Coronavirus KR – Come sopravvivere alla psicosi di un ipotetico secondo lockdown?

Vi faccio l’annuncio. In caso di improbabile lockdown, io mi divertirò. Ho la testa addestrata per farlo. Non ci credete? Ho tutto quello che mi serve per sopravvivere mentalmente, e sarò anche un pochino stronzo nel farlo.

   Ho delle regole preziose, però, se pensate di sopravvivere bene a un nuovo lockdown (che non sarà nazionale stavolta).

   Sono regole di puro suggerimento che potrebbero servirvi in caso doveste arrangiarvi per troppo tempo dentro casa.

   La prima regola è spegnere la TV, o usatela solo per guardare qualche film. I telegiornali sono fatti in modo per trasmettervi angoscia, mentre le trasmissioni di approfondimento sono frustranti. Spegnete e curate la serenità. Se siete soli, dovete contare su voi stessi e basta, perciò eliminate qualsiasi fonte di angoscia. Andate solo sul sito dell’Ansa oppure andate sul sito del ministero della Salute.

   La seconda regola è imparare bene le regole, anzi esercitate la memoria. La regole, nel suo insieme, hanno una flessibilità. Vi danno sempre un’alternativa, anche se non la vedete. Imparare bene le regole vuol dire ripeterle con rispetto a chi fa uso della divisa del poliziotto, che sapendo che le conoscete userà sempre flessibilità e rispetto, perché conoscere a memoria le regole vuol dire anche collaborare e soprattutto non perdere tempo.

   La terza regola è l’educazione. Siate educati e non arrabbiatevi mai. Durante il lockdown, incontrerete tante persone spaventate, a livello di psicosi pure, che non vi daranno mai retta. Essere educati vuol dire saper prendere le informazioni. Il vostro obiettivo di giornata devono essere le informazioni. Ogni notizia può esservi utile. Sapere che nei supermercati non c’è alcol etilico ad esempio vi eviterà di far perdere tempo. Essere educati vuol dire guadagnarsi sempre una risposta. Siate educati sempre con le forze dell’ordine quando vi fermano. Anche loro sono umani e non vogliono perdere tempo perché il loro lavoro è prezioso.

   La quarta regola è affrontare la paura. Potreste vivere l’esperienza dentro un palazzo fatto di vicini psicotici, perché la paura accentua la psicosi. Dovete essere forti e comprendere che ognuno affronta la paura in modo proprio. Fatevi vedere sempre con un buongiorno. Il primo desiderio delle persone è avere una parvenza di normalità che può bastare per raccontare la giornata che passerà inesorabilmente. Anzi, se il vicino vi vede decisi si aprirà e magari sarà proprio lui a raccontarvi quello che vede in tivù. Se poi è una persona anziana, andategli sempre a prendere il latte. Uscite voi e fate il piacere.

   La quinta regola è la microcomunità. Dentro un palazzo abitano tante persone. E tante persone vuol dire avere anche persone fragili. Instaurate un rapporto di stretta collaborazione. Se voi non trovate l’alcol, riferitelo ai vostri vicini. Meno persone escono, meglio è. Ricordatevi che una buona collaborazione vi garantisce la tranquillità e fa capire all’altro che insieme, ognuno nel proprio ruolo, si può uscirne. Abituatevi a prendervi cura di una famiglia in difficoltà e basta. Non più di una, e fatelo fare anche agli altri. I più fragili vanno protetti, ma soprattutto va dato loro forza. La vostra riuscita è uno stimolo per chi accetta di essere preso in cura da voi. Non fatevi mai sensi di colpa se non potete aiutare altre persone. Non potete aiutare tutti, ma di sicuro potete creare una microcomunità funzionale intorno a voi. Il che è già molto in una situazione di confinamento.

   La sesta regola è non temere le critiche. Ci sarà sempre qualcuno che vi criticherà perché andate a fare la spesa o perché andate a prendere informazioni. Vi troverete inevitabilmente dentro una cappa di paura, e solo pochi oseranno capirvi. Dovete sforzarvi a essere immuni, e rispondete in maniera accesa solo lo stretto necessario con una verità indistruttibile: pensa alla tua sopravvivenza che io penso alla mia. Voi dovete seguire voi stessi, e non avete tempo per gli altri, a patto però che non inizino a collaborare e a rispettare il vostro io. C’è gente che prende troppo seriamente il lockdown. Si sentiranno eroi, ma gli eroi sono ben altri. Perché un eroe, con prudenza, affronta. Mica si tappa in casa. Comunque non sentitevi eroi.

   La settima regola è porsi degli obiettivi durante la giornata. Fate poche cose. Non strafate mai. Non abbiate timore di fallire. Essere abili richiede esercizio quotidiano, Ponetevi sempre l’obiettivo di avere informazioni, ed evitate discussioni, soprattutto con le forze dell’ordine. Anzi, siate sempre sinceri e obiettivi. Uno degli obiettivi di giornata è prendere appunti sempre. Vi aiuta a essere rapidi, e soprattutto a non farvi notare. Nei supermercati, ad esempio, dovete essere bravi a sapere dove si trovano le cose. Questo aiuterà gli stessi impiegati a fare meglio il loro lavoro.

   L’ottava regola riguarda voi stessi, soprattutto se siete soli. Non preoccupatevi di sentirvi non capiti. Tutti sono soli in qualche modo e tutti si sentono incompresi. Ci sarà un momento dove potreste sentirvi in colpa e vi verrà voglia di spaccare qualcosa perché vi sentirete inutili. Provate a pensare che c’è gente che sta peggio di voi, che non sa che cosa sia la paura e ne sta facendo una tragedia. Ci sarà un momento in cui avrete bisogno di conforto. Se lo cercate nella religione, sappiate che potete benissimo pregare in casa. Il Signore apprezzerà ugualmente. Oppure potete fare un’altra splendida idea. Scrivere la giornata, sfogare tutto dentro un quaderno. Ciò vi aiuterà a migliorare la resa degli appunti da prendere in ogni caso. Se avete qualcuno, allora date spazio ai sentimenti. Siate sempre in prima linea per ascoltare. Non mettete in primo piano le vostre paure, a patto che non sia chiesto esplicitamente. Ricordate che per il vostro partner dovete essere forti, ma soprattutto dovete essere umani.

   La nona regola riguarda il trasgredire le regole. Se non siete abili, non conviene mai farlo. Se proprio ci tenete a rischiare, allora segnatevi tutti gli orari dei posti di blocco. Muovetevi a piedi, e mai in macchina. Se avete voglia di fare una passeggiata, createvi un percorso a tappe. E soprattutto cambiate sempre supermercato. Lo so. Si tratta di una furberia. Ma se serve, almeno ha una sua funzionalità. Perché magari siete intolleranti al glutine, e allora avete bisogno di alimenti particolari. Trasgredite il giusto, senza esagerare. Non prendete mai le vie principali, ma soprattutto quelle secondarie, perché sono quelle che vi aiuteranno a muovervi più in fretta. Cercate di uscire facendo più tappe, e prendete sempre nota sulle file dei supermercati.

   La decima regola è la più importante. Quanto volete bene a voi stessi? Chiedetevelo, senza pensare di passare per egoista. Si tratta di una questione di serenità interiore. Perché nel lockdown imparerete a confrontarvi con voi stessi. Prendete quest’occasione per provare a migliorare qualcosa di voi. Prendete cura di voi stessi come non mai a casa. Sorridete. Siate positivi. E soprattutto non siate materialisti. Date spazio un po’ al romanticismo, ma non eccessivo. Accendete la fantasia. Scoprite le vostre qualità. Curate la positività. E soprattutto vivete perché tocca a voi vivere. Durante la pandemia muoiono purtroppo delle persone, ma al vostro posto avrebbero voluto una seconda possibilità. Perciò non fatevi problemi a sorridere, e soprattutto non fatevi trascinare dalla psicologia del senso di colpa che altri useranno contro di voi per mettere una mano sul cuore sulle tante vittime del coronavirus. Voi dovete entrare nell’ottica che siete voi stessi i malati e magari ne avete anche uno in casa. Quindi curate la vostra serenità, sempre.

   Con queste dieci regole, sono sopravvissuto mentalmente al lockdown e potrei sopravvivere anche al prossimo lockdown.

   Dimenticavo: sono un appassionato di romanzi di fantascienza oltre che di cinema. In certi momenti mi sembrava di essere Jena Plissken in Fuga da New York. Certo, l’idea è un po’ folle. Ma almeno diverte. Eccome se diverte.

Aurélien Facente, ottobre 2020

Coronavirus KR: Caro Giuseppe Conte…

Oggi è il 17 marzo 2020. In realtà volevo scrivere a Lei, Avv. Giuseppe Conte, Attuale Presidente del Consiglio italiano, già qualche giorno fa. Ma ho preferito aspettare, perché di lettere aperte ne avrà lette migliaia in questi giorni, molte pubblicate sui giornali.

   Può darsi che un giorno capiterà di trovarsi casualmente a leggere la mia, piccola e insignificante vista la situazione, lettera che le ho voluto scrivere.

   Mi sono preso il tempo di scriverla, senza farmi condizionare da nessun sentimento di rabbia e di paura, che attualmente sono i primi nemici dopo il Coronavirus. Nemici che ognuno di noi deve saper tenere sotto controllo.

   Inizio questa mia lettera con la foto, presa da uno Smartphone, che le farà vedere un tramonto urbano. Ebbene, quello è il tramonto dalle parti di casa mia. Vedo quella scena da 25 anni ormai, e il bello è che il sole tramonta alle spalle della chiesa, San Domenico per essere precisi, dando l’impressione che il sole vada ad accasarsi nella casa del Signore. Una scena suggestiva che sto cercando di rendere ovviamente poetica, senza nessun pregiudizio per chi crede o non crede. Però ho la fortuna di godere giorno dopo giorno di un’immagine simile.

   Purtroppo, ahimé, non tutti possono godere di cotanta bellezza, vista la quarantena imposta per fronteggiare al meglio l’emergenza Coronavirus.

   In pochi giorni, e Lei lo sa bene caro Presidente, abbiamo tutti dovuto cambiare drasticamente le abitudini. Qualcuno c’è arrivato prima, qualcun altro dopo. Ma nel giro di qualche giorno, diciamo, che l’equilibrio si è costruito e si sta mantenendo, almeno per ora.

   Perché il sacrificio è enorme, ma in linea di massima seguiamo le istruzioni. Lavarsi le mani, usare i guanti, mantenere le distanze, mantenere la fila (anch’essa a distanza), si cerca di uscire il meno possibile. Questi progressi sono stati fatti.

   Poi ci sono i però.

   La motivata paura delle persone, la non immediata reattività, il fatto di trovarsi perennemente su una linea di confine, neanche il tempo di imparare per bene le nuove regole. E queste cambiano spesso, a quanto apprendo dalle tante testate.

   Sia chiaro. Non voglio rimproverarla per il tremendo lavoro che sta facendo in questi oscuri giorni, Giuseppe. La capisco. Lei cerca di tenere dritta la barra di un timone molto fragile in questo momento, perciò Lei, da buon capitano da crociera, sta richiamando tutto l’equipaggio all’ordine. E cerca di farlo senza perdere la calma, perché siamo in piena tempesta.

   Già, Quel nemico invisibile che si chiama Coronavirus ci è piombato in fretta. E lo so che fa paura. Lo vedo negli occhi di chi cerca di mantenere l’ordine. Poliziotti e carabinieri che devono mettere da parte la loro umanità, e non hanno avuto il tempo di recepire bene le informazioni, anche se il loro impegno è massimo.

   La stessa cosa vale per i pompieri e per tutti quegli operatori che sono in mezzo alla strada cercando la via della logica.

   Il Coronavirus e il Caos. Due perfetti alleati in questo tempo sempre più buio abbattono le certezze di chiunque.

   Signor Presidente, a nessuno piace ammettere la propria fragilità. Siamo in una società dove conta solo il più forte, dove conta saper dimostrare di essere forti senza pietà. Una pura e mera illusione, perché il Coronavirus colpisce subdolamente, senza avere pietà. Fa solo quello che la sua natura impone. E non c’è da chiedersi perché.

   Non adesso che non abbiamo una narrazione certa della malattia. Ora si lotta contro il tempo, e sembra che questo ci condanni. No, signor Presidente, non siamo condannati dal tempo. Siamo condannati a renderci conto della nostra fragilità.

   Vede, io mi considero un privilegiato. Ho piccoli spazi di libertà durante la giornata. Le assicuro che nei miei brevi viaggi a piedi verso un supermercato, verso la banca, girando un po’ l’isolato con il cane… Già, mi sento un privilegiato perché assaporo il tempo, pur sapendo che il nemico potrebbe colpirmi.

   E prendo momenti da poter trasmettere agli altri quando posso. Pezzi di colore perché gli altri, che le assicuro restano ben chiusi in casa, hanno bisogno per tener duro. Non basta solo essere sintonizzati sul web o in televisione. Ci vogliono segnali di vita pura e semplice, perché trasmettere quei segnali portano forza nelle persone.

   Io non so se Lei potrà sapere della domenica di Crotone. Della prima domenica della quarantena.

   Solo silenzio. Giusto qualche auto. Sì, perché lei non lo sa ma qui abbiamo una comunità fatta di persone anziane da tutelare, ma anche di malati ad un passo dalla morte, e non per il Coronavirus. Crotone è una città che è stata maltrattata da un inquinamento selvaggio a causa delle industrie, ormai dismesse da più di vent’anni, ma ancora con scheletri presenti.

   Qui lo conosciamo un nemico subdolo e invisibile. Lo chiamano Tumore.

   Perciò, Presidente, tenga conto dei crotonesi. O i krotoniati. Ne tenga conto.

   Perché, a parte qualche grosso vocione, ognuno di noi fa il meglio che può.

   In una settimana, ad esempio, si sono organizzate tante microcomunità per organizzarsi meglio. Un esempio: uno va al supermercato per sapere se c’è l’alcol verde, e se non c’è lo dice agli altri. In altri casi ci si raccomanda di prendere poche cose per velocizzare la fila. Per non intasare. Per facilitare il lavoro del supermercato.

   Poi magari esci più volte. Capita. Non per passare il tempo. Assolutamente no. Dove vuoi passare il tempo a Crotone, se tutte le attività di ristorazione, di somministrazione, cinema, teatro e librerie sono chiuse?

   Non varrebbe nemmeno la pena di farsi un giro. Perché Crotone è già una città dove hanno chiuso ben altre cose, oltre al lavoro.

   Perciò forse abbiamo buon senso di fare le cose per bene.

   Perché il prezzo dei morti lo conosciamo bene.

   Perché il prezzo di chi è andato via per un futuro migliore lo conosciamo bene.

   E io, che son rimasto come tanti, lo sentiamo il vuoto di una casa vuota, senza persone.

   Però, nella prima domenica di quarantena, qualcosa s’è ascoltato.

   Un balcone con bambini che giocano. Qualcuno che canta. Qualcuno che suona. Un po’ di musica ad alto volume. La voglia di ritornare a essere vivi.

   Sono cose che ti fanno sorridere perché ti aiutano ad avere speranza.

   Vedo e ascolto.

   Sono abituato a farlo. Avrei la tentazione di prendere la mia macchina fotografica e fare un ritratto a tutte queste piccole storie belle. Ma non posso. Perché rispetto il tempo concesso della mia microlibertà. E allora mi limito soltanto ad ascoltare, e a pensare che questi sono momenti che almeno vanno scritti.

   C’è la voglia di essere migliori.

   Perciò, caro Giuseppe Conte, quando tutto sarà finito si prenda il tempo di leggere questa mia piccola lettera aperta, se mai ne avrà l’occasione. E magari la legga anche a chi istituzionalmente le è vicino.

   Noi non siamo numeri, signor Presidente.

   Siamo persone, ognuna con una sua storia e con una propria dignità.

   Non rivendichiamo il folle diritto di fare ciò che vogliamo. No. Rivendichiamo il diritto all’esistenza. Perciò quando sarà tutto finito, non pensi soltanto a circondarsi di linguaggi istituzionali, ma si faccia anche circondare da linguaggi molto umani.

   Facciamo il tifo per la vita.

   Con profondo rispetto.

Aurélien Facente, 17 marzo 2020