Coronavirus KR – Un mese è appena passato

Crotone. Emergenza Coronavirus giorno 31. Oggi si può dire che è passato un mese vero e proprio, di quelli lunghi. Un mese di quarantena, la cui grandissima parte del tempo tra le mura di casa. Esci solo se vai a fare la spesa, e se hai il cane giusto nel raggio dei 200 metri.

   Un mese è tanto.

   Che cosa ho imparato in un mese?

   Che il caro Coronavirus esiste e fa paura.

   Fa molta paura nel racconto televisivo e anche su internet, dove la gente si rifugia per trovare conforto umano, e si trova a condividere immagini e filmati (di cui molti realizzati ad arte per condividere il terrore).

   Ho imparato a indossare la mascherina, soprattutto quando entro in un supermercato o in una farmacia.

   Ho imparato a organizzare la spesa per velocizzarmi meglio, e dare subito il posto di chi ha bisogni diversi da me.

   Ho imparato a star di nuovo da solo, ma la cosa non mi è mai pesata a dire il vero. Sono abituato alla solitudine. Semmai sono gli altri a non avere un dialogo con loro stessi.

   Ho imparato a usare i guanti, ma solo quando tocco le superfici comuni esterne.

   Ho imparato a lavarmi le mani spesso, ma lo facevo già prima.

   Ho imparato che c’è tanta gente che ha paura, e che ha bisogno di sfogarla in qualche modo. Manca l’ascolto, e dove non c’è ascolto si acuisce l’odio per l’altro, solo perché magari sfrutta la sua possibilità di uscire.

   Ho imparato che tutte le forze dell’ordine sono formate da esseri umani, con pregi e difetti, e che è sempre meglio scambiarsi informazioni prima di tutto. Il buonsenso è la prima regola, ma ovviamente deve essere accompagnato dallo scambio. Perché il capirsi è la prima regola, anche quando non si è d’accordo.

   Ho imparato a conoscere un Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ci mette la faccia sempre e comunque quando si tratta di assumere decisioni che sembrano impopolari.

   Ho imparato che ci sono Presidenti della Regione che parlano alla gente, come De Luca ai suoi campani, e Presidenti della Regione, come la magica Jole, che hanno difficoltà di comunicazione.

   Ho imparato che il mondo dell’informazione è in seria crisi con se stessa, tanto che non riesce a mettersi in ordine.

   Ho imparato che abbiamo tanti scienziati che parlano, parlano, parlano….

   Ho imparato che c’è una guerra silenziosa. Quella dei medici e degli infermieri nelle corsie degli ospedali, tutti adibiti al Covid-19.

   Ho imparato a prendere decisioni difficili e dolorose, soprattutto per quanto riguarda la mia sopravvivenza mentale, che è la più importante in questo momento.

   Ho imparato che la conta degli amici si riduce tantissimo, per poi scoprire che si può essere amici con il proprio vicino.

   Ho imparato ad ascoltare il silenzio del giorno, quando prima ascoltavo il silenzio della notte.

   Ho imparato che le persone hanno paura di mettersi in regola con la propria fragilità, che era mascherata dal finto benessere diffuso, e sapere che si deve uscire mascherati ne fa il simbolo di uno dei paradossi di questa esistenza.

   Ho imparato a voler sorridere e a voler sembrare folle nel mio essere anticonformista, pur rispettando le regole emanate, per essere ancora di più me stesso, nel bene e nel male.

   Ho imparato a essere presente, anche se nel virtuale. Una presenza giornaliera, anche nelle azioni quotidiane più comuni, aiuta a sorridere.

   Ho imparato che ci sono persone che avrei dovuto conoscere prima, e altre persone che forse sarebbe stato meglio non conoscere.

   Ho imparato che la paura va combattuta, anche quando gli altri ti urlano su Facebook che devi stare a casa, come se si potesse contraddire la legge del destino, dove ognuno è padrone di se stesso, perché alla fine è sempre così.

   Ho imparato che c’è tanta negatività in giro perché non si vuole dare un pugno alla paura.

   Ho imparato a dare un sorriso anche in una telefonata.

   Ho imparato tante cose, caro Coronavirus. Ma proprio tante cose.

   Grazie a te, non posso vedere la città di Crotone con gli stessi occhi, e perciò mi godo quei piccoli particolari che posso cogliere nelle brevi uscite necessarie.

   Ma di sicuro c’è una cosa che ho imparato, caro Coronavirus. Non ti sottovaluto, anzi ti rispetto sotto certi aspetti.

   Perché nella tua aggressività, ho capito quanto molta politica sia paurosa, quanti scienziati e medici che vanno in tivù siano molto confusi, quanto pressapochismo ci sia in giro, e quanta fuffa burocratica sia uno dei mali di quest’emergenza, quando forse si dovrebbe parlar di meno e dare maggior peso all’azione e alla reazione.

   Sono sicuro che ci saranno altre cose che imparerò.

   Ti ringrazio, Coronavirus. Ma veramente tanto. Credimi.

   Però c’è una cosa che voglio dirti sinceramente: io non ho paura di te.

   Forse un giorno le nostre strade si potrebbero incrociare. Ne sono consapevole. Ma non pensare che io abbia paura, soprattutto quando so che hai spezzato le vite di tante persone che avrebbero voluto respirare una seconda possibilità.

   Per questo motivo, non posso permettermi di avere paura di te.

Aurélien Facente, aprile 2020.

Coronavirus KR: Caro Giuseppe Conte…

Oggi è il 17 marzo 2020. In realtà volevo scrivere a Lei, Avv. Giuseppe Conte, Attuale Presidente del Consiglio italiano, già qualche giorno fa. Ma ho preferito aspettare, perché di lettere aperte ne avrà lette migliaia in questi giorni, molte pubblicate sui giornali.

   Può darsi che un giorno capiterà di trovarsi casualmente a leggere la mia, piccola e insignificante vista la situazione, lettera che le ho voluto scrivere.

   Mi sono preso il tempo di scriverla, senza farmi condizionare da nessun sentimento di rabbia e di paura, che attualmente sono i primi nemici dopo il Coronavirus. Nemici che ognuno di noi deve saper tenere sotto controllo.

   Inizio questa mia lettera con la foto, presa da uno Smartphone, che le farà vedere un tramonto urbano. Ebbene, quello è il tramonto dalle parti di casa mia. Vedo quella scena da 25 anni ormai, e il bello è che il sole tramonta alle spalle della chiesa, San Domenico per essere precisi, dando l’impressione che il sole vada ad accasarsi nella casa del Signore. Una scena suggestiva che sto cercando di rendere ovviamente poetica, senza nessun pregiudizio per chi crede o non crede. Però ho la fortuna di godere giorno dopo giorno di un’immagine simile.

   Purtroppo, ahimé, non tutti possono godere di cotanta bellezza, vista la quarantena imposta per fronteggiare al meglio l’emergenza Coronavirus.

   In pochi giorni, e Lei lo sa bene caro Presidente, abbiamo tutti dovuto cambiare drasticamente le abitudini. Qualcuno c’è arrivato prima, qualcun altro dopo. Ma nel giro di qualche giorno, diciamo, che l’equilibrio si è costruito e si sta mantenendo, almeno per ora.

   Perché il sacrificio è enorme, ma in linea di massima seguiamo le istruzioni. Lavarsi le mani, usare i guanti, mantenere le distanze, mantenere la fila (anch’essa a distanza), si cerca di uscire il meno possibile. Questi progressi sono stati fatti.

   Poi ci sono i però.

   La motivata paura delle persone, la non immediata reattività, il fatto di trovarsi perennemente su una linea di confine, neanche il tempo di imparare per bene le nuove regole. E queste cambiano spesso, a quanto apprendo dalle tante testate.

   Sia chiaro. Non voglio rimproverarla per il tremendo lavoro che sta facendo in questi oscuri giorni, Giuseppe. La capisco. Lei cerca di tenere dritta la barra di un timone molto fragile in questo momento, perciò Lei, da buon capitano da crociera, sta richiamando tutto l’equipaggio all’ordine. E cerca di farlo senza perdere la calma, perché siamo in piena tempesta.

   Già, Quel nemico invisibile che si chiama Coronavirus ci è piombato in fretta. E lo so che fa paura. Lo vedo negli occhi di chi cerca di mantenere l’ordine. Poliziotti e carabinieri che devono mettere da parte la loro umanità, e non hanno avuto il tempo di recepire bene le informazioni, anche se il loro impegno è massimo.

   La stessa cosa vale per i pompieri e per tutti quegli operatori che sono in mezzo alla strada cercando la via della logica.

   Il Coronavirus e il Caos. Due perfetti alleati in questo tempo sempre più buio abbattono le certezze di chiunque.

   Signor Presidente, a nessuno piace ammettere la propria fragilità. Siamo in una società dove conta solo il più forte, dove conta saper dimostrare di essere forti senza pietà. Una pura e mera illusione, perché il Coronavirus colpisce subdolamente, senza avere pietà. Fa solo quello che la sua natura impone. E non c’è da chiedersi perché.

   Non adesso che non abbiamo una narrazione certa della malattia. Ora si lotta contro il tempo, e sembra che questo ci condanni. No, signor Presidente, non siamo condannati dal tempo. Siamo condannati a renderci conto della nostra fragilità.

   Vede, io mi considero un privilegiato. Ho piccoli spazi di libertà durante la giornata. Le assicuro che nei miei brevi viaggi a piedi verso un supermercato, verso la banca, girando un po’ l’isolato con il cane… Già, mi sento un privilegiato perché assaporo il tempo, pur sapendo che il nemico potrebbe colpirmi.

   E prendo momenti da poter trasmettere agli altri quando posso. Pezzi di colore perché gli altri, che le assicuro restano ben chiusi in casa, hanno bisogno per tener duro. Non basta solo essere sintonizzati sul web o in televisione. Ci vogliono segnali di vita pura e semplice, perché trasmettere quei segnali portano forza nelle persone.

   Io non so se Lei potrà sapere della domenica di Crotone. Della prima domenica della quarantena.

   Solo silenzio. Giusto qualche auto. Sì, perché lei non lo sa ma qui abbiamo una comunità fatta di persone anziane da tutelare, ma anche di malati ad un passo dalla morte, e non per il Coronavirus. Crotone è una città che è stata maltrattata da un inquinamento selvaggio a causa delle industrie, ormai dismesse da più di vent’anni, ma ancora con scheletri presenti.

   Qui lo conosciamo un nemico subdolo e invisibile. Lo chiamano Tumore.

   Perciò, Presidente, tenga conto dei crotonesi. O i krotoniati. Ne tenga conto.

   Perché, a parte qualche grosso vocione, ognuno di noi fa il meglio che può.

   In una settimana, ad esempio, si sono organizzate tante microcomunità per organizzarsi meglio. Un esempio: uno va al supermercato per sapere se c’è l’alcol verde, e se non c’è lo dice agli altri. In altri casi ci si raccomanda di prendere poche cose per velocizzare la fila. Per non intasare. Per facilitare il lavoro del supermercato.

   Poi magari esci più volte. Capita. Non per passare il tempo. Assolutamente no. Dove vuoi passare il tempo a Crotone, se tutte le attività di ristorazione, di somministrazione, cinema, teatro e librerie sono chiuse?

   Non varrebbe nemmeno la pena di farsi un giro. Perché Crotone è già una città dove hanno chiuso ben altre cose, oltre al lavoro.

   Perciò forse abbiamo buon senso di fare le cose per bene.

   Perché il prezzo dei morti lo conosciamo bene.

   Perché il prezzo di chi è andato via per un futuro migliore lo conosciamo bene.

   E io, che son rimasto come tanti, lo sentiamo il vuoto di una casa vuota, senza persone.

   Però, nella prima domenica di quarantena, qualcosa s’è ascoltato.

   Un balcone con bambini che giocano. Qualcuno che canta. Qualcuno che suona. Un po’ di musica ad alto volume. La voglia di ritornare a essere vivi.

   Sono cose che ti fanno sorridere perché ti aiutano ad avere speranza.

   Vedo e ascolto.

   Sono abituato a farlo. Avrei la tentazione di prendere la mia macchina fotografica e fare un ritratto a tutte queste piccole storie belle. Ma non posso. Perché rispetto il tempo concesso della mia microlibertà. E allora mi limito soltanto ad ascoltare, e a pensare che questi sono momenti che almeno vanno scritti.

   C’è la voglia di essere migliori.

   Perciò, caro Giuseppe Conte, quando tutto sarà finito si prenda il tempo di leggere questa mia piccola lettera aperta, se mai ne avrà l’occasione. E magari la legga anche a chi istituzionalmente le è vicino.

   Noi non siamo numeri, signor Presidente.

   Siamo persone, ognuna con una sua storia e con una propria dignità.

   Non rivendichiamo il folle diritto di fare ciò che vogliamo. No. Rivendichiamo il diritto all’esistenza. Perciò quando sarà tutto finito, non pensi soltanto a circondarsi di linguaggi istituzionali, ma si faccia anche circondare da linguaggi molto umani.

   Facciamo il tifo per la vita.

   Con profondo rispetto.

Aurélien Facente, 17 marzo 2020