Breve biografia non autorizzata di Piazza Berlinguer, Crotone

Oggi vi parlo di una piazza a Crotone. Cercherò di essere breve, ma è bene raccontarla questa piazza.

Prima di questa piazza c’era un raccordo stradale con al centro una pompa di benzina. Nella fine degli anni 90′ l’amministrazione comunale di Pasquale Senatore realizzò un’opera colossale che partiva dalla piscina Coni fino ad arrivare al cimitero, ovvero il lungomare di Crotone. Nella riqualificazione, discutibilissima, fu ricavata una piazza, e l’idea di spazio fece ben sperare.

Però era una piazza indisciplinata all’inizio. Bande di giovinastri che usavano le auto perché non sapevano come raggiungere i locali più in dimostrarono che c’era un problema di circolazione. All’epoca, la cosiddetta movida era racchiusa in pochi posti, e i giovanotti dovevano raggiungere quei posti.

Ci hanno messo qualche anno solo per dare un senso di equilibrio nella circolazione.

Poi c’erano delle fontanelle che non si accendevano mai, perché costruite in basso e vittime perenni del vento che soffiava dal mare.

In un impeto di creatività si preferì seppellire le fontanelle (soldi sprecati) e si fece uso di fioriere e piantine che duravano poco tempo tuttavia. Essì, perché ci si passava sopra e non erano curate regolarmente, tranne i primi giorni da volontari che puntualmente si stancavano, perché ogni giorno c’era sempre qualche vandalo o qualche padrone di cane che lasciava il proprio amico defecare con tranquillità.

All’inizio, questa piazza aveva un potenziale inespresso. Ha cominciato in qualche modo ad esprimerlo con le attività ristorative che si sono sviluppate nel tempo, aumentando di riflesso il volume di traffico indisciplinato però.

Già, perché il lungomare di Crotone è sempre stato ibrido. Un po’ pedonale, un po’ veicolare. E con angoli critici.

La piazza insomma veniva spesso struccata.

Poi l’amministrazione Pugliese ha avuto la compiacenza di allargare la zona pedonale arrivando fino a Piazzale Ultras, e questa mossa ha liberato la piazza decisamente valorizzandola nel passeggio ma anche in iniziative di vario tipo come spettacoli e incontri politici. Ma questo poteva durare solo l’estate e le domeniche. I problemi si presentavano sempre.

Vandali e cani passeggiati da padroni distratti erano il guaio principale, e questo struccava molto la piazza. E già, perché gli indisciplinati sono una razza molto caparbia.

E in una piazza come questa è un peccato, perché può essere una bella cartolina di Crotone.

Che cosa succede poi?

Arriva la pandemia che penalizza tutti i locali, e arriva una legge riparatrice dello Stato che concede la possibilità di sfruttare maggiormente il suolo pubblico. Questo come una sorta di risarcimento per il lavoro mancato.

Ma prima di parlare di ciò, arriva la buon volontà di un gruppo di ragazzi, i cosiddetti krotoniati, che prendono in mano la piazza e la cambiano decorandola con una leggera e sobria opera di riqualificazione, con la ciliegia di un piccolo monumento dedicato all’antica Kroton, che nonostante non sia una grande opera d’arte permette alla piazza di truccarsi di nuovo e stavolta con l’occhio vigile di volontari.

Ma anche qui la storia, seppur bella e nobile ha dei limiti. Perché i volontari non sono eterni e prima o poi allentano la presa, anche se il monumento fa la sua minima parte.

E allora arriva il suolo pubblico, diciamo allargato.

Ma solo per la stagione estiva.

Allora nonostante l’ambiente che è stato costruito all’esterno di tale locale risolve un ovvio problema di pulizia, seppur invasivo, arriva la polemica radical chic.

Questa foto suscita il dibattito perché con uno dei lungomari più lunghi e in una piazza dove la pedonalità è garantita intorno sia a visione del mare sia sul lato strada, il problema diventa la passeggiata.

Ora su un problema di regolamento che dovrà essere ovviamente chiarito dagli organi di competenza (con enorme frustrazione di chi il suolo pubblico lo aveva pagato), la mia domanda è perché si rinuncia a vedere il positivo e buttare il negativo dove non c’è?

Il Comune di Crotone non ha personale che si mette pulire la piazza ogni notte.

I volontari, bontà loro, avranno sempre dei limiti (e ovviamente non bisogna sfruttarli sempre e comunque, come qualcuno vorrebbe fare).

C’è poi il problema di cosa dovrebbe diventare Crotone domani. Se vuoi puntare ad un turismo queste operazioni si fanno eccome, anche perché l’obiettivo primario sarebbe rendere ancora di più pulita la piazza e dare un senso alla cartolina che bisognerà prima o poi presentare ad un pubblico futuro. E oggi il compromesso è necessario, in mancanza di risorse per qualcosa di diverso.

Eppure a qualche crotonese non interessa l’obiettivo, ma apparire importante nella sua dubbia moralità.

Poi ho scoperto l’autore della foto (guarda caso un noto radical chic). Un personaggio noto negli ambienti politici. Ha avuto il merito di riqualificare una via del centro storico con la sua attività. ma anche a me sarebbe piaciuto passeggiare senza incocciare qualche tavolo di troppo. Eppure è proprio lui a far la morale.

Ma se quel tavolo di troppo serve a rendere pulito il posto, per me ben venga.

Altrimenti si continua a degradare e a ricominciare daccapo.

Questa è la storia di Piazza Berlinguer a Crotone.

Aurelien Facente, 14 luglio 2022

Ritratto di Gigino ovvero l’impotenza al potere giustificata dalla menzogna

Giggino Di Maio. Un uomo comune che è riuscito a essere scaltro nella sua roccaforte politica. Questo va detto. Ma non è stato sincero. Forse all’inizio, ma dal primo incarico di ministro qualcosa è cambiato.

Giggino Di Maio è l’essenza del potere che corrompe il brav’uomo. Tutti quelli che si autodefiniscono rivoluzionari prima o poi cadono nella corruzione del potere. Perché per cambiare le cose ci vuole volontà, intelligenza, anche un certo credo religioso. E soprattutto devi avere contenuti. Perché se non hai quelli, sei demagogo. E i demagoghi al potere non si prendono nessuna responsabilità, se non la volontà ferrea di non cambiare il beneficio del proprio portafogli.

Giggino si è rivelato, cadendo nella trappola costruita dallo stesso Movimento che lo ha reso politico prima e politicante dopo. Non offenderti, Giggino. Per me non sei un buon ministro degli esteri. Non hai la cultura e soprattutto non hai la testa adatta per farlo.

Giggino abbandona il Movimento. Già, perché ormai il Movimento affonda come il Titanic e ovviamente prende la migliore scialuppa per salvaguarsi le chiappe, ma non l’onore. Quella è un’altra cosa. Giggino ha l’onore corrotto dal potere, e ha preferito salvaguardarsi le chiappe.

Un anno di tempo, caro Giggino. Poi anche tu dovrai andare a raccattare voti per ritornare al dolce scranno del Parlamento. Sempre che la tua generazione politica non decida di mandare a puttane la Costituzione Italiana, e a quel punto si completa la verità della corruzione in nome della bugia del potere.

Già, caro Giggino. Lo so di essere duro con queste parole. Ma è una lettera aperta di chi ha osservato la crescita del Movimento. Pensa, l’ho pure votato perché credevo che ci fosse un reale bisogno di scuotere un bel po’ di politica italiana. Era necessario scuoterla perché il periodo lo richiedeva.

E alla fine?

A pochi mesi del compiere il fatto rivoluzionario, ovvero mettersi da parte dopo il secondo mandato, il potere che corrompe ti ha posseduto e con un discorso imbarazzante hai rivelato la tua reale natura.

I governi (sei al terzo) di cui hai fatto parte hanno gravi responsabilità storiche, e non mi va di elencarle tutte. Tanto sarà il popolo a giudicarti quando ci saranno le elezioni, ma di sicuro compi la più stupida delle mosse nel momento in cui la stessa politica dovrebbe preoccuparsi di ricucire il rapporto con la gente, perché se governi un Paese dove la metà della gente non ti considera nemmeno allora l’autorevolezza della politica perde. E si continua a raccontare la menzogna. Cosa che ovviamente hai ben fatto in tutti questi anni.

Certo, c’erano le regole della politica. Ma di quale politica, Giggino? La tua? Quella che offre la rivoluzione e poi la fa diventare l’ennesima illusione. Hai scelto tu, caro Giggino, di farti sedurre dal potere. Non è stata la gente a chiedertelo.

Peppino Conte se ne farà una ragione. Ma lui almeno in questi mesi un giro per l’Italia se lo sta facendo, cercando di promuovere una rivoluzione che è diventata un’illusione.

Ma era inevitabile che finisse così. Perché è il destino dei demagoghi al potere. Sguazzano come sanguisughe sulle spalle dei cittadini e amano restarci. Ma quando si tratta di cambiare, mostrano tutta la debolezza della loro corruzione.

Non parlo di corruzione in danaro, caro Giggino. Ma della corruzione che è dentro la tua anima adesso. Hai fatto una scelta rischiosa e azzardata. Ti sei dato troppa importanza. E quell’uno che valeva uno è diventato io esisto sopra di voi.

Che illusione! Eppure quasi ci credevo in un meridionale che potesse cambiare qualcosina. Sottolineo il quasi. Perché i “rivoluzionari” li conosco in Italia. Pronti a raccontare di tutto e di più, salvo poi gettare la maschera quando il gioco gli torna contro. Avrai anche ridotto i parlamentari, ma sei diventato il più obsoleto dei parlamentari. Alla fine ti sei rivelato per quello che sei. Libero di farlo, ma a discapito della tua credibilità elettorale.

Capisco l’ambizione e forse anche la passione per la politica. Ma la tua non è più politica. Si chiama opportunismo. E si tratta della peggiore malattia degli ultimi anni in politica. Quello stesso opportunismo che tu denunciasti e condannasti. Alla fine, hai parlato talmente male di loro che sei come loro.

Avevi un’altra chance, caro Giggino. Una chance azzardata, ma che ti avrebbe reso protagonista di una storia ancora migliore. Le tue dimissioni da ministro e da parlamentare. Un atto forte che avrebbe spaccato il Movimento comunque, ma che ti avrebbe dato quella credibilità che cercano i cittadini. Una scommessa azzardata dunque. Ma coraggiosa e non vile.

Ti ho seguito, Giggino, in tutto questo tempo pensando che un meridionale mi avrebbe reso orgoglioso di essere tale. Invece hai gettato la maschera mostrando quella che è una triste verità: quella di essere un bluff.

Buon proseguimento, Giggino. Prima o dopo anche tu farai i conti con la realtà, quella vera però. Quella di cui anche tu un tempo facevi parte. E non credo che sarà tenera con te. Il destino dei falsi rivoluzionari non è mai tenero. Staremo a vedere, ma di sicuro il tuo gesto contribuirà ancora di più al grande astensionismo che macchierà di disonore la storia della Repubblica Italiana.

Aurélien Facente, 22 giugno 2022

Sul perché il sindaco di Crotone si chiama Vincenzo Voce

Se l’articolo precedente parlava dell’ossessione social e mediatica intorno al sindaco di Crotone Vincenzo Voce, qui ci concentreremo sui perché questa persona è riuscita tramite elezioni a occupare il posto di sindaco dopo un anno di commissariamento.

   Si sono fatte le analisi elettorali in tutte le maniere, ma non si sono fatte  le analisi storiche e sociali, che hanno influito maggiormente rispetto a quelle elettorali, che sembrano contassero di più.

   Analizziamo lo scenario in cui si svolsero le elezioni comunali nel 2020. Città, Crotone. Stato attuale: città maglia nera in termini di qualità della vita, ovvero un posto che nel tempo ha perso tante prospettive di vita vera e propria. Nella Crotone maglia nera bisogna tenere conto che gli indicatori sociali e redditizi sono bassi, e ogni attività, soprattutto politica, ne viene pienamente coinvolta. La città di Crotone ha perso negli ultimi anni almeno qualche migliaio di abitanti, e alcuni di essi mantengono residenza per motivi fiscali e/o lavorativi. Non è un caso che le case in vendita superino la disponibilità di case in fitto. Più di diecimila abitanti in meno vuol dire ovviamente meno economia e molto meno lavoro. Per affermarsi, il dato di fatto è andare via, e difficilmente si torna a Crotone.

   Questo stato di cose è figlio di politiche scellerate che non hanno tenuto conto del cambiamento della città che doveva fare alla chiusura delle fabbriche che erano l’indotto principale della città stessa.

   L’elenco delle problematiche è lungo inoltre.

   Principale problema oltre alla disoccupazione e alla dismissione dei servizi resta la cattiva cultura.

   Questo è lo scenario. Aggiungeteci il resto voi.

   Nel 2020 inizia l’era Covid-19, qualche settimana dopo le dimissioni del sindaco precedente e della venuta di un commissario cittadino. Si era appena votato alla Regione.

   Le dimissioni di Ugo Pugliese, sindaco precedente, sono state causate da un provvedimento giudiziario che è stato oggetto di discussione molto mediatica. Prima di Ugo Pugliese ci sono stati i dieci anni di Peppino Vallone, sindaco portato dal PD e dal centrosinistra, che per dieci lunghi anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo.

   Nei dieci anni del PD crotonese sono state chiuse o tenute chiuse strutture che potevano in qualche modo rianimare la città nel post industriale. Al quale si deve aggiungere una mancata seconda rivoluzione industriale, che non è avvenuta e che si preferisce non parlarne, tranne quando si tocca il problema inquinamento.

   In questa premessa, nelle regionali calabresi di inizio 2020, il candidato al consiglio regionale Vincenzo Voce risulta essere il più votato in città (non in provincia, badate bene) e per un soffio (causa legge elettorale regionale molto stronza) non viene eletto in consiglio. Resta il candidato più votato in città, e su questa premessa annuncia la sua candidatura a sindaco in largo anticipo sui tempi.

   Anticipo che gli andrà comodo perché arriva il Covid-19 e praticamente il lockdown chiude tutte le persone in casa.

   In una situazione inedita, il candidato Voce si fa sentire. Spesso in video ospite di un organo d’informazione locale, Voce conversa con altri ospiti. E nel frattempo fa restare costante la sua popolarità. In fondo, non ha nulla da perdere e solo da guadagnare. Di fatto è il solo politico che si esprime in video, e questo diventa fondamentale. Perché quelli di centrosinistra e di centrodestra e 5stelle stanno solo a guardare.

   Ma c’è un pubblico che guarda questo dettaglio. In un clima di paura e di incertezza si forma una sorta di sindrome di Stoccolma (ovvero un innamoramento del proprio carceriere in quanto le speranza di vita si aggrappano proprio a chi ci tiene chiusi), che vive anche il Presidente Giuseppe Conte. Tutti a casa ad aspettare, e ci rendiamo conto che sono quelle persone che coinvolgono la nostra vita. Solo che Giuseppe Conte era il premier, mentre Vincenzo Voce è il solo candidato a sindaco che parla della città chiusa dal lockdown. Questo influisce e di parecchio.

   In estate ci si libera un po’ e le campagne elettorali iniziano. All’inizio si prospettavano almeno 7 candidati a sindaco. Ne resteranno soltanto 4, perché uno di questi confluisce subito nel centrodestra, mentre gli altri due si ritirano.

   In questo scenario, si assiste alla tragedia del PD commissariato, che ovviamente influenzerà a suo modo le elezioni.

   Vincenzo Voce si presenta con tutto il cosiddetto mondo civico. Con quattro liste e tutti candidati quasi alle prime armi.

   Gli specialisti delle tendenze politiche non vedono in lui il vincitore, ma una corsa a tre.

   Tra un centrosinistra molto misto con il candidato Arcuri, un centrodestra corazzata (10 liste per 30000 elettori circa) con candidato Manica, e infine Voce con le sue liste. Molto staccato il Movimento Cinquestelle, che nella sua tragedia assomiglia molto al PD (e non credo che sia un caso che poi erano insieme allo stesso governo nazionale).

   La campagna elettorale è combattuta. Ha i suoi toni accesi. Ma lo stato psicologico della collettività votate, aspetto non volutamente tenuto in conto, decreta una gran voglia di sbattere la porta e cambiare.

   Voce è sulla bocca di tutti. Non si voterà Voce perché è un grande politico con un programma dettagliato e fattibile. Si voterà Voce perché è Voce e basta. Non appartiene a quella politica là, e tanto basta,

   Arrivano le votazioni al primo round. La corsa considerata a tre diventa in verità una corsa a due. Sia Voce che Manica superano i 10000 voti, mentre Arcuri è più staccato. Movimento 5stelle non pervenuto.

   Ballottaggio stravinto da Voce, che in questa occasione risveglia un bel po’ di sinistra. Non sia mai che quei fascistoni della Lega vadano al potere del Comune della città di Crotone. E ci fermiamo qui per quanto riguarda la storia in breve.

   Che cos’è accaduto in sostanza?

   Tutto normale all’apparenza. Solo che lo scenario psicologico è totalmente cambiato.

   Per la prima volta a Crotone non si votava il sindaco secondo tradizione, come nel caso di Vallone, e non si votava per programma elettorale, come avvenne per Pasquale Senatore, sindaco di destra tra i più ricordati d’Italia.

   Si è votato Voce senza chiedersi troppo il perché, e senza neanche guardare con chiarezza chi lo accompagnava in questo progetto. Non è un caso che, sempre in termini di popolarità, Voce supera tutta la giunta e gran parte del consiglio comunale.

   Se la campagna elettorale fosse durata di più, molto probabilmente il risultato sarebbe stato diverso.

   Se non ci fosse stato il lockdown e l’assenza di politici che avrebbero quantomeno dovuto rincuorare i cittadini in una situazione odiosa per tutti.

 

  Voce ha vinto con un risultato gigante proprio per demerito (e assenza) degli altri. Non è un caso che lui ha preso tanti voti, addirittura di quasi tre volte sopra rispetto alle liste che lo accompagnavano. Tanto che se Voce stesso non fosse stato votato nel disgiunto, il centrodestra con quel 49.9% avrebbe potuto vincere. Ma, ahimé, tra fan della sinistra, una coalizione da corazzata Potemkin (quella fantozziana per intenderci) e la sottovalutazione della questione psicologica non si poteva vincere. Tanto che la gente ha visto i cocci e ha preferito un vaso intero. Non bello, ma intero. Quindi si può dire che il demerito degli altri è stato l’ultimo alleato di Voce.

   E grazie a questa storia, si può spiegare perché Voce è diventato sindaco per democrazia di voto sì, ma con una responsabilità di cancellare la “vecchia politica”. Solo che per farlo occorre possedere un’educazione culturale molto grossa. Fattore purtroppo non presente nella compagine politica del sindaco. Una rivoluzione che ha avuto il sapore di una meteora.

   Oggi ci stanno molti pentiti tra quelli che hanno sostenuto Voce. Tra questi anche ex alleati (ma qui merita un discorso tutto a parte) e gente che lo ha votato, salvo poi pentirsene. Ma se questi elettori lo hanno votato, evidentemente gli altri non sono stati capaci di farlo.

   Alle elezioni alla fine ne resta solo uno. E ogni volta dobbiamo dirci: “Che Dio ce la mandi buona!”

   Già, ma mi sa che Dio ha più di qualche conto aperto alla fine dei conti.

   Alla fine ogni popolo ha il governo che si merita, proprio perché lo ha votato.

   Ora sapete in breve la storia.

Aurélien Facente, 17 novembre 2021

Inginocchiarsi non è una moda, ma deve essere un gesto spontaneo

Sta facendo discutere una strana moda culturale contro il razzismo. Sembra che adesso inginocchiarsi per dimostrare di essere contro il razzismo sia diventata la priorità per dimostrare di non essere razzisti. Beh, la simbologia può avere un significato profondo quando il gesto è spontaneo, ma non imposto.

In occasione degli Europei calcistici, se ne stanno ascoltando di tutti i colori letteralmente. Ormai è evidente che ci sono nazionali multietniche (la Francia in primis, ma anche Inghilterra, Italia, Germania per citarne altre). Lo sport mette pace dove la politica non riesce. La storia dello sport è piena di queste imprese. Basta studiarla. Nello sport tutto deve essere all’insegna della spontaneità. L’abbraccio degli azzurri italiani in mondiali passati è stato un esempio di forza e di unione.

Eppure la moda dell’inginocchiarsi deve essere praticata per forza. Come se la cosa dimostrasse già da sola che sconfiggerà il razzismo. Mi rendo conto che ci vuole una simbologia, ma se viene imposta da qualche capopartito per fare il piacione agli occhi del mondo rasenta l’ipocrisia al massimo.

Enrico Letta, ad esempio, impera in televisione con questo tipo di pensiero, che si potrebbe condividere se la cosa fosse vista come un invito alla riflessione. Ma evidentemente Enrico Letta e simili non hanno letto André Gide o James Baldwin nel dettaglio, oppure non conoscono il cinema di Spike Lee o forse non hanno nemmeno visto il film “Mississippi Burning” di Alan Parker. Potrei andare avanti nell’elenco di autori. Doveroso ricordare Harper Lee con il suo libro “Il Buio oltre la Siepe”. Ma potrei continuare.

Sono autori che, attraverso varie forme di narrazione, hanno combattuto e parlato meglio del razzismo più di altri, ma non hanno mica chiesto agli altri di inginocchiarsi.

Il simbolo della scusa, della richiesta del perdono, del porre la mano in segno di pace è un gesto di grande discrezione semmai. Deve avere una sua spontaneità se avviene con una certa discrezionalità. Se deve avvenire perché si deve fare spettacolo, allora sarà finto. O apparirà come tale. Non sarà convincente.

Ci sono modi e modi per dimostrare di non essere razzista, caro Enrico Letta.

Educare alla lettura di opere come “La Prossima Volta il Fuoco” di James Baldwin all’interno delle scuole, oppure farlo rieditare in una collana di libri economici affinché possa raggiungere una platea.

Promuovere la visione del cinema di Spike Lee nelle università o anche nelle scuole stesse, o perché non trasmettere in prima serata su RaiUno film come “Jungle Fever” o “Fà la cosa giusta” invece di propinarci di serate a perditempo con facce come quelle dei politici attuali? Non sarebbe meglio?

Fare gesti concreti di solidarietà senza fare la continua predica, evitando determinati spettacoli.

Lasciare spazio ad una vera informazione reale, e non ad amplificazioni della realtà.

L’uomo bianco ha commesso tante porcherie in passato, ma non è l’uomo bianco di oggi. Oggi la maggior parte degli uomini bianchi sanno che ci sono anche i gialli, i rossi e i neri. I bambini già crescono insieme senza guardare il colore dell’altro. Basta farsi un giro nelle scuole per verificare. Basta vedere quando giocano insieme, e quando saranno adulti troveranno il modo di continuare a essere amici. Lo faranno spontaneamente, non perché gliel’ha detto qualcuno in televisione.

Perché qua si decanta, ma non si guarda la realtà nel dettaglio.

Ogni luogo ha una storia. Ogni luogo ha delle persone. Ogni luogo si arricchisce quando il prossimo sa di avere le stesse possibilità di crescere come l’altro, in termini lavorativi, economici e culturali. Ogni luogo si arricchisce quando questo avviene con una certa spontaneità. Ogni luogo si arricchisce quando io voglio conoscere l’altro per quello che è, non per quello che mi appare. E richiede un certo tempo tra l’altro. Non si obbliga, ma si educa. Vale per me, come vale per l’altro.

La violenza si combatte sempre. Ma non lo fai imponendo. Perché la violenza c’è sempre stata. L’essere umano è violento per natura, e solo con il tempo acquisisce la saggezza. E l’acquisisce con la conoscenza e con la voglia di stare insieme all’altro.

Le grandi trasformazioni della società non sono mai avvenute perché l’hanno voluto fare i politici, che nella storia sono stati spesso i peggiori negazionisti. Basta studiare il mondo in cui agiva Martin Luther King. O provate a chiedere ad André Gide quando andò in Congo per poi tornare a denunciare il cattivo colonialismo francese. Ci saranno purtroppo sempre sacche di violenza e di ignoranza, ma si combatteranno sempre quando la voglia di conoscere e di stare insieme saranno spontanee.

La conoscenza è la migliore arma contro il razzismo, la cultura per combatterlo, il gesto spontaneo per dimostrarlo. Non perché lo dice qualcuno in televisione.

Un gesto ha sempre bisogno della discrezionalità del cuore per essere sincero. E sarà sempre così.

Aurélien Facente, 26 giugno 2021

22 febbraio 1991/22 febbraio 2021: del quando conobbi l’aggressione fisica dei bulli…

Ho pensato molto prima di scrivere. Avevo da pensare. Perché quando racconti la tua esperienza, ti trovi una pattuglia di soggetti che ti dice di non farlo, che fai male a passare per vittima, che tanto non interessa a nessuno.

   Può darsi, ma di sicuro non sono stato il solo a essere vittima di un bullismo a Crotone che è stato snervante. Forse mi ha aiutato a realizzare una corazza che oggi, in piena epoca Covid, mi è servita. Ma le ferite, quelle, non guariscono. Quelle restano, e quelle che fanno più male sono dentro.

   Qualche settimana fa, a Crotone, è circolato per via web un video dove s’intravede una zuffa violenta tra ragazzi. Polemiche, dibattito acceso, prese di posizione, la volontà di mettersi alle spalle l’episodio cercando di dare almeno un esempio. Ho visto il video, e per giorni sono rimasto a pensare. Perché quella zuffa mi ha riportato indietro di 30 anni, esattamente al 22 febbraio 1991.

   Avevo dodici anni. Frequentavo la scuola media Corrado Alvaro, che all’epoca si trovava all’interno di un palazzo in Via 25 Aprile, tra la scuola Ernesto Codignola e quella scuola superiore che noi chiamavamo semplicemente “Il Professionale”.

   Da ragazzo non ero il classico ragazzo sportivo che amava giocare a calcio per le strade del quartiere. Quando si è adolescenti purtroppo non si ha la coscienza di scegliere quello che si vuole essere, e soprattutto non si può avere il fisico adatto. Sono cose che ti condannano.

   A me piaceva il basket, il primo gioco di squadra che praticai con un certo entusiasmo. Il basket è uno sport molto completo, indifferentemente da quello che si dice. Equilibrio, forza, cervello. Ha tutto quello che serve per aiutare lo sviluppo caratteriale di una persona. Il campo da basket si trovava in un tendone da piscina dentro lo stadio Ezio Scida, quando il Crotone calcio era una piccola società dilettantistica. Ricordi di un periodo che pochi conoscono.

   Io non ero il migliore a basket. Pagavo il tardo sviluppo fisico, e perciò mi concentrai molto sulla disciplina. Cioè palleggiare bene per avere il pieno controllo della palla. IN realtà pagavo il mio carattere timido.

   Si faceva amicizia e c’erano anche scontri. A 12 anni gli scontri tra ragazzi hanno una ragion di esistere. Ma finiva tutto all’interno del campo da gioco.

   C’era un ragazzo più grande. Uno dei tanti. Non faceva basket, ma dava un’occhiata al fratello più piccolo. Fin qui nulla di male, ma di sicuro era stato mandato lì dai genitori che non avevano tempo di guardare entrambi. E allora il fratello baby sitter è il classico tipo che si annoia perché vorrebbe fare altro. E quando sei quattordicenne, vuoi fare altro e non il baby sitter. E quando ti annoi a Crotone, ecco che prendere in giro qualcuno diventa il primo passatempo.

   Papà e mamma m’insegnarono a non dare mai confidenza a chi non conoscevo. Ma quel ragazzo era insopportabile quando pensò di beccarmi. La cosa seccante era che lo faceva mentre mi stavo allenando. Quel pomeriggio di febbraio gli diedi una risposta istintiva, ma non volgare. Non gli dissi una parolaccia, ma gli feci capire che era indesiderato. Il tipo borbottò qualcosa, ma non me ne curai.

   Qualche giorno dopo, esattamente il 22 febbraio 1991 alle ore 13.30 all’uscita di scuola, un paio di braccia mi presero alle spalle all’improvviso e mi sbatterono con forza contro le sbarre della scuola Codignola. Venni preso a schiaffi dal tipo di qualche giorno prima ed era in compagnia di un complice, suo compagno di scuola. Mi presero a freddo, e mi ritrovai circondato da sguardi di ragazzi e ragazze che volevano solo rientrare a casa. In quel momento non mi facevano male gli schiaffi, ma gli sguardi indifferenti degli altri. Non c’era nessun adulto pronto ad intervenire.

   Quello che mi fece più male fu l’umiliazione.

   Non mi chiedete quanti schiaffi presi.

   So solo che riuscii a dimenarmi.

   I due mi avevano picchiato perché avevo osato rispondere qualche giorno prima e basta, e che non mi dovevo permettere di scherzare.

   Tornai a casa barcollante. Qualcuno mi accompagnò vedendomi piangere. Ma non erano gli schiaffi che mi fecero male. Fu l’umiliazione del momento. Sapere che nessuno aveva osato quantomeno alzare la voce. Sì, perché era una zuffa da ragazzi. Lasciamoli fare. Tanto non sono figli nostri. Che se la sistemino fra loro. E nel 1991 non c’erano i telefonini che filmavano.

   Tornai a casa con voluto ritardo. I miei si preoccuparono nel non vedermi tornare, ma a piccoli passi con lo sguardo basso tornai a casa. Solo che non volli essere abbracciato. Mi vergognavo apertamente per quello che avevo provato.

   Ci fu qualche settimana dopo un incontro risolutore. Mio padre, che era insegnante, parlò con i ragazzi davanti a me. I due non dissero esattamente che mi avevano preso alle spalle a freddo e immobilizzato alle sbarre davanti a tutti. Loro si stavano divertendo e basta, perché era un gioco che facevano spesso.

   Non dissi nulla. Ma capii che il bullo tende sempre a mentire, a sminuire, a volerti convincere che gli schiaffi sono in fondo come delle carezze affettuose. Sono rimasto zitto perché prima di quell’incontro il fratello più piccolo mi aveva pregato con estremo rispetto di non essere cattivo. E se sei in una squadra, devi fare squadra.

   Ho preferito il silenzio e non aggravare la cosa ulteriormente.

   Crotone non era pronta nel 1991 ad affrontare il bullismo per quello che era.

   A distanza di anni, quel silenzio fu una sorta di perdono sotto certi aspetti. Perché poi, dopo qualche tempo, ti vengono raccontate altre storie, forse anche più brutte della tua. Perché Crotone è una città che nasconde molto bene quello che non va. Perché quando un bambino viene picchiato in un’ora di punta come l’uscita da scuola (e su quel pezzo di via 25 Aprile ce n’erano ben tre di scuole) e nessuno interviene, allora qualche domanda te le fai.

   Mi sono rifatto la stessa domanda 30 anni dopo.

   Mi ricordo la data perfettamente perché è nel 22 febbraio 1991 che ho conosciuto sulla mia pelle gli schiaffi dei bulli. Ma nello stesso giorno ho conosciuto la vergogna causata dall’indifferenza. Ecco, quella sì che fa veramente male. E allora capisci da dove nasce la vera cattiveria. E se non calmi la rabbia, la frontiera dell’odio verso il prossimo è facilmente superabile. Mi ricordo bene di questo episodio perché per anni ho odiato Crotone e i suoi abitanti, vergognandomene anche.

   Ho deciso di uscirne appena ho maturato gli strumenti per uscirne. Un cammino lungo e complesso. E lo può capire solo chi lo ha vissuto. Oggi la storia sarebbe stata diversa, perché ci sarebbe stato sicuramente uno smartphone a riprendere. Nel 1991 era già abbastanza se avevi una macchina fotografica a pellicola.

   Mi auguro che questo racconto possa essere d’aiuto per chi ha vissuto qualche momento simile.

Aurélien Facente, febbraio 2021

Corrado Augias e i Misteri della Calabria (Lettera aperta)

Dottor Augias, mi permetto di presentarmi. Mi chiamo Aurélien Facente. Abito a Crotone, Calabria. Mi definisco ex giornalista perché non credo che il giornalismo oggi possa definirsi giornalismo. Si tratta di qualcos’altro che umilia il senso dell’essere giornalista, e ci tengo a farLe sapere che questa resta una mia opinione personale perché ritengo che non cambierà nulla.

   Dottor Augias, Le aggiungo che sono un acquirente dei Suoi Libri, tanto che ad ogni uscita ne regalo un esemplare a mia madre, che la segue dai tempi di Babele, la trasmissione che difendeva e divulgava il libro. Altri tempi, vero?

   Ho avuto modo di ascoltare la sua intervista pepata, e di leggerne le parole. Tra il dire e lo scritto ci sono differenze sostanziali, ma il succo è quello.

   Lei definisce la Calabria una terra persa. Lei ha sentenziato sparando su una terra che si trova nel baratro della fragilità da decenni, eppure lei ha speso le sue parole aggiungendo una bella sceneggiatura cinematografica.

   E mi permetto di usare tale tono, dottor Augias, perché in Calabria ho scelto di viverci, oltre che obbligato. E se permette, credo di conoscerla meglio proprio perché ci vivo.

   La Calabria è una terra dai molteplici aspetti. Lei, dall’alto del suo ruolo, la vede come una terra povera, dove tra l’altro la criminalità è all’ordine del giorno. Ci condanna perché la Calabria ha preferito eleggere, attraverso un voto democratico e certificato, una persona che poi è deceduta a dispetto di un imprenditore di grosso valore, che però poi si è dimesso dall’essere capo di un’opposizione che poteva essere alquanto costruttiva.

  

Partiamo da questa storia, dottor Augias.

   Il centrodestra vinse le elezioni regionali, ma con il 56% di astensionimo.

   Non mi sembra che con questi numeri il centrosinistra capitanato dal suo imprenditore abbia fatto miracoli.

   Anzi, dopo qualche mese si è addirittura dimesso. E non sembra che qualcuno del centrosinistra si sia opposto in maniera dura.

   Non parlo di altri contendenti, perché non sono entrati nel Consiglio Regionale.

   Dottor Augias, parliamo di quel 56% di astensionismo. Siamo una terra persa perché abbiamo rinunciato a votare? Beh, sì. Ma sa perché il calabrese non vota? Per superficialità? Io direi che per decenni sacche di politica nazionale hanno ingannato le speranze dei calabresi, sacche di sinistra e sacche di destra.

   La Calabria ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile, perciò produce emigranti, che poi vanno a sistemarsi da Roma in su se decidono di stare in Italia. Devono trovare un lavoro come si suol dire, e non sempre, anzi spesso, si tratta di un lavoro stabile. Certo, c’è gente che si distingue anche bene a livello professionale. Abbiamo medici, ingegneri, avvocati e anche artisti che nel mondo fanno la differenza.

   Ma chi è rimasto qui non è solo un criminale. Semmai è nato in un sistema ipocritamente alimentato anche dalla sua amata politica dei diritti.

   Vede, dottor Augias, ho 40 anni superati. Diciamo che, tolta la fase liceale della politica dove si è più sognatori, ho saggiato con mano quello che la politica degli ultimi 25 anni è riuscita a fare ai danni della Calabria, in tutti i settori tra l’altro.

   Quando chiedevamo più medicina di qualità, ci hanno lasciato con il minimo indispensabile (secondo loro). Quando chiedevamo più studio, qui sono stati capaci di chiudere plessi scolastici e universitari. Quando chiedevamo più lavoro, ci hanno mandato la precarizzazione del lavoro con annessi sciacalli che si sono mangiati i contributi dello Stato. Uno Stato che non ha saputo essere Stato.

   E quando le sacche di povertà aumentano, caro dottor Augias, anche le sacche criminali aumentano.

   Ma in Calabria ci sono anche le brave persone, quelle vorrebbero farsi il mazzo fino a prendersi frustate sulla schiena solo per dimostrare di essere degni di essere calabresi, e che qui delle buone cose si potrebbero fare eccome.

   Queste persone meriterebbero quantomeno il Rispetto con la R maiuscola. Perché ci sono persone che hanno avviato il loro Lavoro cercando di essere il più Utile possibile alla società. Cercano di dare un segnale di positività e un esempio alle generazioni che potrebbero e dovrebbero migliorare la loro Terra.

   La Calabria è una terra strana, dottor Augias. Ricca di cultura da vendere, ma strapiena di gente che non è stata fatta crescere per come dovrebbe essere. Certo, ci considerate “persi”. Ma questo lo hanno voluto quelli di Roma, o meglio quelli che stanno a Roma a occupare poltrone. Non lo hanno mica voluto i calabresi.

   Anzi, i calabresi sono doppiamente vittime. Diciamo tre volte vittime.

   Vittime della ‘ndrangheta, perché la criminalità si è sostituita dove lo Stato non c’era o non voleva farsi vedere.

   Vittime dello Stato, perché degni rappresentanti nazionali venivano qui solo per i voti e basta. Ci avevano promesso che alcune industrie avrebbero continuato la loro attività, ma adesso ci sono gli scheletri. Certo, lo Stato non si può occupare di tutto, ma qui lo Stato non pensa, caro dottor Augias. E noto che il problema non è solo calabrese e basta.

   Poi siamo Vittime di Noi stessi. Vero. La nostra diffidenza ci ha portato a non votare più come prima. Non le elenco i perché solo per il fatto che ci servirebbe un libro a parte. Un libro che potrebbe scrivere lei, dottor Augias. Ma che non farà, perché una Persona del Suo Calibro Culturale non potrebbe scendere in Calabria per qualche periodo solo per provare a raccontare quello che c’è di buono dal quale ripartire.

   Lei ha tutta la cultura per esprimere un giudizio sulla Calabria, caro dottor Augias. Grazie di averci condannato. Ma non è della condanna di cui abbiamo bisogno.

   Abbiamo bisogno di qualcosa di più positivo.

   Abbiamo esempi positivi, sa?

   Abbiamo il Procuratore Gratteri, giusto per citare il più discusso. Ma il suo è un lavoro lungo e solitario. Abbiamo qualche scrittore, qualche musicista, qualche imprenditore, anche un premio Oscar. Abbiamo borghi bellissimi e templi da raccontare. Abbiamo ristoratori che danno lezioni a tutto il mondo nella cucina che producono. Abbiamo gente che riesce a dare il massimo pur avendo pochissimo.

   Però siamo una Terra Persa.

   Le faccio una domanda, dottor Augias, perché lei l’ha presa dal punto di vista politico. Si metta nei panni di un calabrese qualsiasi. Magari un tipo che possiede una piccola pompa di benzina sulla Statale 106. Si presentano alla sua pompa decine di candidati, di destra e di sinistra. Tutti a fare delle promesse che potrebbero essere mantenute. Uno sviluppo migliore della Statale 106, un aeroporto da realizzare non lontano dalla pompa di benzina, magari anche un porto, o anche riprendere la stazione dei treni nel paesino dove vive il benzinaio. Magari gli promettono anche un ospedale che per adesso è piccolo, ma che crescerà. Magari promettono anche investimenti mirati per avviare un’economia, così magari i figli possono pensare di potersi fare una vita nel paesino.

   Eppure gli anni passano, i candidati cambiano, e le promesse svaniscono nel nulla.

   E secondo lei, quel benzinaio ormai anziano, perché dovrebbe credere all’ennesimo candidato che si presenterà alla pompa di benzina’

   Sa, dottor Augias, la Sua Profonda Cultura è eccellente, ma la vita è anche fatta di queste storie. Da queste persone che smettono di illudersi e nel credere nei fantasmi.

   Io rispetto le sue Idee Politiche, caro dottor Augias. Ma qui queste idee sono state delle maschere usate per fare propaganda e basta il più delle volte.

   Ecco perché il suo imprenditore ha perso le elezioni. Perché non si vota una persona perché ha la sua storia imprenditoriale. Si vota una persona perché ama la sua terra. Quell’imprenditore ama la sua terra, ma anche la donna di destra amava la sua terra. Questa donna ha avuto pochi mesi per esprimersi per poi andare tra le braccia del silenzio. Nonostante avesse un male, si era messa a disposizione e voleva prendersi cura di questa terra. Certo, aveva le sue idee. Ma erano idee sulle quali si poteva quantomeno discuterne. E anche questa signora mi ha dato l’impressione che fosse sola, così come lo sono quelli che amano la loro Terra prima di tutto. Mi dispiace che lei, dottor Augias, veda il fantasma del fascismo nelle persone che abbraccino un’idea diversa. E se non è fascismo, diventa ‘ndrangheta, e se non è ‘ndrangheta diventa qualcos’altro di negativo.

   Bene, dottor Augias, io non mi ritengo offeso se in onda nazionale si parla della Calabria, anche nei suoi aspetti negativi. La Calabria è una parte fondamentale dell’Italia che produce, viste le migliaia di persone che sono state le mani sporche dell’Italia industriale e gloriosa che si è fatta valere nell’eccellenza.

   Ma è facile sentenziare da dietro uno schermo televisivo, dottor Augias.

   Mi permetto di rivolgermi così a Lei, dottor Augias, perché c’è stato un tempo che io ho odiato la mia Terra. E quell’odio si comportava come un fantasma. Mi annebbiava la vista. E ho perso tempo per lavorare a contrastare quest’odio.

   Critico la mia terra ancora oggi. Ma non la critico, condannando e basta. Cerco di farlo raccontando e proponendo una testimonianza non ipocrita, perché il lavoro da fare e tanto. Come il sottoscritto, c’è una voglia anche da parte di altri di raccontare per poi provare a ripartire e trovare nuove direzioni. I calabresi hanno bisogno che qualcuno li racconti, ma che non sia uno che li racconti da dietro uno schermo televisivo.

   Perciò la sfido in senso letterario, dottor Augias.

   Si prenda un periodo per scendere in Calabria. La venga a visitare. La racconti per quello che è. La osservi da vicino. Cerchi di sentirne gli odori. E ovviamente si faccia accompagnare dai colori della Terra di Calabria. Venga a respirarne l’aria. Si faccia un giro, magari incontrando tante persone. Venga a comprendere il male e venga a scoprirne il bene. Nessuno di noi è immune da difetti, ma qui c’è voglia di migliorare. Poi magari ne scrive un libro, e noi lo compreremo. E lo leggeremo e lo racconteremo.

   Ma ci faccia un favore.

   Non sentenzi sulla Calabria dentro una trasmissione televisiva. Non lo faccia.

   Perché la stragrande maggioranza di chi va in televisione non ha mai avuto il coraggio di raccontare la vera Calabria.

   Ovviamente le invio i miei apprezzamenti, aspettando con ansia il Suo Nuovo Libro in libreria.

Aurélien Facente, 24 gennaio 2021

Coronavirus KR – Vita da quarantena (Il racconto di Elvira)

Vi propongo una testimonianza scritta dell’esperienza di quarantena dovuta all’emergenza Coronavirus qui a Crotone. Il testo è stato scritto da Elvira Scaccianoce, che ha deciso di condividere la sua personale testimonianza. Mi auguro di poter pubblicare anche altre testimonianze, perché è importante esprimersi in un periodo fatto soprattutto di domande senza risposte e di incertezze, come quelle che stiamo vivendo in piena epoca Coronavirus. Vi rinnovo l’appello. Se avete voglia di condividere le vostre testimonianze, fatelo liberamente. Vi offro volentieri il mio spazio. Scrivetemi in privato sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/aurelienfacenteblogger oppure sulla mail aurelienfacente@yahoo.it dove però vi chiedo di essere identificati con nome e cognome. Per un’eventuale pubblicazione sul blog, ovviamente mi atterrò alle vostre volontà qualora mi chiediate l’anonimato. Ora vi lascio al racconto di Elvira.

Vita da quarantena: diario di casa

Prima di scrivere questa mia breve riflessione, ho aspettato molto tempo, cercando di raccogliere i tanti pezzi di vita vissuta in quest’ultimo mese, dove non solo è cambiata la mia vita, ma il modo di vedere me stessa e gli altri. È cambiato tutto il mondo e lo scenario a cui eravamo abituati a vivere… ci siamo lasciati dietro le spalle giorni dove la nostra unica preoccupazione era quella di stare a tempo con gli altri, quel maledetto tempo a ritmo di jive nel quale ci siamo abituati, ovvero correre, correre sempre, senza guardare in faccia nessuno, vivendo come automi tanti giorni pieni di impegni da sbrigare… per poi raggiungere cosa?

   Improvvisamente questo Covid 19, un nemico invisibile di cui se ne parlava da qualche mese in maniera latente cominciò a insidiare le nostre vite come un parente scomodo che incontri il giorno di Natale… quest’essere invisibile proveniente da lontano ha cambiato totalmente le nostra vite. Mai e poi mai avrei pensato che poteva toccare anche a noi.

   I giorni passavano e pensai che il loro problema avrebbe potuto diventare il nostro. Ci siamo accorti troppo tardi che da un momento all’altro quella semplice influenza, come diceva lo stesso medico di famiglia con sorriso sornione o le massime autorità sanitarie davano per scontato… “Tranquilla,” dicevano, “il Covid 19 colpisce la generazione più debole, tipo quella anziana…”

   Mi ripetevano che non poteva stravolgere le nostre vite. Tutto scorre con la mente che è in verità piena di dubbi e in bilico tra realtà e finzione.

Giorno 4 marzo 2020

Sono a casa con il pensiero e la sensazione che qualcosa di più serio stia accadendo invade i miei pensieri.

La scuola del bambino che rimane chiusa, le continue notizie del tg, e il volto dei miei genitori che comincia a cambiare.

   Il focolaio di Codogno, e poi Lodi e Brescia e il famoso paziente zero allarmano tutti. Cerco di mantenere una calma, a dire il vero molto finta.

   Ma con l’edizione straordinaria delle 20 del premier conte confermo la mia non più infondata preoccupazione. Il maledetto ospite venuto da Oriente è diventato pandemia …e la nostra cara Italia, quella narrata dalla Meloni e da Salvini, ovvero dell’eterna lotta tra nord e sud era diventata zona rossa.

   L’ansia comincia a salire…

   I giorni a seguire sono un continuo altalenarsi di emozioni: ansia, sconforto, agitazione, nervosismo, notti insonni, e il caro amico cellulare dove fino a poco tempo fa usavo per scherzare con amici e parenti diventa fonte di continui bollettini di guerra, notizie discordanti, fake news.

   Dove sta la verità?

Giorno 15 marzo 2020

Passano i giorni. Notizie sconfortanti. Il famoso picco sta salendo. Vedo in tv i tanti militari che portano file di bare per essere cremati chissà dove. Cose mai viste se non forse su un qualche libro di storia alle scuole medie. L’incubo continua.

   Tempi duri per chi soffre d’ansia. La gastrite va a nozze con la mente preoccupata. Questa forzatura domiciliare non aiuta. Si cerca di cucinare, lavare, pulire lo stesso ambiente, subire le preoccupazioni degli altri membri di casa, cercando di minimizzare la situazione ormai palese. Mi appresto a fare spesa di continuo come riempire a più non posso di tutto perché non si sa mai quel che può accadere. I supermercati non vengono riforniti, vedo in tv lotte tra gli scaffali, detenuti sui tetti e altro ancora.

   L’incubo continua.

Giorno 21 marzo 2020

   Il famoso picco è arrivato. Non esco di casa da giorni. Sono stanca delle notizie. Cerco di dormire. La mia famiglia che vedevo tutti i giorni ora è su whatsapp. Le videochiamate, le foto, i video non migliorano la situazione.

Giorno 27 marzo 2020

Vedo un uomo solo vestito di bianco in tv. Il Santo Padre da solo sotto la pioggia battente di Roma prega stanco e vacillante è il santo Crocifisso miracoloso, e la Santa Vergine che si rivolge al popolo romano. Dio mio, siamo in mondovisione. Tutti uniti credenti e non a chiedere a Dio un miracolo.

   Mi ritrovo sul divano ormai campo di battaglia con mio marito, in silenzio dentro casa le lacrime scendono da sole.

   Chi siamo e cosa siamo diventati? Castigo divino? Oppure opera dell’uomo? Non lo so. Il flusso delle cattive notizie continua in tv, vedo gente ballare sul balcone e carri funebri che passano in Lombardia. Io rimango una telespettatrice di una tragedia e cerco di restare salda e ferma. Riscopro la fede. Prego. Riscopro i passi del Vangelo. Non può essere la fine del mondo.

   Nel frattempo tutto si ferma. Lavoro, vita, tutto. E scopri veri volti chi ti sta vicino. La forza nasce da te. Penso. Sono una donna. Noi donne diamo la vita tra atroci dolori. Ce la faremo. Spirito ribelle misto a rabbia e ansia sono compagne di questa quarantena forzata.

Giorno 1 aprile 2020

   Tanti medici morti. Penso ai miei 4 nonni morti di diabete qualche anno fa, e vedo in tv che i morti non hanno avuto neanche una funzione religiosa o una degna sepoltura Penso ai miei nonni, attorniati da tutta la famiglia negli ultimi giorni. Forse sono egoista a pensare chi ha avuto una morte migliore.

Giorno 12 aprile 2020

   Il famoso picco è sceso. Una piccola luce in fondo al tunnel. Calano i morti. La curva rallenta, la paura no. Cerco di mantenere i piedi saldi.

   Oggi è Pasqua.

   Ripenso alle feste di qualche mese fa. La nostalgia oggi è tanta, e sono di cattivo umore. Cerco una piccola quotidianità, e provo a informarmi dai social in modo razionale e corretto.

   Crotone sembra la Terra di Mezzo, quella della saga de Il Signore degli Anelli per capirci. Tutto tace. La politica crotonese inesistente. Tutto questo silenzio fa male, e i cittadini che non ricevono una parola di conforto. Dove sono i profeti della Crotone che cambia durante le promesse elettorali?

   Nulla. Mi imbatto tra le tante cavolate di Facebook con dirette di cucina, finti buonismi e balli dal balcone video esagerati. Vedo qualche diretta di un blogger scrittore, un certo Aurélien Facente lì per lì. Ascolto qualche diretta senza commentare.

Letture in quarantena. Chi? Io? Non amo leggere. Lo ammetto e questo si ripercuote sulla mia scrittura, ma ascolto volentieri tutto e tutti. Io sono una popolana e possiedo questo spirito curioso e ho voglia di imparare qualcosa che la tv nasconde o che ti vuol fare credere altro. Cerco di crearmi una nuova quotidianità, per adesso difficile e fatta di social da vivere e vita da vivere in casa.

   Mio figlio è molto piccolo… per fortuna.

   Parecchie emozioni cerco di nasconderle, e a volte mi riesce male, ma si va avanti. I giorni si susseguono come da calendario, anche se confondo il martedì con il mercoledì.

   La curva scende. Questo mi alleggerisce le giornate.

   L’estate, la scuola, gli impegni per ora sono chiusi nel cassetto. Ora devo sopravvivere per me stessa e per chi mi sta intorno. Non vivo di ricordi, ma faccio tesoro delle esperienze passate per proiettarmi sul futuro, come il tramonto che vedo dal balcone di casa mia.

   La fortuna di abitare a Crotone dove mare e monti si incontrano. Cerco di trarne energia positiva, perché come cantavano i famosi Ricchi e Poveri: “Del futuro sarà quel che sarà.”

   Vivo il presente, cercando conforto nelle mani di Dio.

Testo di Scaccianoce Elvira Liberata.

La lunga corsa riparte da Crotone, ovvero la sfida di Tansi e di Voce

La Calabria, al termine delle elezioni regionali, non aveva riservato grosse sorprese. Tutto come previsto, come si legge dai sondaggi nazionali. Il centrodestra vince. Il centrosinistra all’opposizione. Gli altri fuori dalla Regione Calabria.

  Tra gli altri, c’era un certo signor Carlo Tansi, che ha avuto tra i suoi candidati l’ingegnere Vincenzo Voce.

   Nove anni fa, l’ingegnere Vincenzo Voce (era primavera) si candidò a sindaco con un piccolo movimento. Salì sul palco di fronte al Comune di Crotone ed esplicò un proprio programma, molto rispettoso dell’ambiente, davanti ad un pubblico poco numeroso.

   Il movimento scomparve, ma lui è rimasto a lottare.

   Anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno. Tra tante difficoltà, la costanza lo ha premiato. Le sue continue denunce e il suo progetto lo hanno premiato, entrando nei cuori delle persone, tanto da poter permettersi, giustamente, di camminare a testa alta tra la gente e per le vie di Crotone.

   In questo inizio anno si è candidato per le regionali a supporto dell’altro, quel signor Carlo Tansi che ha dimostrato costanza nel proprio progetto regionale. Se non fosse stato per l’alto astensionismo, forse sarebbe entrato in consiglio regionale.

   In verità, il signor Tansi ha pagato lo scotto del debuttante, così come nove anni fa lo aveva pagato l’ingegnere Voce.

   Non me ne vogliano i signori. Un piccolo riassunto è d’obbligo per capire il discorso che il sottoscritto vuole portare avanti.

   In Calabria ho visto tante liste scomparire nel dimenticatoio, pur avendo avuto qualche risultato interessante. La costanza è un valore raro in Calabria, molto raro. Non voglio parlare di coerenza, ma di costanza, che forse è oggi il valore più importante.

   L’ingegnere Vincenzo Voce è stato il candidato a consigliere più votato a Crotone (ma non nella circoscrizione intera). Segnale che indica che c’è una parte di cittadini che vuole cambiare proprio pagina, e l’ingegnere lo sa bene.

   Stamane, domenica 2.2.2020, s’è scritta una bella pagina di democrazia e di politica.

   È una bella pagina perché è molto raro vedere una lista rimettersi in piedi dopo qualcosa che altri vogliono vedere come una sonora sconfitta (anche se la vera sconfitta è l’astensionismo calabrese).

   Che Vincenzo Voce stesse pensando di rigiocarsi la candidatura a sindaco di Crotone in questo momento storico della città era un’ipotesi prevedibile, oltre che una possibilità da cogliere al volo. Che lo facesse con Carlo Tansi era un’ipotesi azzardata, che oggi è fattivamente realtà. Bello vedere che il signor Tansi, l’altro, abbia deciso di ripartire proprio da Crotone, e di candidarsi al consiglio comunale proprio per sostenere l’ingegnere Voce, e farlo davanti ad un pubblico di cittadini che si è riunito in una piazza della città, a pochi passi dal mare.

   Io, personalmente, non ci sono stato. Non potevo esserci. Preferisco essere il blogger a debita distanza di osservazione. Però in cuor mio speravo in una soluzione del genere, perché in passato ho assistito a tante storie interrotte. Posso testimoniare tutte le persone che si sono sentite umiliate dopo aver fatto il possibile per realizzare un progetto politico all’interno dell’ente, per provare a realizzare qualcosa di diversamente onesto. La Calabria, come Crotone tra l’altro, è una terra difficile, dove ormai l’astensionismo è una regola di chi ha assistito a tanta decadenza. Una terra dove è facile abbandonare piuttosto che restare in sella. Ho visto tanta gente andare via dopo che i progetti politici erano stati umiliati. Ho visto persone che non volevano ricandidarsi dopo aver visto solo il bicchiere mezzo pieno. Sono pochissime le persone rimaste a voler combattere per un qualcosa di diverso, di un qualcosa che vada oltre la classica immagine della Calabria delle salsicce e soppressate che si vuol far continuare a far vedere al resto dell’Italia.

  Perciò speravo che Carlo Tansi ripartisse proprio da Crotone, la città abbandonata da tutta la politica che conta. Speravo che il dato politico di Vincenzo Voce non si fermasse a quei 3187 voti (meritati), simbolo proprio di quel lavoro costante che negli anni ha svolto a Crotone, tra tutte le titaniche difficoltà che l’ingegnere ha sempre prontamente denunciato e raccontato.

   E oggi Carlo Tansi e Vincenzo Voce hanno scritto una bella pagina di politica dentro una piazza di tanti cittadini normali che hanno bisogno di voltare pagina.

   Sono piccole pagine che vanno scritte e ricordate, al di là se si possa sostenere il progetto politico o no.

   Perché alla fine questa terra chiamata Crotone, al di là dei problemi ambientali e strutturali, ha prima bisogno di avere dentro di sé persone che possano dimostrare prima di tutto costanza.

   Già. La costanza. Un valore di cui si parla sempre troppo poco.

Aurélien Facente, 2 febbraio 2020