La vittoria di Pirro degli amanti del PD

Io credo fermamente che sia ora di chiudere questo film tristissimo e che il PD faccia una grossa operazione chiarezza con i suoi iscritti e con i suoi amanti sparsi per i media perché questa storia deve essere portata a termine.

Siamo nel 2022 e nei ballottaggi di tutta Italia (a chi toccava) non ha vinto il PD, non hanno vinto i 5stelle, non ha vinto la Lega, non ha vinto Forza Italia, non ha vinto nessuno. La maggioranza degli elettori se n’è fregata altamente di considerare il ballottaggio. Se più del 60% degli elettori preferisce fregarsene, vuol dire che c’è qualcosa che non va. E non è una questione di sinistra o di destra o di centro, ma di democrazia e di rapporto della politica con la cittadinanza di tutti i giorni.

Ormai l’astensionismo è il simbolo del dissenso dilagante verso una cultura politica italiana che non guarda più al presente, e per continuare a sopravvivere continua imperterrita la sua metodologia del divide et impera.

Bene, c’è un limite a tutto ciò.

E in questi ultimi anni, dove elezione ci sia stata, ha vinto l’astensionismo, perché supera di fatto il 50%, e l’elezione avviene lo stesso perché la legge lo permette. A prezzo però della credibilità e dell’autorevolezza, elemento quest’ultimo che si è andato a fare benedire perché bisogna raccontare le belle favole piuttosto che migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini.

Il distacco è netto.

Certo, il PD centrosinistra vince a Catanzaro ad esempio, ma con un avversario di centrodestra che prima stava nel PD. Ed è stato facile vincere poiché il nemico era un voltagabbana bollato come tale. Anche io non lo avrei votato.

In realtà, oltre alla mancanza di elettori, questi ballottaggi (che per loro stessa natura riducono il numero degli elettori) raccontano altre verità più dure.

Il primo è il netto distacco tra politica e cittadinanza. La politica è percepita come un volgare reality show molto trash, perciò non attrae più come prima. Anzi, proprio non attrae.

Iniziano a sparire dei partiti come Forza Italia. Il caso Verona è stato lampante, ma Forza Italia non è più un partito di riferimento come qualche decennio fa. Sparirà perché la gente non ama i Brunetta e le Ronzulli, politicanti superficiali e presuntuosi che adorano apparire detestabili, ma non costruttivi. Il Silvio fa quello che può, ma forse è meglio che si occupi del Monza Calcio, La sua stella ormai è un meteorite che si sta sgretolando nell’atmosfera. La Lega è in forte crisi identitaria, e sarebbe meglio stendere un velo pietoso.

Il caso di Fratelli d’Italia merita un ragionamento a parte. A livello nazionale potrebbe prendere il posto delle Cinquestelle cadenti, che ormai vincono, per modo di dire, dove hanno stretto qualche alleanza.

Ma allearsi con il PD non paga. Assolutamente no. La prova sta proprio nell’affluenza bassissima.

Ma i giornaloni dichiarano che sia il PD ad avere stravinto. Certo, perché i giornaloni stanno tutti a sinistra idealmente (in realtà sarebbe bello parlare degli azionisti di maggioranza) e perdono di vista l’equilibrio dell’obiettività. Meglio propaganda a prezzo della credibilità. Non stupisce che i giornali non vendano più come prima.

Fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti, piddini e forzisti, Cinquestelle contro il sistema. Scontri che hanno francamente stancato, quando ormai il tema principale sta nel trovare un lavoro che permetta quantomeno di vivere con dignità.

Negli anni passati si è chiaramente voluto mantenere lo status quo portandolo alla cancrena. Gli effetti delle politiche passate hanno portato alla luce mostruosità democratiche, sancendo di fatto il fallimento della democrazia rappresentativa.

Più del 50% non vota e non vuole votare. Lo ritiene una perdita di tempo.

Un dato di fatto triste, ma figlio di quella politica che ha volutamente tagliato le rappresentanze locali a discapito di una generazione di Yes Man e Yes Woman che vivono un film immaginario mentre la gente di tutti i giorni soffre.

Conoscendo le dinamiche, il trend si ripeterà alle prossime nazionali.

L’Italia politica farebbe bene a cambiare registro. L’impressione è quella di vivere l’apertura di un vaso di Pandora. La misura è ormai colma.

Ovviamente auguri ai sindaci eletti. Non sarà una passeggiata di salute per loro.

Decisamente no.

Aurelien Facente, 27 giugno 2022

Rino Gaetano è un patrimonio di tutti, non un’esclusiva di sinistra.

Ho studiato e vissuto il mito di Rino Gaetano negli anni della mia gioventù crotonese. In merito ad un celebre concerto tenutosi a Crotone nel 1978 fu costruita una polemica feroce che ne offuscò il mito e la grandezza fino agli anni 90′. Rino Gaetano fu un artista geniale e scomodo. La riscoperta non fu mai stata merito della politica. Chi ha alimentato la giusta valorizzazione passa da un’altra strada.

Rino Gaetano ebbe un destino tragico, ma era riuscito a conquistare il cuore di parecchi. Innanzi tutto i suoi fan che ne hanno tenuto vivo sempre il ricordo. Poi i tifosi di calcio. Già, perché le sue canzoni sono cantate spesso in alcuni stadi di calcio (vedi Crotone e Sampdoria). Negli anni 90′ è avvenuta la riscoperta intellettuale che è avvenuta non solo per merito dei famigliari, ma di un mondo intellettuale che si è espresso anche in televisione, e tramite la televisione Rino Gaetano fu riportato a Crotone.

Poi c’è stata la questione politica. Non parlo di quello che è stato fatto e di quello che non è stato fatto. Dal 1997 in poi si può dire che la popolazione crotonese adesso è fiera di Rino Gaetano, perché il processo di pacificazione è stato portato avanti da soggetti in primis che ci credevano in lui.

La politica semmai se n’è impossessata per fini elettorali. Vogliamo ricordare che a Crotone, durante le campagne elettorali, tanti candidati di sinistra e di destra hanno usato le automobili elettorali con in sottofondo tutto quello che si poteva usare come canzoni dello stesso Rino? Non hanno usato le canzoni di Rino per “apparire simpatici” e votabili? Vogliamo negare questa verità elettorale?

Possiamo anche ricordare la paradossale e controversa storia dell’ukulele durata un ventennio almeno prima di essere messo a visione del pubblico, della quale non voglio nemmeno ricordarne i dettagli.

Purtroppo in tutto questo c’è chi crede che Rino Gaetano fosse comunista o quasi.

Vi piacerebbe, eh?

Peccato che sia una storia tutta crotonese e non dimostrabile, perché frutto di una fantasia politicamente “scorretta”.

Qualche giorno fa, Jorit, un noto artista dei murales, ha realizzato nel quartiere dei 300 alloggi a Crotone un ritratto dedicato al mito di Rino Gaetano. Devo ammettere che il lavoro è notevole e meritorio, ma è stato accompagnato da una campagna Facebook senza precedenti, a tratti anche fastidiosamente retorica.

Tralasciando la fotografia dei curiosi e dei passanti, è venuta fuori immancabilmente la retorica “sinistra” del fatto che Rino Gaetano fosse per forza di sinistra. E sapete perché? Guardate la foto in basso.

Basta una scritta di troppo e già si autoalimenta la leggenda immaginaria dell’artista comunista.

Rino Gaetano è stato scomodo un po’ a tutti negli anni della sua vita perché è sì un eterno ribelle, ma non attaccato al guinzaglio di qualcuno. Parlava di vita nelle sue canzoni e non aveva obiettivamente paura di chicchessia. E la sua musica fu talmente rivolta verso tanto pubblico che non ha avuto bisogno del partito di sinistra per essere l’icona culturale che è oggi. Tanto che la riscoperta appartiene a chi lo ha amato, non a chi lo ha usato. E a Crotone c’è chi lo ha amato e difeso a spada tratta, andando anche contro quella politica che lo ha usato per secondi fini.

E, come era prevedibile, il dibattito sui simboli (davvero ridicolo) è un festival del trash (ed è un complimento).

Quando un artista muore, la sua arte sopravvive a lui. E quando viene cantata da molti (come nel caso di Rino) non abbraccia nessuna bandiera politica perché mette insieme la gente. Quindi è giusto dire che Rino Gaetano appartiene a tutti, ma non è di tutti. Appartiene a chi lo ama, e non ad una bandiera rossa. Perché così deve essere e perché la storia, che molti sanno ma fanno finta che, è molto diversa dalla manipolazione politica che qualcuno continua a tentare di fare, senza sapere che la cosa gli si rivolta contro.

E, in effetti, succede che… guardate la foto in basso.

Cancellati i simboli da parte di qualche buontempone che viene spacciato per un atto di censura fascista dai comunisti, che però dimenticano e/o ignorano che Rino Gaetano non cantava per compiacere un’idea di partito ma per raccontare alla gente la vita.

Ovviamente la masturbazione politica che si fa di questa storia, a volte, assume dei toni che rasentano la follia più pura.

Invece di farvi le masturbazioni mentali sulla questione politica, godetevi l’opera di Jorit e se proprio volete fare un favore a Rino Gaetano prendete un suo cd e cantate con lui le sue canzoni.

Rino Gaetano è qualcosa che va oltre la politica della demagogia di sinistra.

Rino Gaetano appartiene a tutti, ma non è di tutti.

Aurélien Facente, 12 maggio 2022

Cambia partito che l’erbaccia resta, ovvero l’epidemia del candidarsi…

La democrazia è un termine abusato in questo periodo. Nei tempi nobili, la democrazia era fondata sul rispetto del voto che si scambiava perfettamente con la ricerca dell’eccellenza della rappresentazione elevata all’interno di una enorme stanza del potere che doveva amministrare lo Stato.

In Italia per un pezzo questo andamento c’è stato. Me lo ricordo. Attenzione, la politica ricercava l’eccellenza e la formazione. Non andava per gradimento, ma andava nelle piazze a cercare di parlare con la gente. E il gradimento (così come i fischi) erano immediati. Ma significava soprattutto guardare le persone in faccia. Essere consapevoli che tante promesse non si potevano tradurre in realtà, ma costruire qualcosa di forte sì.

Ora, all’alba delle elezioni regionali calabresi, il quadro è molto complesso. Parliamo del primo male: l’astensionismo.

Da qualche anno (troppi anni, a dire il vero), il calabrese ha ormai preso la cattiva abitudine di disertare le urne, salvo quando ha la possibilità di trovare uno spazio di protesta dove sa che il suo voto sarà palese. Vedi il caso dei 5stelle alle elezioni nazionali, dove qui hanno fatto il pieno in tutto e per tutto. Salvo poi, alle regionali, arrivare a sacche di astensione che superano largamente il 50%, il che pone a sfavore della politica calabrese che negli anni ha perso grande credibilità tra cialtronerie, inefficienze, degrado politico e culturale.

Che il politico medio calabrese non sia amato tanto dai calabresi è già un dato di fatto, ma che la politica locale non si sia fatta un esame di coscienza e un bagno nella realtà è anche un altro dato di fatto. La percezione della realtà da parte della politica calabrese non è prettamente quella che servirebbe a dire il vero.

C’è però un altro dato preoccupante e ridicolo allo stesso tempo.

C’è un’epidemia di candidatura che preoccupa. Sembra che non ci sia, ma in realtà c’è eccome. Ecco perché ho voluto fare l’introduzione.

La candidatura al ruolo politico non proviene da una richiesta precisa della popolazione stessa, che con il desiderio di votare vedrebbe volentieri più rappresentanti. No, in Calabria, e in particolar modo a Crotone, sta dilagando una moda a candidarsi perché si è carini, simpatici, strafighi, e del progetto politico ben poco si sa tranne che si candidano perché… alla fine più che la politica appaga il loro desiderio di protagonismo. Attenzione, tengo conto che ci sono persone che ci credono all’idea politica in sé, ma se dovessimo scavare con attenzione ci renderemmo conto che sono troppo pochi.

Ormai è cronaca che una signora senatrice crotonese eletta in Calabria si candida a sindaco di Roma per conto di una compagine di liste civiche. Diritto suo candidarsi nell’arena romana, ma leggendo le sue motivazioni ispiratorie, per quanto desiderose di giustificazione, si può notare che sono più un atteggiamento da protagonismo piuttosto che spinto da un vero progetto politico, tra l’altro condiviso. Basta leggere le sue stesse parole con attenzione, e non c’è mai il pronome noi, bensì l’io predomina, con il marcato desiderio di confrontarsi con gli altri candidati romani, come se Roma non avesse già i suoi problemi. Al di là degli auguri, la realtà sarà molto severa. Però la signora ci crede… Vedremo in autunno se le rose cresceranno o meno.

Caso curioso è De Magistris. Non la persona, ma il progetto politico che sta formando. Un progetto con marcata identità di sinistra, ma che poi non è così di sinistra. Sembra una copia malfatta dell’Ulivo, quell’agglomerato di partiti di centrosinistra che riuscirono ad arrivare al governo della nazione, ma con risultati politici molto discutibili.

Anche nelle sue fila, c’è qualcuno che ha questa malattia del candidarsi. Non credo che il sindaco De Magistris sia fesso, ma un po’ ingenuo è. Per i nomi che sta raccogliendo da una parte e nel voler far credere a forza che lui è il nuovo che avanza, ma con conoscenze che fanno parte del vecchio.

Certo, mi dirà il buon sindaco di Napoli, però che è difficile raccogliere candidature da parte di gente nuova, visto che i nuovi se ne vanno via dalla terra di Calabria.

Lo stesso problema lo vivono pure gli altri candidati alla presidenza nel trovare gente nuova, ma poiché il De Magistris è quello che viene da fuori il problema si fa più evidente. In attesa di un programma reale da comprendere, sto notando i mercenari che sta assoldando di volta in volta. Se avere Mimmo Lucano ha un suo perché (De Magistris ha adottato politiche molto simili a Napoli), per il resto c’è da mettersi un po’ le mani nei capelli. Perché il rischio di vedere un’accozzaglia è lampante. Tra i volti nuovi, si nota quello di una noto consigliere comunale di Crotone, tra l’altro eletto con una coalizione che correrà avversaria a De Magistris stesso. E quale sarebbe la ragione di tale scelta, se non una voglia matta di candidarsi in modo figo e simpatico. Qualcuno mi farà notare che è un diritto candidarsi. Ma è doveroso rimarcare che ci vorrebbe più coerenza e meno figheria. Ma tant’è che sarà il popolo calabrese a decidere (e sarà bravo a non decidere vista la massiccia confluenza nel partito dell’astensione).

Ovviamente avverrà qualcosa di simile anche nel centrodestra calabrese, sempre a Crotone. Ora i nomi non son ancora ufficiali, ma tra i tanti c’è quello di qualche buontempone non tagliato per la politica che crederà di essere eletto a prescindere dai voti che riuscirà a racimolare. Si presenterà perché è figo, bello, intelligente, ma del programma elettorale non ci capiremo nulla perché l’ingresso al consiglio che rappresenta una bella indennità mensile sarà talmente lampante che probabilmente vedremo al posto dei suoi occhi le cosiddette $$$, che da sole vogliono dire tanto. Ma anche qui, ci tengo a ripeterlo, ci saranno persone che credono nel progetto politico e che meritano rispetto. Perciò è doveroso chiedere uno straccio di programma chiaro.

PD e Cinquestelle non sono pervenuti ancora perché protagonisti di uno psicodramma che li perseguiterà per tutta la campagna elettorale, e la probabilità di essere i più evitati è altissima.

Infine ci sarebbe Tansi, l’indipendente. Per la seconda volta corre da solo contro tutti i pronostici, proponendo il suo progetto personale. Al momento la sua è più una scommessa che un progetto consolidato, ma ha già un suo appeal per piacere. Potrebbe pagare lui più di altri l’astensionismo calabrese, ma se dimostrerà coerenza potrebbe essere la vera novità, ma tutto dipende ovviamente da come farà percepire il suo progetto agli elettori, soprattutto dopo l’incidente separatorio con De Magistris. Prima erano amici, ora avversari. E quest’ultimo aspetto potrebbe incidere moltissimo, per l’uno e per l’altro.

Insomma, questo è l’attuale quadro che si presenta. Ma se sui candidati alla Presidenza della Regione Calabria si scriverà molto e troppo, la stessa cosa non succederà per i candidati al Consiglio Regionale.

Un vecchio detto dice: “Campa cavallo che l’erba cresce.”

In Calabria potrebbe diventare “Cambia partito che l’erbaccia resta.”

Sì, perché di candidati ce ne son tanti e troppi, ma l’erbaccia resta. Eccome se resta…

Aurélien Facente, 12 luglio 2021

Quel fenomeno di Matteo Salvini che molti si ostinano a non capire e a non vedere…

Da oltre un anno, chiuso nel mio antro, mi capita di vedere e ascoltare spesso Matteo Salvini, soprattutto nei video che fa e nelle interviste che rilascia. Osservo i suoi movimenti, ascolto il suo modo di parlare, sono un mezzo meridionale (la mia altra metà è francese) e non mi lascio trascinare dalle offese del passato.

   Conosco le provocazioni leghiste da quando andavo alle elementari. Pensate un po’. La maestra ne parlò apertamente una volta, definendo la Lega (che allora si chiamava Lega Lombarda) come pericolosamente razzista. Ne parlammo in quinta elementare, e correva l’anno 1989. Ma a dieci anni non ne capisci di politica.

   Poi negli anni 90’ fu Umberto Bossi il nemico da abbattere. Divenne protagonista antipatico del primo governo Berlusconi, e poi negli anni ne abbiamo viste di tutte, tra cui la celebrazione secessionista con tanto di bandiere nel Nord Italia.

   Poi, in pieni anni duemila, il terremoto giudiziario che di fatto distrusse il partito, riducendolo ai minimi termini. E infine iniziò l’era di Matteo Salvini.

   Un breve sunto di un soggetto che oggi fa pianta stabile in maniera preponderante del panorama politico italiano.

   Chi mi ha fatto guardare con occhi diversi Matteo Salvini è lo scrittore Mauro Corona, che occupa ogni martedì uno spazio televisivo nel salotto del programma “Carta Bianca” condotto da Bianca Berlinguer. Il buon Corona, noto per essere un uomo di montagna e un artista abbastanza poliedrico (non scrive solo libri, ha il suo pensiero da intellettuale tendente a sinistra, ma molto più indipendente. Ascoltare Mauro Corona è indicativo, anche perché è l’unico scrittore che dialoga con Salvini. E quando si accende il dialogo tra i due, ecco che la strategia del politico Salvini lascia spazio all’uomo.

   Sostanzialmente, in questa fase, è più utile ascoltare questo dialogo piuttosto che andare ad ascoltare o leggere uno come Saviano, che con Salvini vive una guerra mediatica che sa più di altro, ottenendo l’effetto che Salvini si è prefissato, ovvero maggior consenso.

   Ascolto Salvini, così come ascolto tanti altri figuri della politica contemporanea. Ascolto, osservo, imparo, e soprattutto non mi lascio condizionare dal pettegolezzo del web. Io ho amici che odiano Salvini. Lo scrivono su Facebook ogni santissimo giorno (neanche a Natale prendono una pausa). Al Sud Salvini è diventato un’ossessione.

   Ed è qui che Salvini gioca la sua partita.

   Se fosse un allenatore di calcio, Salvini entrerebbe di diritto nella storia dello sport.

   Il paragone sembra azzardato, ma l’esempio è chiaro.

   Ha preso un partito ridotto allo zero, spaccato, maltrattato. In pochissimi anni è diventato il primo partito del cosiddetto centrodestra. Anche Berlusconi ha dovuto mollare la presa (stiamo parlando di quel Silvio che in politica amava primeggiare a costo di far fuori i suoi migliori alleati).

   Se al posto della parola “partito” mettete l’espressione “squadra di calcio”, si capirebbe che sarebbe un allenatore di ottimo livello.

   Quindi, attenzione a definirlo “ignorante” o altro. È la tipica persona che sa incassare ogni genere d’insulto. Non si lascia impressionare. Anzi, addirittura risponde a tono. Nelle interviste, soprattutto quando l’avversario lo provoca, lui risponde a tono e nella maniera più democratica possibile. Anzi, a volte è pure fastidiosamente ironico. Però, centra il bersaglio. Lui forse non offre idee, ma gli altri nemmeno ne offrono di migliori. I suoi avversari più accesi usano lo scontro verbale con parole come “fascista”, “razzista”, “ladro” e altri epiteti, cadendo nella trappola. Sì, perché Salvini (con tutta la sua squadra) usa il web come non mai. Parla alla gente usando un linguaggio rassicurante. Usa spesso la parola “lavoro”. E soprattutto mantiene davanti al video sempre il controllo.

   Gli avversari lo denigrano, ma alla fine sono loro che devono rincorrere il primo in classifica.

   Ma nessuno risponde alla domanda? Come ha fatto la Lega a essere il primo partito del centrodestra in così poco tempo?

   La Lega nasce con un intento di realizzare un sistema federale all’interno dell’Italia, e nel passato non ha avuto paura di parlare di secessionismo federale. Ma questo poteva funzionare all’interno dell’Italia stessa.

   Quando l’Italia entra a far parte dell’Europa, lo scenario cambia totalmente.

   L’Europa è un insieme di Stati, ma non è una federazione. Questa caratterista è il vero limite dell’Europa. I primi a capirlo sono i leghisti, seguiti anche dai 5stelle (in Italia) quando erano all’opposizione del governo italiano. Tutto questo antieuropeismo nasce da come viene trattata la Grecia (altra situazione complicata), e da un blocco inglese che non le manda a dire (tanto che adesso c’è la Brexit).

   Quindi la Lega Nord diventa Lega perché per staccarsi da questa Europa e riportare l’indipendenza all’Italia, l’unica strada è proporre proprio il federalismo europeo (proposta interessante, a dire il vero) e per farlo bisogna prendere i voti dal nord al sud, e andare di persona a prendersi questi tanti voti.

   E cosa fa Matteo, eletto segretario generale della Lega?

   Inizia a viaggiare, e prende nota. Trasmette tutto sulla sua pagina Facebook e sugli altri canali social.

   All’inizio lo sottovalutavano, ma lui predica e ostenta pazienza (quella che non hanno i suoi avversari, e forse nemmeno i suoi alleati). Lui insegue la strada del consenso, e usa internet per farlo, tenendo conto che anche la televisione gioca un ruolo importante. Va in tutti i programmi televisivi e immaginabili, anche quelli dove Berlusconi (che un tempo era il primo riferimento del centrodestra) non andrebbe.

   Incassa, incassa, incassa. Ma non si abbatte. Anzi, addirittura la sfida è stimolante. E soprattutto dialoga. Eccome se dialoga. Non perde mai il controllo, anche quando lo scontro si accende.

   È come colpire un campione di boxe. Per essere campioni di boxe, non bisogna saper soltanto colpire, ma bisogna anche saper incassare. E il buon Matteo sa incassare. Anzi, lui si fa vedere mentre incassa gli insulti, e così facendo inizia la sua scalata verso il consenso, giocando proprio sul bisogno di semplicità che oggi l’italiano medio ha tanto bisogno.

   Gli altri si agitano. Lui non si scompone.

   Voi lo condannate? A lui non gliene frega niente, perché il dissenso fa parte del gioco.

   Lo chiamate fascista? Eppure lui usa i mezzi e non rifiuta le interviste scomode (oddio, rifiuta quelle che sono fattivamente inutili e ripetitive, e qui posso umanamente comprenderlo). Anzi, addirittura vuole che si parli di lui, perché aumenta il consenso.

   Lo chiamate pazzo? In politica come in guerra non esistono regole di fair play. O sai incassare e colpire, oppure è meglio stare zitti. Oggi la politica si semplifica così, e la vera politica non trova più spazi televisivi perché l’editoria varia non la concede.

   Quella la trovate in libreria, alla radio, forse in qualche programma notturno, e in qualche filmato via internet. Per il resto tutta la politica parla ormai un  linguaggio internet, e qui Matteo eccelle in materia. Lui, come la sua squadra, perché il Capitano è sorretto da una squadra che voi non vedete, ma c’è. Una squadra di comunicazione fatta apposta per lavorare per lui e con lui. Quindi non credete che sia solo. Lui è il segretario, ma non è solo.

   Dietro di lui, i sostenitori, i membri, gli attivisti… Tutta gente che sa come organizzarsi, e che può vantarsi di aver amministrato bene in alcune realtà (sempre a discapito del Sud, si sa). Quindi sa come andare a conquistarsi un Comune o una Regione. Ma il Capitano ha preso di balzo la volontà di conquistare la nazione, e per farlo ha capito (o gli hanno fatto capire) come immettersi nei posti non più frequentati dalla Sinistra perché preferisce sentirsi eletta oppure al sicuro di un caldo salottino da VIP.

   Guardate dov’è andato in Calabria.

   A Crotone venne quasi da solo. Non si mostrò in pubblico come altri leader, ma si fece intervistare. Con lui c’era la squadra che non vedevate. Andarono alla stazione dei treni di Crotone, e denunciarono il degrado della bidon ville che si era creata in quella zona perché le persone “extracomunitarie” erano in attesa di un documento, e non potevano muoversi. E aspettavano giorni e giorni alla stazione, abbandonati da un sistema che si definiva “accogliente”, ma che nelle vicinanze di un ufficio dei documenti non aveva previsto la costruzione di un dormitorio.

   Ecco, Matteo sarà pazzo e folle. Qualcuno lo vede come il diavolo, ma è innegabile il suo talento per guardare in faccia i problemi e portarli sul piatto del dibattito. Lui non avrà la soluzione (tranne quella drastica e forte), ma neanche gli altri hanno la soluzione pronta a dire il vero.

   Matteo è il Capitano della sua squadra. Ha fatto quello che qualsiasi segretario deve fare. Metterci la faccia e andare nei posti, e saggiare la realtà.

   Ma oggi Matteo è senza dubbio diverso. Ha fatto il ministro dell’interno in un governo ibrido con i 5stelle. È andato volutamente all’opposizione, scatenando una crisi politica pesante. Ha incassato il colpo, ma poi ha ripreso a fare quello che gli riesce meglio, ovvero parlare alle masse.

   In fondo lui è stato scelto dalla Lega per essere il segretario vincente.

   Punti deboli?

   Pochissimi, addirittura comici.

   Ma uno forte c’è. Un punto debole pesante.

   Un punto debole artistico, a dire il vero.

   Una scultura provocatrice, qualche tempo fa, che lo ritraeva come un assassino che sparava con i migranti lo ha fatto vacillare. C’è il video su YouTube. Quindi lui ha una sensibilità evidente per il dissenso che l’arte provoca. Una cosa che lui stesso non si aspettava. Provate a guardare e ascoltare i suoi dialoghi con Mauro Corona, uno scrittore con idee lontane dalle sue. Aprite le orecchie, e lì vedrete i limiti reali del Capitano. Ma solo se siete bravi e pazienti ad ascoltarlo.

   Ma ora il Capitano sta giocando la sua partita più grossa. Sta provando a prendersi l’Emilia Romagna per scardinare quel centrosinistra che, paradossalmente per tradizione, offriva una società funzionante. L’unica sacca di centrosinistra che funziona, ma che ha perso il consenso. Perché la sinistra si è mutata nel tempo, e lui, Matteo, lo sa bene.

   Dieci anni fa, nessuno avrebbe mai pensato che la Lega potesse candidarsi in Calabria. Oggi succede, e sta accadendo. La Lega ha preso voti importanti alle scorse europee, nella regione che si sente “più orgogliosamente terrona”.

   Conquistare la Calabria è importante per la Lega. Perché da qui parte la conquista per l’Italia. Conquistare l’Emilia sarebbe storico, ma conquistare la Calabria è strategicamente importante. Per una questione d’immagine, ma soprattutto per una questione di potere.

   Il popolo calabrese è chiamato a votare adesso.

   Su Facebook mi rendo conto delle spaccature anche tra persone che si conoscono. Addirittura un professore ha scritto una lettera personale perché le persone vadano a votare PD perché la Lega ha sempre insultato il Sud. Ma è anche vero che il Sud è stato maltrattato da politiche insane, approssimative, superficiali e clientelari. La gente, quella che va a votare, ha voglia di assaggiare il veleno che non ha assaggiato. È un fenomeno democratico del voto, e quando si tratta di mettere una ics la gente non esita a farlo.

   Però quanta gente andrà a votare? Cinque anni fa il 45% degli aventi diritto ha votato. Una minoranza ha votato. E sappiamo com’è andata a finire…

   Il Capitano ha letto questo dato, e da qui è partita la costruzione del partito in Calabria. Tutti a sfotterlo, ma intanto ha costruito e adesso si presenta all’esame del voto. Il primo vero voto importante a livello nazionale. Ha preso qualche Comune nel frattempo, ma sulle regionali sono caduti i migliori segretari di partito. E il Capitano non vuole cadere. Potrà anche perdere, ma a lui interessa impensierire, giocarsela, perché tanto il trofeo è vicino. E sa che a deciderlo saranno ovviamente gli elettori che andranno a votare.

   Perciò, caro professore, forse sarebbe meglio invitare le persone a esercitare la libertà del voto, senza indicare il PD. Lasciare che si esprima, perché il primo nemico della Calabria non si chiama Matteo Salvini, che è una conseguenza delle pessime politiche del passato. Perché queste politiche pessime hanno snervato l’elettore, portandolo a restarsene a casa e ad accettare passivamente.

   Il Capitano lo sa questo, e guarda caso si è fatto vedere in posti, compresa Crotone, fino a poco tempo fa impensabili.

   La partita è iniziata.

   Il Capitano ha portato la sua squadra dove voleva, ovvero a giocare una finale.

   Allora la domanda è: l’elettorato saprà parare il rigore del novantesimo minuto?

Aurélien Facente, gennaio 2019