Coronavirus KR – Quel silenzio che non va bene

La mattina mi tocca passare da quella scuola elementare. Mi succede quando esco con il cane. Un breve giro dell’isolato per restare nella norma dei duecento metri imposto dalle ordinanze governative e regionali. Per cinquanta giorni almeno sempre lo stesso paesaggio. Palazzi con persone che stanno sul balcone che ti osservano come un oggetto estraneo, gatti selvatici che ormai hanno preso possesso del parco inutilizzato, e poi ad un certo punto ti ritrovi le scuole. Già, la scuola elementare della Santa Croce, poi magari ti ritrovi a guardare la scuola media Giovanni XXIII, e infine la Anna Frank.

   Solitamente a quell’ora del mattino, m’ero abituato ad ascoltare i clacson delle auto, e osservavo i genitori che accompagnavano i figli nelle loro scuole. Conversazioni tra mamma e figlio o tra papà e figlia, o viceversa. Scene di assoluta normalità di un giorno appena iniziato qui a Crotone.

   Oggi le scuole sono chiuse. Non sai quando riapriranno. Il dramma lo vivono certamente i ragazzi e i bambini, così come gli insegnanti. Obbligati a stare dentro casa e a evitare il contatto con i compagni. Una prova durissima che metterà in secondo piano lo studio, nonostante ci sia la migliore delle forze di volontà.

   Oggi c’è questo silenzio.

   Puoi ascoltare le auto passare, ma non ascoltare l’energia dell’infanzia e dell’adolescenza tra le aule è un duro colpo al cuore. Sembra di ascoltare il vuoto di una vita interrotta.

   Tutti a parlare del Coronavirus, e nessuno che si preoccupa di questo silenzio anomalo, brutto, dannoso.

   Certo, c’è la sicurezza e la salute da mettere in primo piano.

   Ma ciò non toglie che questo silenzio sia brutto.

   Ritorno alla mia memoria da ragazzo. Non ero uno che amava tanto andare a scuola. No di certo, ma sapevo che era importante. Ho i miei ricordi che tengo strettamente nel mio cuore, tra alti e bassi. Ma se fosse capitato a me, mi sarei angosciato nel sapere che non avrei potuto risedermi in quel banco accanto al mio compagno di classe.

   Il silenzio che ti zittisce ti rimette in moto un duro confronto con te stesso. Ti rendi conto di quanto manca il vocio dei ragazzi tra una lezione e un’altra. Ti manca sentire qualche maestra che si fa la voce grossa per tenere la disciplina. Ti manca il bidello che apre le porte della scuola, e magari lo vedi che alla fine delle lezioni si mette a pulire con impegno l’aula.

   Scene di quotidianità preziose.

   E ora silenzio.

   Un silenzio che non va. Anche se si tratta del prezzo della prevenzione e della quarantena. Non cambia la sostanza. Resta sempre un silenzio che non va.

Aurélien Facente, aprile 2020