Le avventure del professor Vincenzo perseguitato dalle teorie strampalate di Fantapall

Il mio Whatsapp ogni tanto salta. Alcuni mi inviano articoli che sembrano più delle barzellette che pezzi inerenti l’attualità. Una della testate più condivise in città è Fantapol, che io definisco affettuosamente Fantapall.

   Sì, perché a raccontar palle è abbastanza abile. In piena emergenza coronavirus, standosene bene a casa, il giornalista racconta di risse violente nei supermercati, risse mai avvenute. Giusto per fare un esempio.

   Però è divertente, devo ammettere.

   Ogni tanto un sorriso ci vuole, ma poi la cosa è seccante quando si vuol far credere di essere padroni della verità.

   Bene, Fantapall in questo periodo è ossessionata dal denigrare e delegittimare il professor Vincenzo, un noto candidato a sindaco che in questi giorni è impegnato a portare avanti il proprio progetto politico.

   Ora, se io fossi il giornalista di Fantapoll mi preoccuperei di capire perché il professor Vincenzo si presenta, quali sarebbero i suoi candidati, quali sono i programmi che propone, quali obiezioni da fargli sui contenuti che non mi convincerebbero, e magari fargli una critica politica onesta, anche se mi è antipatico. Mi preoccuperei di capire perché tanta gente ha partecipato alla presentazione delle liste. Cercherei di capire perché questo signore è popolare. Senza fare neanche tanti pronostici.

   Ecco, seguire il buon professore dal punto di vista sociale sarebbe un reportage abbastanza interessante, anche perché i lettori vorrebbero capirci di più.

   Io, ad esempio, sono un lettore che ama approfondire. Mi piace farmi un’idea dei candidati, vedere che cosa propongono, capire il loro grado culturale e verificare la loro idea di dimensione di uno spazio cittadino.

   Voi pensate che leggerete tutte queste cose che richiederebbero tra l’altro un lavoro accurato e obiettivo? No.

   Mi mandano un articolo dove il professor Vincenzo è al bar a incontrare qualche conoscente, e magari a questi signori dichiara di candidarsi. E ci sta. Quanti candidati vanno al bar per proporsi agli amici e ai conoscenti? No, secondo Fantapall gli amici son pochi, come se il bar stesso potesse riempirsi di migliaia di persone all’istante così per magia.

   Un articoletto senza logica, ma molto divertente.

   Ieri (29 agosto 2020) la pubblicazione di un altro articoletto divertente. Una macchina parcheggiata all’angolo con tanto di morale sul codice della strada. E indovinate a chi appartiene la macchina? Proprio al professor Vincenzo.

   Ora, prima di scrivere l’articolo, mi chiederei almeno se la macchina non si fosse guastata e per necessità si è parcheggiata lì. No, ci si inventa che la macchina blocca il passaggio alle carrozzine per disabili, che è in divieto di sosta e fermata e quant’altro ancora. E anche se fosse, magari sarebbe utile chiamare qualcuno delle forze dell’ordine prima di scrivere l’articolo. Così, giusto per avere un chiarimento. No, neanche questo.

   E allora via con la pubblicazione.

   E così mi inondano il Whatsapp per leggere questa roba demenziale.

   Ora il professor Vincenzo non ha bisogno della mia difesa. Però adesso ho paura che il professor Vincenzo sarò protagonista di un articolo dove magari vola su un asino volante, oppure un altro articolo dove magari si metterà a parlare con Pinocchio, oppure un altro dove magari si scriverà che vorrà andare a farsi un pellegrinaggio fino a Serra San Bruno.

   Insomma, la demenzialità più pura.

   E così continua la triste narrazione del giornalismo crotonese, che va sempre più giù pur di raccontare barzellette.

   È vero che siamo in regime di par condicio.

   Allora aggiungiamo che Fantapall non è il solo a raccontare felicemente delle palle.

   Mi hanno inviato qualche giorno fa il link di un blog dedicato ai Vichinghi, e poi vedi il blog e vedi tanti articoletti fantasiosi su un noto segretario della Lega, come se quelle pubblicazioni illuminanti acchiappassero lettori.

   Caro professor Vincenzo, come può ben vedere ogni esponente politico è perseguitato da qualcuno che ama raccontare palle. Lei almeno ha Fantapall. Pensi che c’è chi è addirittura stalkerizzato dai Vichinghi…

   E poi dicono che i blogger sono fabbricanti di fake news…

   Detto da chi racconta e pubblica palle tra l’altro sembra addirittura un complimento…

Aurélien Facente, agosto 2020

L’ipocrisia codarda dell’italiano ai tempi del Coronavirus

C’è una guerra che io personalmente non sopporto. Una litania che mi trovo ad assistere da almeno 30 anni, almeno quando ho cominciato a distinguere il bene dal male e quando ho cominciato a studiare i gravi fatti della Seconda Guerra Mondiale, e di conseguenza il male che i regimi dell’epoca hanno fatto a tante, troppe persone.

   Giusto non dimenticare, ma per tanti italiani che conosco di quella lezione dura non hanno capito nulla. Lo vedo su Facebook principalmente, ma mi ci scontro anche dal vivo.

   L’eterna guerra degli antifascisti contro i fascisti. Tutto quello che gli antifascisti (esercito formato principalmente da radical chic moralisti in primis) è una litania di odio verso quello che la pensa diversamente da loro. Un virus difficile da scacciare e con la quale non si riesce a ragionare il più delle volte. La loro fissa è quella. Tutto quello che non è partigiano è fascista e basta.

   Non è che dalle altre parti la questione è meglio, sia chiaro. Il succo è lo stesso, solo che usano l’epiteto “comunisti”.

   La cosa che hanno in comune le due tifoserie è il reciproco odio verso l’altro, e se vuoi startene per i fatti tuoi ecco che ti bollano come uno che non si vuole schierare, come se lo schierarsi per forza sia qualcosa di eccezionale.

   Quest’odio negli anni si è accresciuto sempre di più, facendomi capire che è sempre meglio restarne fuori. Li adoro, in entrambi i casi, quando predicano la tolleranza, eppure sono pronti a scannarsi.

   Con il loro modo di fare hanno infettato il web, i notiziari, i talk show e tutto quello che c’era da infettare. Quando ci si sono messi pure i 5stelle, definiti fascisti da uno schieramento e definiti ex comunisti dall’altro. Insomma l’apoteosi dell’ipocrisia assoluta. Tutto questa trasmissione di odio è diventata il cancro del pensiero libero.

   A volte, sembra di assistere ad un eterno litigio tra mamma e papà, e poi osano chiedere ad un figlio unico se è meglio la mamma o il papà. Il discorso più ipocrita che si possa fare.

   Per loro non esiste il pensiero indipendente, quello che si limita a ragionare e ad ovviare il pratico per risolvere i problemi. No, bisogna per forza essere di parte.

   Quando uno vive questa storiella per parecchi anni poi se ne allontana. Perché francamente rompe i cosiddetti, anche perché, nella maggior parte dei casi, uno vuole vivere tranquillo. Poi c’è anche chi ama il confronto. E ci sono stupendi confronti, ma lo diventano quando sono i pensieri a incontrarsi e non le bandiere.

   Fatta suddetta premessa, è bello notare il dibattito delle voci politiche su Facebook. Sempre le solite storielle. Ok. Rispettiamo le convinzioni, ma facciamo uscir fuori anche le ipocrisie.

   Primo fatto: un omicidio brutale a Minneapolis, USA, a danni di un uomo di colore da parte di alcuni poliziotti. Rivolta feroce da parte dei cittadini. Bruciano il commissariato. Nota bene: negli Stati Uniti siamo nel pieno della pandemia Coronavirus.

   Il pensiero medio italiano? Hanno fatto bene. Giustizia. Tutti insieme assembrati a condannare gli assassini.

   Pensiero personale, tanto per capirci: la brutalità, quando porta alla morte, va sempre condannata. A Minneapolis è accaduto qualcosa di estremamente grave che ha portato alla gente comune di protestare con ferocia. Molta gente si è messa insieme per realizzare una rivolta, e l’hanno fatto, in barba alla pandemia. Quindi, consegue che quando la gente si muove tutta insieme diventa una forza incontrollabile. Ovviamente questa brutta storia avrà una fine.

 

  Secondo fatto: Milano, Piazza Duomo, 30 maggio 2020. Un’enorme folla manifesta. La manifestazione è organizzata dai Gilet Arancioni, capeggiata dal generale in congedo Pappalardo. Migliaia di persone. In Lombardia siamo nel pieno epicentro della pandemia Coronavirus in territorio italiano. I manifestanti non hanno rispettato le distanze di sicurezza.

   Il pensiero medio italiano? Incoscienti, coglioni, fascisti, e quant’altro ancora. Tutti bravi a condannare una manifestazione che non ha bruciato un commissariato.

   Pensiero personale: al di là dei Gilet Arancioni, la piazza era formata anche da gente che aveva voglia di tornare a vivere in qualche modo. Da condannare? Tranne l’aspetto pittoresco, il tutto è da comprendere perché in mezzo a tutta quella gente ci sono tante persone che molto probabilmente non hanno goduto di un aiuto statale oppure si troveranno a fare i conti con un probabile fallimento o con un licenziamento. Semmai, quelli che puntano il dito dovrebbero chiedersi come ha fatto un personaggio pittoresco come il generale ad agire indisturbato e a organizzare una serie di manifestazioni in tutta Italia, e il bello è che lo stesso generale lo annunciava da giorni in diretta Facebook. Chi è che ha sottovalutato la questione?

   Obiettivamente, anche qui un’enorme folla che andava lasciata manifestare. Perché la gente non la fermi.

   Ora, ovviamente, i due eventi sono diversi per natura e motivazioni. Hanno solo in comune la massiccia partecipazione di persone che desiderano esprimere un malessere.

   Bene, in questi due eventi l’ipocrisia si è manifestata più che bene.

   Alla fine, in Italia, ho capito che forse Camillo Benso di Cavour ha fatto un errore di valutazione nel voler per forza unire l’Italia. Ma non credo che il Cavour avesse prospettato tutta quest’ipocrisia del tutto italiana.

Aurélien Facente, maggio 2020

Coronavirus KR: La massa si muove

Nell’emergenza Coronavirus ho criticato apertamente due provvedimenti in particolare. Uno era la prossimità di duecento metri da casa, liberamente interpretata da qualche signore in divisa. La seconda era il divieto di passeggiare in solitaria, seppur munito di mascherina. Aggiungiamoci pure la chiusura di alcuni luoghi ideali per passeggiare, e ci siamo tutti dovuti atteggiare.

   Un altro aspetto da criticare è il terrorismo mediatico portato avanti da tanti organi di stampa e di televisione. Un terrorismo amplificato anche da buontemponi che sui balconi filmavano persone che, magari, erano uscite per necessità.

   Questo, nell’insieme, ha portato la gente ad odiarsi.

   Pur capendo la necessità del momento, la gente, nel 95% (dato sorprendente tra l’altro), si è comportata nel migliore dei modi.

   Ma la quarantena, o meglio la prigionia forzata, alimenta anche il malessere.

   Non tutti hanno la possibilità di godersi un bel panorama. Tanti non godono nemmeno di una buona compagnia dentro casa. Tanti eroi di tastiera pronti a giudicare e condannare il prossimo perché magari si è preso cinque minuti di respiro.

   Tengo a precisare una cosa: il virus esiste ed era necessario lasciare spazio ai nostri sanitari, se non altro per permettere loro di lavorare al meglio.

   Il governo, nel suo insieme, avrebbe dovuto porre un freno serio al terrorismo mediatico.

    Non l’ha fatto. Ha lasciato la palla al Presidente del Consiglio, che si è trovato gioco forza in una situazione inedita nel dover prendere provvedimenti molto discutibili tra l’altro. Ma questa è un’altra storia.

   Nel frattempo, una pattuglia di sindaci sceriffi che ti parla in video e ti colpevolizza anche per una carezza. E non una parola d’incoraggiamento. Molti a puntare il dito contro. Un terrorismo mediatico tale da alimentare l’odio piuttosto che la solidarietà.

   E così si accende la miccia di una dinamite pronta a scoppiare in qualsiasi momento.

   Aggiungete gli epiteti “fascisti” e “comunisti” che ormai ci perseguitano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando il regno dell’incertezza non ha voluto dare spazio alla speranza, il vero sentimento che unisce.

   Già, perché se si uccide la speranza uccidi le persone, o meglio le armi di qualcosa che non lascia spazio alla ragione.

   In questi mesi, il terrorismo mediatico (e se n’è reso conto pure il Governo guarda caso) ha solo alimentato un cancro: quello della disperazione.

   E c’è chi riesce a cavalcare quell’onda. Perché tutti noi ci nutriamo della speranza. Perché molti di noi hanno bisogno di ottimismo, di sentire che c’è un domani, che possiamo costruircelo.

   Nella paura del Coronavirus si è innescata la dinamite della reazione.

   Ormai le piazze iniziano a riempirsi, alla faccia delle regole imposte e delle ideologie politiche.

   A Piazza Duomo a Milano, nel giorno 30 maggio 2020, una manifestazione con tante persone vestite di gilet arancioni, guidate da un vecchio generale. Lasciamo perdere il contenuto per un attimo. Ho letto le opinioni e ascoltato i pareri, e letto anche gli articoli della stampa. Un effetto meteorite di opinioni, senza volersi rendere conto di un fatto essenziale: la massa, quando si muove, non si ferma.

   Sulla posizione politica se ne può discutere tranquillamente. Ma in mezzo a quelle migliaia di persone, erano tutte da condannare? Erano realmente tutti fascisti? O c’erano anche persone che avevano voglia soltanto di tornare a vivere con un po’ di dignità?

   Facile condannare. Troppo facile. Tra l’altro, con una domanda non posta: ma si poteva fermare, si poteva evitare? Certo, ma solo se non sottovaluti.

   Se chiedi un sacrificio, devi dare in cambio una speranza. Se prometti aiuti economici, caro Stato, sai che devono arrivare tempestivamente. Puoi sempre controllare dopo. Invece, più di qualcuno, nella macchina governativa ha fatto il bullo burocratico.

   E così, giorno dopo giorno, tra tanta paura e tante annunciazioni di morti ecco che la miccia si accende fino a far esplodere un’altra bomba.

   Alla fine esce sempre un generale o un nuovo capo politico o qualche antieroe improbabile. La storia ne è piena di esempi. E soprattutto c’è un dato naturale incontrovertibile. Fa parte del DNA umano. Nelle epidemie e nelle pandemie di vecchia data è sempre accaduto che l’umanità, nel suo insieme, prima o poi si muove per adattarsi al male. Andrà avanti rompendo le regole perché sentirà il bisogno di rimettere in ordine il proprio ruolo. E quando lo fa, la domanda è sempre la stessa: come lo farà?

   E questa domanda non ha mai una risposta, ma solitamente spaventa i governanti, dove si troveranno anche loro davanti a una domanda inevitabile: e adesso?

   Già. E adesso?

Aurélien Facente, maggio 2020

Il bavaglio della censura governativa e social che si vuole usare nei confronti del libero pensiero all’epoca del Covid-19

Nella mia linea editoriale, se tale si può definire, ho sempre cercato di delineare la necessità del racconto per narrare la società. Uso la mia esperienza e i miei occhi per proporre, mai imporre, un semplice punto di vista, e quando mi sono occupato di determinati argomenti l’ho sempre fatto nella maniera più corretta possibile, avendo anche l’aiuto di qualcuno che magari ne sa più di me.

   Non sono un tuttologo, ma di sicuro ho letto e scritto tanto. So mettere insieme due frasi, e conosco abbastanza bene l’analisi logica. Sono stato educato dai miei genitori e dalla società nella quale sono cresciuto all’ascolto e a usare la testa quando serve.

   Ho praticato il giornalismo per alcuni anni, e mi piaceva. Ho abbandonato quando ho capito che il giornalismo italiano preferiva cercarsi i like piuttosto che curarsi la qualità della notizia. E così ha fatto la politica.

   Oggi politica e giornalismo vogliono il gradimento, ma non si curano della sostanza.

   Quando avviene questo binomio, la democrazia corre un grosso pericolo.

   Scrivere e raccontare non vuol dire compiacere.

   Assolutamente no.

   Però, se vuoi essere degno dello scrivere e del raccontare devi sempre farlo con la consapevolezza che parli alle persone, e parli anche di persone.

   Il mio personale approccio è forse più letterario, ma se devo denunciare prima mi devo preoccupare di raccontare e mettere insieme i dettagli. Perché la gara della notizia non deve essere a chi arriva prima per arrivare sempre primi, ma per come la racconti.

   Quando ho capito che bisognava essere superficiali, ho preferito abbandonare, spinto anche da situazioni strettamente personali.

   Dalla mia personale decisioni sono passati nove anni, e solo di recente ho deciso di ridare voce alla mia voce e alla mia scrittura. Perché essere indifferenti vale sempre fino ad un certo punto. Perché se hai la possibilità di fermare un mostro, lo devi fermare.

   Ecco perché sono tornato a scrivere, e a raccontare.

   Oggi, in Italia, si vive il Covid-19 o Sars-Cov2 o Coronavirus 24 ore su 24. Un martellamento di notizie alla rinfusa che hanno di fatto violentato le persone di tutti i giorni nella dignità, nell’economia e nella salute.

   Per oltre 50 giorni ho tenuto dirette con l’augurio che le persone di tutti i giorni riprendessero a respirare, a non farsi mangiare dalla paura. Nel frattempo, indagavo e mettevo insieme tante cose perché io non credo al cosiddetto “asino che vola”.

   Fermo restando che il sottoscritto non ha mai negato l’esistenza del virus e nemmeno che purtroppo ci sono stati tanti morti. Anche dalle mie parti è morto qualcuno per il Covid-19.

   Però ho sempre tenuto la testa vigile.

   Non ho mai creduto a quello che la tv e i media tradizionali hanno diffuso al 100%.

   Perché io sono un malato cronico, e non posso permettermi di condannare una persona infettata e asintomatica solo perché, purtroppo, non sapeva di esserlo. Il condannare persone che hanno solo avuto il desiderio di farsi una passeggiata in solitaria è uno degli orrori che questo battage politico-mediatico ha portato avanti per distogliere l’attenzione dal vero problema.

   Ritorniamo a noi.

   Bazzico i social da dodici anni ormai. Ne conosco i limiti e ne conosco i pregi, e soprattutto ne conosco il tipo di pubblico. Ho sempre rispettato le regole al 99%. Sui social applico una politica “attendista”, soprattutto quando si parla di realtà. Non ho mai promosso violenza, razzismo, pregiudizio. Ma il rispetto del pensiero sì.

   Nelle mie dirette Facebook ho sempre lasciato parlare le persone, anche quando m’insultavano. A volte, ho anche risposto. Perché il rispondere, anche se non piace, è una rassicurazione. Ho conosciuto tante persone impaurite, e alcune con il dubbio di poter aprire la finestra e respirare. Tante persone terrorizzate, quando in realtà il governo aveva la responsabilità di promuovere la prudenza, non d’imporla con una tal forza dittatoriale. Come se l’italiano medio non potesse capire.

   Gli italiani, nella Storia, hanno avuto sempre una grande forza. Non se ne rendono conto perché vivono il momento, ma quando si mettono insieme sono capaci di muovere un intero Paese, molto più della politica.

   Ho notato in questo periodo la chiara volontà di un sistema mediatico a voler fare sentire le persone in colpa, come se le stesse fossero responsabili della natura di un virus che si muove indipendente da tutte le volontà in campo. Ho notato l’umiliazione fatta a tanti cittadini, trattati come bambini capricciosi quando in realtà si fermavano per parlare. Mi è stato detto da un signore con la divisa che io avevo mentito sul mio diabete, ma non l’ho raccontato perché era una questione che riguardava me e che potevo tranquillamente dimostrare.

   Sia chiaro. Io non ho paura del Covid-19, ma lo rispetto. Così come rispetto la legge, anche se non mi piace.

   Perché la volontà di raccontare si muove sempre nella linea di confine. E se devi dare l’esempio, sul confine devi saperti muovere.

   Perciò, quando ho scoperto la notifica di Facebook che mi censurava alcuni link perché esageravano la realtà, mi è venuto da ridere.

   Due video da YouTube: uno riguarda me e riguarda la mia opinione, sorridente, sulle ordinanze del 29 aprile 2020 emanate dalla Regione Calabria, a firma della Governatrice Jole Santelli, che hanno fatto rumore sui social. Un rumore delirante, figlio dell’incertezza accumulata, delle persone che non sapevano quando uscire di casa per vedere un po’ di sole. Il video è stato bollito come una fonte di notizie esagerata. Certo, ma la paura mica la cancelli.

   Poi un video pubblicato su YouTube dalla testata Byoblu24, con una lunga intervista fatta al giornalista Giulietto Chiesa, deceduto di recente tra l’altro. La condivisi sulla mia pagina pubblica principalmente perché considero, tuttora, Giulietto Chiesa un testimone eccezionale della nostra epoca, indifferentemente dal colore politico.

   Le persone che raccontano vanno sempre ricordate.

   Perciò per due link vengo punito leggermente dal sistema Facebook. Un piccolo bavaglio, come si suole dire. Pazienza. In fondo Facebook mi ha concesso spazio abbastanza, però ho l’impressione che adesso il libero pensiero non sia tollerato.

   Perché da una parte ci sono medici che vogliono parlare, che vogliono tranquillizzare le persone, che vogliono dir loro che la speranza non è morta. Perché ci sono giornalisti narratori che, andando contro le linee del pensiero governativo e televisivo, vi dicono e continuano a ribadire che le persone devono pensare con la loro testa.

   Il bavaglio, caro Zuckerberg, non lo puoi mettere a nessuno. Capisco le regole che vanno rispettate, sia chiaro. Ma quando il tuo social comincia a essere infettato, senza aver possibilità di controbattere in privato, dallo spettro della censura governativa e politica allora mi devo un pochino ricredere.

   Facebook si può incatenare. È un sistema virtuale. Basterebbe spegnerlo ad esempio.

   Ma il pensiero libero non lo puoi incatenare. Puoi frenarlo, ma non lo puoi incatenare. Ci hanno provato i grandi tiranni per poi essere rigettati dalla loro popolazione. Perché la tirannia è sempre una pagina oscura.

   Quindi, ai signori supremi dei social dico largamente che me ne infischio del bavaglio. Anzi, prego loro di lasciare uno spazio di difesa a garanzia dell’utente. Perché nella Storia si entra quando si lascia il pensiero camminare libero. L’affermazione della verità è un processo da conquistare, mai da imporre.

   La verità imposta nasconde sempre la più grande delle bugie.

Aurélien Facente, 12 maggio 2020

Video 1 contestato da Facebook
Video 2 contestato
Ascoltate il video del direttore di Byoblu24 perché conferma bene quello che ho scritto nell’articolo, ovviamente con le dovute differenze.

Coronavirus KR: Il lavoro crocifisso

Credo che la foto parli per tutti coloro che hanno un’attività e che vivono con la partita IVA. I lavoratori autonomi tartassati, perseguitati da bollette, affitti e banche. Il vero motore economico dell’attuale Italia, dove il lavoro è stato precarizzato e il costo della vita è in aumento.

   Se a Cosenza il titolare dell’attività si lega come se fosse un po’ Gesù sulla croce, a Crotone una piccola delegazione fece una protesta, con tanto di manifesto affisso al muro, molto civile.

   L’Italia affronta un’emergenza sanitaria senza precedenti, e lo Stato ti parla di prevenire i cosiddetti focolai. Che bel termine! Però sottovalutano altri focolai. Quelli delle persone di tutti i giorni, di quelle che non possono nemmeno aprire un negozio di scarpe o di vestiti. Per non parlare di parte del mondo artistico, che stranamente in Italia accetta senza aprire un dibattito serio. Ci ha provato Tiziano Ferro, a dire il vero, ma nessuno ha voluto ascoltare la sua preghiera, o almeno appoggiarla almeno.

   Eppure anche qui si parla di partita IVA. E anche qui si parla di gente dipendente.

   Sacrificarsi per il bene comune è bello, ma prima o poi una risposta deve arrivare.

   Il governo non va criticato per le scelte che fa? Beh, diventa una sfida ardua non poter controbattere, soprattutto se lo stesso governo ritiene i suoi cittadini come dei bambini irresponsabili. Eppure stiamo parlando dello stesso governo che predica i valori del 25 aprile, dribblando abilmente il valore del primo giorno di maggio. Stiamo parlando dello stesso governo che annuncia gli aiuti attraverso i decreti, che poi vengono rallentati dall’intera macchina burocratica italiana, portando i numerosi cittadini sull’orlo del pozzo senza fine. Stiamo parlando dello stesso Stato che multa dei ristoratori che hanno fatto una protesta civilissima a Milano con tanto di distanziamento super rispettato: multe di 400 euro che non verranno pagate.

   Sì, perché l’economia è stata volutamente rallentata. Prima era una buona automobile che camminava senza fermarsi, ma poi è stata portata a frenare bruscamente.

   Eppure, dopo un mese di fermo, questa categoria di cittadini potrebbe dimostrare che con responsabilità può tenere aperta la propria serranda o il proprio ufficio, a costo anche di lavorar la sera. Perché l’italiano avrà anche mille difetti, ma quando si tratta del lavoro l’italiano eccelle.

   Eppure lo Stato preferisce dar spazio a chi racconta del mostro invisibile, dando spazio all’incertezza e a task force abbastanza improbabili.

   Se all’inizio era giusto fermarsi, adesso si è aperto un conflitto che non vogliono far vedere. Il conflitto tra le istituzioni nazionali e regionali, il conflitto politico tra vari scienziati che amano apparire in tv e i dottori che sul campo stanno iniziando a rilasciare verità terapeutiche efficaci, tra l’altro rivolgendosi non ai cosiddetta media nazionali. E infine il conflitto mediatico, portato avanti da editori assetati di visibilità e capaci di pubblicare notizie irreali e fantascientifiche e una comunità (piccola) di difensori della libertà di parola che ha dato voce a chi sul campo c’era.

   E in mezzo la crocifissione dei lavoratori autonomi.

   Il ritratto più triste di quest’epoca nefasta.

   In Italia ci sono due nemici da abbattere: il primo è di sicuro il virus. Ma il secondo è quella della cecità di chi sta al potere. Quello, se permettete, è un male ancora più pericoloso.

Aurélien Facente, maggio 2020

L’Europa ai tempi del Coronavirus

Tutti stanno toccando questo tasto. Tutti ne scrivono. C’è chi la ama e c’è chi la detesta. Di fatto, nessuno è d’accordo.

   L’Europa è un’illusione bella e buona. Sulla carta, i politici hanno firmato dei trattati, e quelli dopo si sono cullati nell’illusione che quello doveva durare per sempre. Come l’Impero Romano che credeva di essere immortale, e alla fine sappiamo come andò a finire. Giusto per un esempio ancora più lampante, perché non ricordare Alessandro Magno che cercò di costruire un larghissimo Impero, che poi si sfracellò appena il giovane imperatore perse la vita. La storia è piena di queste illusioni.

   Certo, di progressi ne abbiamo fatti tanti negli ultimi 80 anni, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. Perché dopo la fine del conflitto, la volontà di quella politica era raggiungere un grado di civiltà tale da poter mettere una pietra sopra a quella tragedia immane che racconta tuttora oggi il prezzo che l’odio comporta.

   Ed era giusto sognare l’Europa.

   Ma certi processi unitari hanno bisogno di molto tempo per realizzarsi.

   Non si sono fatti i giusti calcoli.

   Nel 1992 c’erano ben altre aspettative, però non si è capito che le cose possono cambiare da un momento all’altro.

   Le nazioni dell’Unione Europea hanno insistito tanto sul progetto economico chiamato Euro, che prima ancora si chiama ECU.

   Ci hanno voluto far credere che quel progetto avrebbe portato benessere.

   E poi, guarda caso, non hanno tenuto conto di un elemento che nella storia umana è forse il principale protagonista, ovvero il tempo che cambia le cose.

   Si è voluto far credere che quella moneta fosse la base su cui consolidare la grandezza di un’unica grande nazione.

   Nel 1992 potevi crederci. Io ero un ragazzino delle medie, e ci credevano i miei insegnanti. Si doveva dimenticare di essere italiani per sentirsi cittadini europei. Me le ricordo bene le tante frasi che si dicevano a scuola. Beh, comprensibile. All’epoca, i miei insegnanti avevano vissuto le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale. La visione di una Europa più giusta era qualcosa di nobile. E a tredici anni non potevo mica contestare quel bel sogno.

   Però poi cresci, e inizi a capire.

   Dall’entrata fattiva in vigore dell’Euro, abbiamo avuto progressi tecnologici spaventosi. Internet, smartphone, digitalizzazione. Giusto per citarne tre. Ma poi, nello stesso tempo, siamo diventati più poveri. Ci siamo tagliati le possibilità di costruirci una propria vita professionale perché le imposizioni economiche sono mutate.

   E mentre eravamo diventati più poveri, ecco che le scuse per rimandare la discussione del problema sono aumentate, sempre con lo stesso leit motiv: ce lo chiede l’Europa.

   Come se l’Europa fosse una persona, quando in realtà la verità da dire: ce lo impone lo Stato centrale europeo.

   Uno Stato che si regge solo su trattati economici, dai quali poi sono stati fatti altri trattati. Ma l’interesse economico non regge se non c’è l’interesse per i cittadini. Perché, per quanto puoi essere laureato in economia, si sa bene che la stessa economia ha bisogno dell’essere umano per essere tale. Se l’essere umano muore, l’economia non esiste. Ma l’economia deve essere il primo e unico obiettivo. Si può capire che i bilanci devono essere a posto per una questione di credibilità, ma uno Stato centrale sarebbe più credibile e civile se pensasse di più alle persone.

   L’Europa non pensa alle persone?

   Facciamo un piccolo passo indietro nel tempo. Giusto uno. La Brexit. L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa, tra l’altro votata dai cittadini inglesi in un referendum.

   La democrazia umana trionfa. Il resto dell’Europa accusa il colpo, ma non si preoccupa minimamente di dibattere, di fare un passo indietro e capire che qualcosa è cambiato inevitabilmente. Invece, si continua sulla strada dell’economia.

   Già, senza soldi non se ne cantano messe.

   Ma è anche vero che i soldi senza gli esseri umani sono carta straccia. Anzi, quando si muore il portafogli è superfluo.

   Però bisogna mantenere gonfio il portafogli in ogni caso. Bisogna solo fare i compiti e basta, tagliando i diritti delle persone che devono solo compiere i doveri.

   Poi arriva il Coronavirus, il nemico invisibile per eccellenza, quel caos che ogni tanto la natura genera, rendendolo talmente forte da far vacillare tutto il castello europeo.

   Ed è questo che succede, mettendo a nudo tutte le fragilità di chi si sentiva forte.

   Nella storia del mondo non è la prima volta che accade una pandemia.

   E le pandemie mettono a nudo i primi due schieramenti: i coraggiosi e i vigliacchi.

   In epoca Coronavirus è successo sostanzialmente questo.

   La prudenza economica contro la difesa della vita.

   E quelli che sono per la prudenza economica inveiranno sempre contro chi vuole difendere la vita, a patto che la cosa non colpisca anche loro.

   Il Coronavirus ha colpito la Germania e l’Olanda, ma per loro le persone sono sacrificabili. Un concetto totalmente diverso di concepire le politiche nazionali e internazionali. Loro non esiterebbero a sacrificare i più deboli per difendere la loro economia. Non lo hanno fatto prima, perché dovrebbero farlo adesso. Per aiutare i mafiosi italiani e gli scalmanati spagnoli? Non sia mai.

   Che strano concetto di stare insieme. Eppure gli aiuti internazionali non sono mancati all’Italia. La Cina, anche se con dovute riflessioni, è stata la prima ad intervenire. Poi Cuba. Poi Russia. Poi Albania, Polonia, e ci sarà anche qualcun altro.

   Gli amici si trovano nel momento del bisogno.

   Una parte dell’Europa non vuole essere amica con noi nel vero senso della parola.

   E qui cade il castello di carte.

   Allo stesso tavolo mi siedo con gli amici di cui mi fido, che mi spingono e mi sostengono a fare del mio meglio, e se serve mi aiutano anche. Però, quando ci sono i soldi di mezzo, succede altro.

   Si dice che chi trova un amico, trova un tesoro.

   Ma qualcun altro dice che chi trova il tesoro, se ne fotte dell’amico.

   Io aggiungerei che dietro il tesoro ci può essere sempre la spada di un pirata che ti infilza.

   Ecco forse spiegata la più grande illusione dell’Europa svelata.

   C’è sempre tempo per cambiare, a patto che si consideri l’esistenza delle persone come essenziale ai fini del meccanismo economico. Altrimenti non serve a niente.

   Per quanto mi riguarda, l’Europa è bella vederla dallo spazio, in una posizione lontana, con l’idea di un sogno.

   Perché l’Europa, ora come ora, è un vaso dannatamente fragile che rischia di rompersi in qualsiasi momento.

   Fare un passo indietro non è mai un’umiliazione, ma un vero e proprio atto di umiltà.

   E che sia ben chiara una cosa: il Coronavirus se ne sbatte ovviamente dell’economia.

Aurélien Facente, aprile 2020

Coronavirus KR – Un mese è appena passato

Crotone. Emergenza Coronavirus giorno 31. Oggi si può dire che è passato un mese vero e proprio, di quelli lunghi. Un mese di quarantena, la cui grandissima parte del tempo tra le mura di casa. Esci solo se vai a fare la spesa, e se hai il cane giusto nel raggio dei 200 metri.

   Un mese è tanto.

   Che cosa ho imparato in un mese?

   Che il caro Coronavirus esiste e fa paura.

   Fa molta paura nel racconto televisivo e anche su internet, dove la gente si rifugia per trovare conforto umano, e si trova a condividere immagini e filmati (di cui molti realizzati ad arte per condividere il terrore).

   Ho imparato a indossare la mascherina, soprattutto quando entro in un supermercato o in una farmacia.

   Ho imparato a organizzare la spesa per velocizzarmi meglio, e dare subito il posto di chi ha bisogni diversi da me.

   Ho imparato a star di nuovo da solo, ma la cosa non mi è mai pesata a dire il vero. Sono abituato alla solitudine. Semmai sono gli altri a non avere un dialogo con loro stessi.

   Ho imparato a usare i guanti, ma solo quando tocco le superfici comuni esterne.

   Ho imparato a lavarmi le mani spesso, ma lo facevo già prima.

   Ho imparato che c’è tanta gente che ha paura, e che ha bisogno di sfogarla in qualche modo. Manca l’ascolto, e dove non c’è ascolto si acuisce l’odio per l’altro, solo perché magari sfrutta la sua possibilità di uscire.

   Ho imparato che tutte le forze dell’ordine sono formate da esseri umani, con pregi e difetti, e che è sempre meglio scambiarsi informazioni prima di tutto. Il buonsenso è la prima regola, ma ovviamente deve essere accompagnato dallo scambio. Perché il capirsi è la prima regola, anche quando non si è d’accordo.

   Ho imparato a conoscere un Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ci mette la faccia sempre e comunque quando si tratta di assumere decisioni che sembrano impopolari.

   Ho imparato che ci sono Presidenti della Regione che parlano alla gente, come De Luca ai suoi campani, e Presidenti della Regione, come la magica Jole, che hanno difficoltà di comunicazione.

   Ho imparato che il mondo dell’informazione è in seria crisi con se stessa, tanto che non riesce a mettersi in ordine.

   Ho imparato che abbiamo tanti scienziati che parlano, parlano, parlano….

   Ho imparato che c’è una guerra silenziosa. Quella dei medici e degli infermieri nelle corsie degli ospedali, tutti adibiti al Covid-19.

   Ho imparato a prendere decisioni difficili e dolorose, soprattutto per quanto riguarda la mia sopravvivenza mentale, che è la più importante in questo momento.

   Ho imparato che la conta degli amici si riduce tantissimo, per poi scoprire che si può essere amici con il proprio vicino.

   Ho imparato ad ascoltare il silenzio del giorno, quando prima ascoltavo il silenzio della notte.

   Ho imparato che le persone hanno paura di mettersi in regola con la propria fragilità, che era mascherata dal finto benessere diffuso, e sapere che si deve uscire mascherati ne fa il simbolo di uno dei paradossi di questa esistenza.

   Ho imparato a voler sorridere e a voler sembrare folle nel mio essere anticonformista, pur rispettando le regole emanate, per essere ancora di più me stesso, nel bene e nel male.

   Ho imparato a essere presente, anche se nel virtuale. Una presenza giornaliera, anche nelle azioni quotidiane più comuni, aiuta a sorridere.

   Ho imparato che ci sono persone che avrei dovuto conoscere prima, e altre persone che forse sarebbe stato meglio non conoscere.

   Ho imparato che la paura va combattuta, anche quando gli altri ti urlano su Facebook che devi stare a casa, come se si potesse contraddire la legge del destino, dove ognuno è padrone di se stesso, perché alla fine è sempre così.

   Ho imparato che c’è tanta negatività in giro perché non si vuole dare un pugno alla paura.

   Ho imparato a dare un sorriso anche in una telefonata.

   Ho imparato tante cose, caro Coronavirus. Ma proprio tante cose.

   Grazie a te, non posso vedere la città di Crotone con gli stessi occhi, e perciò mi godo quei piccoli particolari che posso cogliere nelle brevi uscite necessarie.

   Ma di sicuro c’è una cosa che ho imparato, caro Coronavirus. Non ti sottovaluto, anzi ti rispetto sotto certi aspetti.

   Perché nella tua aggressività, ho capito quanto molta politica sia paurosa, quanti scienziati e medici che vanno in tivù siano molto confusi, quanto pressapochismo ci sia in giro, e quanta fuffa burocratica sia uno dei mali di quest’emergenza, quando forse si dovrebbe parlar di meno e dare maggior peso all’azione e alla reazione.

   Sono sicuro che ci saranno altre cose che imparerò.

   Ti ringrazio, Coronavirus. Ma veramente tanto. Credimi.

   Però c’è una cosa che voglio dirti sinceramente: io non ho paura di te.

   Forse un giorno le nostre strade si potrebbero incrociare. Ne sono consapevole. Ma non pensare che io abbia paura, soprattutto quando so che hai spezzato le vite di tante persone che avrebbero voluto respirare una seconda possibilità.

   Per questo motivo, non posso permettermi di avere paura di te.

Aurélien Facente, aprile 2020.

La magica Jole nella Calabria mai contenta

Ho delle difficoltà a capire molti miei amici calabresi. Non me ne vogliano lor signori, e non prendano il titolo del blog come una strenua difesa della Presidente Jole Santelli, appena proclamata a capo della Regione Calabria, un ente tra i più disastrati e considerati come “lontani” dai cittadini. Il dato astensionistico supera il 50% largamente, e basta quello per far capire quanto l’ente sia percepito realmente. Tant’è che esiste e c’è una rappresentanza che va votata per amministrarlo.

   Questa volta è toccato alla magica Jole, che con la sua ciurma di centrodestra si mangia gli avversari, e si prende lo scranno meno ambito d’Italia (beh, visti i precedenti presidenti si può ovviamente capirne il perché).

   Ora tutti si scandalizzano perché la Presidente abbia scelto di stare tre giorni a Roma (dove tra l’altro c’è un palazzo della Regione Calabria), dove tra l’altro ha i suoi contatti migliori (per via del suo recente passato da parlamentare).

   Su questo ci sono quattro elementi da tenere in considerazione: 1. la magica Jole ha vinto, tuttavia, le elezioni e allora è libera di decidere una strada diversa dell’amministrare (viste le precedenti non totalmente eccelse); 2. la magica Jole ha vinto le elezioni, e può dire (anzi, deve) la sua come meglio crede; 3. si tratta della prima Presidente donna (fattore storico importante, anche se non vi piace) della Regione Calabria, ed è logico che la sua strada è diversa, nel modo di pensare e di ragionare, da quella di un uomo (e i suoi predecessori non è che siano stati i migliori); 4. il più importante, ovvero la consapevolezza di giocarsi il tutto per tutto, visto che per la stessa magica Jole è una seria possibilità di dimostrare che può governare, essendo sempre lei stata in posti più di rappresentanza (deputato e sottosegretario, anche se quest’ultimo ruolo è un pochino più di comando, ma non parliamo del potere di un ministro) che di comando (ad eccezion fatta dei suoi anni da vice sindaco di Cosenza, dove il peso istituzionale si fa sentire eccome), e perciò vorrà dimostrare di avere delle capacità.

   C’è un altro elemento molto importante da non sottovalutare. L’aspetto umano.

   Fermo restando che non la conosco personalmente, ma lei, confessato pubblicamente tra l’altro, soffre di un male che è per sua stessa natura una sorta di roulette russa. Perciò il suo modo di ragionare, pensare, vivere è diverso dal comune pensare. Lei stessa ne è consapevole, non ne fa un segreto, e questo la rende più forte e caparbia.

   Ora sommate i 5 elementi citati sopra, e avrete un qualcosa di lontanamente diverso da quello che c’è stato prima. E quando è diverso, impossibile è capirne la direzione.

   Ha iniziato a realizzare la sua personale Giunta.

   Il primo è quell’uomo mascherato che è il capitano Ultimo, la leggenda vivente che ha catturato il boss dei boss. Si occuperà dell’ambiente alla Regione Calabria. Certo, è mascherato. Ma almeno sappiamo chi è e che cosa faceva. Un eroe del nostro tempo chiamato ad agire in nome di un argomento che in Calabria è stato sempre messo in secondo o terzo piano del tutto, ovvero l’ambiente. Di certo, è una sorpresa che ha creato dissenso (parecchio perché controcorrente, e rovina i piani di qualcuno che voleva continuare l’invisibile opera pia dei predecessori, tutti famosi per essere stati completamente anonimi nel ricordo dei calabresi).

   Poi è stata nominata l’astrofisica, quella dottoressa Savaglio che finì addirittura sul Time (per meriti propri tra l’altro), e che si occuperà dell’università, altro argomento molto sottovalutato dalle nostre parti (a Crotone sono stati capaci di chiudere un polo universitario tra l’altro, e quanti stanno zitti su quest’argomento).

   E sono sicuro che le sorprese, positive o negative che siano, non finiranno qui.

   È presto per avere un’opinione, anche se la tentazione è di incoraggiare la magica Jole, che si sta rivelando un’anomalia abbastanza piacevole, tutto sommato. Perché ci sorprende, ci fa discutere, ci fa dissentire. Un vero e proprio contrasto in questa regione, e forse in questo periodo storico serve proprio il contrasto, visti i precedenti soggetti molto opachi.

   Ci sono gli scontenti, ci sono gli oppositori, ci sono quelli che la giudicano per quel servizietto tv delle Iene.

   Continuate a sottovalutarla. Diritto pieno di farlo.

   Per esperienza (il sottoscritto ha poco più di 40 anni), vi dico che ora per ora è un film da seguire fino alla fine. Perché non è il solito film con gli accordi di potere decisi prima delle elezioni.

Aurélien Facente, 2020