock, il mio coinquilino ascoltava la scena indipendente italiana, un altro il pop italiano e così via. Ci amavamo e ci detestavamo. Però quello era un modo di confrontarsi culturalmente. Perché c’erano i nostri “razzismi” meridionali, ma la musica spezzò le nostre barriere.

   Quando si pranzava in cucina, accendevamo la tv. Avevamo un vecchia tv in bianco e nero. E vedevamo spesso TMC2, una specie di MTV italiana con musica non stop tradotta in videoclip, ed era la nostra radio. La prima radio che vedevi in tv. Uno speaker che ti parlava, e la musica la guardavi.

   Ad un certo punto arrivarono loro, i Prozac + con la loro hit “Acida”

   Fummo invasi istantaneamente dal ritmo del ritornello: Acido, Acida, Acido, Acida…

   Un punk tutto italiano cantato da una voce femminile, accompagnata da altri due elementi, tra cui una donna che suonava il basso.

   Per settimane, ogni volta che passava il pezzo ci scaricavamo l’adrenalina canticchiando quel pezzo, perché noi sapevamo che cosa voleva dire quel pezzo.

   Erano gli anni delle discoteche dove circolava l’acido, se dovessimo prenderla sul serio.

   Ma ci davamo anche dell’acido quando litigavamo: “Quanto sei acido!”

   Il punk è ribellione, e quel brano punk divenne il nostro accompagnamento dei vent’anni verso un’età più adulta.

   Il tempo passò, ma i Prozac + ogni tanto tornavano, e noi cantavamo.

   Anche nell’appartamento successivo dove alloggiai, con altri ragazzi, i Prozac + erano di casa.

   Quel modo d’intendere e di ascoltare era il linguaggio che si usava. Anche le ragazze adoravano adottare un look più punk, perché noi detestavamo la rigidità di un certo mondo adulto calabrese.

   Già, la Calabria adulta che noi criticavamo e contestavamo.

   Volevamo riuscire con le nostre forze a fare qualcosa, senza l’intromissione del sistema che prevedeva l’omologazione e la raccomandazione. E quando si usciva tutti insieme, si andava alla ricerca di qualche concerto per esprimere il nostro dissenso.

   Io non ho mai visto i Prozac + dal vivo. Solo visti in tv o ascoltati per radio. Migliaia di volte, sempre con l’energia a mille per darsi la carica e affrontare la giornata universitaria, perché nel caldo estivo cosentino ti chiudevi nell’appartamento, dentro la stanza, e studiavi con una certa attenzione, addirittura combattendo contro te stesso, perché certi libri volevi mollarli, e buttarli.

   Allora, ti fermavi e accendevi la tv. Ti preparavi qualcosa di fresco, e in estate, quando c’è poca gente a guardare la tv, riuscivi ad incappare con Acido, Acida, Acido, Acida… e cantavi a squarciagola, oppure ti liberavi in un ballo pieno d’energia per scaricare la tensione. Era un modo, almeno per me, per affrontare al meglio quella parte seccante che ti tiene bloccato in casa.

   E così passava il tempo con più piacere, mentre in qualche modo si cresceva…

   Sono passati ventidue anni.

   Oggi ho saputo della triste notizia di Elisabetta Imelio, la bassista dei Prozac + che si è dovuta arrendere al male che non lascia scampo. Mi ricordo bene di lei, perché molto raro vedere una donna che suona il basso in una band molto punk. Mi ricordo di quanto fosse carina, e di come mi sarebbe piaciuto invitarla a bere qualcosa se l’avessi conosciuta. Ma non come probabile partner, ma perché di sicuro le avrei chiesto: “Scusa, ma come fa una come te a suonare in una punk band tutta italiana?”

   Una semplice fantasia da ventenne.

   Elisabetta, che dire? Solo grazie.

   In qualche modo ti ascolterò ancora. E così tanti ragazzi, oggi uomini e donne, che grazie a te hanno in qualche modo trovato stimolo nel fare un qualcosa di molto libero. E altrettanto vivo.

Aurélien Facente, 1 marzo 2020

Caro Rino, perdonalo perché non sa quello che fa

Qui Calabria. Provincia di Crotone. Siamo nel pieno della campagna elettorale per gli scranni vuoti della Regione. La campagna elettorale si è accesa, e ognuno dei candidati si presenta con la sua paginetta Facebook o, peggio ancora, con il suo profilo gestito da altri. E c’è anche chi ce l’ha già.

   Pensavo che il caro Rino, per quest’anno almeno, sarebbe stato messo da parte. Le canzoni di Rino, lo sanno bene i fan, sono tutto fuorché slogan politici. Però oggi in politica vale tutto, vale proprio tutto.

   Passare da sinistra a destra, dando la spiegazione che da quella parte erano litigiosi e allora meglio passare dall’altra parte. Tutto pur di coprire una forte impronta individualista, giusto per non usare il termine “supercazzola”.

   Certo, questo tipo di comportamento può essere criticabile. Ma è permesso e tollerato dalla classe politica. Perché se hai la possibilità di accaparrarti quello che ti porta i cinquemila o i seimila voti, allora meglio riportarlo alla verginità politica, e tutto quel passato cancellarlo come se non fosse nulla.

   Il regno dell’incoerenza e dell’ipocrisia, ormai malattie conclamate di questa politica tutta italiana.

   E qui in Calabria non sono da meno.

   Lasciamo perdere però l’individualismo, ormai caratteristica conclamata.

   Diamo pure per buono che tu, caro candidato, lo hai fatto davvero per la tua terra, per il tuo territorio.

  Giocati questa possibilità. In fondo, nessuno odia la propria terra. Poi qui in Calabria, se la detesti (nonostante ci siano molte ragioni per farlo) ti perseguitano. Perché detestare la Calabria è come offendere la propria madre. Già, noi calabresi ci crediamo tanto alla nostra bella terra, anche se siamo capaci di maltrattarla come non pochi.

   Da un buon decennio almeno, le campagne elettorali si sono contaminate delle canzoni di Rino Gaetano. Osano approfittarsi dell’arte e della musica di un uomo che era al di sopra delle parti. Basta leggerne i testi, e capire che Rino andava oltre…

   Prima fu la sinistra a usarlo per bene nelle sue campagne elettorali. Sì, perché io conosco e trasmetto la musica di Rino, così il popolino mi vede come una persona simpatica e meritoria del potere.

   Poi hanno cominciato a usarlo anche quelli di destra.

   E infine i 5stelle, ma solo in pochissimi casi, a dire il vero. Loro, almeno, preferiscono fare altro piuttosto che sobbarcarsi la musica di Rino. Un piccolissimo punto a loro favore, dunque. Ma finisce qui.

   Credevo di non ascoltare la musica di Rino nei comizi. Credevo che Rino tornasse nel nostro immaginario collettivo a cantare liberamente in radio, in tv, sui cd. Dappertutto, fuorché nella politica. Perché Rino è il cantante di tutti noi, della gente comune di tutti i giorni. Quindi i fan, ogni volta che s’avvicina la campagna elettorale, si arrabbiano.

   Usate altre canzoni, ma non quelle di Rino.

   Purtroppo la politica è molto sorda in questo secolo. Ma proprio sorda.

   E molto presuntuosa.

   Su whatsapp mi mandano un link. Mi si apre un profilo Facebook di un personaggio politico che gioca a fare il contadino. Il titolo è “A mano a mano”, titolo della canzone di Riccardo Cocciante reinterpretata da Rino Gaetano. La canzone è anche l’inno del Crotone Calcio, giusto per aggiungere qualcosa.

   Il messaggio whatsapp continua: “Ascolta.”

   Ok. Apro il video. Mi aspettavo di sentire la reinterpretazione di Rino, ma la canzone è un’altra. Giuro. Un’altra canzone. Una delle più amate tra l’altro. Forse LA CANZONE per eccellenza di Rino.

   “Il cielo è sempre più blu”.

   Ma come si fa a confondere volutamente “A mano a mano” con “Il cielo è sempre più blu”? Vi rendete conto?

   Stavo per buttare lo smartphone, ma poi mi sono guardato dal farlo. Mi sono reso conto che forse è meglio riderci su di quel candidato, lasciarlo perdere, lasciarlo nella sua illusione di essere vincente.

   Hai già perso, amico mio.

   Perché uno sbaglio del genere ti fa vedere in tutta la tua presunzione.

   Ti perdono, perché anche Rino, da lassù, è pronto a perdonarti.

   Meglio ridere adesso.

   Ma della presunzione bisognerebbe piangere invece.

   Intanto il mio voto, semmai arriva, te lo sei giocato.

Aurélien Facente, gennaio 2019