Giuseppe Conte e la sindrome di Stoccolma

Mentre ormai stiamo aspettando la nascita di un governo che non piacerà ai miei concittadini, voglio pregare gli amici dei Cinquestelle o ai fan di Giuseppe Conte di astenersi dal leggere l’articolo, perché pur parlando di lui non parlo proprio di lui, ma di un fenomeno che si è ben sviluppato negli anni dei suoi governi, in particolare il secondo.

Io non considero Giuseppe Conte una cattiva persona, sia chiaro. Ma ho un severo giudizio sul suo secondo governo. Perché un Presidente può essere popolare quanto volete, ma è sempre attorniato da un governo fatto di ministri e circondato da parlamentari che hanno comunque un peso specifico, che nel suo caso specifico è stato un festival dell’idiozia, dell’ipocrisia e della caccia alle streghe gratuito.

Che Giuseppe Conte piaccia è fuor di dubbio. Ha un certo appeal sulle persone. Ha una ottima padronanza del linguaggio politico. Sa parlare alla gente, o meglio ad un tipo di elettorato, tanto da farlo innamorare. Si può dire che sa tenere in piedi uno spettacolo perché il talento ce l’ha, e sa riempire le piazze, il che però non si traduce in voto.

Come ampliamente dimostrato nelle elezioni regionali calabresi, dove la sua presenza ha fatto scendere in piazza tantissime persone, ma che non si è tradotto in voti per vincere. In Calabria ha pagato soprattutto l’alleanza ipocrita con il PD. che ovviamente lo appoggiò non per un vero progetto politico ma perché aveva usato un certo stile nel far fuori Salvini in uno storico scontro che ha fatto godere gli immaginari antifascisti, che lo hanno rimesso in sella proprio per fare il classico colpo del palazzo dove poter stare e regnare, ovviamente sotto la responsabilità di Conte, che per i piddini era il cucuzzaro di turno.

Ed è quello che è accaduto durante la pandemia del C-19.

Badate bene che basta rivedersi i video delle annunciazioni dei suoi DPCM, che facevano godere come matti una certa cerchia politica intorno non perché di fatto salvavano le persone (l’ipocondria è uno strumento stranissimo per affrontare un’epidemia), ma per obbligare tante persone a sottostare ad un gioco malsano che si stava approfittando di una catastrofe che senza la cosiddetta ipocondria di chi era intorno a Giuseppe Conte avrebbe avuto ben altri risultati.

Man mano che le apparizioni ufficiali proseguivano attraverso conferenze stampa dalla scenografia cinematografica, si notava quanto fosse provato e stressato. Perché il nemico, badate bene, non era l’opposizione (che altrimenti non si chiamava tale), ma proprio tutta quella gente che usava la parola “sinistra” per mascherarsi e che in realtà si comportavano come bulli televisivi.

Questo gioco è durato per più di due anni, fino alla caduta del governo Draghi (successore di Conte, ma anche lui attorniato francamente da idioti politici, che erano fgli stessi che avevano sostenuto Conte tra l’altro, con la differenza che s’erano aggiunti il Silvio e il Matteo),

Il caso di Giuseppe Conte è curioso se dovessimo fare un’analisi della sua storia politica e mediatica. Si tratta del primo soggetto nominato Presidente del Consiglio che ha presieduto due governi opposti, uno finto populista (CinqueStelle e Lega) e uno finto progressista (CinqueStelle, PD e Articolo Uno, partitino inutile e dannoso tra l’altro). Ma è stato il primo Presidente che attraverso i media è riuscito a realizzare una gigantesca sindrome di Stoccolma, inconsapevolmente; nella popolazione italiana, in particolare quella meridionale.

Una sindrome di Stoccolma che dura tuttora, e che ovviamente è anche uno dei fattori che poi ha portato all’interno della sinistra immaginaria italiana una vittoria morale di tutto rispetto. Perché la campagna elettorale dei CInquestelle nel 2022 l’ha fatta esclusivamente lui, e gli va dato merito di non aver avuto una umiliazione elettorale che era nell’aria.

Già, perché la pandemia prima e la guerra dopo hanno fatto vedere la classe insufficientemente politica proprio davanti agli occhi degli italiani.

Il che assolve in parte Giuseppe Conte, che da quando si staccò da Palazzo Chigi ha fatto, almeno lui, un bagno di realtà, ma non di verità. Perché lo sciacallaggio conseguente alla pandemia si è acclarato proprio dalle stanze dei ministeri, che avrebbero dovuto pensare ad una parola importantissima sin dall’inizio: logistica.

L’Italia (ma anche altre parti del mondo) fu messa in lockdown per una questione di logistica e non perché bisognava salvare le persone (che tra l’altro alcune, purtroppo, non potevano essere salvate poiché si trattava di una catastrofe).

Il governo dei DPCM si è mosso con molta illogicità, cambiando continuamente le direttive della prevenzione e credendo falsamente che il percorso intrapreso fosse il migliore possibile. Tanto firmava Giuseppe Conte, e il tutto fu (e vige tuttora) da una campagna mediatica contro il dissenso, creata ad arte da altri che si nascondevano dietro le chiappe dell’attuale capo politico dei CinqueStelle.

La pandemia è stato lo scenario di una vera e propria lotta politica già all’interno di maggioranze che non potevano restare insieme, e il successivo governo Draghi ne è stata la chiara dimostrazione, perché l’ex presidente della BCE fu chiamato per fare quel lavoro sporco che evidentemente Giuseppe Conte non poteva fare. Un lavoro che di fatto ha incancrenito una maggioranza bulgara molto fragile, tanto che Draghi si dimise (pur avendo la fiducia) perché anche lui era il cucuzzaro di turno, con in più la funzione da baby sitter fra soggetti politici che non hanno mai pensato a salvaguardare la comunità.

Giuseppe Conte è stato eletto e sarà protagonista di questa legislatura, seppur all’opposizione. Ma non ha vinto. E non ha preso i voti per il reddito di cittadinanza, badate bene. Li ha presi, tolti gli iscritti, per una questione di “sindrome di Stoccolma”. E me ne sono accorto proprio per le discussioni che ho personalmente avuto.

La sindrome di Stoccolma è una malattia psichiatrica. Le persone che sono state rapite fisicamente e imprigionate trovano a volte nel loro carceriere una forma di amore malsano, perché dal carceriere dipende l’esistenza del rapito. E il carceriere pur tenendo chiuso il rapito lo nutre e si occupa di lui. Nonostante il male…

Giuseppe Conte è il primo che si trova a vivere una situazione per qualsiasi soggetto politico una situazione del genere. Non a caso, la sua campagna elettorale è stata diversa, molto più incentrata a cambiare pagina e nei suoi attacchi agli ex alleati ha confermato pienamente quello che mi puzzava dall’inizio. Che c’era una dirigenza politica ben definita che ha creduto di usarlo per poi buttarlo via.

E così Giuseppe Conte diventa di fatto il boia del centrosinistra targato PD, portando alla luce il vero volto di una classe dirigente che preferisce stare piuttosto che parlare alla gente, Con buona pace degli appassionati e degli innamorati della sinistra, perché la Sinistra di oggi non è mai stata la Sinistra di ieri.

La gente lo sa e ha preferito votare altro (vedi Destra) o non votare proprio.

Già. Perché Conte è ancora visto come un presidente carceriere. Nonostante abbia chiesto scusa e in parte motivato le ragioni di determinate scelte, che però non si sono rivelate le migliori.

Già, perché l’Italia è ancora più povera, e si sa che il reddito di cittadinanza non è la misura che ridarà la vita a chi il lavoro lo ha perso, e molto probabilmente non lo riprenderà.

I risultati si vedono. E ora che Conte è più libero, dovrà dimostrare di essere degno di definirsi Politico. Perché se il popolo soffre, qualcosa non ha funzionato. Un qualcosa che ovviamente tutti vedono, ma non tutti ammettono. E credo che questo il buon Giuseppe Conte lo sa bene. Eccome se lo sa, anche se non lo ammette.

Consiglio spassionato: si liberi un po’ di tutta questa pletora di soggetti affetti da sindrome di Stoccolma. Sarebbe ora.

Aurélien Facente, 19 ottobre 2022

La vittoria di Pirro degli amanti del PD

Io credo fermamente che sia ora di chiudere questo film tristissimo e che il PD faccia una grossa operazione chiarezza con i suoi iscritti e con i suoi amanti sparsi per i media perché questa storia deve essere portata a termine.

Siamo nel 2022 e nei ballottaggi di tutta Italia (a chi toccava) non ha vinto il PD, non hanno vinto i 5stelle, non ha vinto la Lega, non ha vinto Forza Italia, non ha vinto nessuno. La maggioranza degli elettori se n’è fregata altamente di considerare il ballottaggio. Se più del 60% degli elettori preferisce fregarsene, vuol dire che c’è qualcosa che non va. E non è una questione di sinistra o di destra o di centro, ma di democrazia e di rapporto della politica con la cittadinanza di tutti i giorni.

Ormai l’astensionismo è il simbolo del dissenso dilagante verso una cultura politica italiana che non guarda più al presente, e per continuare a sopravvivere continua imperterrita la sua metodologia del divide et impera.

Bene, c’è un limite a tutto ciò.

E in questi ultimi anni, dove elezione ci sia stata, ha vinto l’astensionismo, perché supera di fatto il 50%, e l’elezione avviene lo stesso perché la legge lo permette. A prezzo però della credibilità e dell’autorevolezza, elemento quest’ultimo che si è andato a fare benedire perché bisogna raccontare le belle favole piuttosto che migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini.

Il distacco è netto.

Certo, il PD centrosinistra vince a Catanzaro ad esempio, ma con un avversario di centrodestra che prima stava nel PD. Ed è stato facile vincere poiché il nemico era un voltagabbana bollato come tale. Anche io non lo avrei votato.

In realtà, oltre alla mancanza di elettori, questi ballottaggi (che per loro stessa natura riducono il numero degli elettori) raccontano altre verità più dure.

Il primo è il netto distacco tra politica e cittadinanza. La politica è percepita come un volgare reality show molto trash, perciò non attrae più come prima. Anzi, proprio non attrae.

Iniziano a sparire dei partiti come Forza Italia. Il caso Verona è stato lampante, ma Forza Italia non è più un partito di riferimento come qualche decennio fa. Sparirà perché la gente non ama i Brunetta e le Ronzulli, politicanti superficiali e presuntuosi che adorano apparire detestabili, ma non costruttivi. Il Silvio fa quello che può, ma forse è meglio che si occupi del Monza Calcio, La sua stella ormai è un meteorite che si sta sgretolando nell’atmosfera. La Lega è in forte crisi identitaria, e sarebbe meglio stendere un velo pietoso.

Il caso di Fratelli d’Italia merita un ragionamento a parte. A livello nazionale potrebbe prendere il posto delle Cinquestelle cadenti, che ormai vincono, per modo di dire, dove hanno stretto qualche alleanza.

Ma allearsi con il PD non paga. Assolutamente no. La prova sta proprio nell’affluenza bassissima.

Ma i giornaloni dichiarano che sia il PD ad avere stravinto. Certo, perché i giornaloni stanno tutti a sinistra idealmente (in realtà sarebbe bello parlare degli azionisti di maggioranza) e perdono di vista l’equilibrio dell’obiettività. Meglio propaganda a prezzo della credibilità. Non stupisce che i giornali non vendano più come prima.

Fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti, piddini e forzisti, Cinquestelle contro il sistema. Scontri che hanno francamente stancato, quando ormai il tema principale sta nel trovare un lavoro che permetta quantomeno di vivere con dignità.

Negli anni passati si è chiaramente voluto mantenere lo status quo portandolo alla cancrena. Gli effetti delle politiche passate hanno portato alla luce mostruosità democratiche, sancendo di fatto il fallimento della democrazia rappresentativa.

Più del 50% non vota e non vuole votare. Lo ritiene una perdita di tempo.

Un dato di fatto triste, ma figlio di quella politica che ha volutamente tagliato le rappresentanze locali a discapito di una generazione di Yes Man e Yes Woman che vivono un film immaginario mentre la gente di tutti i giorni soffre.

Conoscendo le dinamiche, il trend si ripeterà alle prossime nazionali.

L’Italia politica farebbe bene a cambiare registro. L’impressione è quella di vivere l’apertura di un vaso di Pandora. La misura è ormai colma.

Ovviamente auguri ai sindaci eletti. Non sarà una passeggiata di salute per loro.

Decisamente no.

Aurelien Facente, 27 giugno 2022

Oggi viviamo in Italia le conseguenze del Porcellum, il vero assassino della democrazia

Ogni storia ha un inizio. Inizia con l’attuale Presidente della Repubblica, l’On. Sergio Mattarella. Fu artefice di una legge elettorale nazionale definita “Mattarellum”, nella quale era possibile scrivere nome e cognome del candidato alla Camera o al Senato da parte dell’elettore, il che implicava un voto riflessivo e convinto. Non perfetta come legge (non esiste la legge perfetta), ma almeno uno votava qualcuno che conosceva. C’era un fondo di merito, il che la rendeva abbastanza democratica.

Poi arrivò il signor Silvio Berlusconi negli anni 90′ che sconvolse la vita parlamentare italiana, e dopo un primo tentativo di governo nel 1994, qualche anno dopo riuscì a governare per cinque anni consecutivi insieme ai soci di Alleanza Nazionale, la Lega Nord, e l’UDC con il suo partito Forza Italia. E una delle cose che gli riuscì fu di cambiare la legge elettorale.

L’ideatore di questa legge elettorale, definita “porcata” proprio dal suo stesso ideatore, ha un nome e cognome: Roberto Calderoli, un navigato della Lega Nord. La legge prevedeva la non possibilità di conoscere i candidati a favore del simbolo. Cioé una ics sul simbolo mentre si vota, e nessun contatto con la rappresentanza locale.

Si può dire una bella legge a favore dell’oligarchia, nel senso che tanto ci siamo noi e noi ci voterete senza discutere.

Questo bel giochino è andato avanti per almeno 15 anni e passa, senza calcolarne le conseguenze nel periodo lungo a venire.

Il signor Mario Monti fu una brutta conseguenza di questa legge. Perché dentro il Parlamento, grazie alla cosiddetta garanzia dell’anonimato sulla scheda elettorale, ci siamo trovati tanti soggetti passare da destra a sinistra e vice versa senza il benché minimo senso del pudore, portando alla sopravvivenza di parlamenti ma con il prezzo di non incidere sulla scelta politica del primo ministro, poiché uno come Mario Monti fu scelto proprio dall’allora Presidente della Repubblica Napolitano, con il chiaro scopo di non andare ad elezioni, nonostante il Paese ne avesse bisogno.

Un’altra conseguenza della legge fu la scelta dei candidati. Non più persone che potevano prestarsi alla politica per costruire la società, ma una lunga serie di Yes Man e Yes Woman messi lì solo ad eseguire la linea del partito o del capobanda. Garantendosi così il posto per le successive elezioni. A Crotone ne abbiamo un esempio chiaro con la Maga Dorina, che passò da destra a sinistra, con la scusa di essere moderata, e vice versa con la sola motivazione che i moderati (termine politico molto idiota) si spostavano così.

Con una legge come il Porcellum questa fu la più grave delle conseguenze. Perché la politica non era più un’opportunità per la società, bensì un’occasione di mantenere quei privilegi, anche economici, che piacevano e piacciono a tutti.

Ovviamente con la complicità di un popolino italiano che man mano che il tempo passava si trovava sempre più povero.

Poi arrivò il Grillo urlante. Con i Cinquestelle. Fu un momento storico il suo arrivo in politica, perché trovò la falla nel porcellum. Il simbolo dei Cinquestelle divenne il dissenso democratico contro i nuovi signorotti del Parlamento Italiano. Arrivando ad entrare di prepotenza nel Parlamento Italiano, con un’energia necessaria.

Attenzione, però, perché il Cinquestelle è la testimonianza diretta di come l’Italia politica era sprofondata in un sistema oligarchico mascherato da democrazia. Perché il Porcellum fu dichiarato poi dalla Corte Costituzionale come una legge illegittima che non garantiva la conoscenza diretta del candidato.

L’ultima legge elettorale nazionale, definita Italicum (che è una versione riveduta e corretta della precedente), la si deve al governo Matteo Renzi, oggi il politico più detestato d’Italia. Ma anche lui aveva visto chiaramente che il Porcellum non era buona come legge, tanto che il suo ingresso dentro le sacre stanze del Parlamento fu non dovuto ad una crisi politica (che c’era già prima), ma da un’occasione causata ed avvallata dalle conseguenze del Porcellum.

Curioso il fatto che per una quindicina d’anni sono stati eletti parlamenti con una legge poi dichiarata non valevole, ma è proprio grazie a questa stortura che ci ritroviamo nella peggiore Italia.

Sì, perché, di fatto, l’Italicum non ha riparato un bel niente.

Oggi ci ritroviamo questo signore, Mario Draghi, con la complicità di una politica quasi tutta accondiscendente. Certo, perché i candidati al Parlamento non li hanno scelti i cittadini, ma i capobanda dei vari partiti. Yes Man e Yes Woman pronti a cambiare casacca qualora la situazione lo richieda. Il caso recente del giovine ministro Luigi Di Maio, addirittura eletto Cinquestelle, sta a dimostrare come le stanze parlamentari siano oligarchiche a danno proprio della cittadinanza.

Ad oggi, nonostante il Parlamento avrà meno deputati e senatori per via di una riforma proprio voluta dai Cinquestelle, non si sa con che razza di legge elettorale si voterà. Certo è che ormai è chiaro che il Parlamento è pieno di attori buoni per un reality show, ma non adatti (ma molto indifferenti) sul vero vissuto del Paese, che con grossa probabilità non voterà in massa. Questo andrà a vantaggio di una politica sempre più oligarchica e non democratica.

Il caso di Luigi Di Maio è lampante. Rivoluzionario con i Cinquestelle, omologato non appena ha avuto un ruolo in governi di maggioranza. Seguendo il costume già presente durante il Porcellum, ha cambiato strategia per assicurarsi la sua posizioncina politica, dichiarando tutto il contrario di tutto. Non una questione di crescita personale, ma di sporca opportunità. I Cinquestelle si trovano in momento di basso gradimento, quando è in realtà tutta la politica nazionale a essere corrotta nell’anima. E questo la gente lo sa. Tranne gli innamorati. Ma la gente di tutti i giorni lo sa, e questo creerà un altro distacco tra la politica e l’elettorato.

Il voto è una questione di fiducia. Se tradisci la mia fiducia, io non ti considero nemmeno per un voto, che oggi più di ieri, in regime di grosso astensionismo, risulterà essere determinante.

Sta di fatto che l’Italia è sempre più povera. Proprio per colpa di tutti questi Yes Man e Yes Woman figli della politica del Porcellum.

Una brutta pagina di storia dell’Italia.

Aurelien Facente, 26 giugno 2022

Vince la magica Jole, con l’aiuto dell’astensionismo

È da stanotte che seguo con una certa attenzione quello che succede nella mia Calabria. Ieri 26 gennaio si è votato. Come piccolo blogger, ho fatto appelli di ogni genere perché la gente andasse ad esprimere il proprio voto, a prescindere dal vincitore.

   Da stanotte c’è stata la vincitrice, quella signora di nome Jole Santelli che non è, a dire il vero, straconosciuta in Calabria. Io stesso, devo ammettere, che nutrivo qualche dubbio su di lei. Li nutro ancora, politicamente parlando.

   Però il voto si è espresso, e nell’effettivo c’è stato il trionfo della magica Jole, che sbaraglia tutti con un esercito di sei liste almeno e prende una Regione Calabria molto lontana dalla visione di un comune cittadino, il che spiega il largo astensionismo.

   Già, l’astensionismo è il fenomeno che fa vincere la magica Jole, che si accomoda in Regione aiutata anche dal vento in poppa del centrodestra.

   Ha fallito il buon Callipo, che ha contato forse troppo sulla sua stessa storia imprenditoriale, pagando anche l’alleanza con il PD che sembra essere il primo partito con il 14% (attenzione, che se contate l’astensionismo va giù più della metà).

   Hanno fallito i 5stelle, che pur trovando un candidato alla presidenza interessante, e hanno sbagliato tutta la loro campagna elettorale. Una volta c’erano i banchetti in mezzo alla strada. I bei vecchi tempi. Oggi hanno contato su Facebook e social un pochino troppo. Siamo tutti belli e simpatici. Senza contare il fuoco amico del loro senatore Nicola, che con i suoi speciali interventi ha causato una serie di autogol clamorosi.

   Non ha fallito il buon Carlo Tansi tutto sommato. A Crotone almeno no. Forse entrerà, forse no. In cuor suo sapeva che sarebbe stato molto difficile. Il merito suo è di aver trovato sostegno in tante brave persone. Per lui e i suoi è arrivato il momento di costruire, ma questo soltanto il tempo lo dirà.

   Ha stravinto il partito dell’astensionismo.

   Le ragioni sono molteplici.

   Alta emigrazione giovanile (ma non solo), presunzione di determinati politici, partiti che non sanno che cosa vogliono fare (fatevi raccontare la barzelletta del PD crotonese che voleva sostenere ancora l’uscente Mario Oliverio, silurato dalla base nazionale), il disgusto delle persone verso un certo modo di fare politica. Insomma una serie di problemi che hanno portato alla disaffezione più completa. E non è una giustificazione, badate bene.

   Poi c’è un dato. I calabresi, come popolo, esistono solo sulla carta.

   Non prendetevela, cari amici.

   Ma la Calabria è una regione troppo divisa.

   CZ e CS si detestano. KR odia CZ. RC odia CZ. VV un po’ troppo sola. Una regione bellissima, ma divisa da troppe chiusure mentali. Diventa difficile uscirne.

   Certo è che il prezzo dell’astensionismo non piace.

   Potete parlare di fascisti, di comunisti, di leghisti…. Tutto quello che volete in questo delirio psicotico post elettorale.

   Ma la vera vincitrice è lei, la magica Jole.

   Perché è stata largamente sottovalutata e criticata. Perché tutti guardavano ad una certa disinformazione di cui la stessa fu protagonista (un servizio delle Iene fu rimesso in rete per schernirla), ma nessuno guardava il suo effettivo curriculum (deputata più volte e sottosegretario pure più d una volta). Tutti gli avversari a fare i moralisti contro di lei, ma eppure lei li ha affrontati, democraticamente parlando. E poi per lei sono scesi i pezzi grossi. Anche il buon Silvio è tornato a parlare in piazza per lei.

   Già, non piace ammettere che la magica Jole è stata brava in fin dei conti, nonostante il male che si porta dietro, senza nasconderlo tra l’altro.

   Jole ha vinto. Bisogna riconoscerglielo almeno.

   Ora non si può sapere che cosa farà e se sarà capace di farlo.

   A ogni vincitore bisogna pur sempre fare gli auguri, e in questo caso gli auguri sono più che dovuti. Perché la Calabria sarà gestita da una donna finalmente, ed è un fatto storico di notevole rilevanza.

   Perciò auguri.

   In quanto ai leoncini della tastiera. Scervellatevi quanto volete, sfogatevi, lamentatevi, classificatevi ancora tra fascisti e comunisti, tra delinquenti e incompetenti. Scannatevi fino all’esaurimento nervoso. Fatevi prendere dalle più basse ipocrisie. Ma prima di farlo domandatevi perché in Calabria non si vota in massa quando ci sono le regionali. Chiedetevelo e datevi una risposta, guardandovi allo specchio. Siate oggettivi e non soggettivi. Ragionate con la testa e non con lo stomaco. Di sicuro non è scrivendolo su Facebook che cambierà il mondo, soprattutto quando c’è un problema che si chiama astensionismo.

   Alla fine la democrazia si è espressa, e anche se non piace il verdetto si è espresso in tal modo.

   Che Dio ce la mandi buona.

Aurélien Facente, 27 gennaio 2020

Quel fenomeno di Matteo Salvini che molti si ostinano a non capire e a non vedere…

Da oltre un anno, chiuso nel mio antro, mi capita di vedere e ascoltare spesso Matteo Salvini, soprattutto nei video che fa e nelle interviste che rilascia. Osservo i suoi movimenti, ascolto il suo modo di parlare, sono un mezzo meridionale (la mia altra metà è francese) e non mi lascio trascinare dalle offese del passato.

   Conosco le provocazioni leghiste da quando andavo alle elementari. Pensate un po’. La maestra ne parlò apertamente una volta, definendo la Lega (che allora si chiamava Lega Lombarda) come pericolosamente razzista. Ne parlammo in quinta elementare, e correva l’anno 1989. Ma a dieci anni non ne capisci di politica.

   Poi negli anni 90’ fu Umberto Bossi il nemico da abbattere. Divenne protagonista antipatico del primo governo Berlusconi, e poi negli anni ne abbiamo viste di tutte, tra cui la celebrazione secessionista con tanto di bandiere nel Nord Italia.

   Poi, in pieni anni duemila, il terremoto giudiziario che di fatto distrusse il partito, riducendolo ai minimi termini. E infine iniziò l’era di Matteo Salvini.

   Un breve sunto di un soggetto che oggi fa pianta stabile in maniera preponderante del panorama politico italiano.

   Chi mi ha fatto guardare con occhi diversi Matteo Salvini è lo scrittore Mauro Corona, che occupa ogni martedì uno spazio televisivo nel salotto del programma “Carta Bianca” condotto da Bianca Berlinguer. Il buon Corona, noto per essere un uomo di montagna e un artista abbastanza poliedrico (non scrive solo libri, ha il suo pensiero da intellettuale tendente a sinistra, ma molto più indipendente. Ascoltare Mauro Corona è indicativo, anche perché è l’unico scrittore che dialoga con Salvini. E quando si accende il dialogo tra i due, ecco che la strategia del politico Salvini lascia spazio all’uomo.

   Sostanzialmente, in questa fase, è più utile ascoltare questo dialogo piuttosto che andare ad ascoltare o leggere uno come Saviano, che con Salvini vive una guerra mediatica che sa più di altro, ottenendo l’effetto che Salvini si è prefissato, ovvero maggior consenso.

   Ascolto Salvini, così come ascolto tanti altri figuri della politica contemporanea. Ascolto, osservo, imparo, e soprattutto non mi lascio condizionare dal pettegolezzo del web. Io ho amici che odiano Salvini. Lo scrivono su Facebook ogni santissimo giorno (neanche a Natale prendono una pausa). Al Sud Salvini è diventato un’ossessione.

   Ed è qui che Salvini gioca la sua partita.

   Se fosse un allenatore di calcio, Salvini entrerebbe di diritto nella storia dello sport.

   Il paragone sembra azzardato, ma l’esempio è chiaro.

   Ha preso un partito ridotto allo zero, spaccato, maltrattato. In pochissimi anni è diventato il primo partito del cosiddetto centrodestra. Anche Berlusconi ha dovuto mollare la presa (stiamo parlando di quel Silvio che in politica amava primeggiare a costo di far fuori i suoi migliori alleati).

   Se al posto della parola “partito” mettete l’espressione “squadra di calcio”, si capirebbe che sarebbe un allenatore di ottimo livello.

   Quindi, attenzione a definirlo “ignorante” o altro. È la tipica persona che sa incassare ogni genere d’insulto. Non si lascia impressionare. Anzi, addirittura risponde a tono. Nelle interviste, soprattutto quando l’avversario lo provoca, lui risponde a tono e nella maniera più democratica possibile. Anzi, a volte è pure fastidiosamente ironico. Però, centra il bersaglio. Lui forse non offre idee, ma gli altri nemmeno ne offrono di migliori. I suoi avversari più accesi usano lo scontro verbale con parole come “fascista”, “razzista”, “ladro” e altri epiteti, cadendo nella trappola. Sì, perché Salvini (con tutta la sua squadra) usa il web come non mai. Parla alla gente usando un linguaggio rassicurante. Usa spesso la parola “lavoro”. E soprattutto mantiene davanti al video sempre il controllo.

   Gli avversari lo denigrano, ma alla fine sono loro che devono rincorrere il primo in classifica.

   Ma nessuno risponde alla domanda? Come ha fatto la Lega a essere il primo partito del centrodestra in così poco tempo?

   La Lega nasce con un intento di realizzare un sistema federale all’interno dell’Italia, e nel passato non ha avuto paura di parlare di secessionismo federale. Ma questo poteva funzionare all’interno dell’Italia stessa.

   Quando l’Italia entra a far parte dell’Europa, lo scenario cambia totalmente.

   L’Europa è un insieme di Stati, ma non è una federazione. Questa caratterista è il vero limite dell’Europa. I primi a capirlo sono i leghisti, seguiti anche dai 5stelle (in Italia) quando erano all’opposizione del governo italiano. Tutto questo antieuropeismo nasce da come viene trattata la Grecia (altra situazione complicata), e da un blocco inglese che non le manda a dire (tanto che adesso c’è la Brexit).

   Quindi la Lega Nord diventa Lega perché per staccarsi da questa Europa e riportare l’indipendenza all’Italia, l’unica strada è proporre proprio il federalismo europeo (proposta interessante, a dire il vero) e per farlo bisogna prendere i voti dal nord al sud, e andare di persona a prendersi questi tanti voti.

   E cosa fa Matteo, eletto segretario generale della Lega?

   Inizia a viaggiare, e prende nota. Trasmette tutto sulla sua pagina Facebook e sugli altri canali social.

   All’inizio lo sottovalutavano, ma lui predica e ostenta pazienza (quella che non hanno i suoi avversari, e forse nemmeno i suoi alleati). Lui insegue la strada del consenso, e usa internet per farlo, tenendo conto che anche la televisione gioca un ruolo importante. Va in tutti i programmi televisivi e immaginabili, anche quelli dove Berlusconi (che un tempo era il primo riferimento del centrodestra) non andrebbe.

   Incassa, incassa, incassa. Ma non si abbatte. Anzi, addirittura la sfida è stimolante. E soprattutto dialoga. Eccome se dialoga. Non perde mai il controllo, anche quando lo scontro si accende.

   È come colpire un campione di boxe. Per essere campioni di boxe, non bisogna saper soltanto colpire, ma bisogna anche saper incassare. E il buon Matteo sa incassare. Anzi, lui si fa vedere mentre incassa gli insulti, e così facendo inizia la sua scalata verso il consenso, giocando proprio sul bisogno di semplicità che oggi l’italiano medio ha tanto bisogno.

   Gli altri si agitano. Lui non si scompone.

   Voi lo condannate? A lui non gliene frega niente, perché il dissenso fa parte del gioco.

   Lo chiamate fascista? Eppure lui usa i mezzi e non rifiuta le interviste scomode (oddio, rifiuta quelle che sono fattivamente inutili e ripetitive, e qui posso umanamente comprenderlo). Anzi, addirittura vuole che si parli di lui, perché aumenta il consenso.

   Lo chiamate pazzo? In politica come in guerra non esistono regole di fair play. O sai incassare e colpire, oppure è meglio stare zitti. Oggi la politica si semplifica così, e la vera politica non trova più spazi televisivi perché l’editoria varia non la concede.

   Quella la trovate in libreria, alla radio, forse in qualche programma notturno, e in qualche filmato via internet. Per il resto tutta la politica parla ormai un  linguaggio internet, e qui Matteo eccelle in materia. Lui, come la sua squadra, perché il Capitano è sorretto da una squadra che voi non vedete, ma c’è. Una squadra di comunicazione fatta apposta per lavorare per lui e con lui. Quindi non credete che sia solo. Lui è il segretario, ma non è solo.

   Dietro di lui, i sostenitori, i membri, gli attivisti… Tutta gente che sa come organizzarsi, e che può vantarsi di aver amministrato bene in alcune realtà (sempre a discapito del Sud, si sa). Quindi sa come andare a conquistarsi un Comune o una Regione. Ma il Capitano ha preso di balzo la volontà di conquistare la nazione, e per farlo ha capito (o gli hanno fatto capire) come immettersi nei posti non più frequentati dalla Sinistra perché preferisce sentirsi eletta oppure al sicuro di un caldo salottino da VIP.

   Guardate dov’è andato in Calabria.

   A Crotone venne quasi da solo. Non si mostrò in pubblico come altri leader, ma si fece intervistare. Con lui c’era la squadra che non vedevate. Andarono alla stazione dei treni di Crotone, e denunciarono il degrado della bidon ville che si era creata in quella zona perché le persone “extracomunitarie” erano in attesa di un documento, e non potevano muoversi. E aspettavano giorni e giorni alla stazione, abbandonati da un sistema che si definiva “accogliente”, ma che nelle vicinanze di un ufficio dei documenti non aveva previsto la costruzione di un dormitorio.

   Ecco, Matteo sarà pazzo e folle. Qualcuno lo vede come il diavolo, ma è innegabile il suo talento per guardare in faccia i problemi e portarli sul piatto del dibattito. Lui non avrà la soluzione (tranne quella drastica e forte), ma neanche gli altri hanno la soluzione pronta a dire il vero.

   Matteo è il Capitano della sua squadra. Ha fatto quello che qualsiasi segretario deve fare. Metterci la faccia e andare nei posti, e saggiare la realtà.

   Ma oggi Matteo è senza dubbio diverso. Ha fatto il ministro dell’interno in un governo ibrido con i 5stelle. È andato volutamente all’opposizione, scatenando una crisi politica pesante. Ha incassato il colpo, ma poi ha ripreso a fare quello che gli riesce meglio, ovvero parlare alle masse.

   In fondo lui è stato scelto dalla Lega per essere il segretario vincente.

   Punti deboli?

   Pochissimi, addirittura comici.

   Ma uno forte c’è. Un punto debole pesante.

   Un punto debole artistico, a dire il vero.

   Una scultura provocatrice, qualche tempo fa, che lo ritraeva come un assassino che sparava con i migranti lo ha fatto vacillare. C’è il video su YouTube. Quindi lui ha una sensibilità evidente per il dissenso che l’arte provoca. Una cosa che lui stesso non si aspettava. Provate a guardare e ascoltare i suoi dialoghi con Mauro Corona, uno scrittore con idee lontane dalle sue. Aprite le orecchie, e lì vedrete i limiti reali del Capitano. Ma solo se siete bravi e pazienti ad ascoltarlo.

   Ma ora il Capitano sta giocando la sua partita più grossa. Sta provando a prendersi l’Emilia Romagna per scardinare quel centrosinistra che, paradossalmente per tradizione, offriva una società funzionante. L’unica sacca di centrosinistra che funziona, ma che ha perso il consenso. Perché la sinistra si è mutata nel tempo, e lui, Matteo, lo sa bene.

   Dieci anni fa, nessuno avrebbe mai pensato che la Lega potesse candidarsi in Calabria. Oggi succede, e sta accadendo. La Lega ha preso voti importanti alle scorse europee, nella regione che si sente “più orgogliosamente terrona”.

   Conquistare la Calabria è importante per la Lega. Perché da qui parte la conquista per l’Italia. Conquistare l’Emilia sarebbe storico, ma conquistare la Calabria è strategicamente importante. Per una questione d’immagine, ma soprattutto per una questione di potere.

   Il popolo calabrese è chiamato a votare adesso.

   Su Facebook mi rendo conto delle spaccature anche tra persone che si conoscono. Addirittura un professore ha scritto una lettera personale perché le persone vadano a votare PD perché la Lega ha sempre insultato il Sud. Ma è anche vero che il Sud è stato maltrattato da politiche insane, approssimative, superficiali e clientelari. La gente, quella che va a votare, ha voglia di assaggiare il veleno che non ha assaggiato. È un fenomeno democratico del voto, e quando si tratta di mettere una ics la gente non esita a farlo.

   Però quanta gente andrà a votare? Cinque anni fa il 45% degli aventi diritto ha votato. Una minoranza ha votato. E sappiamo com’è andata a finire…

   Il Capitano ha letto questo dato, e da qui è partita la costruzione del partito in Calabria. Tutti a sfotterlo, ma intanto ha costruito e adesso si presenta all’esame del voto. Il primo vero voto importante a livello nazionale. Ha preso qualche Comune nel frattempo, ma sulle regionali sono caduti i migliori segretari di partito. E il Capitano non vuole cadere. Potrà anche perdere, ma a lui interessa impensierire, giocarsela, perché tanto il trofeo è vicino. E sa che a deciderlo saranno ovviamente gli elettori che andranno a votare.

   Perciò, caro professore, forse sarebbe meglio invitare le persone a esercitare la libertà del voto, senza indicare il PD. Lasciare che si esprima, perché il primo nemico della Calabria non si chiama Matteo Salvini, che è una conseguenza delle pessime politiche del passato. Perché queste politiche pessime hanno snervato l’elettore, portandolo a restarsene a casa e ad accettare passivamente.

   Il Capitano lo sa questo, e guarda caso si è fatto vedere in posti, compresa Crotone, fino a poco tempo fa impensabili.

   La partita è iniziata.

   Il Capitano ha portato la sua squadra dove voleva, ovvero a giocare una finale.

   Allora la domanda è: l’elettorato saprà parare il rigore del novantesimo minuto?

Aurélien Facente, gennaio 2019