Crotone è ormai una città dedita al silenzio

Sono volutamente uscito lo scorso 6 gennaio. Ho voluto rendere soddisfacente la mia curiosità. Volevo farmi un giro dentro una città immersa nel silenzio.

   Certo, era zona rossa. Non sarei dovuto uscire, secondo qualche benpensante. Ma il momento storico era unico. Molto probabilmente l’anno prossimo non si ripeterà.

   Il silenzio della piazza, quello del corso Via Vittorio Veneto, quello di Piazza Pitagora, a parte qualche vocio di qualche persona che magari salutava velocemente un amico, un parente o un’altra persona.

   Il 6 gennaio è l’Epifania, una festa dei bambini e dei ragazzi. L’ultimo giorno di festa, l’ultimo giorno dello scambio degli auguri, l’ultimo giorno del sorriso tra parenti.

  Ed era anche un giorno di passeggiata per tutta la giornata.

   Ho fatto la passeggiata per prendere appunti.

   E ho assaggiato il silenzio.

   Silenzio di serrande chiuse, silenzio di strade senza auto e senza bambini che giocano, non c’era nemmeno il petardo che scoppiava.

   Silenzio di una città che, mentre sparla su Facebook, si è ormai dedicata al silenzio.

   Un silenzio che non va bene, perché non è il silenzio della notte, dove in ogni caso ti capita d’incontrare qualcuno.

   Questo non era nemmeno un silenzio che l’Epifania meritava, perché anche nelle ore di riposo pomeridiane qualche tocco di pallone lo sentivi.

   E mancava lei, la Befana.

   Ho provato a capire questo silenzio.

   Ed è da qualche mese che Crotone è una città silente.

   Persone chiuse in casa per via del DPCM, ma una volta ci si affacciava almeno sui balconi. Non dico che il saluto fosse obbligato, ma vedere qualcuno era una benedizione.

   Invece, il mio cammino era solitario, e l’ho pure raccontato in video.

   Ma non ho raccontato quello che ho provato.

   Mi sono fermato dinanzi al liceo classico Pitagora, quello non lontano da Piazza Pitagora.

   Sono tornato ragazzo. E mi ricordavo quando con alcuni compagni venivamo davanti al portone di scuola, sapendo che la vita di tutti i giorni riprendeva, e che gennaio era il mese del primo quadrimestre.

   Mi ricordavo l’eccitazione.

   Ora c’era solo il silenzio, e dentro di me sentivo l’incertezza, il peggior dramma dell’epoca Coronavirus.

   Ho ripreso a camminare, perché l’incertezza non mi violentasse ulteriormente.

Aurélien Facente, gennaio 2021

Coronavirus KR – Diario dalla Zona Rossa, giorno 2 e 3

   Giorno 2, sabato mattina.

   Mi sveglio un po’ tardi. Dormo bene. Molto bene. Mi sto riprendendo la forma. La solita routine. Ti lavi e fai colazione. A casa si usa la cucina uno alla volta. Tra poco esco, e poiché in famiglia sono io quello che esce, allora le precauzioni vanno prese al massimo, anche se può costare un bacio o un abbraccio.

   Le notizie dicono che il virus sia in giro, ma ci sono parecchi asintomatici. Il che potrebbe anche essere positivo a pensarci. Ma la paura regna sovrana. Troppa paranoia in giro.

   Apro Facebook. Circola un video preso dalla tv. Un’intervista surreale a un certo generale Cottarelli. Quante condivisioni. Credo che ben presto sarà offerto alla pubblica piazza televisiva. Chissà chi si aggiudicherà l’esclusiva…

   Giorno 2, sabato pomeriggio

   Si legge. Un libro che parla di comunicazione. Non ho mai terminato gli studi, a dire il vero. Io non conosco nulla ancora. Non conosco proprio niente. Ma il mio niente è tanto rispetto al pensiero unico dominante. Non mi si perdona di non provare paura e preoccupazione. Lo so che è un comportamento odiato. Ci si allontana dal singolo per abbracciare il gruppo. Girano voci di un’altra protesta. Vogliamo scommettere che non ci sarà? Crotone non è Cosenza, non è Catanzaro, non è Reggio. Evito di leggere i commenti su Facebook sugli eventi calabresi. C’è un dato di fatto, però: la gente ha cominciato a parlare. Troverà presto la sua dimensione. Benvenuti nella realtà, calabresi.

   Giorno 2, sabato sera

   Mi manca il cinema. Mi manca sedermi sulla poltrona della sala, e stare in silenzio a guardare il film. Mi manca stare in mezzo agli altri in silenzio. Mi resta solo uscire discretamente la sera con il cane. Poi torni a casa. Mangi. Non puoi permetterti di sognare più di tanto. Devi solo badare al sodo. È iniziato il daily direct. Ogni giorno una diretta, per far vedere che sono vivo almeno. La mia sopravvivenza può essere una rassicurazione per qualcun altro.

   Giorno 3, domenica sera

   Tutti incollati allo schermo. Non io. Mi bastano le testimonianze altrui mentre sparlano della tragicommedia del generale. Io non ho mai capito a pieno il giornalismo di Giletti. Un giornalismo che fa la morale e dà ospitalità a qualcuno che tenta di uscirne fuori da qualcosa di bollente. Si vede da lontano che è costretto a trattenersi, e a dare peso alla commedia. La storia delle immediate dimissioni per poi sbarcare alla tv nazionale e darsi in pasto al pubblico può convincere la massa. Una persona sana di mente non lo fa se prima non ha il culo coperto. E nonostante la presenza di Lino Polimeni che si lancia alla ricerca di scuse ipocrite, l’effetto è quello di un brutto film comico. E la gente che ci casca pienamente perché è quello che vuole. Un bel giochino delle apparenze. Con la fabbricazione di un mostro da mettere sullo schermo, la gente dimentica il vero succo della situazione: che al governo centrale non gliene frega un cazzo dei calabresi, e che farà ben poco al momento. E offrendo il mostro in pubblica piazza, il governo si defila e non ti chiede nemmeno scusa. Non so se la gente si preoccupa di quest’elemento. Intanto lo show è solo iniziato.

   Provo a fare una diretta. Ma alla gente non gliene frega di vedere il trucco che gli hanno combinato…

Aurélien Facente, novembre 2020

Coronavirus KR – La storia di Mara e Angelo

Quando la notte scende a Crotone, soprattutto in questi giorni, il silenzio nelle strade farebbe impazzire chiunque. In realtà credo che ci sia già troppa paura alimentata da un’isteria di massa. La paura verso il virus ti porta nel tunnel dell’irrazionale.

   Conosco bene il male in questo caso, e me ne sto volentieri alla larga. Qualsiasi parola sarebbe inutile e superflua, poi in un caso come il mio sarebbe trascinarsi tanto odio dietro. Perché chi prova a ragionare dentro la paura viene sempre detestato. Perché nella paura cerchi la risposta, ma non ragioni.

   Accendo il PC. Leggo molto le notizie di notte. Cerco di trovare qualche spunto interessante e logico. Ho la fortuna di parlare e capire più lingue, però qui lotto con persone che vanno appresso alle tv nazionali. C’è chi pensa addirittura che i programmi con Barbara D’Urso sia dispensatori di verità. Non parlo degli altri programmi perché ci sarebbe un intero volumone da scrivere.

   Sulla mia scrivania, posta di fronte alla via centrale, vedo i lampeggianti gialli dei semafori accendersi e spegnersi, mentre provo a raccogliere notizie. Do uno sguardo su Facebook, e nella messaggeria della mia pagina pubblica trovo un messaggio di una certa Mara. Prima di leggere il messaggio, esploro il profilo. Non amo dare risposta ai fake, ma il profilo è tranquillo. Si tratta di una mamma. Due figlie quasi adolescenti. Bella famiglia. Sulla foto del profilo c’è la foto di lei in abito bianco con il marito. Un omone robusto. Una foto felice.

   Poi leggo il messaggio: “Scusami. Seguo di nascosto le tue dirette su Facebook, e ho letto tanta roba tua in queste settimane. Vorrei parlarti. Ti prego di rispondermi se ti è possibile.”

   Mezzanotte.

   Quella che segue è la conversazione avuta tra Mara e me. A sta per Aurélien, mentre M sta per Mara, che ovviamente è un nome fittizio. Lo faccio per proteggere la vita privata della signora, che per quello che mi racconterà in seguito. Una delle tante storie vere che non saranno mai prese in considerazione da un giornale, e se finisse in mano alla televisione peggio ancora.

   A: “In cosa posso esserle utile, signora?”

   La risposta è fulminea. Appena un minuto.

   M: “Ti disturbo? Scusa se ti do del tu.”

   A: “Non fa niente. Tanto qui le regole del dialogo si rompono.”

   M: “Ecco, io voglio parlarti di mio marito.”

   A: “Signora, io non credo di conoscere suo marito. Mi sono permesso di vedere qualche foto, e credo che quel signore robusto non rientri tra le mie conoscenze.”

   M: “Ecco, a dire il vero è deceduto.”

   Sapete la sensazione di aver fatto una grossa figura di merda? Eccola. Ma può capitare quando non si sanno le cose.

   A: “Mi scuso umilmente dell’errore commesso. Non volevo mancarti di rispetto.”

   M: “No, non scusarti. Angelo è deceduto la scorsa primavera. Non potevi saperlo. Non ci conosciamo nemmeno.”

   A: “Bene, ricominciamo. In cosa posso esserti utile?”

   M: “Volevo dirti grazie.”

   A: “E di che cosa?”

   M: “Ecco, io sono capitata sulle tue dirette per puro caso. All’inizio ero molto arrabbiata con te, ma poi ho cominciato ad ascoltarti e a leggerti. Sono capitata in quel tuo romanzo blog chiamato Responsibilities. L’ho letto con molta attenzione, e allora ho capito che cosa sei.”

   A: “Hai tutta la mia attenzione.”

   M: “Ecco. Hai avuto un’esperienza devastante e ora capisco che non ti attieni alla linea indotta da terzi. Vai per la tua strada. Come mio marito Angelo.”

   A: “Parlami di lui.”

   M: “Mi chiamo Mara. Ho 47 anni. Abito non lontano da Brescia. Io ho conosciuto quell’omone di mio marito ai tempi del liceo. Ci siamo piaciuti da subito, ma sono stata a fare io il primo passo. Non ci siamo mai staccati. Abbiamo fatto i nostri studi insieme. Lui aveva trovato lavoro subito dopo l’università, mentre io avevo avviato una piccola sartoria. Mio marito era un ingegnere meccanico. Avevamo la passione per la montagna. Ci piaceva tanto camminare tra i boschi…”

   A: “Continua a scrivere.”

   M: “Mio marito è una delle vittime del Covid. Sai così perché ero arrabbiata con te.”

   A: “Puoi raccontarmi com’è successo?”

   M: “Aveva una brutta tosse. Non la smetteva di soffrire, e aveva pure la febbre. Chiamai l’ospedale. Lo vennero a prendere. Mi raccomandarono di fare la quarantena. Io e le bambine. Ma lui non è più tornato. Mi fecero la telefonata direttamente dall’ospedale. Mi si è gelato il cuore. Ho passato un giorno intero in silenzio prima di dirlo alle ragazze.”

   A: “Capisco. E poi?”

   M: “Tu lo sai. Ti si rivolta tutta l’esistenza. La quarantena forzata è stato il modo per stare soli e provare a capire. Non dormivo. E per non piangere, passavo ore a cercare una risposta sul web. Poi ti ho trovato. La prima volta ho buttato lo smartphone a terra.”

   A: “So di fare quest’effetto. Continua.”

   M: “Poi però ho continuato a vederti. E poi ho iniziato a leggerti. E ho capito tante cose.”

   A: “Non penso di averti dato delle risposte, ma sono felice ad aver contribuito all’inizio di un percorso.”

   M: “Angelo, prima di salire sull’ambulanza, mi ha detto queste parole tossendo: Qualunque cosa accada devi vivere anche per me, anzi andrai in montagna a raccogliere qualche fungo, e poi vai a vedere il nostro tramonto.

   A: “Lì per lì non hai capito, vero?”

   M: “No. Non subito. Vedi, io non so come descrivere la situazione.”

   A: “Sei andata sulla montagna poi?”

   M: “Sì. Completamente da sola. Ho smesso di piangere quando ho visto il nostro tramonto.”

   A: “Sai perché hai smesso di piangere?”

   M: “Mi sentivo in pace. Quando mi trovai nel nostro luogo preferito, mi ricordavo uno dei motivi per cui lo amavo tanto. Una storia. Mio marito aveva una sorellina che purtroppo morì all’età di cinque anni. Era condannata da una leucemia. Mio marito aveva tredici anni quando accadde il fatto. Mi raccontava che la faceva sorridere e le raccontava un sacco di favole dove lui era il cavaliere e lui la principessa. Ha fatto di tutto per farla sorridere, e poi provò a raccontarmi… Ma s’interrompeva sempre. Anzi, poi riprendeva a sorridere e mi diceva che non bisognava piangersi addosso. Perché lui aveva il dovere di sfruttare quella possibilità che non aveva avuto la sua sorellina.”

   A: “Ora stai cominciando anche tu a trovare un percorso in mezzo al buio.”

   M: “Poi ho letto la tua personale esperienza. E ho cominciato a vivere esperienze simili, anche se tutto è accaduto quest’anno. Io non sto vedendo uomini e donne. Vedo solo persone. È un periodo brutto, dove vedi solo menefreghisti e codardi che si fanno mangiare dalla paura, e nessuno che vuole vedere una luce. Solo una brutta cappa di tragicità.”

   A: “Posso farti una domanda? Angelo avrebbe voluto vivere questa cappa di oscurità che ci avvolge da Nord a Sud?”

   M: “No. Angelo faceva tante piccole cose per gli altri, ma non si faceva piegare dalle oscurità altrui. Anzi, per lui erano uno stimolo a fare meglio. Io non lo capivo certe volte, ma poi ho iniziato a capirlo di più adesso. E tu di sicuro sai di che parlo. Quando ti viene fatto a pezzi il cuore, man mano che lo rimetti a posto tu non hai il tempo di andare dietro la paura. Io non so se ritornerò ad avere un sorriso, ma non posso deludere Angelo. Per nulla al mondo.”

   A: “Hai scelto la strada più difficile, ma la migliore. Angelo voleva vederti vivere e non piegata dal dolore. Il Covid-19 è un nemico come qualsiasi male che fa ammalare le persone. E purtroppo ha un suo prezzo. Mara, non viverla come una colpa. Si è trattato purtroppo di una tragica fatalità che di sicuro la tua famiglia non meritava. Ogni morte è una storia interrotta, soprattutto nei casi come il tuo. Ma tu hai la possibilità di continuare a raccontare questa storia. Ognuno di noi affronta un percorso proprio e incerto, e prima o poi questo percorso diventa più chiaro. Ma per gli altri è incomprensibile perché sono percorsi che si vivono, ognuno con un proprio tempo. Il fatto che già sei andata a vedere il tramonto è indicativo, importante. Ci sei tu e ci sono le vostre figlie. Potete raccontarla una storia. Io sono solo un elemento casuale al quale hai voluto fare una conversazione amichevole, anche se temevo il peggio.”

   M: “Ti ho fatto perdere tempo. Scusami tanto.”

   A: “No, amo sapere che c’è qualcuno che prova a parlare di vita in questi giorni. Vedi, io non so come la stiate vivendo tutti lassù al Nord. Ma qui ti posso assicurare che la paura c’è eccome. Certe volte prenderei a sberle i miei stessi concittadini.”

   M: “Non ti facevo così cattivo.”

   A: “No. Non è cattiveria la mia. Qui parlano troppo dei morti, ma mai di chi ha perso il proprio marito, la propria moglie, la propria mamma, il proprio papà. Nessuno si chiede il prezzo delle cicatrici che non si richiuderanno più. Senza contare il resto. Ecco perché mi arrabbio con i miei cittadini. Perché io ho avuto la mia cicatrice personale. Perché tu sai adesso che cosa vuol dire continuare a vivere e sfruttare appieno quella possibilità di vita che tuo marito non ha più. Io posso augurarti di tornare al sorriso più presto, anche perché le tue figlie hanno bisogno di quel sorriso. In fondo anche tuo marito.”

   M: “Posso farti una domanda indiscreta? Tu hai qualcuno nel tuo cuore adesso?”

   A: “In questo momento non lo so. Ma ti posso assicurare che quel cuore che vedi chiuso adesso si riaprirà in qualche modo. Ricordati quello che ti raccontava tuo marito. Adesso sei tu il cavaliere.”

   M: “Buonanotte. E grazie.”

   A: “Buonanotte.”

   Spengo il PC. Mi preparo un caffè, e sto sul balcone, al freddo, in attesa del primo mattino.

   Alle 5 scendo con il cane, e dopo un po’ comincia a spuntare il sole su di me. Nel momento più buio, spunta sempre il sole. E i suoi raggi sono come carezze.

Aurélien Facente, novembre 2020

Coronavirus KR: Caro Giuseppe Conte…

Oggi è il 17 marzo 2020. In realtà volevo scrivere a Lei, Avv. Giuseppe Conte, Attuale Presidente del Consiglio italiano, già qualche giorno fa. Ma ho preferito aspettare, perché di lettere aperte ne avrà lette migliaia in questi giorni, molte pubblicate sui giornali.

   Può darsi che un giorno capiterà di trovarsi casualmente a leggere la mia, piccola e insignificante vista la situazione, lettera che le ho voluto scrivere.

   Mi sono preso il tempo di scriverla, senza farmi condizionare da nessun sentimento di rabbia e di paura, che attualmente sono i primi nemici dopo il Coronavirus. Nemici che ognuno di noi deve saper tenere sotto controllo.

   Inizio questa mia lettera con la foto, presa da uno Smartphone, che le farà vedere un tramonto urbano. Ebbene, quello è il tramonto dalle parti di casa mia. Vedo quella scena da 25 anni ormai, e il bello è che il sole tramonta alle spalle della chiesa, San Domenico per essere precisi, dando l’impressione che il sole vada ad accasarsi nella casa del Signore. Una scena suggestiva che sto cercando di rendere ovviamente poetica, senza nessun pregiudizio per chi crede o non crede. Però ho la fortuna di godere giorno dopo giorno di un’immagine simile.

   Purtroppo, ahimé, non tutti possono godere di cotanta bellezza, vista la quarantena imposta per fronteggiare al meglio l’emergenza Coronavirus.

   In pochi giorni, e Lei lo sa bene caro Presidente, abbiamo tutti dovuto cambiare drasticamente le abitudini. Qualcuno c’è arrivato prima, qualcun altro dopo. Ma nel giro di qualche giorno, diciamo, che l’equilibrio si è costruito e si sta mantenendo, almeno per ora.

   Perché il sacrificio è enorme, ma in linea di massima seguiamo le istruzioni. Lavarsi le mani, usare i guanti, mantenere le distanze, mantenere la fila (anch’essa a distanza), si cerca di uscire il meno possibile. Questi progressi sono stati fatti.

   Poi ci sono i però.

   La motivata paura delle persone, la non immediata reattività, il fatto di trovarsi perennemente su una linea di confine, neanche il tempo di imparare per bene le nuove regole. E queste cambiano spesso, a quanto apprendo dalle tante testate.

   Sia chiaro. Non voglio rimproverarla per il tremendo lavoro che sta facendo in questi oscuri giorni, Giuseppe. La capisco. Lei cerca di tenere dritta la barra di un timone molto fragile in questo momento, perciò Lei, da buon capitano da crociera, sta richiamando tutto l’equipaggio all’ordine. E cerca di farlo senza perdere la calma, perché siamo in piena tempesta.

   Già, Quel nemico invisibile che si chiama Coronavirus ci è piombato in fretta. E lo so che fa paura. Lo vedo negli occhi di chi cerca di mantenere l’ordine. Poliziotti e carabinieri che devono mettere da parte la loro umanità, e non hanno avuto il tempo di recepire bene le informazioni, anche se il loro impegno è massimo.

   La stessa cosa vale per i pompieri e per tutti quegli operatori che sono in mezzo alla strada cercando la via della logica.

   Il Coronavirus e il Caos. Due perfetti alleati in questo tempo sempre più buio abbattono le certezze di chiunque.

   Signor Presidente, a nessuno piace ammettere la propria fragilità. Siamo in una società dove conta solo il più forte, dove conta saper dimostrare di essere forti senza pietà. Una pura e mera illusione, perché il Coronavirus colpisce subdolamente, senza avere pietà. Fa solo quello che la sua natura impone. E non c’è da chiedersi perché.

   Non adesso che non abbiamo una narrazione certa della malattia. Ora si lotta contro il tempo, e sembra che questo ci condanni. No, signor Presidente, non siamo condannati dal tempo. Siamo condannati a renderci conto della nostra fragilità.

   Vede, io mi considero un privilegiato. Ho piccoli spazi di libertà durante la giornata. Le assicuro che nei miei brevi viaggi a piedi verso un supermercato, verso la banca, girando un po’ l’isolato con il cane… Già, mi sento un privilegiato perché assaporo il tempo, pur sapendo che il nemico potrebbe colpirmi.

   E prendo momenti da poter trasmettere agli altri quando posso. Pezzi di colore perché gli altri, che le assicuro restano ben chiusi in casa, hanno bisogno per tener duro. Non basta solo essere sintonizzati sul web o in televisione. Ci vogliono segnali di vita pura e semplice, perché trasmettere quei segnali portano forza nelle persone.

   Io non so se Lei potrà sapere della domenica di Crotone. Della prima domenica della quarantena.

   Solo silenzio. Giusto qualche auto. Sì, perché lei non lo sa ma qui abbiamo una comunità fatta di persone anziane da tutelare, ma anche di malati ad un passo dalla morte, e non per il Coronavirus. Crotone è una città che è stata maltrattata da un inquinamento selvaggio a causa delle industrie, ormai dismesse da più di vent’anni, ma ancora con scheletri presenti.

   Qui lo conosciamo un nemico subdolo e invisibile. Lo chiamano Tumore.

   Perciò, Presidente, tenga conto dei crotonesi. O i krotoniati. Ne tenga conto.

   Perché, a parte qualche grosso vocione, ognuno di noi fa il meglio che può.

   In una settimana, ad esempio, si sono organizzate tante microcomunità per organizzarsi meglio. Un esempio: uno va al supermercato per sapere se c’è l’alcol verde, e se non c’è lo dice agli altri. In altri casi ci si raccomanda di prendere poche cose per velocizzare la fila. Per non intasare. Per facilitare il lavoro del supermercato.

   Poi magari esci più volte. Capita. Non per passare il tempo. Assolutamente no. Dove vuoi passare il tempo a Crotone, se tutte le attività di ristorazione, di somministrazione, cinema, teatro e librerie sono chiuse?

   Non varrebbe nemmeno la pena di farsi un giro. Perché Crotone è già una città dove hanno chiuso ben altre cose, oltre al lavoro.

   Perciò forse abbiamo buon senso di fare le cose per bene.

   Perché il prezzo dei morti lo conosciamo bene.

   Perché il prezzo di chi è andato via per un futuro migliore lo conosciamo bene.

   E io, che son rimasto come tanti, lo sentiamo il vuoto di una casa vuota, senza persone.

   Però, nella prima domenica di quarantena, qualcosa s’è ascoltato.

   Un balcone con bambini che giocano. Qualcuno che canta. Qualcuno che suona. Un po’ di musica ad alto volume. La voglia di ritornare a essere vivi.

   Sono cose che ti fanno sorridere perché ti aiutano ad avere speranza.

   Vedo e ascolto.

   Sono abituato a farlo. Avrei la tentazione di prendere la mia macchina fotografica e fare un ritratto a tutte queste piccole storie belle. Ma non posso. Perché rispetto il tempo concesso della mia microlibertà. E allora mi limito soltanto ad ascoltare, e a pensare che questi sono momenti che almeno vanno scritti.

   C’è la voglia di essere migliori.

   Perciò, caro Giuseppe Conte, quando tutto sarà finito si prenda il tempo di leggere questa mia piccola lettera aperta, se mai ne avrà l’occasione. E magari la legga anche a chi istituzionalmente le è vicino.

   Noi non siamo numeri, signor Presidente.

   Siamo persone, ognuna con una sua storia e con una propria dignità.

   Non rivendichiamo il folle diritto di fare ciò che vogliamo. No. Rivendichiamo il diritto all’esistenza. Perciò quando sarà tutto finito, non pensi soltanto a circondarsi di linguaggi istituzionali, ma si faccia anche circondare da linguaggi molto umani.

   Facciamo il tifo per la vita.

   Con profondo rispetto.

Aurélien Facente, 17 marzo 2020

Coronavirus KR – La paura di un nemico invisibile

   Crotone, 11 marzo 2020, ore 1.56 del mattino

   Non credo di essere il solo ad avere problemi di sonno.

   Sono a casa. Scrivo. Ci provo.

   Il governo italiano dice che ci deve proteggere, e ci intima di stare dentro casa.

   Perché c’è un nemico che si chiama Coronavirus, o Covid-19 se vogliamo essere più tecnici.

   Dopo una breve pausa, riprendo con naturalezza a scrivere.

   Sono un blogger. Devo lasciare una traccia, una testimonianza, un qualcosa che possa darmi sollievo in questa notte silente.

   Ascolto mia madre dormire.

   Anche il mio cane dorme.

   Io no.

   Sono l’uomo di casa.

   Devo restare vigile. Avrò tempo di riposare. Sono abituato a dormire poco. Voglio essere sicuro che tutto sia a posto. Sono un guardiano ormai. Papà, dovunque sia adesso, mi ha lasciato l’eredità di una responsabilità.

   E non posso permettermi di avere paura.

   Mia madre ha paura. Il mio cane avverte la paura.

   Non è una situazione bella. Tempi duri, mi direbbe qualcuno. Già. Sono tempi duri. Ma non mi piego. Perché se mi piego, il male potrebbe approfittarne.

   Io so che è invisibile, piccolo, tremendamente minaccioso, che potrebbe bussarmi da un momento all’altro. Ma non posso permettermi di avere paura. Devo essere forte per mia madre. Devo essere forte perché c’è gente che sta peggio di me, molto peggio di me che magari sta combattendo per la sua seconda possibilità. E anche se dal canto mio potrei starmene comodo a casa a leggere, purtroppo non posso fare a meno di reagire per conto mio.

   Ho un’altra maledizione. Sono diabetico. Per me è importante muovermi. Vitale. Stare troppo fermo mi fa male. Mi alza la glicemia, e mi danneggia.

   Crotone è diventata una zona rossa. Viviamo la quarantena.

   Grazie, Coronavirus.

   Ti ringrazio con tutto il cuore.

   Già ho il diabete che mi ha regalato dei limiti prestabiliti, e prima di esso c’è la celiachia. Sai, quell’intolleranza che non ti permette di mangiare una pizza, un pane, un pasticcino. Cose che ho conosciuto in avanzata età adulta per stare con gli altri, per essere un po’ come gli altri.

   Ora ci sei tu.

   Non ti temo. Non ho paura di te, Coronavirus. So che potrai prendermi alla sprovvista quando vuoi, ma non mi posso permettere di avere paura.

   Sono uscito stanotte. Era l’una. Una breve passeggiata con il cane. Una cosa da incoscienti. Vero. Ma avevo bisogno di respirare. Non seguite il mio esempio. Mi faccio giusto il giro di un grande isolato. Il mio cane deve fare la pipì. Una breve passeggiata di quindici minuti. Quindici soli minuti per… Non lo so. Io sono uno che adora la notte. Sono stato un uomo di notte per tanto tempo, perché in essa il mio cuore trovava rifugio.

   Non tutti possono capire. Mi definisco una scheggia anomala.

   In meno di una settimana, la vita di tutti è cambiata.

   Scosse di assestamento dentro di me per evitare di cedere ai nervi.

   Conosco la mia fragilità. Ci vengo a patti ogni giorno.

   La verità è che la passeggiata notturna di quindici minuti circa è un’abitudine dura a morire. La faccio dopo l’ultima puntura, perché quella camminata aiuta in qualche modo l’insulina notturna a fare il suo dovere. Se sto fermo, mi alzo con una glicemia non accettabile.

   Non ho più l’età della movida. Ho 41 anni suonati, e per molti giovanotti potrei essere classificato come un vecchietto ormai. Dovrei essere più responsabile. Ma quando vivi il male che io ho vissuto… No, non fraintendetemi. Non voglio fare la vittima. E nemmeno voglio apparire come un eroe.

   Sono solo un uomo che passeggia di notte con il suo cane. Una sola piccola passeggiata.

   E sapete perché?

   Perché un cane può fare pipì dentro l’appartamento. E la regola numero 6 ti impone di tenere pulita la casa dove dormi. Quindi sai che seccatura…

   Ecco, caro Coronavirus, tu sei una bella seccatura. Ma veramente una brutta seccatura, anche se sei pericoloso e contagioso. Fattelo dire.

   Il lungomare è deserto. Solo un breve passaggio. Da Piazzale Ultras a Piazza Gramsci. Al distributore di bibite al piazzale, quattro poliziotti cercano di prendere un caffè. Per loro il lavoro stanotte è duro e solitario. Non provano nemmeno a fermarmi. È vero però che sono distante.

   Sul lungomare, incrocio un uomo di colore. Non so dove sta andando, ma nessuno si accorge di lui.

   Il cane fa quello che deve fare diligentemente. C’è umidità e fa freddo. Il mare. Ascolto il mare notturno. Un canto calmo, calmissimo, rincuorante.

   Poi una pattuglia dei carabinieri.

   Mi ferma.

   Mi chiede che ci faccio fuori.

   Gli dico semplicemente la verità al carabiniere, che però non è nemmeno sicuro di che cosa accusarmi. In fondo non posso evadere dalla zona rossa nemmeno se lo volessi, non vado a nessuna festa, non vado a trovare nessuno, sono ben coperto. Il carabiniere è un po’ imbarazzato. Mi dice che rischio la denuncia e che dovrei pagarmi un avvocato. Non mi chiede nemmeno i documenti. Perché la situazione è paradossale alla fine dei conti. Ci lasciamo cortesemente, e con un po’ di comprensione reciproca. L’atmosfera è surreale per entrambi. In fondo, un carabiniere non può permettersi di arrestare un uomo con il suo cane solo per 15 minuti di onesta passeggiata, soprattutto quando l’uomo che cammina a piedi è ben coperto e desideroso di rispettare le regole. La giornata è stata pesante per entrambi.

   Ho sbagliato io a scegliere quel percorso. Lo so.

   Potevo scegliere altro. Oppure potevo starmene a casa. E in questo momento sono a casa che scrivo. Si sono fatte le 2.31, e ancora il sonno non mi è venuto. Dubito che verrà presto.

   Non ho paura, Coronavirus.

   In realtà non ho il tempo di avere paura di te.

   Mi spaventa di più il signor Diabete. Lui sì che sa essere tremendo. Il signor Diabete ti mangia lentamente negli anni. Devi sempre stare a controllarti la glicemia e a rispettare i tempi delle iniezioni. Mi buco quattro volte nell’arco delle 24 ore. Nell’arco di un anno sono 1460 buchi al corpo se ti va bene. Mi buco quattro volte al giorno da 23 anni ormai. E ho fatto le mie cazzate anche.

   Il signor Diabete un giorno mi mangerà, ma non lo farà oggi. Perché mi controllo spesso, e cerco di mantenere la media accettabile per vivere una vita quasi normale.

   Sono abituato a convivere con il signor Diabete da tanti anni ormai.

   C’è gente che sta peggio di me. Lo so.

   Perciò non ho paura, e non posso permettermi di avere paura.

   Coronavirus, ormai sei un’opportunità per me.

   Racconto la tua storia. La sto scrivendo. Tu fai paura alle persone che io voglio bene. Permettimi di essere il tuo compagno di sventura in questo tuo caos nella mia amata e odiata Crotone.

   Sono le 2.40.

   Sono stanco. Ho finito di scrivere.

   Coronavirus, ci vediamo domani.

   Buonanotte.

Aurélien Facente, 11 marzo 2020

PS: Non fate come me se avete letto questa storia. Restate a casa e seguite le regole.