L’Europa ai tempi del Coronavirus

Tutti stanno toccando questo tasto. Tutti ne scrivono. C’è chi la ama e c’è chi la detesta. Di fatto, nessuno è d’accordo.

   L’Europa è un’illusione bella e buona. Sulla carta, i politici hanno firmato dei trattati, e quelli dopo si sono cullati nell’illusione che quello doveva durare per sempre. Come l’Impero Romano che credeva di essere immortale, e alla fine sappiamo come andò a finire. Giusto per un esempio ancora più lampante, perché non ricordare Alessandro Magno che cercò di costruire un larghissimo Impero, che poi si sfracellò appena il giovane imperatore perse la vita. La storia è piena di queste illusioni.

   Certo, di progressi ne abbiamo fatti tanti negli ultimi 80 anni, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. Perché dopo la fine del conflitto, la volontà di quella politica era raggiungere un grado di civiltà tale da poter mettere una pietra sopra a quella tragedia immane che racconta tuttora oggi il prezzo che l’odio comporta.

   Ed era giusto sognare l’Europa.

   Ma certi processi unitari hanno bisogno di molto tempo per realizzarsi.

   Non si sono fatti i giusti calcoli.

   Nel 1992 c’erano ben altre aspettative, però non si è capito che le cose possono cambiare da un momento all’altro.

   Le nazioni dell’Unione Europea hanno insistito tanto sul progetto economico chiamato Euro, che prima ancora si chiama ECU.

   Ci hanno voluto far credere che quel progetto avrebbe portato benessere.

   E poi, guarda caso, non hanno tenuto conto di un elemento che nella storia umana è forse il principale protagonista, ovvero il tempo che cambia le cose.

   Si è voluto far credere che quella moneta fosse la base su cui consolidare la grandezza di un’unica grande nazione.

   Nel 1992 potevi crederci. Io ero un ragazzino delle medie, e ci credevano i miei insegnanti. Si doveva dimenticare di essere italiani per sentirsi cittadini europei. Me le ricordo bene le tante frasi che si dicevano a scuola. Beh, comprensibile. All’epoca, i miei insegnanti avevano vissuto le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale. La visione di una Europa più giusta era qualcosa di nobile. E a tredici anni non potevo mica contestare quel bel sogno.

   Però poi cresci, e inizi a capire.

   Dall’entrata fattiva in vigore dell’Euro, abbiamo avuto progressi tecnologici spaventosi. Internet, smartphone, digitalizzazione. Giusto per citarne tre. Ma poi, nello stesso tempo, siamo diventati più poveri. Ci siamo tagliati le possibilità di costruirci una propria vita professionale perché le imposizioni economiche sono mutate.

   E mentre eravamo diventati più poveri, ecco che le scuse per rimandare la discussione del problema sono aumentate, sempre con lo stesso leit motiv: ce lo chiede l’Europa.

   Come se l’Europa fosse una persona, quando in realtà la verità da dire: ce lo impone lo Stato centrale europeo.

   Uno Stato che si regge solo su trattati economici, dai quali poi sono stati fatti altri trattati. Ma l’interesse economico non regge se non c’è l’interesse per i cittadini. Perché, per quanto puoi essere laureato in economia, si sa bene che la stessa economia ha bisogno dell’essere umano per essere tale. Se l’essere umano muore, l’economia non esiste. Ma l’economia deve essere il primo e unico obiettivo. Si può capire che i bilanci devono essere a posto per una questione di credibilità, ma uno Stato centrale sarebbe più credibile e civile se pensasse di più alle persone.

   L’Europa non pensa alle persone?

   Facciamo un piccolo passo indietro nel tempo. Giusto uno. La Brexit. L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa, tra l’altro votata dai cittadini inglesi in un referendum.

   La democrazia umana trionfa. Il resto dell’Europa accusa il colpo, ma non si preoccupa minimamente di dibattere, di fare un passo indietro e capire che qualcosa è cambiato inevitabilmente. Invece, si continua sulla strada dell’economia.

   Già, senza soldi non se ne cantano messe.

   Ma è anche vero che i soldi senza gli esseri umani sono carta straccia. Anzi, quando si muore il portafogli è superfluo.

   Però bisogna mantenere gonfio il portafogli in ogni caso. Bisogna solo fare i compiti e basta, tagliando i diritti delle persone che devono solo compiere i doveri.

   Poi arriva il Coronavirus, il nemico invisibile per eccellenza, quel caos che ogni tanto la natura genera, rendendolo talmente forte da far vacillare tutto il castello europeo.

   Ed è questo che succede, mettendo a nudo tutte le fragilità di chi si sentiva forte.

   Nella storia del mondo non è la prima volta che accade una pandemia.

   E le pandemie mettono a nudo i primi due schieramenti: i coraggiosi e i vigliacchi.

   In epoca Coronavirus è successo sostanzialmente questo.

   La prudenza economica contro la difesa della vita.

   E quelli che sono per la prudenza economica inveiranno sempre contro chi vuole difendere la vita, a patto che la cosa non colpisca anche loro.

   Il Coronavirus ha colpito la Germania e l’Olanda, ma per loro le persone sono sacrificabili. Un concetto totalmente diverso di concepire le politiche nazionali e internazionali. Loro non esiterebbero a sacrificare i più deboli per difendere la loro economia. Non lo hanno fatto prima, perché dovrebbero farlo adesso. Per aiutare i mafiosi italiani e gli scalmanati spagnoli? Non sia mai.

   Che strano concetto di stare insieme. Eppure gli aiuti internazionali non sono mancati all’Italia. La Cina, anche se con dovute riflessioni, è stata la prima ad intervenire. Poi Cuba. Poi Russia. Poi Albania, Polonia, e ci sarà anche qualcun altro.

   Gli amici si trovano nel momento del bisogno.

   Una parte dell’Europa non vuole essere amica con noi nel vero senso della parola.

   E qui cade il castello di carte.

   Allo stesso tavolo mi siedo con gli amici di cui mi fido, che mi spingono e mi sostengono a fare del mio meglio, e se serve mi aiutano anche. Però, quando ci sono i soldi di mezzo, succede altro.

   Si dice che chi trova un amico, trova un tesoro.

   Ma qualcun altro dice che chi trova il tesoro, se ne fotte dell’amico.

   Io aggiungerei che dietro il tesoro ci può essere sempre la spada di un pirata che ti infilza.

   Ecco forse spiegata la più grande illusione dell’Europa svelata.

   C’è sempre tempo per cambiare, a patto che si consideri l’esistenza delle persone come essenziale ai fini del meccanismo economico. Altrimenti non serve a niente.

   Per quanto mi riguarda, l’Europa è bella vederla dallo spazio, in una posizione lontana, con l’idea di un sogno.

   Perché l’Europa, ora come ora, è un vaso dannatamente fragile che rischia di rompersi in qualsiasi momento.

   Fare un passo indietro non è mai un’umiliazione, ma un vero e proprio atto di umiltà.

   E che sia ben chiara una cosa: il Coronavirus se ne sbatte ovviamente dell’economia.

Aurélien Facente, aprile 2020